Un appello al Sign. Ministro Francesco Profumo
“[…] lo spavento gelò la stazione, quando vide passare, in una vertigine di fumo e di fiamme, quel treno fuori controllo, quella macchina senza macchinista né conduttore […] adesso, tutti i telefoni suonavano, tutti i cuori battevano, alla notizia di un treno fantasma che si era visto passare a Rouen e a Sotteville […] Quel treno, come un cinghiale in una foresta, continuava la sua corsa, senza tenere conto né dei segnali rossi, né dei petardi. Stava quasi per fracassarsi, a Oissel, contro una locomotiva; seminò il panico a Pont-de-L’Arche, perché la sua velocità non sembrava in alcun modo rallentare. Di nuovo, sparito nel nulla, correva, correva nella notte nera, nessuno sapeva dove. E che importava delle vittime che il treno calpestava nel suo cammino! Non andava comunque esso verso l’avvenire, incurante del suo incedere cruento? Senza nessuno che lo guidasse, nel mezzo delle tenebre, come una fiera cieca e sorda abbandonata al suo destino fatale, il treno correva, correva, carico di carne di cannone, di quei soldati, già storditi dalla fatica, ed ebbri, che cantavano”.
(Émile Zola, La Bête humaine, epilogo del romanzo [ns. trad.])
Come la scena-madre di un drama/thriller. C’è un treno che corre su un binario morto. Pochi chilometri più avanti, dove quel binario si interrompe, si spalanca un baratro in cui il treno è destinato a precipitare. Occorre tentare, immediatamente, di arrestarlo in tempo o di deviarlo su un altro binario. C’è solo un ultimo scambio che può essere azionato prima del punto di non ritorno. Tra i passeggeri del treno, alcuni sono in allarme. Altri, fiduciosi, credono (o vogliono credere) che non accadrà nulla: dopotutto, si tratta di un treno di nuovissima concezione, al suo viaggio inaugurale, di un prodigio della tecnica che ha promesso la massima sicurezza per i clienti.
Del treno atteso per anni …
I protagonisti della scena finale sono due. Il macchinista sul treno. Forse non resosi ancora conto di quanto sta realmente accadendo ed accadrà, il macchinista continua ad aumentare la velocità. Pare che il collegamento radio con il centro di controllo del traffico ferroviario non funzioni, o sia disturbato da interferenze. E poi c’è il dirigente del centro di controllo. L’uomo che potrebbe azionare lo scambio a distanza. Ogni decisione è cruciale.
1. La spada di Damocle dei ricorsi
Con questo articolo rivolgiamo un appello al Ministro Francesco Profumo per un suo immediato intervento. Senza alcuno spirito di contrapposizione con ANVUR, ma per costruire una soluzione urgente, il più possibile condivisa e ragionevole, per uscire da una situazione ormai ad altissimo rischio.
La cronaca delle ultime settimane ha consegnato novità importanti.
Al momento, per quanto se ne sa, sono stati depositati tre ricorsi, che a vario titolo attaccano il sistema delle abilitazioni nazionali. Il ricorso dell’A.I.C. avverso l’allegato B del D.M. 76/2012, il ricorso degli Storici delle Matematiche contro l’uso dei criteri bibliometrici, e da ultimo il ricorso promosso da 130 docenti di diverse aree bibliometriche contro il criterio della mediana e numerosi altri aspetti del D.M. 76 (Affondiamo le mediane!).
Altri ricorsi sono probabilmente in gestazione.
Il TAR del Lazio si è già pronunciato in sede cautelare “ai sensi dell’art. 55 comma 10, del Codice del processo amministrativo” sul ricorso dell’Associazione Italiana Costituzionalisti (AIC).
È bene ricordare, per fugare equivoci, quale sia il significato tecnico dell’art. 55, comma 10, del nuovo Codice del processo amministrativo. Il TAR applica questa norma quando fa propria
una prognosi sommaria accentuata sulla favorevole conclusione del ricorso a favore del ricorrente (citazione tratta da M.V. Lumetti, Processo amministrativo e tutela cautelare, Padova, 2012, pag. 121)
e fissa con anticipo l’udienza di merito per la decisione definitiva della causa con sentenza.
Secondo il TAR, dunque, ad un primo esame in sede cautelare, il ricorso AIC presenta il fumus boni iuris di fondatezza.
L’udienza per la decisione di merito della causa è stata fissata dal TAR per il 23 gennaio 2013.
Ipotizziamo che il ricorso AIC venga accolto il 23 gennaio. In tal caso, il D.M. 76/2012 sarebbe annullato nella parte in cui stabilisce la terza mediana per i settori non bibliometrici: l’intera classificazione delle riviste di fascia A cadrebbe per illegittima retroattività.
Ipotizziamo ancora che, al 23 gennaio, la procedura di abilitazione risulti già conclusa o quasi.
Si aprirebbero problemi gravissimi.
L’utilizzo determinante di una mediana illegittima (la terza mediana, quella relativa alle riviste di fascia A) avrà ormai falsato l’avvio e lo svolgimento della procedura per i settori non bibliometrici: la terza mediana, infatti, avrà influito sia sul procedimento di formazione delle commissioni, sia sulla valutazione dei candidati.
Se la sentenza del TAR accerterà l’illegittimità originaria della terza mediana, sul piano oggettivo anche gli esiti della procedura condizionata dall’applicazione di quella mediana verranno colpiti da illegittimità derivata ad effetto viziante. Tutto rischierebbe di essere travolto, a quel punto, da nuovi ricorsi che facciano valere l’illegittimità derivata.
Per questo, subito dopo l’ordinanza del TAR, molte voci si sono levate per raccomandare al Ministero e all’ANVUR un gesto di prudenza.
2. Cassandra crossing?
Anziché lanciare il treno dell’abilitazione in velocità – è stato osservato – meglio sarebbe sospendere temporaneamente la procedura fino alla sentenza del TAR, per evitare l’effetto “tela di Penelope”. Nel frattempo, l’ANVUR potrebbe prendere più tempo per discutere con la comunità scientifica le proprie scelte, ad esempio lanciando una consultazione on line (come fanno le autorità amministrative indipendenti) aperta alla partecipazione di tutti per discutere della tanto contestata classificazione delle riviste.
Questo primo appello è caduto nel vuoto. E così il treno ha proseguito la sua corsa, senza fermarsi in alcuna stazione.
Poi, è iniziato il rincorrersi degli equivoci sul carattere “prescrittivo” o “indicativo” di tutte le mediane stabilite dagli Allegati A e B del D.M. 76/2012.
Sì: proprio quelle mediane il cui calcolo, compresa la classificazione delle riviste, ha impegnato l’ANVUR e i suoi gruppi di lavoro per mesi, determinando la spesa di denaro pubblico (che si assumeva investito per un fine importante, sul presupposto che le mediane avrebbero giocato un ruolo decisivo nella procedura di abilitazione) per rendere possibile la complessa attività dei diversi soggetti impegnati nell’opera.
Inutile ricordare che l’attività di produzione delle mediane e delle classificazioni delle riviste si è sviluppata, peraltro, in maniera piuttosto opaca, tanto che ancora oggi l’ANVUR non ha consentito, pur a fronte di numerose richieste, l’accesso all’intera serie di dati e di atti utilizzati per il calcolo e per la classificazione, nonostante gli obblighi di trasparenza che dovrebbero valere per ogni pubblica amministrazione.
Senza preavviso, sono circolate alcune dichiarazioni a mezzo stampa secondo le quali ANVUR avrebbe ritenuto ammissibile la partecipazione all’abilitazione anche di candidati collocati al di sotto delle mediane, a discrezione delle singole commissioni.
A questo punto è intervenuto il CUN, ricordando che le mediane sono state previste da un regolamento ministeriale, ossia il D.M. 76/2012.
Trattandosi di un atto normativo, ha osservato il CUN, vi è un solo modo di stabilirne in maniera giuridicamente vincolante l’esatto significato: l’adozione, da parte del Ministero, di un regolamento di interpretazione autentica.
Perciò il CUN, con una mozione formale indirizzata al Ministro Profumo, ha chiesto l’interpretazione autentica del D.M. 76/2012 per chiarire
se il superamento dei valori mediani degli indicatori quantitativi abbia o meno natura vincolante ai fini del conseguimento dell’abilitazione;
questo “nell’intento di far sì che tutta la procedura dell’abilitazione scientifica nazionale si svolga con univoca chiarezza e generalità delle regole, a garanzia dei principi generali della democrazia amministrativa e dei diritti degli interessati, ridimensionando i rischi di contenzioso giudiziario”.
Anche sull’interpretazione autentica è opportuna una precisazione.
L’interpretazione autentica di un regolamento ministeriale (atto normativo) è categoria giuridica che va affrontata rigorosamente. Non si può assolutamente fare con comunicati stampa, o con semplici lettere, o con documenti pubblicati su un sito internet: questa non sarebbe interpretazione autentica del D.M. 76/2012, non potrebbe mai esserlo giuridicamente, non vincolerebbe nessuno, alimenterebbe solo ulteriore confusione.
Invece, l’interpretazione autentica di un regolamento, come ha confermato una recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 9 del 4 maggio 2012), deve avvenire con un nuovo regolamento, da adottarsi seguendo lo stesso procedimento che è stato seguito in precedenza per l’adozione del regolamento da interpretare.
L’Adunanza Plenaria ha affermato che un regolamento può essere interpretato autenticamente solo da un nuovo regolamento, “in base al principio dell’identità formale del contrarius actus”, il che comporta la necessità di ripetere “lo stesso procedimento che già era stato adottato per l’atto su cui si andava ad incidere … seguendo il medesimo procedimento già seguito in occasione dell’emanazione del primo” regolamento.
Quindi, il Ministero potrà fornire l’interpretazione autentica soltanto con un nuovo D.M. che ripeta il procedimento seguito per l’adozione del D.M. 76/2012. Ciò significa che dovranno essere nuovamente acquisiti dal MIUR i pareri del CUN, dell’ANVUR, del CEPR e, soprattutto, il parere del Consiglio di Stato (Sezione Consultiva per gli Atti Normativi), i quali furono acquisiti prima dell’adozione del D.M. 76/2012. Il nuovo D.M. di interpretazione autentica dovrebbe poi essere registrato alla Corte dei Conti e pubblicato in Gazzetta Ufficiale (come il D.M. 76).
A questo punto, dopo la mozione del CUN che ha chiesto al MIUR l’interpretazione autentica del D.M. 76/2012 sul carattere prescrittivo o indicativo delle mediane, si sono levati nuovi richiami alla prudenza indirizzati al Ministero e all’ANVUR.
Si è detto: ad oggi non si sa neppure, con certezza, in assenza di un’interpretazione autentica, se le mediane siano sbarramenti inderogabili o derogabili per poter partecipare alla procedura. L’interpretazione autentica influisce su una regola fondamentale rilevante per la partecipazione e, dunque, deve intervenire prima che quest’ultima si svolga. Considerando i tempi necessari per ripetere il procedimento di interpretazione autentica (acquisizione dei pareri CUN, ANVUR, CEPR e soprattutto del parere del Consiglio di Stato), sarebbe prudente una sospensione temporanea della procedura di abilitazione per il periodo necessario a concludere il procedimento di interpretazione autentica. In questo modo si potrebbe anche conoscere, nel frattempo, il responso del TAR Lazio sul ricorso AIC, per poter poi assumere decisioni responsabili, con cognizione di causa, sulla prosecuzione corretta della procedura di abilitazione.
Questo sempre per evitare il deragliamento del treno. Basti solo immaginare quale formidabile argomento fornirebbe, ai contenziosi giudiziari, un MIUR che non risponda alla richiesta formale di interpretazione autentica formulata, con apposita mozione, dal suo principale organo consultivo, eletto dalla comunità scientifica e rappresentativo di quest’ultima, ossia il CUN.
Anche questo secondo appello sembra essere caduto nel vuoto. E il treno ha proseguito ancora la sua corsa, sempre più vicino al punto di non ritorno.
3. La “confessione” dell’ANVUR
Siamo ad oggi. L’ANVUR, con una serie di documenti pubblicati in convulsa successione sul proprio sito tra il 14 e il 20 settembre (analiticamente commentati da ROARS) ha fatto, in sostanza, tre cose.
(1) Ha messo nero su bianco una sorta di “confessione”.
Le mediane di agosto sono state calcolate male, per la fretta di doverlo fare.
Male sul piano metodologico, perché, a dire della stessa ANVUR, sono state elaborate: sulla base di dati di partenza (siti docente CINECA) non affidabili; con impostazioni statistiche contraddittorie, che si sono succedute nelle diverse “versioni” delle mediane; muovendo da interpretazioni perplesse del D.M. 76/2012, che la stessa ANVUR qualifica come dato normativo ambiguo e fonte di dubbi quando si tratta di applicarne il dettato; redigendo (per la terza mediana nei settori non bibliometrici) una lista di riviste di fascia A che la stessa ANVUR afferma (solo oggi) essere incompleta e bisognosa di rettifiche, in quanto non include alcune riviste di alto livello mentre ne include altre che forse dovrebbero essere riclassificate, etc.
Questo ha comportato l’adozione di mediane pubblicate e poi modificate; la pubblicazione di una lista originaria di riviste di fascia A che (incredibilmente) “resta invariata per il calcolo delle mediane”, alla quale seguirà però, in un preannunciato e prossimo futuro, una nuova lista di riviste di fascia A, diversa dalla precedente, che verrà utilizzata per la valutazione dei candidati da parte delle commissioni.
Un guazzabuglio. Soprattutto, un “regalo” involontario di ANVUR a tutti gli avvocati dei ricorrenti che, adesso o in futuro, impugneranno gli atti della procedura di abilitazione. I legali non dovranno più sforzarsi di dimostrare al giudice che le mediane ANVUR sono illegittime (eccesso di potere per illogicità, carenza istruttoria, erronea presupposizione in fatto, contraddittorietà, etc.) perché calcolate su dati incompleti e con metodi contraddittori. Questo sforzo è stato semplificato da ANVUR, che ha apertamente ammesso e scritto tutto ciò, peraltro addebitando (fra le righe) la maggior parte delle responsabilità al Ministero. Contro le intenzioni dell’Agenzia, essa stessa ha fornito un incentivo e spalancato la strada ai ricorsi.
(2) L’ANVUR ha poi preteso di fornire l’interpretazione del D.M. 76/2012, affermando che le mediane avrebbero carattere non prescrittivo, bensì indicativo, sicché le commissioni potranno a propria discrezione, caso per caso, decidere di attribuire l’abilitazione anche ai candidati che non superino le mediane. Sembra invece di capire che, per l’ANVUR, quelle stesse mediane si trasformino in prescrittive per la selezione degli aspiranti commissari. Mediane che condurrebbero una sorta di “doppia vita”, insomma: all’alba inderogabili, al tramonto derogabili.
È lecito chiedersi: che pensa il Ministro del fatto che l’ANVUR abbia ritenuto di poter rispondere, in sua vece, alla mozione di interpretazione autentica del CUN? È noto all’ANVUR che l’interpretazione autentica di un regolamento ministeriale deve essere fornita, giuridicamente, con nuovo regolamento che segua il medesimo procedimento del precedente, non già con un documento di ANVUR pubblicato sul sito di quest’ultima?
Preoccupa, soprattutto, il clima di confusione che si sta lasciando crescere, in una ridda di dubbi, ipotesi, timori, dichiarazioni.
E dovrebbe preoccupare anche un altro fatto. La Corte dei Conti vigila sul modo in cui le pubbliche amministrazioni spendono il denaro pubblico, soprattutto in questo tempo di crisi, sanzionando severamente scelte non oculate di utilizzo di risorse pubbliche. Che cosa significa affermare che le mediane, frutto di un processo di elaborazione durato mesi e non certo a costo zero per le casse dello Stato, sono oggi dequotate a criteri “indicativi” e derogabili dalle commissioni, che potranno anche non tenerne conto? Non significa forse che tutte le risorse, umane, strumentali, temporali, finanziarie, investite per calcolare quelle mediane, erano prive di un’adeguata giustificazione? E di questo non occorreva rendersi conto, con prudenza e diligenza, prima di iniziare quel percorso?
(3) L’ANVUR, da ultimo, ha pubblicato la Lista delle riviste da essa ritenute “scientifiche” per le diverse Aree della conoscenza.
È inutile ritornare ancora sull’improbabile e (se non fosse tragica) spiritosa serie di inclusioni in quella Lista.
Vi compare di tutto. La griffe ANVUR di scientificità ai fini accademici (come dire: “è rivista scientifica, perché lo garantisce l’ente pubblico italiano preposto per legge alla valutazione della ricerca universitaria”) è stata apposta a periodici che, nel resto dell’orbe terracqueo conosciuto, sarebbero considerati comuni quotidiani in edicola, siti di divulgazione politica o partitica, edificanti guide per la catechesi, ordinarie pubblicazioni informative di associazioni di categoria, riviste per amatori di barche, magazines di costume, riviste per il tempo libero, etc. Fino all’incorporazione della pur nobilissima suinicoltura (lungi da noi il criticarla, sia ben chiaro) nel vasto seno della cultura scientifica di livello universitario (qui, però, forse potrebbe aver giocato un qualche ruolo un involontario scambio tra vocali).
Dal suolo italiano, evidentemente, nasce il germe di una rivoluzione culturale guidata da ANVUR, che potrebbe in futuro trasformare le coordinate della scientificità finora conosciute ed elaborate, facendo evolvere gli angusti confini di ciò che si riteneva “scienza” verso magnifiche sorti e progressive. Ferma l’evidenza di tutto ciò, ci sono alcuni aspetti, tuttavia, che potrebbero sfuggire all’attenzione e che è bene sottolineare con chiarezza.
L’ANVUR è giuridicamente un ente pubblico, istituito per legge, riconducibile alla responsabilità (indirizzo e vigilanza) dello Stato, attraverso il Ministero competente. Quando l’ANVUR “parla” con i propri atti è lo Stato italiano a “parlare”, agli occhi delle comunità scientifiche dei diversi Paesi del mondo.
Se l’ANVUR incorre in simili (come dire?) “infortuni”, all’estero il discredito ricade sullo Stato italiano, prima, e sulla comunità accademica italiana, poi. È facile pensare: se questo è l’ente pubblico valutatore, quale sarà il livello dei valutati? Non solo. Proprio perché si tratta di un ente pubblico, gli atti dell’ANVUR sono giuridicamente qualificabili come atti amministrativi.
Quando l’ANVUR pubblica sul proprio sito documenti denominati “Liste”, “Comunicati”, “Chiarimenti” etc., bisogna aver chiaro che si tratta di atti amministrativi, che hanno un peso e una forza giuridica. Non possono essere pubblicati, poi ritirati, poi di nuovo rettificati, poi accompagnati da mille “però”, “se”, “avremmo voluto”, “secondo noi”.
Questo non sembra, francamente, il modo più corretto di amministrare la cosa pubblica.
Di più. Anche se a formare quelle Liste infarcite di paradossi, nella fase istruttoria, hanno contribuito soggetti dei quali l’ANVUR si è avvalsa, la legge assegna all’ente pubblico ANVUR, non già ai suoi consulenti o collaboratori, la piena titolarità della fase decisoria, perché l’atto amministrativo finale (la Lista pubblicata) è imputabile giuridicamente all’ANVUR e ad essa soltanto. Imputabile in termini di potere (l’ANVUR poteva stabilire di non pubblicarla in quella forma) e quindi di responsabilità (l’ANVUR risponde in proprio per aver deciso di pubblicarla in quella forma).
Le Liste ANVUR delle riviste scientifiche preoccupano non solo per le numerose incomprensibili inclusioni, ma anche perché non hanno incluso, viceversa, alcune riviste sicuramente di carattere scientifico (internazionali, spesso in lingua inglese, dirette da professori di Università europee ed extra-europee, dotate di autorevoli comitati scientifici, che selezionano i contributi da pubblicare con peer review a doppio cieco, etc.).
I lettori di ROARS hanno già segnalato alcuni casi, e ce ne sarebbero altri ancora più inspiegabili. Solo per fare un esempio, abbiamo constatato che vi è una rivista internazionale ed interdisciplinare, affiliata a due università statunitensi, in lingua inglese, con double blind peer review, che integra i punti di vista della filosofia, delle scienze “dure” e del diritto, del cui Editorial Board fanno parte, tra gli altri, un Premio Nobel per la fisica (Leon M. Lederman), il Responsabile dello “Scientific Freedom, Responsibility and Law Program” (ora denominato “Scientific Responsibility, Human Rights and Law Program”) della American Association for the Advancement of Science (AAAS, che pubblica la rivista “Science”), insieme a professori universitari di diritto, di medicina, etc. La rivista è “The Journal of Philosophy, Science & Law” (ISSN 1549-8549), sito http://www6.miami.edu/ethics/jpsl/. Per l’ANVUR, questa rivista non sarebbe degna (ed infatti non compare nella Lista) del crisma della scientificità, della dignità scientifica minimale.
Ne sarebbero a pieno titolo meritevoli, invece, Libertiamo.it, La Vita Cattolica, Leadership Medica, etc. Il problema che tutto ciò pone non è solo quello del carattere obiettivamente sconcertante di queste esclusioni.
Potrebbero esserci problemi ancor più gravi.
Riviste di questo tipo potrebbero subire un danno di immagine da uno Stato (l’Italia) che attraverso il suo ente pubblico (ANVUR) decida di non includerle nella Lista, con ciò, in sostanza, dichiarandole non scientifiche nel territorio italiano con la forza di un atto amministrativo (la Lista ANVUR). [1]
Si aprono potenziali scenari, sotto il profilo della responsabilità, che non possono essere ignorati. C’è da sperare che queste riviste non si accorgano di quanto sta accadendo in Italia. Sarebbe infatti un po’ difficile spiegare al Responsabile dello “Scientific Responsibility, Human Rights and Law Program” della American Association for the Advancement of Science che la scienza non potrebbe avanzare di un millimetro con gli articoli pubblicati sulla rivista di cui Egli fa parte, dato che non sarebbe neppure una rivista scientifica in base alla Lista ANVUR; o spiegare al vincitore del Premio Nobel che la sua presenza nell’Editorial Board non basta a garantire un minimum di scientificità della rivista.
[1] Dato che il D.M. 76 specifica che “l’ANVUR […] effettua una suddivisione delle riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani in tre classi di merito“, si potrebbe obiettare che l’esclusione dalle liste possa derivare dal fatto che non vi hanno pubblicato studiosi italiani. A tale proposito, va notato che nella sua Delibera 50/2012, l’ANVUR ha interpretato il D.M. in senso persino più riduttivo: “Allo scopo di pervenire alla suddivisione, il CINECA consegna all’ANVUR la lista ufficiale delle riviste presenti nel sito docente di tutti i docenti attivi alla data del decreto abilitazione.“, cosicché l’incompleto popolamento dei siti docente potrebber avere ulteriormente impoverito la lista delle riviste scientifiche. Ai fini dei parametri ministeriali, sembra che un candidato straniero (o italiano non strutturato nell’università) non possa vedere comunque riconosciuta la scientificità di lavori apparsi su riviste su cui gli studiosi universitari italiani non hanno mai pubblicato. Inutile dire che questa giustificazione puramente burocratica del mancato riconoscimento di scientificità risulterebbe assai poco soddisfacente, oltre che per i candidati, anche per le case editrici delle riviste escluse.
4. Ultima fermata prima del disastro
Ultimo aspetto, ma forse il più rilevante in questo momento. L’ANVUR, come è noto, ha pubblicato gli elenchi degli aspiranti commissari per ogni Settore Concorsuale. Da quegli elenchi si attingerà per il sorteggio e per la nomina delle Commissioni. Tuttavia, per poter presentare la domanda di inserimento in quegli elenchi, gli aspiranti commissari dovevano superare le mediane ANVUR. Molti commissari che non superavano le mediane si sono perciò astenuti dal presentare domanda e per questo motivo non compaiono negli elenchi.
Oggi, però, è ormai chiaro che le mediane ANVUR sono illegittime, anche perché basate su Liste di riviste scientifiche a dir poco “bizzarre” (o imbizzarrite), quelle che abbiamo conosciuto in questi giorni. Le mediane delle pubblicazioni scientifiche, infatti, cambiano a seconda di quali pubblicazioni (e dunque di quali riviste) siano qualificabili come scientifiche o non scientifiche. Perciò, se le Liste delle riviste scientifiche sono da rifare, tutti gli elenchi dei commissari sono da rifare. Non sarebbe possibile andare avanti se non ripetendo, dall’inizio, il bando per la selezione degli aspiranti commissari: ma sulla base di quali mediane, se quelle di agosto sono illegittime? Sulla base di quali Liste di riviste scientifiche, se quelle di settembre sono (per usare un eufemismo) errate?
Non c’è più tempo per soluzioni di fortuna in grado di “rattoppare”, a trenta secondi dalla fine, le lacerazioni ormai insanabili nell’intera architettura del D.M. 76. Non scongiurerà i contenziosi, a questo punto, neppure un’interpretazione autentica del D.M. 76 che (in ipotesi) dichiari le mediane “indicative” per i candidati, ossia derogabili caso per caso dalle commissioni.
Lasciamo un attimo da parte l’arbitrio che si assegnerebbe a ciascuna commissione e le disparità di trattamento tra i candidati da settore a settore della stessa Area (“Deroga sì o deroga no? Dipenderà dalla gentile disposizione d’animo dei commissari del tuo settore, audace candidato: perciò spera, se sei sotto le mediane, che ti tocchi in sorte la commissione magnanima incline alla deroga, anziché quella più severamente intransigente che sia contraria alla deroga”).
Lasciamo ancora da parte lo spreco di denaro pubblico investito per elaborare mediane applicabili “forse che sì forse che no”, derogabilmente ed indicativamente mobili quali “piume al vento”. Al punto in cui ormai siamo dopo gli ultimi atti dell’ANVUR, un’interpretazione autentica di questo tipo non risolverebbe comunque il problema dei ricorsi, perché ormai quelle stesse mediane (illegittime) hanno già operato come mediane prescrittive per la formazione degli elenchi degli aspiranti commissari: gli elenchi dai quali, con il sorteggio, si formeranno le commissioni per valutare i candidati. A mediane illegittime utilizzate per selezionare gli aspiranti commissari corrisponderanno commissioni illegittime, aggredibili dai ricorsi di tutti coloro che intenderanno contestare i giudizi di commissioni, appunto, illegittime per la loro genesi.
Da qui l’appello che rivolgiamo al Ministro:
Le abilitazioni possono ancora essere salvate,
prima che sia troppo tardi.
Per prima cosa, occorre frenare la corsa verso il baratro: è necessario arrestare temporaneamente la procedura, rispetto sia al sorteggio dei commissari che alla presentazione delle domande dei candidati, attraverso un provvedimento di sospensione di entrambi i bandi (lo consente l’art. 21-quater della legge sul procedimento amministrativo, purché si fissi un termine alla sospensione).
Sfruttando il periodo di sospensione temporanea, occorre avviare un’immediata riflessione su come modificare o sostituire il D.M. 76/2012 con un nuovo regolamento. La strada migliore, che metterebbe il nostro Paese su un percorso di autentica innovazione, potrebbe essere quella di lanciare una consultazione pubblica on line su una proposta di criteri rigorosi di accesso all’abilitazione, non più basati su mediane instabili, ma su cifre e definizioni precise, determinate, condivise con ANVUR, CUN e soprattutto con la comunità scientifica “dal basso”, la quale potrà partecipare alla consultazione on line inviando le proprie osservazioni sulla proposta.
Definito lo schema del nuovo D.M. dopo la consultazione pubblica, si potrebbe decidere di abrogare il precedente D.M. 76/2012 o almeno di sostituirlo nelle parti relative alle mediane (questo potrebbe far venir meno i contenziosi volti all’annullamento del D.M. 76 rispetto alle mediane).
A questo punto, pubblicato il nuovo regolamento, si potrebbero pubblicare nuovi e conseguenti bandi, sostitutivi dei precedenti, che diano avvio a una procedura di abilitazione sana, corretta, saldamente fondata.
Se questo processo si avvierà subito, i nuovi bandi potrebbero vedere la luce nel giro di alcuni mesi.
L’alternativa è quella dell’altissimo rischio di un “disastro ferroviario colposo”.
Di una pioggia di ricorsi da parte di chi, non avendo ottenuto l’abilitazione, impugni in toto la procedura dimostrando l’illegittimità delle mediane (grazie alle “confessioni” di ANVUR), l’illegittimità in via derivata del procedimento di selezione degli aspiranti commissari che è stato determinato dall’applicazione di quelle mediane e, a cascata, l’illegittimità in via derivata del sorteggio, della nomina dei commissari sorteggiati, fino ai giudizi di merito espressi da commissioni illegittimamente formate.
Questo perché, come si è già sottolineato, se si dimostra al giudice amministrativo che una commissione è stata formata con procedure viziate da illegittimità, allora qualsiasi giudizio di quella commissione risulta inficiato da illegittimità per derivazione, sotto il profilo formale e procedurale, indipendentemente dalle motivazioni e dai contenuti del giudizio di merito espresso da quei commissari su ciascun candidato.
Senza poter escludere, poi, eventuali profili di responsabilità di competenza della Corte dei Conti. Far naufragare la procedura andando dritti verso il muro dei contenziosi giurisdizionali (nei diversi gradi di giudizio che questi ultimi comporteranno) significherebbe anche mettere a rischio i pochi fondi finora destinati al reclutamento, paralizzandone l’utilizzo sino alla fine di quei contenziosi, dopo anni, quando ormai quei denari, forse, non ci saranno più.
Nel caso dei drama-thriller sui disastri ferroviari, le responsabilità giuridiche ricadono sempre su coloro che abbiano lasciato proseguire la corsa del treno senza curarsi dei segnali, dei richiami, degli allarmi e, soprattutto, degli incolpevoli passeggeri a bordo.
Nella realtà, siamo ancora in tempo.
Cooperiamo tutti per uscirne insieme, senza arroccamenti, pregiudizi, alterigia, caparbietà, timore. Sarebbe una prova autentica della volontà (che il Ministro ha più volte ribadito) di dare all’Università il cambiamento radicale promesso.
Mi sembra che nella discussione si stia perdendo di vista il problema centrale posto dall’articolo: che fare adesso, in concreto? Su questo occorrerebbe concentrarsi.
Estremizzo alcune opzioni che fanno capolino nel dibattito.
1) Ormai non si può fare più nulla, che naufraghi tutto; non ci sono vie d’uscita a questo “pasticcio” ed è inutile proporle; pagherà chi ha sbagliato.
2) Tutto sommato le mediane vanno benino, i ricorsi non avranno fortuna (anzi, gli ingenui ricorrenti fanno involontariamente il gioco gattopardesco dei “baroni”), avanti così incrociando le dita.
3) Ora basta con questo esporre al pubblico ludibrio il “caso ANVUR”, altrimenti l’intera corporazione dei docenti universitari farà una pessima figura agli occhi dell’opinione pubblica che già li guarda male (i panni sporchi, in fondo, si lavano in famiglia).
4) La soluzione di compromesso c’è, basta che il Ministro adotti subito un’interpretazione autentica nel senso che le mediane sono derogabili da parte delle Commissioni; così il “danno da mediana” si ridurrà e i ricorsi verranno disinnescati.
5) La soluzione di compromesso proposta da ROARS andrebbe teoricamente bene, ma in pratica equivale a rinviare le abilitazioni alle calende greche e così finirà per danneggiare tutti.
6) La soluzione proposta da ROARS è praticabile; non l’unica possibile, ma è costruttiva e concreta.
Su 1): la critica è preziosa ma deve trovare uno sbocco, altrimenti resta sterile e gira a vuoto in un circolo autoreferenziale.
Su 2): l’articolo di ROARS fornisce argomenti oggettivi sui vizi di legittimità delle mediane per come calcolate e sul potenziale distruttivo degli ormai numerosi ricorsi. Non entro nel merito. Mi sembra però che quegli argomenti, uno per uno, non siano stati analiticamente contestati né confutati nei vari commenti. Un’altra cosa, in generale: si spera che, in uno Stato di diritto, nessuno criminalizzi o denigri (neppure velatamente) chi osa ricorrere a un giudice.
Su 3): forse anche i politici (a vario titolo) succedutisi sulle poltrone della Regione Lazio avranno pensato, negli anni scorsi e fino ad ora, che era meglio mantenere un certo “riserbo”, un certo “pudore”, una certa “discrezione” sui comportamenti non propriamente onorevoli di un certo numero di loro. In fondo, non sono tutti uguali! Se la stampa lo venisse a sapere, l’intera politica sarebbe travolta dalle trombe demagogiche dell’antipolitica. Il sistema imploderebbe. Ora ne siamo venuti a conoscenza dalla stampa. QUEL sistema (al di là dei singoli) implode parzialmente? Non mi pare che questo cambiamento sia percepibile necessariamente come un male. In realtà, almeno si spera, così può sorgere l’occasione per rinnovarsi, per ritrovare valori. La trasparenza (non l’opacità) genera trasparenza.
Su 4): l’articolo di ROARS evidenzia alcuni problemi: il “caso per caso” delle Commissioni sulla deroga o non-deroga è davvero quello che si vuole, chiudendo gli occhi di fronte alle disparità di trattamento che si creerebbero per i candidati da settore a settore? C’è comunque un punto che sembra continuare a sfuggire, ma nell’articolo è ben chiaro. Per l’interpretazione autentica è necessario molto tempo: non si può fare in uno/due mesi. ROARS sottolinea che occorrerà acquisire nuovamente i pareri ANVUR, CUN e CEPR, il parere del Consiglio di Stato (e si sa che i tempi del Consiglio di Stato non sono brevi), registrare alla Corte dei Conti, pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale. Insomma: l’interpretazione autentica del D.M. 76 richiederebbe un tempo non molto inferiore a quello che si potrebbe impiegare per modificare l’impianto del D.M., metterlo a posto e ripartire su basi nuove. Ed allora perché insistere sull’interpretazione autentica, una soluzione che sottrae tempo senza riuscire ad eliminare la radice dei problemi?
Su 5). Perché le calende greche? La consultazione pubblica on line proposta come ipotesi da ROARS non significa annegare nelle sabbie mobili. I parametri CUN, per quanto discutibili, potrebbero essere assunti immediatamente come base sulla quale avviare la consultazione. In molti casi, le consultazioni pubbliche possono essere chiuse in 45 giorni (per un esempio recente di una tempistica di questo tipo, http://discussionepubblica.ideascale.com/ ). Meglio che tutti, anche il più giovane dei ricercatori, possano dire la loro o che certe decisioni vengano assunte in stanze accessibili solo a pochi? Meglio tentare di far ripartire i bandi nel giro di alcuni mesi, come suggerisce ROARS, o attendere i diversi gradi di giudizio dei vari contenziosi per molti più mesi, lasciando tutta la procedura in un limbo?
Resta l’opzione 6). Se ci sono soluzioni più solide (capaci di funzionare oggi, in termini pragmatici e giuridicamente decorosi, per dare una prospettiva concreta a questa situazione: le alternative ideali esigeranno tempi ben più lunghi di discussione), è opportuno che vengano messe sul tappeto per verificare ciò che si può fare.
Mi scuso in anticipo per la brevità del commento, ma…
Consultazioni? 45 giorni? Ce lo possiamo permettere, visto l’attuale quadro politico, la situazione economica e l’ennesima figuraccia per l’università (all’opinione pubblica non importa che sia made by ANVUR) ? Si riscriva il regolamento utilizzando i parametri CUN già disponibili.
I post di JUS sono per me uno degli elementi migliori del sito, sia per come sono scritti che per i contenuti. Complimenti davvero.
Cerchiamo di salvare la procedura oppure lasciamo scontrare il treno?? Il film “a 30 secondi dalla fine” termina male, perché si decide di non fermare il treno… se pensiamo che si possa fermare il treno, come fermarlo per farlo ripartire?
Direi che implementare l’ipotesi di lavoro numero 6 di JUS sia una strada praticabile.
1) Innanzi tutto, direi che per quanti limiti abbia, la bibliometria sia necessaria, almeno per selezionare i commissari. Gli scritti di Giorgio Israel sono interessanti. Correttamente afferma che il modo migliore di valutare davvero le pubblicazioni è di LEGGERLE e prendersi le proprie responsabilità. Ma come risolviamo il problema commissari nel breve periodo? Mi rifiuto di pensare di creare una commissione che selezioni i commissari e legga le loro pubblicazioni… L’impiego di parametri bibliometrici per selezionare i commissari in modo rigido, seguito da un sorteggio, per me è una soluzione praticabile.
2) Anche il CUN proponeva parametri bibliometrici, semplicemente diversi da quelli ANVUR. Per una prima scrematura dei candidati, vanno bene entrambe le soluzioni oppure anche una nuova che fissi parametri anche molto stringenti per evitare lo tsunami di abilitandi che terrorizza il ministero. La condizione irrinuciabile è che i parametri siano immutabili nei due anni, inderogabili (altrimenti si crea il caos), calcolati in modo chiaro e trasparente da ANVUR, resi noti PRIMA del bando e soprattutto verificabili. E anche se questi parametri fossero le mediane anvur, non sarebbe la fine del mondo… Va bene dopo che la commissione decida di non concedere l’abilitazione in modo automatico, ma valuti attentamente TUTTI I titoli dei candidati.
3) Sarebbe auspicabile togliere qualsiasi riferimento all’età accademica. Questo è un parametro difficile da definire, non verificabile in modo indipendente e sopratutto inutile.
Lo scopo dell’abilitazione è quello di stabilire un livello di qualificazione minimo, non una graduatoria tra candidati. Un esempio è la Laurea. Se un candidato ha problemi personali, mi dispiace molto ma la Laurea non si può anticipare per questo. Argomentazione simmetrica vale nel caso di un laureato avanti con gli anni: gli neghiamo la Laurea o gli riduciamo il voto perchè ci ha messo troppi anni?? Se il candiato anziano ha la qualifica richiesta bene altrimenti no.
L’abilitazione è una situazione simile. In un confronto tra candidati, allora lì si dovrebbe tenere conto dell’età accademica. Il genio con una sola pubblicazione che vince il nobel si potrebbe assumere per chiamata diretta, prendendosene la responsabilità da parte dell’università che lo chiama.
4) La soluzione che propone JUS, azzerare il DM 76 e partire da capo con un nuovo decreto, è la migliore possibile per me.
Tra l’altro, penso annullerebbe tutti i ricorsi già presentati.
In questo modo penso che il treno si potrebbe almeno rallentare.
Come ultima considerazione, è sicuramente accettabile e relativamente facile criticare ANVUR, ma il loro compito non è affatto semplice. Come comunità accademica resposabile abbiamo il dovere morale di proporre delle soluzioni scientificamente valide e praticabili per il problema abilitazioni, di assumerci le nostre responsabilità difendere le nostre idee con il proprio nome, e non criticare e basta…
“è sicuramente accettabile e relativamente facile criticare ANVUR, ma il loro compito non è affatto semplice.”
Anche se non è semplice, mi offro per uno scambio con loro. Affidiamo a titolo gratuito la Redazione di Roars al Consiglio Direttivo dell’ANVUR, mentre i redattori di Roars si mettono ad escogitare criteri semplici, verificabili, congruenti con la letteratura bibliometrica e l’esperienza internazionale per il modico compenso di 180.000 Euro annui a testa (200.000 per il direttore, carica che per anzianità spetterebbe a Francesco Coniglione). Tra l’altro scommetto che per commentare i nostri criteri farebbero molta meno fatica di quella che abbiamo fatto noi a decifrare i loro.
Ci sto! :-)
Se si mette ai voti, l’approvo!
Caro Marco,
Vorrei che qualcuno si rendesse conto che imporre parametri minimi assurdamente elevati per evitare “troppi” idonei è una considerazione perversa e ingiusta.
Il meccanismo studiato è fuori da qualunque senso logico, dove superare più del 50% del personale in ruolo per il posto a cui si aspira è in linea di principio un criterio malvagio, perchè non tiene conto che spesso e volentieri il candidato contribuisce (inserendo il nome del suo diretto superiore) ad innalzare quell’asticella che poi dovrà superare.
Oltretutto è un sistema diabolico che si auto-alimenta all’infinito fin quando nessuno sarà più capace di superare la mediana.
In questo modo si tagliano fuori senza pietà tutti i non strutturati, che ovviamente non possono contare su dottorandi, contrattisti e altri che lavorano per loro.
Sono invece favoriti coloro i quali lavorano in grossi gruppi di ricerca che inseriscono indiscriminatamente i nomi di tutti i suoi componenti negli articoli.
Molti dimenticano che buon ricercatore è tale anche per il potenziale che potrà esprimere una volta diventato strutturato come professore. Tanti ricercatori che hanno vissuto alle spalle dei colleghi del loro laboratorio, non porteranno nulla di nuovo diventando associati, viceversa un bravo ricercatore che ha bisogno della stabilità e delle prerogative del posto di ruolo per crescere può portare freschezza e novità nella vecchia università italiana.
Ringrazio Marco Bella.
La discussione tra sostenitori ed oppositori dei criteri bibliometrici resta cruciale, con ragioni a buon diritto spese da entrambe le parti. Una simile discussione esige dei tempi di svolgimento adeguati. Ragionando con calma, evitando eccessi, si potrebbe riuscire (ROARS è un ottimo laboratorio in questo senso) ad elaborare insieme anche soluzioni “miste”, composite, in grado di far convergere sensibilità diverse.
Resta però il problema del breve periodo, rispetto a questa procedura di abilitazione. L’urgenza va in qualche modo affrontata.
Penso che, se si vuole tentare una soluzione d’emergenza, per riscrivere rapidamente il D.M. abbandonando le mediane ANVUR, di “già pronto” abbiamo solo i parametri CUN. Il resto è un cantiere aperto.
Non dico che i parametri CUN siano l’optimum. Però presentano un duplice vantaggio:
– sono già noti, accettati quanto meno da uno degli attori istituzionali di questa vicenda (il CUN), dunque possono essere assunti come base per svolgere un dibattito in tempi ragionevolmente contenuti, volto a MIGLIORARE quei parametri;
– è più facile in questo momento proporre al Ministero, come alternativa alle mediane di ANVUR, un “prodotto” che viene da un altro organo di pari livello istituzionale, ossia il CUN, che ha dalla sua anche il carattere elettivo e rappresentativo.
Insistendo sull’idea del “lavorare sui parametri CUN”, contrapponendo una soluzione chiara al caos delle mediane e delle Liste che credo stia creando qualche imbarazzo anche al Ministero, quest’ultimo potrebbe convincersi che può e deve intervenire subito per evitare il deragliamento.
Aggiungo che, a mio giudizio, i parametri CUN “rivisitati” dovrebbero essere più alti per la selezione dei commissari. In altri termini, se i parametri CUN per i candidati vengono stabiliti in una soglia quali/quantitativa X, quegli stessi parametri dovranno essere innalzati per gli aspiranti commissari, per garantire una tendenziale “maggiore” qualificazione dei secondi (valutatori) rispetto ai primi (valutandi).
Mi permetta di farle notare che tra i parametri valutativi proposti dal CUN ve ne è uno che, a mio modo di vedere (e credo di trovare il favore di molti lettori del blog), produrrebbe storture ancor peggiori rispetto a quelli delle terribili mediane anvur, cioè l’IF totale. Aggiungo che altri parametri CUN quali l’H index risentirebbero comunque dell’approssimazione di SCOPUS e ISI, visto che, vorrei nessuno lo dimenticasse, anche questo semplice parametro è originato dalla “conta” delle “immonde” citazioni. Mi chiedo quindi: c’è voglia di risolvere il problema o cerchiamo, semplicemente, una via d’uscita più morbida????
Cari JUS e Playmoutian,
Partiamo dai dati: nell’università italiana operano 55.000 docenti con contratto a tempo indeterminato, una quantità indefinita ma grande di personale a tempo determinato, per una popolazione studentesca di 1.780.000 persone, in un paese di circa 60 miloni di abitanti. Il paese sta attraversando una crisi economica seria. Ogni italiano contribuisce con circa 107 euro a testa al Fondo di Finanziamento ordinario dell’università (FFO), che paga I nostri stipendi. Permettetemi di ipotizzare che “il paese” e “il governo” possano ritenere non esattamente una priorità assoluta una discussione su come attribuire risorse per la promozione di chi ha già un lavoro stabile e sicuro all’interno dell’università, perchè di questo si parla qui.
Con questa doverosa premessa, cerchiamo di capire perché la linea politica del ministero sia a favore dei criteri ANVUR: essenzialmente per una ragione economica.
Non commento sul fatto che questo sia giusto o meno. Il governo di Angela Merkel in un momento di crisi ha tagliato dapertutto ma ha deciso proprio a causa della crisi di destinare fondi aggiuntivi all’Università e ricerca per sostenere quello che ritiene un settore cruciale per la crescita del proprio paese. In Italia, un governo democraticamente eletto, ha preso una posizione diversa, che ho sempre civilmente contestato. Il fatto che siano disponibili poche poszioni per anvanzamento di carriera è un dato oggettivo per il quale l’ANVUR non ha alcuna responsabilità.
Il problema dei criteri CUN è che portano a TROPPI abilitati, secondo i parametri essenzialmente economici del ministero. Vorrei sottolineare che alla maggioranza della popolazione italiana interessa molto poco quali siano i criteri con i quali noi riceviamo un avanzamento di carriera. Sopratutto, nella visione collettiva dei 60 milioni di abitanti ma anche dei 1,8 milioni di studenti universitari, chi ha una posizione all’università gode già di una posizione di privilegio, ottenuta grazie”all’esito non precisamente ottimale” dei concorsi precedenti.
Per quali siano effettivamente I criteri, concordo con JUS: devono essere necessariamente definiti con numeri: a,c,b, come quelli del CUN, e valere per un periodo di tempo definito. Una soluzione come quella attuale in cui i numeri a,b,c sono funzione di altri parametri fluttuanti non è accettabile dal punto di vista giuridico e scientifico. Concordo anche con JUS che afferma che i candidati commissari dovrebbero avere criteri molto più stringenti di quelli dei candidati.
Inoltre, concordo anche sull’osservazione di Giuseppe Milano: I criteri, per quanto severi o meno, devono essere inderogabili, con tutte le conseguenze del caso. Questo, non tanto per eviatare la valanga di abilitandi, ma per evitare un arbitrio inaccettabile delle commissioni.
@ Marco Bella:
1) I discorsi di autoflagellamento per cui dovremmo sentirci tutti grati per non venire buttati a mare dallo Stato in crisi finanziaria può risparmiarseli. Non so lei, ma per la quantità di lavoro svolto il mio salario da operaio specializzato non mi pare qualcosa di cui dover essere umilmente grato, come fossi un mantenuto. Forse per lei è diverso, non so.
2) Il sostegno dell’Anvur c’entra con la policy economica del governo come la marmellata coi ravioli. Quand’anche fosse vero (e non è vero) che i criteri Anvur siano intrinsecamente meno permissivi di quelli CUN, si tratta di criteri di abilitazione, non di reclutamento. Sembra incredibilmente difficile per alcuni capire la differenza: chi è abilitato NON ha diritto ad un posto o ad una promozione.
3) Bisogna essere veramente impermeabili ai fatti per ritenere che l’assegnazione meccanica di numerini sia un modo di limitare l’arbitrio. Siccome abbiamo sotto gli occhi tutti quanti in questi giorni come un criterio quantitativo inflessibile (il superamento delle mediane) consenta ogni tipo di arbitrio, mi chiedo veramente di cosa stiamo parlando. Qualcuno confonde giudizio soggettivo con arbitrio, ma le due nozioni non coincidono. Come ho sostenuto in un post qui sopra, i margini per ridurre l’arbitrio nel giudizio ordinario di merito qualitativo da parte di una commissione sono estremamente ampi e disinteressarsene plaudendo alle presunte virtù salvifiche delle bibliometria è stata una trascuratezza grave da parte della collettività scientifica italiana.
Dico anch’io grazie ad Ambrosini. Come dice Porro non siamo in pochi a dire la stessa cosa. La teorie biblio-scientometriche hanno qualche decennio e sono state ampiamente testate. Il risultato è un disastro. Non è “scientifico” prendere atto dei test sperimentali di una teoria e se sono negativi accantonarla? Siamo in centinaia a dire la stessa cosa, istituzioni autorevoli, premi Nobel, scienziati illustri, paesi che hanno accantonato la bibliometria. Niente. Si ripete come un mantra che bisogna valutare (e chi dice di no?), che tanto vale prendersi questa purga altrimenti non si fa niente, che è la scienza, madama la marchesa (detto da chi di scienza non sa un acca e ha soltanto lavori di tecnica manageriale). E dagli a ripetere che nel mondo delle scienze dure è accettata, in quello delle scienze molli, no (ottimo alibi per mettere in piedi quella porcata delle mediane non bibliometriche). E così via. Ma chi non sente gli argomenti altrui e continua a ripetere ostinatamente le proprie formule è un personaggio ben noto che ha vari appellativi, per esempio quello di talebano. A quelli è inutile dare spiegazioni come hanno fatto Stella e De Nicolao. Si perde tempo. Il loro unico scopo è dinamitare i Budda.
Ma se è così eclatante ed accettato universalmente che bisogno c’era di mistificare il boicottaggio Elsevier che ha tutt’altro scopo?
Seconda domanda, a proposito dei premi Nobel che tira in ballo, mi potrebbe fare un elenco di premi Nobel e linkare una qualche intervista di uno o due di questi ultimi che si scagliano contro la bibliometria?
Alcuni link a caso, tra i tanti:
http://www.chab.ethz.ch/personen/emeritus/rernst/publications/Ernst-Follies-Bibliometrics-Chimia-64-90-2010.pdf
http://arxiv.org/pdf/1010.0278.pdf
http://www.siam.org/news/news.php?id=1663
http://www.mathunion.org/fileadmin/IMU/Report/CitationStatistics.pdf
http://c.ymcdn.com/sites/www.eps.org/resource/resmgr/policy/eps_statement_june2012.pdf
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2629173/
http://hal.archives-ouvertes.fr/docs/00/53/35/70/PDF/bibliometrie-hal-arxiv.pdf
http://genomebiology.com/2008/9/7/107
Comunque, come ho già avuto modo di dire, quando si comincia a chiedersi se certe cose vengono dette in buona o in cattiva fede, passa la voglia di discutere ed è meglio prendere discretamente la porta. (Non mi riferisco direttamente a lei ma a commenti correlati).
Caro Israel,
grazie per la risposta. Ho scaricato alcuni dei riferimenti che ha linkato. Ne escluderei vari che in vari modi riportano una critica all’IF poichè questo criterio non è stato considerato dall’ANVUR.
Il primo quello di Ernst premio Nobel per gli studi sull’NMR è interessante.
Lei da matematico mi insegna che una data soluzione dipende dalle “condizioni al contorno”. Tutta la lettera di Ernst la sottoscriverei dalla prima all’ultima parola se ci riferiamo a realtà come l’ETHZ.
La questione da vari anni a questa parte è stata sempre di più di porre un argine ad una china su cui ci si è messi che sta diventando patologica. Non si tratta di trovare il migliore dei metodi di selezione possibile.
Quello se non ci sarà un inversione di tendenza non sarà mai realizzabile.
Su questo blog le posizioni sono varie, c’è chi critica i criteri ANVUR e vorrebbe quelli CUN, c’è chi critica tutti e due e vorrebbe degli altri criteri. Tutte queste posizioni sono tutte comprensibili.
Quella che non mi sento di condividere minimamente è quella del tipo niente parametri basta leggere i lavori. Questa è la condizione in cui siamo stati fino a questo momento ed ha portato a varie storture.
I lavori li potranno leggere le commissioni locali semmai ci fosse imbarazzo nella scelta, ma mettere un criterio di minimo mi sembra opportuno.
Un altro principio che mi sentirei di condividere è quello che per essere commissari non basta “respirare” ma bisogna soddisfare dei criteri. Si può discutere su quali siano i migliori per le diverse anime umanistica e scientifica dell’Accademia, ma i criteri ci devono essere.
Per dettagli si veda
http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0020510
A Simple Index for the High-Citation Tail of Citation Distribution to Quantify Research Performance in Countries and Institutions
Abstract
Background: Conventional scientometric predictors of research performance such as the number of papers, citations, and papers in the top 1% of highly cited papers cannot be validated in terms of the number of Nobel Prize achievements across countries and institutions. The purpose of this paper is to find a bibliometric indicator that correlates with the number of Nobel Prize achievements.
Methodology/Principal Findings: This study assumes that the high-citation tail of citation distribution holds most of the information about high scientific performance. Here I propose the x-index, which is calculated from the number of national articles in the top 1% and 0.1% of highly cited papers and has a subtractive term to discount highly cited papers that are not scientific breakthroughs. The x-index, the number of Nobel Prize achievements, and the number of national articles in Nature or Science are highly correlated. The high correlations among these independent parameters demonstrate that they are good measures of high scientific performance because scientific excellence is their only common characteristic. However, the x-index has superior features as compared to the other two parameters. Nobel Prize achievements are low frequency events and their number is an imprecise indicator, which in addition is zero in most institutions; the evaluation of research making use of the number of publications in prestigious journals is not advised.
Conclusion: The x-index is a simple and precise indicator for high research performance
A me sembra francamente che sia lei a ripetere come un mantra la stessa cosa, senza peraltro rispondere alla domanda che ponevo: poiché l’accademia italiana si è dimostrata incapace di effettuare una valutazione intellettualmente onesta per decenni, perché mai dovrebbe riuscirci ora? Si può dire qualsiasi cosa sulle differenza tra scienze soft e hard. Fatto sta che per i settori bibliometrici una “lista di riviste” esiste da decenni, è riconosciuta a livello planetario e nessuno si sognerebbe mai di metterla in discussione a beneficio dell’almanacco di topolino e paperino. Mi dispiace che qualcuno si risenta: purtroppo la classe accademica ci fa una figura meschina che più meschina non si può. L’anvur e il miur ne sono una degna di rappresentanza. Come i politici dell’Italia…
V.
@ vladimir72
In verità non si è mai fatto un serio tentativo di implementare un sistema basato su una peer review onesta. Un tale sistema richiede almeno tre cose:
1) Responsabilizzazione dei singoli giudizi da parte dei commissari: ciascun commissario deve mettere il proprio nome sotto ciascuno specifico giudizio. Finora potevano uscire porcate da un giudizio di commissione anche perché solo il giudizio di sintesi era reso pubblico e ciascun membro si poteva trincerare dietro le presune posizioni altrui.
2) Un sistema di effettivo sorteggio non pilotabile dei membri delle commissioni che elimini la possibilità di fornirsi garanzie di aiuto reciproco nel tempo.
3) Una valutazione ex post delle scelte (non per passaggi come l’abilitazione, ma per il reclutamento) in modo che scelte che opportunisticamente cadessero sul portaborse beota o sull’amante diversamente abile potrebbero essere punite colpendo l’organismo reclutante sul piano finanziario (se si riscontrasse una ridotta produttività del dipartimento). In questo modo sarebbero innanzitutto gli altri colleghi di dipartimento a sorvegliare in modo che scelte disgraziate siano evitate (mentre in assenza di valutazioni ex post nessuno ha ragioni sufficienti per inimicarsi un collega solo per ragioni di correttezza, tanto assumere una capra non costa nulla a chi opera la scelta.)
Se questi criteri (e qualche altro) fossero adottati con serietà si porrebbe sicuramente un limite all’arbitrarietà nelle procedure di reclutamento, senza chiamare in causa magheggi bibliometrici (che comunque potrebbero restare utili come dati di supporto e come guida per le valutazioni ex post).
perfettamente d’accordo su tutti i punti. Il problema è che richiedono una riforma “totale” del sistema di reclutamento, difficilmente fattibile in Italia. La mia personale opinione è che si debbano eliminare completamente sia abilitazione che concorsi ed utilizzare procedure di selezione basate su peer review internazionale e severissimi controlli ex-post. Appena discuto di questo con colleghi però c’è sempre qualcuno che si inalbera sostenendo che il concorso è l’unico sistema di selezione accettabile ecc. ecc.
Io posso spiegare come ha funzionato la mia procedura di reclutamento con posizione permanente in Svezia perchè la ritengo ottima. Il mio CV (e dieci pubblicazioni da me scelte) è stato inviato a tre reviewer con un sistema simile a quello delle riviste. Io ho potuto indicare preferenze e reviewer sgraditi, ma poi è stata l’università a scegliere. Dopo di ciò in base alle review sono risultato il miglior candidato e sono stato assunto. Punto. Il tutto è durato un paio di mesi. Ciò che fa funzionare il sistema però è anche che lo stipendio di tutti qui, dal capo del dipartimento all’uomo delle pulizie, proviene dai fondi di ricerca. Se finiscono, partono i licenziamenti. In questa situazione è molto difficile permettersi di assumere qualcuno che non sia capace di produrre pubblicazioni ed attrarre fondi. Pensa sia fattibile trasformare iun questo senso il sistema italiano? Io purtroppo no.
Un saluto,
V.
Tutto sommato neanche io lo ritengo politicamente realizzabile. Ma questa non è una buona ragione per escludere che una soluzione diversa, decente e politicamente feasible, sia possibile. Ne abbiamo già parlato in questo sito in passato. Alberto Baccini aveva fissato alcune idee che potrebbero essere un buon punto di partenza per un governo che volesse ricominciare a ragionare su queste cose.
Mi sembra emergano tre posizioni:
1) l’accademia italiana ha dato pessima prova di sé in passato e qualsiasi algoritmo che permetta di tagliar fuori i commissari e i candidati peggiori, inserendo qualcuno di quelli che sarebbero stati altrimenti scartati ingiustamente, è buono anche se non è perfetto;
2) La bibliometria non può essere usata in alcun modo per valutare i singoli, e ogni tipo di indice che ci si inventi a tal fine può essere facilmente manipolato da singoli o gruppi con comportamenti opportunistici.
3) La bibliometria può essere usata come uno dei parametri da prendere in considerazione, ma non come criterio dirimente (e certo non con il dilettantismo mostrato da Anvur). Nel caso essa venga usata, è preferibile che si adottino soglie assolute e non relative alla popolazione di riferimento.
Tutte le posizioni hanno delle buone ragioni. La 1) ha dalla sua la realtà dei troppi comportamenti immorali che tanti di noi hanno sperimentato sulla propria pelle. La 2) ha dalla sua il fatto che il valore di un articolo può essere giudicato solo quando esso è letto da una persona competente. In questi mesi inoltre i comportamenti opportunistici di coloro ai quali non importa niente delle mediane, ma solo degli esiti, sono già cominciati: conosco un gruppo concorsuale (non il mio) in cui sono girate tabelle excel per dire agli adepti quali articoli citare in modo da alzare l’h index degli interessati e quali no.
La 3) mi sembra l’unica sensata. I criteri Cun mi sembrano per la mia materia (sono un matematico) accettabili (un po’ deboli magari), e lo sarebbero ancor di più se eventuali (rare) eccezioni fossero ammesse dietro parere pro veritate di scienziati fuori dalla commissione, non anonimi, di alto livello. La bibliometria, a mio parere, può avere un senso se non si propone di salvare il mondo, quanto di “tagliare le code”, permettendo però eccezioni motivate.
Rimane il fatto, forse un po’ trascurato, che l’aspetto “morale” della crisi dell’accademia italiana (l’altro è quello economico) non si può risolvere con regole che evitino a chi deve giudicare di impegnare la propria coscienza scientifica. Se questa è assente, imbrogliare sarà sempre possibile. Questo non vuol dire che non ci debbano essere regole, ma che le regole non dovrebbero essere viste come una medicina miracolosa, semplicemente perche’ tale medicina purtroppo non esiste.
Stimatissimo prof. Israel, la ringrazio per aver espresso, meglio di quanto potessi farlo io, la mia preoccupazione, di essere valutato secondo un criterio che mi pare intrinsecamente talebano, quando si esprime con una fideistica adesione alla biblio-scientometria. Io sono solo un modesto storico di settore, e volevo esprimere la convinzione (non posso che parlare per me e per la mia produzione scientifica – bella o brutta che sia, indicizzata o meno, locale o internazionale) o, se preferite, il sospetto che la mera applicazione della biblio-scientometria non sia adatta a valutare i prodotti (che brutto termine, aziendalistico!) delle nostre ricerche di storici. E’ troppo ardito, chiedere ai colleghi che ci giudicheranno almeno di leggere i nostri lavori? A riguardo, invece, dell’accusa di furbizia o di disonestà intellettuale, se questo è il livello del dibattito, non posso che prenderne atto, e ritenerlo di livello non accettabile. Mi scuso per aver espresso il mio pensiero e saluto tutti cordialmente. Seguirò da semplice utente l’utile lavoro di informazione che Roars propone (un saluto al professor De Nicolao, che mi pare, se non ricordo male, di aver incontrato tempo fa in treno).
A Porro
Mi unisco anche io alle domande di Giuseppe (Celenteron) Milano e di vladimir72.
Mio caro Prof. Israel, ma a lei quegli zeri dati ad un intero settore disciplinare di professori ordinari(!) non fanno correre un brivido dietro la schiena?
E leggere riviste quali DOMUS, Airone e Casabella non sono scandali che dovrebbero farle gridare vendetta?
E guardi che l’ANVUR con quelle riviste non c’entra niente! Ci siamo limitati, risponderebbero i membri ANVUR o chi per loro, a stilare una lista di riviste sulle quali tanti professori EVIDENTEMENTE pubblicano, altrimenti in quella lista certe riviste non ci sarebbero state! (E io aggiungo: non ci dovrebbero essere!)
E dove era lei quando questo accadeva? E tutt’ora accade!
Io dico solo che queste mediane hanno avuto il pregio di far venire fuori situazioni SCANDALOSE (zero come mediana??? ma si puo’???) e liste di riviste RIDICOLE!!!
Poi si puo’ discutere sul fatto che una valutazione seria deve prescindere da PURE considerazioni scientometriche del tanto al chilo, ma bisogna anche smetterla una buona volta con esempi del tipo Dante e Nash che si nascondono nella pancia degli accademici italiani e che il sistema delle mediane discriminerebbe!
Esempi del genere sono solo estremizzazioni (quelle si’ talebane…) che non fanno bene alla discussione…ad una qualunque discussione. Dante e Nash, (a proposito: sarebbero stati buoni docenti???), benche’ discriminati dalle mediane avrebbero i riconoscimenti che meritano dalla Storia (quella con la S maiuscola, appunto)in barba a qualunque agenzia di valutazione!
Un sistema PERFETTO di valutazione evidentemente NON esiste, ma visti gli scandali passati e presenti, bisogna limitare fortemente l’INSINDACABILE giudizio delle commissioni altrimenti Martone sara’ P.O. sulla fiducia e via andando.
Le mediane (preferisco la definizione di “requisiti minimi”), con tutti gli INDISPENSABILI correttivi del caso, devono servire a LIMITARE il numero di candidati IMPRESENTABILi che possono accedere ad una valutazione e sara’ poi la commissione a dover scovare se, tra quelli rimasti, si nascondono un futuro Dante o Johnny Nash…
Per i settori non-bibliometrici riconosco la difficolta’ (non ho una risposta) di stabilire tali requisiti minimi, ma qualcosa bisogna pur fare! E la colpa, per gli scandali passati, non si puo’ attribuire all’ANVUR…
Tutto qui. Con la serenità e la pacatezza che una discussione del genere dovrebbe richiedere.
@ Sargenisco
Premesso che nessuno dubita che nell’università italiana ci siano personaggi neghittosi e che vi siano episodi di nepotismo, mi chiedo cosa c’entrano le sue obiezioni.
In primo luogo, se le liste sono fatte con i piedi, a cosa vale prenderne l’esito numerico per scandalizzarsi? Conosco persone che hanno diversi articoli internazionali in riviste di alto livello che non sono state inserite nella lista Anvur. Se lo 0 deriva da ciò perché dovremmo dare vento a sacri sdegni?
In secondo luogo, anche se personalmente non ho mai avuto il piacere di scrivere sul Sole 24 ore o su Airone, non vedo nulla di scandaloso nel farlo. Ed in verità non vedo neppure nulla di scandaloso nel fatto che queste pubblicazioni, per uno specifico ordine di valutazioni, faccia curriculum: l’influenza divulgativa non è certo un parametro scientifico, ma può concorrere, sia pure in modo nettamente secondario, ad una valutazione di un candidato.
In terzo luogo, lei ha ragione a porre la questione se Dante o Nash sarebbero stati buoni docenti. Solo che, come lei certo sa, il sistema delle mediane proprio non contempla la didattica ad alcun livello di valutazione. Dunque di che parliamo?
Condivido. Anche il commento del Prof. Coniglione qui sotto. Dico solo che quelle riviste sul CINECA “qualcuno” li ha caricate… Io non mi sarei mai sognato di farlo. Poi, come dice Coniglione, ognuno e’ libero di scrivere dove crede, ma poi non puo’ pretendere che un intero sistema sia tarato su di lui.
(E Coniglione non lo pretende, infatti…)
“Conosco persone che hanno diversi articoli internazionali in riviste di alto livello che non sono state inserite nella lista Anvur. Se lo 0 deriva da ciò perché dovremmo dare vento a sacri sdegni?”
Ovvio. Ma non credo sia cosi’. Ci sono degli zeri perche’ c’e’ chi NON pubblica un bel niente (se non, forse, sul giornale parrocchiale) e magari si trincera dietro frasi del tipo: beh…ma ci siamo dimenticati di tutta la tradizione orale che per millenni ha fatto la Storia dell’Uomo? Estremizzo e utilizzo proprio quegli artifici oratori che ho letto in molti commenti.
Asticelle e paletti QUANTITATIVI vanno messi per scremare il numero dei partecipanti e finalmente stabilire un ordine: chi sta sopra e chi sotto. In maniera oggettiva. Poi alle commissioni tutte le valutazioni QUALITATIVE che si vogliono.
Sono con voi nel dire che QUESTE mediane fanno schifo (fosse per me butterei all’aria l’intera legge Gelmini!) e che ci vuole chiarezza e trasparenza (non leggerei ROARS altrimenti…), ma ho avuto l’impressione che tanti commenti sdegnati puntassero solo a buttare tutto all’aria perche’ se non ci sono “asticelle” siamo tutti uguali…senza un sopra e un sotto.
Però non parlerei di ‘asticelle’, nel senso che il riferimento all’obiettività dell’asticella sembra sottendere l’idea che solo un parametro quantitativo possa essere obiettivo.
Faccio un paio di esempi: dire che una rivista possa essere valutata come più o meno di qualità a seconda se abbia più o meno diffusione internazionale è un parametro non quantitativo, forse intrinsecamente discutibile, ma tutt’altro che arbitrario (infatti le liste di riviste di classe A dell’Anvur lo violano continuamente, anteponendo riviste con minore diffusione a riviste con maggiore diffusione; questo noi possiamo constatarlo obiettivamente).
Secondo esempio: dire che una rivista per essere scientifica deve avere almeno un comitato scientifico ed una ‘mission’ di tipo scientifico è di nuovo un criterio non quantitativo, ma nient’affatto arbitrario (e infatti la lista di riviste scientifiche redatte dall’Anvur viola frequentemente questo criterio e noi possiamo rilevarlo senza dubbi di sorta).
Faccio infine notare che entrambi i criteri menzionati erano stati ufficialmente adottati dall’Anvur, il che rende la loro pacchiana violazione una questione vieppiù imperdonabile.
“Ci sono degli zeri perche’ c’e’ chi NON pubblica un bel niente ”
Appare lapalissiano che che su migliaia di docenti e ricercatori ci sia qualcuno che non pubblica niente. Il vero problema è quantificare. Alcuni numeri presi dalla VQR:
“La percentuale media sulle aree di prodotti mancanti è del 5,3%, un dato che testimonia un’attività buona dei docenti e ricercatori e un’attenzione delle strutture nel soddisfare i requisiti del bando … con percentuali di prodotti mancanti che vanno da un minimo del 2,6% ad un massimo del 10,2%.”
ANVUR: Statistiche sui prodotti conferiti e commenti preliminari
http://www.anvur.org/?q=it/content/statistiche-e-commenti-preliminari-sui-prodotti
In altre parole, per la VQR, il dato complessivo mostra che il totale dei prodotti conferiti è pari al 94,7% dei prodotti attesi. Se si assume che alcuni docenti avranno conferito uno o due prodotti invece di tre, i docenti completamente a zero risulterebbero inferiori al 5%.
Sargenisco, penso che la cosa fosse chiara (ti aveva già risposto Giuseppe De Nicolao). Ma ribadisco: io rivendico il mio diritto a pubblicare ovunque, anche sul giornale della parrocchia (al quale posso essere affezionato per motivi personali); è possibile anche ammettere che tali articoli siano inseriti nel sito Cineca, a fini statistici (non l’ho fatto, avendo distinto nettamente la “pubblicistica” dai lavori scientifici: vedi il mio sito personale). Ma è un ERRORE MADORNALE poi, basandosi solo su questo database, risalire dagli articoli alle RIVISTE e giudicare queste scientifiche, senza alcun filtro di merito. Ebbene è proprio questo quello che (tra le altre tante magagne) si è rimproverato all’Anvur.
“E guardi che l’ANVUR con quelle riviste non c’entra niente! Ci siamo limitati, risponderebbero i membri ANVUR o chi per loro, a stilare una lista di riviste sulle quali tanti professori EVIDENTEMENTE pubblicano, altrimenti in quella lista certe riviste non ci sarebbero state! (E io aggiungo: non ci dovrebbero essere!)”
Per capire che l’ANVUR c’entra basta esaminare i regolamenti relativi alla compilazione delle liste di riviste scientifiche (vedi sotto). Dai regolamenti emerge chiaramente che il compito dei gruppi di lavoro *non* era quello di “stilare una lista di riviste sulle quali tanti professori EVIDENTEMENTE pubblicano”. È già stato spiegato in tutti i modi che *non* è un male pubblicare articoli divulgativi e che è bene che di essi rimanga traccia negli archivi istituzionali come ogni bibliotecario di qualsiasi epoca e latitudine potrebbe insegnare, ma che è male confondere questa produzione con la produzione scientifica in senso stretto. Per limitarsi a scaricare l’elenco delle riviste presenti sul CINECA non sarebbe stato necessario nominare gruppi di lavoro, il cui compito era esattamente quello di scremare ciò che era scientifico da quello che non lo era. Sarebbe interessante capire le ragioni degli errori. Che il Mattino di Padova e il Sole 24 Ore c’entrino poco con le riviste scientifiche salta all’occhio anche al lettore più distratto. E d’altronde molti altri quotidiani sono stati espunti. Le liste sono state pubblicate con diverse settimane di ritardo e c’era tutto il tempo di fare i controlli del caso. Cosa è successo?
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ALLEGATO B, del D.M. 76:
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2. Per ciascun settore concorsuale di cui al numero 1 l’ANVUR, anche avvalendosi dei gruppi di esperti della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) e delle società scientifiche nazionali, effettua una suddivisione delle riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani in tre classi di merito …”
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Delibera ANVUr n. 50
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Art. 9
(Missione del Gruppo di lavoro)
1. Il Gruppo di lavoro ha lo scopo di: a) fornire indicazioni metodologiche circa la definizione di “rivista scientifica” ai fini
della procedura di abilitazione scientifica nazionale;
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Delibera ANVUr n. 55
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Art. 2
(Missione del Gruppo di lavoro Riviste e libri scientifici)
1. Il Gruppo di lavoro ha la missione identificata come segue:
A. Fornire indicazioni metodologiche circa la definizione di rivista scientifica ai fini della procedura di abilitazione scientifica nazionale, formulando un parere al Consiglio Direttivo.
B. Svolgere l’istruttoria della procedura di classificazione delle riviste ai fini della abilitazione scientifica nazionale, formulando un parere al Consiglio Direttivo. […]
3. Ai fini della abilitazione scientifica nazionale sono convocate due sessioni plenarie nelle seguenti date:
i. Martedi 10 luglio 2012, ore 11, presso il MIUR, Viale Trastevere ii. Giovedi 19 luglio 2012, ore 10, presso il MIUR, Piazzale Kennedy.
4. Sono ammessi la partecipazione e il voto per via telematica.
5. Il Gruppo di lavoro è validamente costituito in fase istruttoria qualunque sia il numero dei partecipanti.
6. Il parere di cui alla delibera ANVUR n. 50/2012 circa le riviste non scientifiche e la classificazione delle riviste scientifiche in classe A è fornito validamente qualora partecipino alla votazione almeno la metà dei membri.
7. Il Gruppo di lavoro delibera a maggioranza semplice.
[…]
9. Delle riunioni del Gruppo di lavoro viene tenuto verbale, a cura della segreteria, che viene approvato nella seduta successiva.
ROARS fa un appello al Ministro per salvare le abilitazioni senza rinunciare ai requisiti minimi.
I requisiti minimi bibliometrici?
Io avevo proposto questo “salvataggio” giorni fa su questo sito.
Per non dover gettare tutto il lavoro fatto dall’ANVUR, si potrebbe scegliere uno solo dei parametri per i SSD bibliometrici e non-bibliometrici e fare la media (non la mediana) di questo per i due gruppi. Usare solo quello come parametro minimo e poi lasciare per tutto il resto libertà alle commissioni. Un solo parametro secco! Tutti gli aspiranti devono superarlo. Per esempio hc index di 12 come requisito minimo per diventare PO in un settore biblimetrico. Poi la commissione, dove la cosa è pertinente, potrebbe aggiungere per esempio che ci vogliono anche il 60% dei lavori degli ultimi 5 anni con ultimo nome, che il candidato deve avere avuto esperienze didattiche, che deve far part di editorial boards etc……
Che ne dite?
Il parametro “secco” non può essere nessuno di quelli individuati da ANVUR e dal Ministro perchè deve essere corretto con un fattore di proprietà; qui valutiamo le persone e non i gruppi in cui lavorano.
Che il problema purtroppo é a monte. Qualsiasi parametro di valutazione ci sarà sempre qualcuno ad insorgere perché è sfavorito rispetto a quel particolare parametro. Bisognerebbe scegliere dei criteri di valutazione trasparenti e portarli avanti, tutto qui. Quello che davvero andrebbe rimproverato ad anvur e richiederebbe le dimissioni immediate di tutti componenti del direttivo é questa incredibile mancanza di trasparenza.
V.
Certo che l’ideona di autoncensurarci nella critica al paticciaccio brutto Miur-Anvur, per evitare che la stampa possa utilizzare il nostro dibattito per screditare il ceto accademico italiano, è veramente degna del miglior Andreotti: LAVARE I PANNI SPORCHI IN CASA.
[…] Il commento di ROARS […]
Sommessamente chiedo: chi è il proprietario dell’Università e degli Enti di Ricerca? La repubblica Italiana. Chi è il pagatore? La Repubblica Italiana. Se al proprietario pagatore la VQR, l’ANVUR e compagnia cantante piacciono così, le facciano così. L’insieme fa ridere i polli? Faccia ridere i polli, non vedo che differenza sostanziale ci sia rispetto alla situazione ordinaria. L’ANVUR mica è una popolazione di feroci alieni antropofagi. Rappresenta legittimamente la situazione esistente. Ammettono anche di errare, non si fanno mancare niente. Se la cantano e se la suonano. Io al ministro ecc. non direi un bel niente. Facciano quel che sanno fare. Ci saranno i ricorsi? Si facciano i ricorsi, esistono leggi che li regolano. I media infieriranno? Infieriscano, lo faranno con il loro standard, che tanto medianamente quello resta. All’estero rideranno? Mica cominceranno a ridere per questa storia. A parte mettere su un partito monarchico, vincere le elezioni e fare nuove leggi, non vedo cosa si possa fare in modo civile. Nella realtà, dico, in concreto. Poi, certo, ha ragione Israel, sono cose pazzesche, oniriche e sinistre, e sospetto che il peggio debba ancora arrivare. Però, basta voltarsi.
Jus autorevolmente chiede: che fare adesso, in concreto? E io torno ad insistere sul che fare, piuttosto che sul deprecare. Anche perché abbiamo deprecato a sufficienza tutto il deprecabile, che non è poco. Un passo in avanti: come possiamo interagire con l’unico interlocutore possibile, un ministro che sembra non essersi accorto che piove e che continua a dire che è una bella giornata di sole???
Segnalo che c’è una iniziativa parlamentare (bipartisan) per chiedere al Ministro un atto normativo che renda le mediane solo un’indicazione non vincolante per le commissioni (in pratica, l’interpretazione autentica del DM):
http://www.stampa.cnr.it/RassegnaStampa/12-09/120922/1KP5PJ.tif
Resterebbe, sembra di capire, il criterio delle mediane (applicate direttamente dall’ANVUR) per i candidati commissari.
L’articolo chiarisce esattamente, a mio parere, tutta la questione. Aggiungo, ma forse mi sbaglio, che la situazione nei fatti è già così: già ora è evidente che le mediane hanno valore solo indicativo. Ma, visto la richiesta formale del Cun e vista questa proposta parlamentare, il Miur potrebbe emanare una Circolare interpretativa (non una lettura autentica per carità!!) e chiudere la questione.
che farebbe definitivamente calare il sipario su tutta questa vicenda riportandoci nella notte dei tempi… che schifo!
V.
Carissimi per salvare il salvabile si potrebbe procedure, a mio modesto avviso, così :
1)calcolo della mediana su tutto il database (per intenderci quella attuale) Me_1;
2)calcolo della mediana su una parte del database che contiene solamente riviste scientifiche (escludendo quelle “non scientifiche” ) Me_2;
3)calcolo della mediana su una parte del database che contiene solo riviste di fascia A Me_3 (anche questa mediana di fatto è calcolata)
Saranno poi le commissioni a considerare le 3 mediane Me_1, Me_2, Me_3 in modo congiunto o disgiunto. Si tratterebbe di fatto di calcolare una nuova mediana (Me_2) sulle stesso database e metterla a disposizione delle commissioni.
@ wlamediana: “tra i parametri valutativi proposti dal CUN ve ne è uno che, a mio modo di vedere (e credo di trovare il favore di molti lettori del blog), produrrebbe storture ancor peggiori rispetto a quelli delle terribili mediane anvur, cioè l’IF totale. Aggiungo che altri parametri CUN quali l’H index risentirebbero comunque dell’approssimazione di SCOPUS e ISI”.
Non dico che i parametri CUN siano intoccabili, anzi.
Però, partire da quei parametri (imperfetti ma già “sul tavolo”) per una discussione immediata e delimitata in un arco temporale prefissato (dalla quale vengano proposte MIGLIORATIVE), oggi potrebbe accelerare i tempi e fornire un’alternativa alle mediane per come sono state calcolate in agosto da ANVUR.
A meno che qualcuno pensi, ancora, che quelle mediane sono state quantificate in maniera corretta sul piano statistico ed esente da vizi sul piano giuridico. Non mi sembra però di aver letto confutazioni precise e dettagliate in grado di contrastare gli argomenti di segno opposto ampiamente sviscerati da ROARS sull’illegittimità di QUELLE mediane. Una soluzione errata non si trasformerà in giusta paragonandola a un’altra soluzione (asseritamente) errata.
@ Marco Bella.
Il modo garbato e ragionato con cui espone le sue idee corrisponde perfettamente allo spirito costruttivo che, a mio giudizio, rende utilissimo un forum come ROARS.
Capisco alcune delle sue preoccupazioni: in questo momento, sul piano della persuasione politica, come smuovere un Ministero dalla linea ANVUR ormai “in corsa”, se ci sono nel Paese problemi ben più gravi di quelli che riguardano una minoranza (i professori universitari)?
Appunto: si tratta di trovare (e rendere note all’opinione pubblica) alcune “leve”, solide sul piano delle ragioni giuridiche, ma anche forti sul piano dell’opportunità politica, sociale, economica.
Si potrebbe dimostrare in maniera semplice (come nell’articolo di ROARS) che andare avanti ciecamente significa rischiare:
– un disastro sul piano del futuro di quegli stessi “giovani” (non solo chi è già DENTRO l’università, ma soprattutto chi vorrebbe ENTRARCI essendone finora stato escluso) il cui “merito” e le cui “eccellenze” la politica sbandiera quotidianamente all’opinione pubblica di voler valorizzare, perché qui (specie con l’idea incipiente del “tutto derogabile caso per caso a discrezione delle commissioni”) di garanzie “meritocratiche” ne residueranno ben poche in sede di valutazione (per non parlare del secondo giro in sede locale, su cui tutto tace); un Ministero al quali si addebiti motivatamente un rischio di “anti-meritocrazia” reagirebbe, credo, uscendo dall’attuale laissez-faire;
– un problema serio (che potrebbe interessare anche la Corte dei Conti) di utilizzo del denaro pubblico (tema su cui mi pare che, nell’opinione pubblica, oggi non manchi la sensibilità);
– l’effetto “palla di neve” dei ricorsi che già ci sono e che potrebbero aumentare a valanga bloccando tutto per anni.
Ecco: se tutto questo emerge (o esplode) in maniera visibile e la comunità scientifica, anziché dividersi, si aggrega su delle proposte d’urgenza in grado di operare nell’immediato, proposte concrete, “minime” e da migliorare nel futuro ma da mettere in campo adesso, allora forse il Ministro potrebbe decidere che non c’è alternativa ragionevole ad un suo intervento che cambi la direzione del treno. Non abilitando “tutti” ad occhi chiusi, ma utilizzando parametri diversi da queste mediane, che non siano sproporzionati né per difetto né per eccesso.
Non solo: la comunità dei professori si mostrerebbe finalmente propositiva, sottraendosi al sospetto e al pregiudizio che dietro le proteste si nascondano i soliti “baroni” che non vogliono cambiare nulla ma solo bloccare ogni innovazione.
Sospetto che (mi pare) viene surrettiziamente alimentato da chi (a differenza dell’atteggiamento costruttivo proposto da Marco Bella), non riuscendo più a difendere il sistema “liste-mediane”, tenta oggi di percorrere la strada obliqua secondo cui “ogni rimedio è peggiore del male” e dunque sarebbe meglio tenersi, turandosi il naso, il male minore (il treno in corsa), piuttosto che fermarsi a riflettere, almeno un attimo, fermando i motori.
@ michela morello
Condivido in toto. Penso però, per le ragioni di cui sopra, che la ragionevolezza possa ancora prevalere (se sarà sostenuta con la forza di una comunità il più possibile compatta) a tutti i livelli (anche a quello politico). Forse sono un ingenuo, ma ci voglio ancora credere, scommettendo come Pascal.
la ragionevolezza possa ancora prevalere (se sarà sostenuta con la forza di una comunità il più possibile compatta) a tutti i livelli (anche a quello politico)
Prendo spunto da questo (ennesimo) appello alla “compattezza” della comunità accademica per chiedere: ma la CRUI che ne pensa delle mediane? Non mi risulta che da lì si siano alzate urla di sdegno; né, del resto, si sono alzate quando fu approvata la legge gelmini – ovvero la logica premessa di questa logica conseguenza in cui oggi ci troviamo. Se la “compattezza” il mondo accademico non ha saputo trovarla allora, perché mai dovrebbe trovarla adesso? Soprattutto considerato il fatto che – al di là delle persone tutte in perfetta buona fede che scrivono e commentano su Roars – altri potrebbero accodarsi alla protesta esclusivamente per un loro meschino calcolo di tornaconto (ad esempio, chessò, perché non superano nessuna delle famose mediane)?
Io ancora aspetto con pazienza che l’ANVUR ci illumini su come deve essere calcolata l’età accademica, essenziale per valutare il secondo indicatore per i settori bibliometrici. Da una parte c’è una FAQ dell’ANVUR che dice che, per determinare l’EA, si deve considerare l’età della pubblicazione più vecchia presente su loginmiur e/o sulle basi di dati di riferimento (Scopus e Wos). Dall’altra parte c’è il chiarimento sul calcolo delle mediane che l’ANVUR ha recentemente pubblicato, che specifica che l’EA è stata calcolata prendendo l’età della più vecchia pubblicazione presente su loginmiur che sia contemporaneamente indicizzata in una delle due basi di dati. Se hanno veramente calcolato così le mediane, è ovvio che devono essere calcolati allo stesso modo gli indicatori dei candidati. Quindi l’EA dovrebbe dipendere dalla più vecchia pubblicazione su loginmiur (che sia anche indicizzata su almeno una delle due basi di dati) e non dovrebbe essere possibile (come invece farebbe intendere la FAQ) al fine del calcolo di EA considerare una pubblicazione che stia su una delle due basi di dati e NON SIA PRESENTE su loginmiur.
Se capisco bene, quindi, ti auguri (fra le righe: se sono troppo malizioso, per favore smentiscimi e ti chiederò scusa) che ANVUR istituzionalizzi la possibilità per i candidati di manipolare a piacimento la propria età accademica, facendo sparire da loginmiur le pubblicazioni più vecchie. Non è il primo intervento di questo tenore su questo sito, mi piacerebbe conoscere in proposito (ovvero a proposito di onestà delle pratiche e credibilità della comunità scientifica) quale sia l’opinione degli altri (frequentatori e gestori del sito)
Di questo passo, nessuna commissione se la sentirà di usare le mediane: alla luce delle incongruenze e delle confessioni di ANVUR sarebbe come mettere la testa su ceppo del boia (i ricorsi al TAR). In ogni caso, il mio commento è forse irrilevante perché questa procedura ha ben poche speranze di arrivare in porto.
Dovendo essere valutati esclusivamente in base al contenuto di una base dati (Scopus; nella mia area WoS è una barzelletta) onestà vorrebbe che l’età accademica venisse calcolata su quella base dati.
Altrimenti dovremmo considerare le citazioni da/a articoli non Scopus. Che nella mia particella dell’area 09 non sono pochi.
Caro fp, il collega Sam pone un problema serio, rispetto al quale dovresti evitare giudizi d’accatto. Senza alcuna malizia avanzo il sospetto che tu sia un vecchio ricercatore già stabilizzato da tempo, che quindi non può usare in alcun modo il criterio EA. Alcuni di noi, invece, sono ricercatori stabilizzati solo da poco, altri non lo sono per nulla. Molti di questi colleghi hanno enormemente accresciuto la loro “produttività” in anni recenti. Essi però si ritrovano con pubblicazioni post-laurea del tutto estemporanee, che ora però gli impediscono di usare l’età accademica per il calcolo delle mediane. Vorrei capire a che titolo ritieni che questi non possano considerare del tutto risibile la loro primissima pubblicazione. Vediamo di non aprire una contesa tra “giovani” e “vecchi”, non conviene a nessuno. In generale, comunque, condivido la linea di ROARS contro la baracca ANVUR.
c’è anche un altro problema teorico di cui nessuno parla. Ci sono situazioni limite (piuttosto numerose a dire il vero, solo nella miacerchia ne ho sentite 3-4) in cui una o due pubblicazioni alzano l’età accademica di svariati anni al punto da incidere profondamente sul secondo indicatore. E se io scrivessi alla rivista/e dicendo che voglio ritirare la pubblicazione? Chi potrebbe mai contestare questa mia legittima prerogativa?
V.
Sono certo che le mediane non sono state calcolate contando le pubblicazioni più vecchie. Attenzione che questo non vuol dire che il secondo indicatore si abbassi per forza includendole. E’ abbastanza intuitivo che se partissimo tutti dal 1994 (anno zero di Scopus) otterremmo tutti una seconda mediana più alta. La seconda mediana è un numero di poco senso. Ha un’incertezza che a dir poco è intorno al 10%. Sarebbe stato meglio sostuituirla con sum_j cit_j/eta_j. Almeno non ci sarebbe stato il problema di definire un’età accademica senza senso ai fini di un’abilitazione. Questa seconda mediana porrà, se usata per davvero, dei grossi limiti alle future tenure track (ricercatori TD senior) ammesso riescano a partire.
…otterremmo tutti un secondo indicatore più alto.
Ad aprire la contesa tra giovani e vecchi, caro anonimo MaxG, non sono certo io. Se clicchi sul mio nick accederai al mio sito web con tutte le indicazioni che ti servono: età, cv, pubblicazioni ecc…
Il problema che ho sollevato – ma vedo che qui non riscuote molto interesse – è quello della fairness, che prescinde del tutto dal discorso delle mediane, che ritengo assurde come criterio, dell’abilitazione, che organizzata così è discutibilissima, ecc….
Mi riferisco invece all’attitudine a rispettare le regole del gioco, per quanto sbagliate le si possa ritenere, magari criticandole o, se si preferisce, rifiutandosi proprio di giocare a quelle condizioni, ma senza piegare le già assurde regole a proprio vantaggio (e poi, magari, continuare a criticarle, “protetti” dall’anonimato…).
Ieri qui qualcuno inneggiava a quei candidati al TFA che, siccome le domande sembravano loro (e probabilmente erano: non è questo il punto) inadeguate hanno creato una bolgia e impedito lo svolgimento dell’esame all’Università di Modena. Ecco, se la comunità scientifica vuole – giustamente – partecipare a dettare le regole di futuri giochi, forse si dovrebbe partire dal non incoraggiare pratiche – lo ripeto – scandalose, come il manipolare a piacimento la propria età accademica. Comunque non insisto oltre: è una cosa, questa, che a me pare del tutto ovvia, e se ad altri pare adirittura assurda evidentemente non c’è grande possibilità di scambio comunicativo.
fp ha ragione. Uno che si chiami Mario Rossi potrebbe fare un po’ quello che vuole mentre un Enore Cantalamessa no (lo beccherebbero subito). Le regole vanno rispettate, si deve prendere l’articolo più vecchio e chiedere il riconoscimento dei periodi di inattività quando questi sono chiaramente riferiti ad attività di altro tipo (inclusa la disoccupazione). Io sono dell’opinione che la seconda mediana sia in generale troppo alta.
Caro fp, io non mi auguro nulla. In una valutazione “scientifica” dovrebbero esistere procedure ben definite e criteri oggettivi, e non speranze ed auspici. Io mi chiedo soltanto come deve essere calcolata l’età accademica. Per il valore di riferimento (la seconda mediana) ANVUR ha esplicitamente detto di avere utilizzato la pubblicazione più vecchia PRESENTE in loginmiur. Per i candidati il calcolo sarà forse fatto in altro modo? In caso affermativo, che valore avrebbe la comparazione con la mediana? Detto questo, ti faccio notare che se per caso l’età accademica si dovesse calcolare a partire dalla prima pubblicazione IN ASSOLUTO (anche non inserita in loginmiur) il procedimento sarebbe incostituzionale per un concorso pubblico. Infatti, le pubblicazioni sono titoli, ed in quanto tali dovrebbe essere il candidato a scegliere QUALI titoli presentare, e non l’ANVUR. Come moltissimi hanno fatto notare, se un candidato ha fatto una pubblicazione quando gli è parso a lui, nel passato, di cui non è soddisfatto, nessuno dovrebbe obbligarlo a presentare tale pubblicazione. Non si tratta di falsare un bel nulla, ma di essere liberi di presentare il set di pubblicazioni su cui venire giudicati. Ripeto: è un concorso pubblico, non la “valutazione” di un periodo di servizio. Se fosse una valutazione, dovrebbe valere come età accademica la data di presa di servizio, che sarebbe un dato oggettivo. Ma esiste qualcosa di oggettivo in questa procedura ideata e gestita dall’ANVUR? Quello che sorprende è che ci siano persone che si definiscono “accademici” e confondono rigore scientifico e disonestà. Una procedura in ambito accademico deve essere rigorosa, basata su una chiara definizione dei criteri metodologici e deve produrre dei risultati scientificamente ripetibili. Non deve soddisfare o meno le “speranze” di qualcuno.
Abbi pazienza se mi permetto di dirtelo: però su un punto hai ancora le idee molto confuse. Un conto sono le pubblicazioni (i titoli) DA PRESENTARE – questi li dovrai allegare in pdf alla domanda, possono essere stati scritti l’anno scorso come trent’anni fa, devono essere al massimo nel numero fissato per la tua area nel DM 76 (nella mia area sono 12). Queste pubblicazioni dovranno (dovrebbero) essere valutate NEL MERITO dalla commissione (ossia lette e valutate)
Tutt’altra questione quella del calcolo degli indicatori in relazione alle mediane: qui contano solo le pubblicazioni degli ultimi dieci anni (prima mediana bibliometrici, tre mediane non bibl.) o le citazioni complessive divise per l’età accademica (seconda mediana bibl.). Questi calcoli NON sono a discrezione del candidato: vengono fatti in automatico, a partire dal calcolo dell’età accademica, che inizia (per assurdo che tu o altri possano ritenerlo, ma non è di questo che si discute qui) con l’anno della prima pubblicazione scientifica in assoluto attinente al settore concorsuale. Ad esempio, nel mio caso ho pubblicato un articolo nel 1997: non potrò dunque normalizzare i miei indicatori.
Ora, è chiaro che la certificazione dell’anno della prima pubblicazione deve avvenire in qualche modo: ANVUR ha stabilito che sia l’inserimento da parte del docente in cineca. Bene, chiarito questo, quello che voglio dire qui è che la corretta applicazione delle norme (per assurde che siano o ci paiano) prevede che ogni candidato inserisca (se strutturato, abbia già inserito) in cineca TUTTE le sue pubblicazioni; e che su questa base venga effettuato il calcolo. In questo senso, trovo riprovevole che si stia qui a discutere su cosa conviene o meno inserire per potersi “manipolare” l’età accademica. Una commissione che venisse a conoscenza dell’esistenza di altre pubblicazioni precedenti del candidato, non inserite nel sito cineca e dunque non “dichiarate”, a bella posta, per accorciarsi l’età accademica, sarebbe a mio avviso ben legittimata a valutare molto negativamente questa azione. Soprattutto considerato il fatto che tutti i cv dei candidati verranno resi pubblici sul sito dell’abilitazione: il giochino verrebbe quindi reso noto in automatico a tutta la comunità scientifica. Quello che propongo è – se si decide di partecipare – il rispetto delle regole. O perlomeno, evitare di fare la pubblica apologia della truffa. Tanto, ormai è chiaro che le mediane non conteranno nulla: Profumo dixit.
Purtroppo ad avere confuse le idee sono in molti, oltre al sottoscritto. Comunque ribadisco per l’ennesima volta un punto che sarà fondamentale nei (sicuri) ricorsi che saranno presentati contro questa procedura di abilitazione. Le pubblicazioni sono titoli. E lo sono tanto quelle che vengono scelte per essere valutate qualitativamente dalla commissione, quanto tutte quelle che vengono dichiarate nel curriculum e che sono caricate sul sito del cineca A SCELTA DEL CANDIDATO. E’ questo che non è chiaro al collega fp (ed a tanti altri). Non esiste e non potrà mai esistere alcun obbligo per un docente ad inserire le proprie pubblicazioni in un CV o in un sito. L’ANVUR questo lo sa benissimo, infatti ha semplicemente “invitato” i docenti ad inserire tutte le pubblicazioni sul sito CINECA. Un invito che figura come qualcosa di ridicolo nel contesto di una procedura di abilitazione dove dovrebbero valere regole certe, obblighi, e non inviti. Il proprio CV è qualcosa che viene dichiarato dal candidato, e la falsificazione consiste nel dichiarare qualcosa di falso non nell’omettere un titolo. Qualcuno ha mai sentito di un concorso in cui un candidato è obbligato a dichiarare tutte le sue esperienze lavorative? Oppure qualcuno pensa che se si omette da un CV un’esperienza lavorativa si sta dichiarando il falso? Qui stiamo (giuridicamente) farneticando. Forse il problema è questo. L’accademia italiana non solo ha raggiunto probabilmente il suo livello più basso nella qualità della produzione scientifica, ma addirittura non rappresenta più nemmeno il luogo dove si esercita il razionalismo e la logica. Chiarisco, al solo fine di far comprendere la ragione del mio intervento, che per mia buona ventura sono sopra tutte le tre mediane del mio settore, e quindi dovrei sentirmi “a posto”, secondo il parere di molti colleghi. Invece non devo fare un grande sforzo di immaginazione per prefigurarmi che sarò il primo dei beffati, perchè con queste assurdità procedurali introdotte dall’ANVUR le abilitazioni saranno attaccabili in sede legale con irrisoria facilità. Chi in questi anni ha prodotto in quantità ed in qualità sarebbe stato a posto davanti a criteri semplici che definissero oggettivamente la quantità e la qualità. Per esempio, per la quantità sarebbe bastato il numero di pubblicazioni su rivista e il numero assoluto di citazioni, il tutto normalizzato per il numero di anni intercorsi dalla prima pubblicazione “dichiarata” dal candidato. E questi indicatori quantitativi non avrebbero dovuto fungere da “filtro”, ma semplicemente accompagnare quelli qualitativi per arrivare ad un giudizio finale che tenesse conto contemporaneamente di entrambe le tipologie di indicatori. E’ stata preferita la strada delle definizioni “interpretabili”: vedremo nei fatti dove ci porterà.
Hai ragione. L’Italia è però il paese dove chi fa il furbo in genere ha la meglio, per cui staremo a vedere. L’unica valida difesa è effettivamente il pubblico ludibrio di chi proverà ad imbrogliare (e ce ne saranno tanti…). Questa è la riprova che l’unica “feature” che può salvare il sistema è la trasparenza totale. Anvur e i suoi componenti andrebbero rimossi in blocco per aver sprecato un’occasione epocale e voluto maneggiare stupidamente la questione mediane in maniera opaca. A prescindere dalla bontà degli indicatori (che sono il primo a criticare) se tutta la faccenda fosse stata gestita nella più assoluta trasparenza, adesso avrebbe un aspetto decisamente migliore. Peccato…
V.
@sam
La seconda mediana non ha senso. Se proviamo a calcolare l’indicatore con un sottoinsieme di pubblicazioni possiamo massimizare il suo valore che può diventare anche molto maggiore della soglia anvur. Il non senso giuridico è questo, non si può venire esclusi aggiungendo titoli. In questo caso però non si deve porre l’attenzione sulle pubblicazioni da rinnegare. Perchè si deve rinnegare qualcosa? Non è accettabile il requisito di superamento di questa mediana.
massimizzare
Come aspirante commissario, ho dovuto selezionare quali delle mie pubblicazioni presenti sul CINECA dovessero essere incluse nel curriculum allegato alla mia domanda. Quindi, ne potevo omettere alcune, opzione che nel mio caso sembrava superflua. Certo, se avessi pubblicato su Yacht Capital, avrei omesso quell’articolo (e se fossi stato in un settore non bibliometrico dell’area 08, avrei commesso uno sbaglio).
Mi domando:
1) se i candidati alle abilitazioni, oltre che dover scegliere un numero limitato di pubblicazioni da sottoporre alla commmissione per il giudizio di merito, abbiano o meno la possibilità di selezionare quali pubblicazioni includere nel curriculum da allegare alla domanda (che esista questa opzione è del tutto logico proprio per escludere pubblicazioni che non hanno nulla di scientifico ma che sono ugualmente e legittimamente nel sito docente) ;
2) se l’età accademica venga calcolata in base a quanto presente nel sito CINECA oppure in base all’elenco di pubblicazioni incluso nel curriculum.
Il testo della famosa “FAQ fantasma” (https://www.roars.it/?p=10072) informava i candidati che l’età accademica sarebbe stata calcolata sulla base delle pubblicazioni che avrebbero incluso nel curriculum allegato alla domanda e non sulla base di quelle presenti sul CINECA.
@ Sam
Non aggiungo altro a quanto già scritto. Mi rattrista solo un pochino non sentire altre voci levarsi qui in favore della fairness da me invocata. Su una cosa concordo: “L’accademia italiana non solo ha raggiunto probabilmente il suo livello più basso nella qualità della produzione scientifica, ma addirittura non rappresenta più nemmeno il luogo dove si esercita il razionalismo e la logica”. E, aggiungo, l’etica (ma so già che ti sembrerà una baggianata).
Quanto a me, che la domanda l’ho già presentata (non avendo assoldato tipogafie prezzolate o riviste compiacenti a pubblicarmi qualcosa di nuovo entro il 20 novembre) avrei senza fatica potuto far sparire dal mio sito cineca tutto ciò che ho scritto prima di una monografia del 2009, “normalizzando” così il mio curriculum (e figurando come autore “virtuale” di una valanga di monografie). Francamente, l’idea non mi ha neppure sfiorato: evidentemente difetto di “logica” (la “logica” di cui gli italiani sembrano abondare, e non perdono mai occasione per dimostrarlo).
@ De Nicolao
Avendo, appunto, presentato la domanda sono in grado di risponderle: il cv (che sarà reso pubblico sul sito del MIUR dopo il 20 novembre) consente in effetti di selezionare le pubblicazioni. Non nello stesso modo di quello dei commissari, che consentiva di espungere le pubblicazioni e di indicare quelle “più importanti”, ma selezionando quelle “da far comparire” nel cv e quelle “da presentare” in allegato alla domanda, per le quali ocorre dichiarare la situazione del copyright. Per queste ultime, assurdamente, non si possono allegare in automatico i pdf già presentati per la vqr o comunque inseriti nel cineca, bensì ocorre caricare i pdf ex novo.
Gentile ccarminat,
non avendo le competenze necessarie per rispondere alle sue domande, e torvandole sacrosante io stesso, ho scritto al mio amico “panelist,” il quale così risponde:
2 quick answers:
• Each full-time academic submits four pieces of work. The addition this year is that a work of ‘exceptional range and scope’ might be double-weighted – which means they would submit only three pieces of work. In addition, part-time staff submit only two pieces of work – and in special circumstances full-time staff may submit only 3 or even 2 – eg one colleague who had one period of maternity leave will submit three pieces of work; one who had two periods of maternity leave during the period will submit only two pieces. Special circumstances include periods of illness, responsibilities as a carer etc
• As your other question implies, this is costly. Thus panellists are paid a small honorarium, but there is also the cost of meetings – travel and hotel bills – and the cost of the administration. Our government doesn’t want the costs, but it wants the assessment – and that can’t be done cheaply. There is also a cost to institutions: my college will cover the cost of half my teaching for a whole year to fund a replacement.
2 risposte rapide:
• Ciascun docente in regime di tempo pieno presenta quattro lavori. La novità, quest’anno, è che un lavoro di “eccezionale portata e ampiezza” può valere doppio – il che significa che l’autore può presentare solo tre lavori. Inoltre, docenti a tempo parziale possono presentare 3 o anche due lavori – ad esempio una collega che è stata in maternità presenterà tre lavori, mentre ; chi nel quadriennio ha avuto due permessi per maternità presenterà solo due lavori. Circostanze speciali includono periodi di malattia, il prendersi cura di un genitore anziano o di un familiare malato, ecc.
• In quanto alla tua seconda domanda, il tutto costa. Ai valutatori viene corrisposto un piccolo onorario, ma vi è anche il costo delle riunioni – viaggi, albergo – e il costo dell’amministrazione. Il governo non vuole i costi ma vuole la valutazione, e questa non può essere fatto risparmiando. Vi è anche un costo per le istituzioni: il mio college paga un supplente per un intero anno per insegnare la metà dei corsi che insegnerei io se non fossi impegnato nella valutazione.
Grazie mille: penso che questi siano dettagli importanti, specie se si vuole proporre una direzione alternativa da seguire.
Secondo me il peccato originale (che oggi scontiamo) sta nell’impostazione semplicistica della retorica del Ministro Gelmini e dei suoi accoliti, che millantava di introdurre il merito “per decreto”, e “senza costi aggiuntivi per lo stato”.
Invece una valutazione seria necessita di risorse adeguate (ed anche di tempo, come osservava ROARS in tempi non sospetti ).
Un’ultima domanda: la valutazione RAE tiene anche in considerazione un qualche parametro quantitativo (ovvero bibliometrico)? oppure si basa unicamente sui due o tre lavori presentati?
Il REF (ex-RAE) è basato su peer review pura. Nessuno dei gruppi di valutatori (i ns GEV) ha richiesto, come comunque potevano fare, indicatori bibliometrici. Da qualche parte l’ho già scritto su ROARS con tutti i riferimenti ai documenti, ma non riesco a ritrovarlo al volo…
Aggiungo, a integrazione di quanto scrive Alberto, che nel Regno Unito c’è stato un ampio dibattito pubblico su aspetti positivi e negativi del RAE e delle sue modifiche successive. Come c’era da attendersi, per altro, in un paese giustamente orgoglioso delle sue università. Nell’ambito di questo dibattito la questione dell’uso e dei limiti della bibliometria nella valutazione della ricerca è stata affrontata e discussa. Nell’archivio di questo blog ci sono – se non ricordo male – dei miei vecchi pezzi su questo tema. Vi segnalo anche il libro di Stefan Collini di recente pubblicato da Penguin: What are Universities For?
Sul mio blog c’era un pezzo adeguato allo scopo didattico… :-)
http://cronaca.anvur.info/2011/09/valutazione-allinglese.html
[NB possibili problemi tecnici ancora in corso per il cambio di dominio]
Infatti il link non funziona.
Riprova fra mezz’ora dopo aver schiacciato 10 volte :-)
E’ la catallassi internautica…
funziona.. :)
Grazie a tutti delle indicazioni.
@fp: l’Etica dovrebbe essere alla base del comportamento “accademico”, che rivendica spesso una “nobiltà di spirito” di cui però si fatica a trovare le tracce. Ma Etica dovrebbe prima di tutto significare rispetto della Legge, la quale nel nostro caso dovrebbe stabilire i criteri per concedere o meno una abilitazione scientifica. E la Legge dovrebbe essere razionale, e non introdurre invece elementi irrazionali come quello di impedire al candidato di selezionare il set di titoli su cui venire giudicato. Come giustamente dice De Nicolao, se all’epoca della laurea ho contribuito ad una pubblicazione su “Topolino” che non ritengo degna di essere presentata ad una procedura di abilitazione, è mio diritto non presentarla. E’ mio diritto non caricarla sul sito CINECA. Non si tratta di un bluff, e meno che meno di una mancanza di fairness. E’ giusto che io sia giudicato sui titoli che produco, e non su quelli che non voglio (legittimamente) produrre. Se per caso la base di dati scelta dall’ANVUR indicizzasse Topolino, la commissione non avrebbe alcun diritto di considerare quella mia pubblicazione che io non ho volutamente presentato. Etica è anche rispetto dei diritti dei cittadini. Una legge che violasse tali diritti sarebbe etica? Io direi (opinione personale) che dovremmo invocare per l’Accademia leggi e regolamenti razionali e trasparenti, e poi successivamente invocarne il rispetto da parte degli accademici. Sono decenni che invece viaggiamo con leggi e regolamenti fatti per permettere che chi ha potere possa decidere quello che gli pare: In pratica, leggi che non legiferano. Ci chiediamo perchè? Perchè il testo del DM non ha adottato come età accademica dei docenti e dei ricercatori strutturati semplicemente la data di presa di servizio, ad esempio? Criterio semplice, oggettivo. Purtroppo però, non sarebbe stato in alcun modo manipolabile. E noi come dovremmo rimediare? Andando a dichiarare pubblicamente a che età abbiamo iniziato a concepire il pensiero di diventare ricercatori? Suggeriamo questa possibilità all’ANVUR: non mi sorprenderei che la prendesse in considerazione. Perchè il fine giustifica i mezzi, e mi pare che qui su ROARS il probabile fine di tutta questa Zarzuela procedurale sia stato abbastanza chiaramente delineato.
“Se per caso la base di dati scelta dall’ANVUR indicizzasse Topolino …”
Potrebbe esserci chi, ancor prima di laurearsi, ha scritto per Yacht Capital un articolo di costume sulle feste di Briatore. Mi sembra giusto che venga punito :-) [è una battuta: non si deve punire nessuno, nemmeno per aver scritto cose leggere, se poi fa bene il suo lavoro di scienziato; tuttavia, non amo le feste di Briatore e in tal caso mi costerebbe un po’ rimanere fedele ai miei principi]
Caro Sam, le faccio una domanda diversa, che tratta, diciamo così, dell'”elasticità” dei parametri etici.
Il candidato X partecipa a un concorso che ha tra le sue regole quella di poter accedere alla valutazione, al di là dei titoli che si presentano liberamente, solo se un determinato parametro quantitativo (es. numero articoli negli utlimi dieci anni) viene superato. In più, tra le regole dell’ipotetico concorso c’è quella che consente al candidato di “normalizzare” la propria età accademica in relazione a quel parametro, ma SOLO nel caso in cui egli non abbia scritto articoli prima del 2002. Poiché X ha pubblicato nel 1997 un articolo – che considera indegno – su Topolino, e ha scritto il successivo articolo – magari sul Corriere dei piccoli – nel 2006, fa “sparire” dal sito cineca quel primo articolo su Topolino: in tal modo, potrà “normalizzare” la propria EA partendo dal 2006 anziché, dichiarando la semplice verità, NON normalizzare alcunché, dal momento che la sua prima pubblicazione, piaccia o meno, è del 1997.
Cambiamo scenario: quello stesso candidato X, con quelle stesse pubblicazioni, si trova di fronte a un concorso che ha regole diverse: stavolta non è concesso “normalizzare”, c’è una soglia numerica “secca”, e bisogna dimostrare di aver pubblicato, includendoli sul sito cineca, almeno 10 articoli in tutta la vita. Il candidato X arriva alla soglia dei dieci articoli solo includendo l’articolo su Topolino: secondo lei, data l’attitudine – diciamo – etica del candidato X, egli includerà o meno sul proprio sito cineca l’articolo pubblicato su Topolino e considerato indegno?
A De Nicolao e altri: stiamo attenti coi paradossi, perché sono certo che su Topolino qui abbiamo pubblicato in pochi…
caro fp, mi permetta di farle osservare che lei continua a non “vedere” il punto centrale della questione. Il candidato ha il diritto a presentare i titoli migliori, dove “migliore” significa più favorevole a lui. Se faccio un concorso dove servono dieci articoli e per raggiungerli devo inserire l’articolo su “topolino”, sta a me (e solo a me) valutare se usare questa pubblicazione a mio vantaggio. Se oltre al criterio dei dieci articoli esistesse ad esempio l’ulteriore criterio che vale anche la qualità della pubblicazione, pensa lei che il candidato inserirebbe “topolino”? Ma se il criterio del numero di dieci articoli da superare è dirimente rispetto ad altri criteri qualitativi, cosa mi resterebbe da fare? E’ il suo stesso esempio che chiarisce l’assurdità di una procedura che “filtra” la produzione accademica con criteri puramente quantitativi, alla faccia della qualità. Se valesse la qualità, nessuno includerebbe Topolino. Ma se l’ANVUR si inventa una procedura meramente quantitativa, allora mi pare sacrosanto pretendere che la procedura non sia anche lesiva dei diritti dei candidati a scegliere i propri titoli nella maniera per loro più favorevole. Qui si tratta di un CONCORSO PUBBLICO. L'”etica” di cui parla lei con riferimento agli accademici si raggiunge con la TRASPARENZA, attraverso leggi e regolamenti che dovrebbero imporre a tutti i docenti e ricercatori di esibire pubblicamente la lista delle loro migliori pubblicazioni. Non la lista di TUTTE le pubblicazioni. Non mi interessa sapere che un docente ha pubblicato a vent’anni su “Topolino”. Se lo ha fatto, sono fatti suoi, ne aveva tutto il diritto. Mi interessa sapere quali sono i lavori MIGLIORI che ha fatto, e dal punto di vista quantitativo quante BUONE pubblicazioni può produrre. Se invece vogliamo far passare come “etica” qualche prassi assurda di “polizia accademica” che obblighi ogni ricercatore a rendere disponibili informazioni che non ha nessun obbligo di divulgare, allora si vede che non ci interessa l’etica. Ci interessa avere un meccanismo, qualunque esso sia, basta che consenta di collegarsi ad una base di dati e di ottenere un output. Anche violando i diritti basilari dei cittadini. Capisco che questa è la conseguenza di avere avuto per decenni un sistema baronale che ha esasperato gli animi. Ma se il rimedio sono le procedure illegali, stia tranquillo che sarà proprio il sistema baronale a rafforzarsi, e le persone oneste a rimetterci. Se lei è un bravo ricercatore, che ha pubblicato molti buoni articoli scientifici, a me non interessa per nulla se vent’anni ha pubblicato su Topolino, e per motivi suoi non lo vuole rendere noto. Se invece è costretto a inserire Topolino per raggiungere un numero minimo di lavori, me ne renderò conto e considererò anche la qualità di questa sua “pubblicazione”. Come vede, per capire il suo valore come scienziato non ho bisogno che lei mi informi sul suo numero di piede:)
Caro Sam, pian piano forse si riesce ad intendersi un po’ meglio: però è lei, col suo uso equivoco del verbo “presentare” in riferimento alle pubblicazioni che, da procedura ANVUR, devono viceversa essere semplicemente CONTATE, a non aver chiare le cose. L’ipotetico articolo su Topolino, infatti, non DEVE essere presentato né necessariamente inserito nel curriculum; nessuno deve leggerlo. Semplicemente, se esiste, costituisce, per vecchio e inutile che sia, il momento a partire dal quale inizia il conteggio del parametro (puramente numerico) dell’età accademica. Siamo perfettamente d’accordo sul fatto che la procedura inventata da ANVUR e MIUR è assurda, umiliante, inutile e quant’altro: nondimeno, è una procedura prescritta da una legge dello Stato. Accorciarsi artificialmente l’età accademica, scusi se glielo dico per l’ultima volta, NON ha nulla a che vedere con lo scegliere le pubblicazioni da presentare e su cui essere valutato; e NON è una procedura accettabile, a mio avviso, né dal punto di vista legale, né da quello etico. è semplicemente una procedura da furbetti. Sul fatto che siano le regole poco chiare, in quanto tale, a facilitare i furbetti, sono d’accordo; sul fatto che, per questo motivo, siamo tutti moralmente autorizzati a fare i furbetti, mi spiace, no. è un modo di ragionare che trovo tipicamente italiano, ed è lo stesso che troviamo poi alla base di molte delle sconcezze contro cui giustamente protestiamo ogni giorno.
Ma dove sta scritto che un titolo è migliore perchè fa aumentare il secondo indicatore mentre uno che lo fa diminuire sarà peggiore? Questa seconda mediana è una stupidaggine e basta. Due coautori hanno fatto gli stessi lavori. Uno dei due ne ha fatto uno in più qualche anno prima. Questo lavoro è stato preso come riferimento per uno successivo e per questo motivo non ha un numero di citazioni molto alto. Beh.. Questo autore è il peggiore dei due? Stupidaggine appunto.
Mozione CRUI sull’Abilitazione scientifica Nazionale
http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=2112#
La solita presa di posizione generica e pilatesca. Personalmente, ho pochi dubbi sul fatto che proprio in quel consesso siedano i principali responsabili dello sfascio in cui ci troviamo.
Quella delle “migliori prassi a livello qualitativo e quantitativo” è davvero una perla…
[…] Vi sono due possibili letture di quanto sta avvenendo, e che, anche alla luce del pronunciamento preliminare su un primo ricorso da parte del TAR laziale, prefigura il fallimento dell’intero processo di […]
riguardo al ricorso dei costituzionalisti… non so come stiano le cose nel loro settore, ma in altri settori la terza mediana è semmai troppo blanda: si chiede ai candidati di avere un paio di pubblicazioni in riviste definite “di fascia A”. Il limite è basso e tra le riviste di fascia A c’è di tutto (l’errore non è tanto che manchino riviste prestigiose, quanto piuttosto che sono state considerate prestigiose riviste che non lo sono… fermo restando che un articolo lo si giudica per quello che dice e non per dove è stato pubblicato). I costituzionalisti sicuramente ne sanno più di me in fatto di ricorsi, ma impugnare la terza mediana con l’argomento “dieci anni fa non sapevamo quali fossero le riviste di fascia A” non mi pare un argomento molto forte.
Dal punti di vista giuridico è il cuneo che farà saltare tutto.
ribadisco ancora che non sono un esperto di diritto, ma in fondo quali fossero le riviste prestigiose chi è del campo lo sapeva già dieci anni fa: chi voleva pubblicare su riviste serie sapeva quali fossero già dieci anni fa.
Mi sembrerebbe più convincente fare ricorsi puntando sulle contraddizioni dell’anvur, che prima dice una cifra poi la corregge, non spiega come ha fatto i conti, si basa su dati non sicuri (il database cineca compilato volontariamente dai docenti dotati di buona volontà)