Un appello al Sign. Ministro Francesco Profumo

“[…] lo spavento gelò la stazione, quando vide passare, in una vertigine di fumo e di fiamme, quel treno fuori controllo, quella macchina senza macchinista né conduttore […] adesso, tutti i telefoni suonavano, tutti i cuori battevano, alla notizia di un treno fantasma che si era visto passare a Rouen e a Sotteville […] Quel treno, come un cinghiale in una foresta, continuava la sua corsa, senza tenere conto né dei segnali rossi, né dei petardi. Stava quasi per fracassarsi, a Oissel, contro una locomotiva; seminò il panico a Pont-de-L’Arche, perché la sua velocità non sembrava in alcun modo rallentare. Di nuovo, sparito nel nulla, correva, correva nella notte nera, nessuno sapeva dove. E che importava delle vittime che il treno calpestava nel suo cammino! Non andava comunque esso verso l’avvenire, incurante del suo incedere cruento? Senza nessuno che lo guidasse, nel mezzo delle tenebre, come una fiera cieca e sorda abbandonata al suo destino fatale, il treno correva, correva, carico di carne di cannone, di quei soldati, già storditi dalla fatica, ed ebbri, che cantavano”.

(Émile Zola, La Bête humaine, epilogo del romanzo [ns. trad.])

Come la scena-madre di un drama/thriller. C’è un treno che corre su un binario morto. Pochi chilometri più avanti, dove quel binario si interrompe, si spalanca un baratro in cui il treno è destinato a precipitare. Occorre tentare, immediatamente, di arrestarlo in tempo o di deviarlo su un altro binario. C’è solo un ultimo scambio che può essere azionato prima del punto di non ritorno. Tra i passeggeri del treno, alcuni sono in allarme. Altri, fiduciosi, credono (o vogliono credere) che non accadrà nulla: dopotutto, si tratta di un treno di nuovissima concezione, al suo viaggio inaugurale, di un prodigio della tecnica che ha promesso la massima sicurezza per i clienti.

Del treno atteso per anni …

I protagonisti della scena finale sono due. Il macchinista sul treno. Forse non resosi ancora conto di quanto sta realmente accadendo ed accadrà, il macchinista continua ad aumentare la velocità. Pare che il collegamento radio con il centro di controllo del traffico ferroviario non funzioni, o sia disturbato da interferenze. E poi c’è il dirigente del centro di controllo.  L’uomo che potrebbe azionare lo scambio a distanza. Ogni decisione è cruciale.

1. La spada di Damocle dei ricorsi

Con questo articolo rivolgiamo un appello al Ministro Francesco Profumo per un suo immediato intervento. Senza alcuno spirito di contrapposizione con ANVUR, ma per costruire una soluzione urgente, il più possibile condivisa e ragionevole, per uscire da una situazione ormai ad altissimo rischio.

La cronaca delle ultime settimane ha consegnato novità importanti.

Al momento, per quanto se ne sa, sono stati depositati tre ricorsi, che a vario titolo attaccano il sistema delle abilitazioni nazionali. Il ricorso dell’A.I.C. avverso l’allegato B del D.M. 76/2012, il ricorso degli Storici delle Matematiche contro l’uso dei criteri bibliometrici, e da ultimo il ricorso promosso da 130 docenti di diverse aree bibliometriche contro il criterio della mediana e numerosi altri aspetti del D.M. 76 (Affondiamo le mediane!).

Altri ricorsi sono probabilmente in gestazione.

Il TAR del Lazio si è già pronunciato in sede cautelare “ai sensi dell’art. 55 comma 10, del Codice del processo amministrativo” sul ricorso dell’Associazione Italiana Costituzionalisti (AIC).

È bene ricordare, per fugare equivoci, quale sia il significato tecnico dell’art. 55, comma 10, del nuovo Codice del processo amministrativo. Il TAR applica questa norma quando fa propria

una prognosi sommaria accentuata sulla favorevole conclusione del ricorso a favore del ricorrente (citazione tratta da M.V. Lumetti, Processo amministrativo e tutela cautelare, Padova, 2012, pag. 121)

e fissa con anticipo l’udienza di merito per la decisione definitiva della causa con sentenza.

Secondo il TAR, dunque, ad un primo esame in sede cautelare, il ricorso AIC presenta il fumus boni iuris di fondatezza.

L’udienza per la decisione di merito della causa è stata fissata dal TAR per il 23 gennaio 2013.

Ipotizziamo che il ricorso AIC venga accolto il 23 gennaio. In tal caso, il D.M. 76/2012 sarebbe annullato nella parte in cui stabilisce la terza mediana per i settori non bibliometrici: l’intera classificazione delle riviste di fascia A cadrebbe per illegittima retroattività.

Ipotizziamo ancora che, al 23 gennaio, la procedura di abilitazione risulti già conclusa o quasi.

Si aprirebbero problemi gravissimi.

L’utilizzo determinante di una mediana illegittima (la terza mediana, quella relativa alle riviste di fascia A) avrà ormai falsato l’avvio e lo svolgimento della procedura per i settori non bibliometrici: la terza mediana, infatti, avrà influito sia sul procedimento di formazione delle commissioni, sia sulla valutazione dei candidati.

Se la sentenza del TAR accerterà l’illegittimità originaria della terza mediana, sul piano oggettivo anche gli esiti della procedura condizionata dall’applicazione di quella mediana verranno colpiti da illegittimità derivata ad effetto viziante. Tutto rischierebbe di essere travolto, a quel punto, da nuovi ricorsi che facciano valere l’illegittimità derivata.

Per questo, subito dopo l’ordinanza del TAR, molte voci si sono levate per raccomandare al Ministero e all’ANVUR un gesto di prudenza.

 

2. Cassandra crossing?

Anziché lanciare il treno dell’abilitazione in velocità – è stato osservato – meglio sarebbe sospendere temporaneamente la procedura fino alla sentenza del TAR, per evitare l’effetto “tela di Penelope”. Nel frattempo, l’ANVUR potrebbe prendere più tempo per discutere con la comunità scientifica le proprie scelte, ad esempio lanciando una consultazione on line (come fanno le autorità amministrative indipendenti) aperta alla partecipazione di tutti per discutere della tanto contestata classificazione delle riviste.

Questo primo appello è caduto nel vuoto. E così il treno ha proseguito la sua corsa, senza fermarsi in alcuna stazione.

Poi, è iniziato il rincorrersi degli equivoci sul carattere “prescrittivo” o “indicativo” di tutte le mediane stabilite dagli Allegati A e B del D.M. 76/2012.

Sì: proprio quelle mediane il cui calcolo, compresa la classificazione delle riviste, ha impegnato l’ANVUR e i suoi gruppi di lavoro per mesi, determinando la spesa di denaro pubblico (che si assumeva investito per un fine importante, sul presupposto che le mediane avrebbero giocato un ruolo decisivo nella procedura di abilitazione) per rendere possibile la complessa attività dei diversi soggetti impegnati nell’opera.

Inutile ricordare che l’attività di produzione delle mediane e delle classificazioni delle riviste si è sviluppata, peraltro, in maniera piuttosto opaca, tanto che ancora oggi l’ANVUR non ha consentito, pur a fronte di numerose richieste, l’accesso all’intera serie di dati e di atti utilizzati per il calcolo e per la classificazione, nonostante gli obblighi di trasparenza che dovrebbero valere per ogni pubblica amministrazione.

Senza preavviso, sono circolate alcune dichiarazioni a mezzo stampa secondo le quali ANVUR avrebbe ritenuto ammissibile la partecipazione all’abilitazione anche di candidati collocati al di sotto delle mediane, a discrezione delle singole commissioni.

A questo punto è intervenuto il CUN, ricordando che le mediane sono state previste da un regolamento ministeriale, ossia il D.M. 76/2012.

Trattandosi di un atto normativo, ha osservato il CUN,  vi è un solo modo di stabilirne in maniera giuridicamente vincolante l’esatto significato: l’adozione, da parte del Ministero, di un regolamento di interpretazione autentica.

Perciò il CUN, con una mozione formale indirizzata al Ministro Profumo, ha chiesto l’interpretazione autentica del D.M. 76/2012 per chiarire

se il superamento dei valori mediani degli indicatori quantitativi abbia o meno natura vincolante ai fini del conseguimento dell’abilitazione;

questo  “nell’intento di far sì che tutta la procedura dell’abilitazione scientifica nazionale si svolga con univoca chiarezza e generalità delle regole, a garanzia dei principi generali della democrazia amministrativa e dei diritti degli interessati, ridimensionando i rischi di contenzioso giudiziario”.

Anche sull’interpretazione autentica è opportuna una precisazione.

L’interpretazione autentica di un regolamento ministeriale (atto normativo) è categoria giuridica che va affrontata rigorosamente. Non si può assolutamente fare con comunicati stampa, o con semplici lettere, o con documenti pubblicati su un sito internet: questa non sarebbe interpretazione autentica del D.M. 76/2012, non potrebbe mai esserlo giuridicamente, non vincolerebbe nessuno, alimenterebbe solo ulteriore confusione.

Invece, l’interpretazione autentica di un regolamento, come ha confermato una recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 9 del 4 maggio 2012), deve avvenire con un nuovo regolamento, da adottarsi seguendo lo stesso procedimento che è stato seguito in precedenza per l’adozione del regolamento da interpretare.

L’Adunanza Plenaria ha affermato che un regolamento può essere interpretato autenticamente solo da un nuovo regolamento, “in base al principio dell’identità formale del contrarius actus”, il che comporta la necessità di ripetere “lo stesso procedimento che già era stato adottato per l’atto su cui si andava ad incidere …  seguendo il medesimo procedimento già seguito in occasione dell’emanazione del primo” regolamento.

Quindi, il Ministero potrà fornire l’interpretazione autentica soltanto con un nuovo D.M. che ripeta il procedimento seguito per l’adozione del D.M. 76/2012. Ciò significa che dovranno essere nuovamente acquisiti dal MIUR i pareri del CUN, dell’ANVUR, del CEPR e, soprattutto, il parere del Consiglio di Stato (Sezione Consultiva per gli Atti Normativi), i quali furono acquisiti prima dell’adozione del D.M. 76/2012. Il nuovo D.M. di interpretazione autentica dovrebbe poi essere registrato alla Corte dei Conti e pubblicato in Gazzetta Ufficiale (come il D.M. 76).

A questo punto, dopo la mozione del CUN che ha chiesto al MIUR l’interpretazione autentica  del D.M. 76/2012 sul carattere prescrittivo o indicativo delle mediane, si sono levati nuovi richiami alla prudenza indirizzati al Ministero e all’ANVUR.

Si è detto: ad oggi non si sa neppure, con certezza, in assenza di un’interpretazione autentica, se le mediane siano sbarramenti inderogabili o derogabili per poter partecipare alla procedura. L’interpretazione autentica influisce su una regola fondamentale rilevante per la partecipazione e, dunque, deve intervenire prima che quest’ultima si svolga. Considerando i tempi necessari per ripetere il procedimento di interpretazione autentica (acquisizione dei pareri CUN, ANVUR, CEPR e soprattutto del parere del Consiglio di Stato), sarebbe prudente una sospensione temporanea della procedura di abilitazione per il periodo necessario a concludere il procedimento di interpretazione autentica.  In questo modo si potrebbe anche conoscere, nel frattempo, il responso del TAR Lazio sul ricorso AIC, per poter poi assumere decisioni responsabili, con cognizione di causa, sulla prosecuzione corretta della procedura di abilitazione.

Questo sempre per evitare il deragliamento del treno. Basti solo immaginare quale formidabile argomento fornirebbe, ai contenziosi giudiziari, un MIUR che non risponda alla richiesta formale di interpretazione autentica formulata, con apposita mozione, dal suo principale organo consultivo, eletto dalla comunità scientifica e rappresentativo di quest’ultima, ossia il CUN.

Anche questo secondo appello sembra essere caduto nel vuoto. E il treno ha proseguito ancora la sua corsa, sempre più vicino al punto di non ritorno.

3. La “confessione” dell’ANVUR

Siamo ad oggi. L’ANVUR, con una serie di documenti pubblicati in convulsa successione sul proprio sito tra il 14 e il 20 settembre (analiticamente commentati da ROARS) ha fatto, in sostanza, tre cose.

(1)  Ha messo nero su bianco una sorta di “confessione”.

Le mediane di agosto sono state calcolate male, per la fretta di doverlo fare.

Male sul piano metodologico, perché, a dire della stessa ANVUR, sono state elaborate: sulla base di dati di partenza (siti docente CINECA) non affidabili; con impostazioni statistiche contraddittorie, che si sono succedute nelle diverse “versioni” delle mediane; muovendo da interpretazioni perplesse del D.M. 76/2012, che la stessa ANVUR qualifica come dato normativo ambiguo e fonte di dubbi quando si tratta di applicarne il dettato; redigendo (per la terza mediana nei settori non bibliometrici) una lista di riviste di fascia A che la stessa ANVUR afferma (solo oggi) essere incompleta e bisognosa di rettifiche, in quanto non include alcune riviste di alto livello mentre ne include altre che forse dovrebbero essere riclassificate, etc.

Questo ha comportato l’adozione di mediane pubblicate e poi modificate; la pubblicazione di una lista originaria di riviste di fascia A che (incredibilmente) “resta invariata per il calcolo delle mediane”, alla quale seguirà però, in un preannunciato e prossimo futuro, una nuova lista di riviste di fascia A, diversa dalla precedente, che verrà utilizzata per la valutazione dei candidati da parte delle commissioni.

Un guazzabuglio.  Soprattutto, un “regalo” involontario di ANVUR  a tutti gli avvocati dei ricorrenti che, adesso o in futuro, impugneranno gli atti della procedura di abilitazione. I legali non dovranno più sforzarsi di dimostrare al giudice che le mediane ANVUR sono illegittime (eccesso di potere per illogicità, carenza istruttoria, erronea presupposizione in fatto, contraddittorietà, etc.) perché calcolate su dati incompleti e con metodi contraddittori. Questo sforzo è stato semplificato da ANVUR, che ha apertamente ammesso e scritto tutto ciò, peraltro addebitando (fra le righe) la maggior parte delle responsabilità al Ministero. Contro le intenzioni dell’Agenzia, essa stessa ha fornito un incentivo e spalancato la strada ai ricorsi.

(2) L’ANVUR ha poi preteso di fornire l’interpretazione del D.M. 76/2012, affermando che le mediane avrebbero carattere non prescrittivo, bensì indicativo, sicché le commissioni potranno a propria discrezione, caso per caso, decidere di attribuire l’abilitazione anche ai candidati che non superino le mediane. Sembra invece di capire che, per l’ANVUR, quelle stesse mediane si trasformino in prescrittive per la selezione degli aspiranti commissari. Mediane che condurrebbero una sorta di “doppia vita”, insomma: all’alba inderogabili, al tramonto derogabili.

È lecito chiedersi: che pensa il Ministro del fatto che l’ANVUR abbia ritenuto di poter rispondere, in sua vece, alla mozione di interpretazione autentica del CUN? È noto all’ANVUR che l’interpretazione autentica di un regolamento ministeriale deve essere fornita, giuridicamente, con nuovo regolamento che segua il medesimo procedimento del precedente, non già con un documento di ANVUR pubblicato sul sito di quest’ultima?

Preoccupa, soprattutto, il clima di confusione che si sta lasciando crescere, in una ridda di dubbi, ipotesi, timori, dichiarazioni.

E dovrebbe preoccupare anche un altro fatto. La Corte dei Conti vigila sul modo in cui le pubbliche amministrazioni spendono il denaro pubblico, soprattutto in questo tempo di crisi, sanzionando severamente scelte non oculate di utilizzo di risorse pubbliche. Che cosa significa affermare che le mediane, frutto di un processo di elaborazione durato mesi e non certo a costo zero per le casse dello Stato, sono oggi dequotate a criteri “indicativi” e derogabili dalle commissioni, che potranno anche non tenerne conto? Non significa forse che tutte le risorse, umane, strumentali, temporali, finanziarie, investite per calcolare quelle mediane, erano prive di un’adeguata giustificazione? E di questo non occorreva rendersi conto, con prudenza e diligenza, prima di iniziare quel percorso?

(3) L’ANVUR, da ultimo, ha pubblicato la Lista delle riviste da essa ritenute “scientifiche” per le diverse Aree della conoscenza.

È inutile ritornare ancora sull’improbabile e (se non fosse tragica) spiritosa serie di inclusioni in quella Lista.

Vi compare di tutto. La griffe ANVUR di scientificità ai fini accademici (come dire: “è rivista scientifica, perché lo garantisce l’ente pubblico italiano preposto per legge alla valutazione della ricerca universitaria”) è stata apposta a periodici che, nel resto dell’orbe terracqueo conosciuto, sarebbero considerati comuni quotidiani in edicola, siti di divulgazione politica o partitica, edificanti guide per la catechesi, ordinarie pubblicazioni informative di associazioni di categoria, riviste per amatori di barche, magazines di costume, riviste per il tempo libero, etc. Fino all’incorporazione della pur nobilissima suinicoltura (lungi da noi il criticarla, sia ben chiaro) nel vasto seno della cultura scientifica di livello universitario (qui, però, forse potrebbe aver giocato un qualche ruolo  un involontario scambio tra vocali).

Dal suolo italiano, evidentemente, nasce il germe di una rivoluzione culturale guidata da ANVUR, che potrebbe in futuro trasformare le coordinate della scientificità finora conosciute ed elaborate, facendo evolvere gli angusti confini di ciò che si riteneva “scienza” verso magnifiche sorti e progressive. Ferma l’evidenza di tutto ciò, ci sono alcuni aspetti, tuttavia, che potrebbero sfuggire all’attenzione e che è bene sottolineare con chiarezza.

L’ANVUR è giuridicamente un ente pubblico, istituito per legge, riconducibile alla responsabilità (indirizzo e vigilanza) dello Stato, attraverso il Ministero competente. Quando l’ANVUR “parla” con i propri atti è lo Stato italiano a “parlare”, agli occhi delle comunità scientifiche dei diversi Paesi del mondo.

Se l’ANVUR incorre in simili (come dire?) “infortuni”, all’estero il discredito ricade sullo Stato italiano, prima, e sulla comunità accademica italiana, poi. È facile pensare: se questo è l’ente pubblico valutatore, quale sarà il livello dei valutati?  Non solo. Proprio perché si tratta di un ente pubblico, gli atti dell’ANVUR sono giuridicamente qualificabili come atti amministrativi.

Quando l’ANVUR pubblica sul proprio sito documenti denominati “Liste”, “Comunicati”, “Chiarimenti” etc., bisogna aver chiaro che si tratta di atti amministrativi, che hanno un peso e una forza giuridica. Non possono essere pubblicati, poi ritirati, poi di nuovo rettificati, poi accompagnati da mille “però”, “se”, “avremmo voluto”, “secondo noi”.

Questo non sembra, francamente, il modo più corretto di amministrare la cosa pubblica.

Di più. Anche se a formare quelle Liste infarcite di paradossi, nella fase istruttoria, hanno contribuito soggetti dei quali l’ANVUR si è avvalsa, la legge assegna all’ente pubblico ANVUR, non già ai suoi consulenti o collaboratori, la piena titolarità della fase decisoria, perché l’atto amministrativo finale (la Lista pubblicata) è imputabile giuridicamente all’ANVUR e ad essa soltanto. Imputabile in termini di potere (l’ANVUR poteva stabilire di non pubblicarla in quella forma) e quindi di responsabilità (l’ANVUR risponde in  proprio per aver deciso di pubblicarla in quella forma).

Le Liste ANVUR delle riviste scientifiche preoccupano non solo per le numerose incomprensibili inclusioni, ma anche perché non hanno incluso, viceversa, alcune riviste sicuramente di carattere scientifico (internazionali, spesso in lingua inglese, dirette da professori di Università europee ed extra-europee, dotate di autorevoli comitati scientifici, che selezionano i contributi da pubblicare con peer review a doppio cieco, etc.).

I lettori di ROARS hanno già segnalato alcuni casi, e ce ne sarebbero altri ancora più inspiegabili. Solo per fare un esempio, abbiamo constatato che vi è una rivista internazionale ed interdisciplinare, affiliata a due università statunitensi, in lingua inglese, con double blind peer review, che integra i punti di vista della filosofia, delle scienze “dure” e del diritto, del cui Editorial Board fanno parte, tra gli altri, un Premio Nobel per la fisica (Leon M. Lederman), il Responsabile dello “Scientific Freedom, Responsibility and Law Program” (ora denominato “Scientific Responsibility, Human Rights and Law Program”) della American Association for the Advancement of Science (AAAS, che pubblica la rivista “Science”), insieme a professori universitari di diritto, di medicina, etc. La rivista è “The Journal of Philosophy, Science & Law” (ISSN 1549-8549), sito http://www6.miami.edu/ethics/jpsl/. Per l’ANVUR, questa rivista non sarebbe degna (ed infatti non compare nella Lista) del crisma della scientificità, della dignità scientifica minimale.

Ne sarebbero a pieno titolo meritevoli, invece, Libertiamo.it, La Vita CattolicaLeadership Medica, etc. Il problema che tutto ciò pone non è solo quello del carattere obiettivamente sconcertante di queste esclusioni.

Potrebbero esserci problemi ancor più gravi.

Riviste di questo tipo potrebbero subire un danno di immagine da uno Stato (l’Italia) che attraverso il suo ente pubblico (ANVUR) decida di non includerle nella Lista, con ciò, in sostanza, dichiarandole non scientifiche nel territorio italiano con la forza di un atto amministrativo (la Lista ANVUR). [1]

Si aprono potenziali scenari, sotto il profilo della responsabilità, che non possono essere ignorati. C’è da sperare che queste riviste non si accorgano di quanto sta accadendo in Italia. Sarebbe infatti un po’ difficile spiegare al Responsabile dello “Scientific Responsibility, Human Rights and Law Program” della American Association for the Advancement of Science che la scienza non potrebbe avanzare di un millimetro con gli articoli pubblicati sulla rivista di cui Egli fa parte, dato che non sarebbe neppure una rivista scientifica in base alla Lista ANVUR; o spiegare al vincitore del Premio Nobel che la sua presenza nell’Editorial Board non basta a garantire un minimum di scientificità della rivista.

[1] Dato che il D.M. 76 specifica che “l’ANVUR […] effettua una suddivisione delle riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani in tre classi di merito“, si potrebbe obiettare che l’esclusione dalle liste possa derivare dal fatto che non vi hanno pubblicato studiosi italiani. A tale proposito, va notato che nella sua Delibera 50/2012, l’ANVUR ha interpretato il D.M. in senso persino più riduttivo: “Allo scopo di pervenire alla suddivisione, il CINECA consegna all’ANVUR la lista ufficiale delle riviste presenti nel sito docente di tutti i docenti attivi alla data del decreto abilitazione.“, cosicché l’incompleto popolamento dei siti docente potrebber avere ulteriormente impoverito la lista delle riviste scientifiche. Ai fini dei parametri ministeriali, sembra che un candidato straniero (o italiano non strutturato nell’università) non possa vedere comunque riconosciuta la scientificità di lavori apparsi su riviste su cui gli studiosi universitari italiani non hanno mai pubblicato. Inutile dire che questa giustificazione puramente burocratica del mancato riconoscimento di scientificità risulterebbe assai poco soddisfacente, oltre che per i candidati, anche per le case editrici delle riviste escluse.

4. Ultima fermata prima del disastro

Ultimo aspetto, ma forse il più rilevante in questo momento. L’ANVUR, come è noto, ha pubblicato gli elenchi degli aspiranti commissari per ogni Settore Concorsuale. Da quegli elenchi si attingerà per il sorteggio e per la nomina delle Commissioni. Tuttavia, per poter presentare la domanda di inserimento in quegli elenchi, gli aspiranti commissari dovevano superare le mediane ANVUR. Molti commissari che non superavano le mediane si sono perciò astenuti dal presentare domanda e per questo motivo non compaiono negli elenchi.

Oggi, però, è ormai chiaro che le mediane ANVUR sono illegittime, anche perché basate su Liste di riviste scientifiche a dir poco “bizzarre” (o imbizzarrite), quelle che abbiamo conosciuto in questi giorni. Le mediane delle pubblicazioni scientifiche, infatti, cambiano a seconda di quali pubblicazioni (e dunque di quali riviste) siano qualificabili come scientifiche o non scientifiche. Perciò, se le Liste delle riviste scientifiche sono da rifare, tutti gli elenchi dei commissari sono da rifare. Non sarebbe possibile andare avanti se non ripetendo, dall’inizio, il bando per la selezione degli aspiranti commissari: ma sulla base di quali mediane, se quelle di agosto sono illegittime? Sulla base di quali Liste di riviste scientifiche, se quelle di settembre sono (per usare un eufemismo) errate?

Non c’è più tempo per soluzioni di fortuna in grado di “rattoppare”, a trenta secondi dalla fine, le lacerazioni ormai insanabili nell’intera architettura del D.M. 76. Non scongiurerà  i contenziosi, a questo punto, neppure un’interpretazione autentica del D.M. 76 che (in ipotesi) dichiari le mediane “indicative” per i candidati, ossia derogabili caso per caso dalle commissioni.

Lasciamo un attimo da parte l’arbitrio che si assegnerebbe a ciascuna commissione e le disparità di trattamento tra i candidati da settore a settore della stessa Area (“Deroga sì o deroga no? Dipenderà dalla gentile disposizione d’animo dei commissari del tuo settore, audace candidato: perciò spera, se sei sotto le mediane, che ti tocchi in sorte la commissione magnanima incline alla deroga, anziché quella più severamente intransigente che sia contraria alla deroga”).

Lasciamo ancora da parte lo spreco di denaro pubblico investito per elaborare mediane applicabili “forse che sì forse che no”, derogabilmente ed indicativamente mobili quali “piume al vento”.  Al punto in cui ormai siamo dopo gli ultimi atti dell’ANVUR, un’interpretazione autentica di questo tipo non risolverebbe comunque il problema dei ricorsi, perché ormai quelle stesse mediane (illegittime) hanno già operato come mediane prescrittive per la formazione degli elenchi degli aspiranti commissari: gli elenchi dai quali, con il sorteggio, si formeranno le commissioni per valutare i candidati. A mediane illegittime utilizzate per selezionare gli aspiranti commissari corrisponderanno commissioni illegittime, aggredibili dai ricorsi di tutti coloro che intenderanno contestare i giudizi di commissioni, appunto, illegittime per la loro genesi.

Da qui l’appello che rivolgiamo al Ministro:

Le abilitazioni possono ancora essere salvate,
prima che sia troppo tardi.

Per prima cosa, occorre frenare la corsa verso il baratro: è necessario arrestare temporaneamente la procedura, rispetto sia al sorteggio dei commissari che alla presentazione delle domande dei candidati, attraverso un provvedimento di sospensione di entrambi i bandi (lo consente l’art. 21-quater della legge sul procedimento amministrativo, purché si fissi un termine alla sospensione).

Sfruttando il periodo di sospensione temporanea, occorre avviare un’immediata riflessione su come modificare o sostituire il D.M. 76/2012 con un nuovo regolamento. La strada migliore, che metterebbe il nostro Paese su un percorso di autentica innovazione,  potrebbe essere quella di lanciare una consultazione pubblica on line su una proposta di criteri rigorosi di accesso all’abilitazione, non più basati su mediane instabili, ma su cifre e definizioni precise, determinate, condivise con ANVUR, CUN e soprattutto con la comunità scientifica “dal basso”, la quale potrà partecipare alla consultazione on line inviando le proprie osservazioni sulla proposta.

Definito lo schema del nuovo D.M. dopo la consultazione pubblica, si potrebbe decidere di abrogare il precedente D.M. 76/2012 o almeno di sostituirlo nelle parti relative alle mediane (questo potrebbe far venir meno i contenziosi volti all’annullamento del D.M. 76 rispetto alle mediane).

A questo punto, pubblicato il nuovo regolamento, si potrebbero pubblicare nuovi e conseguenti bandi, sostitutivi dei precedenti, che diano avvio a una procedura di abilitazione sana, corretta, saldamente fondata.

Se questo processo si avvierà subito, i nuovi bandi potrebbero vedere la luce nel giro di alcuni mesi.

L’alternativa è quella dell’altissimo rischio di un “disastro ferroviario colposo”.

Di una pioggia di ricorsi da parte di chi, non avendo ottenuto l’abilitazione, impugni in toto la procedura dimostrando l’illegittimità delle mediane (grazie alle “confessioni” di ANVUR), l’illegittimità in via derivata del procedimento di selezione degli aspiranti commissari che è stato determinato dall’applicazione di quelle mediane e, a cascata, l’illegittimità in via derivata del sorteggio, della nomina dei commissari sorteggiati, fino ai giudizi di merito espressi da commissioni illegittimamente formate.

Questo perché, come si è già sottolineato, se si dimostra al giudice amministrativo che una commissione è stata formata con procedure viziate da illegittimità, allora qualsiasi giudizio di quella commissione risulta inficiato da illegittimità per derivazione, sotto il profilo formale e procedurale, indipendentemente dalle motivazioni e dai contenuti del giudizio di merito espresso da quei commissari su ciascun candidato.

Senza poter escludere, poi, eventuali profili di responsabilità di competenza della Corte dei Conti. Far naufragare la procedura andando dritti verso il muro dei contenziosi giurisdizionali (nei diversi gradi di giudizio che questi ultimi comporteranno) significherebbe anche mettere a rischio i pochi fondi finora destinati al reclutamento, paralizzandone l’utilizzo sino alla fine di quei contenziosi, dopo anni, quando ormai quei denari, forse, non ci saranno più.

Nel caso dei drama-thriller sui disastri ferroviari, le responsabilità giuridiche ricadono sempre su coloro che abbiano lasciato proseguire la corsa del treno senza curarsi dei segnali, dei richiami, degli allarmi e, soprattutto, degli incolpevoli passeggeri a bordo.

Nella realtà, siamo ancora in tempo.

Cooperiamo tutti per uscirne insieme, senza arroccamenti, pregiudizi, alterigia, caparbietà, timore. Sarebbe una prova autentica della volontà (che il Ministro ha più volte ribadito) di dare all’Università il cambiamento radicale promesso.

 

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  1. Il ruolo della Università dovrebbe essere anche quello di poter fornire indicazioni, suggerimenti e critiche alle scelte imposte dall’alto. Negli anni recenti caratterizzati dalla crisi economica e dalla miriade di riordinamenti universitari ad opera di tutti coloro che si sono succeduti nelle varie forme di governo, anch’esse altrettanto numerose, pochi sono stati gli interventi di chi, appartenente al mondo accademico e quindi esperto, ad esempio, di economia, scienze sociali, abbia espresso critica per alcune scelte che stavano per essere attuate e che, una volta “decretate” si sono poi mostrate talmente inefficaci da richiedere una serie costante di manovre correttive. Occorre anche dire che quando queste critiche sono state espresse ben poco è stato effettivamente valutato come degno di attenzione e considerazione. Un esempio che è ormai un “assioma” ; “…la mancanza di sicurezza e di continuità del lavoro è in grado di generare ansia e depressione in chi non ne può usufruire”. Se ne è tenuto conto? L’aumento di ansiolitici e antidepressivi e crisi familiari hanno subito un costante aumento in questo periodo di crisi e in conseguenza delle scelte operate a favore di varie “revisioni della spesa” o “spending review” (che come ormai da tempo accade se tutto è espresso in anglosassone è più ben accetto). Altro assioma; “..la visione di spettacoli violenti da parte dei soggetti in età evolutiva può attivare comportamenti aggressivi”. Se ne è tenuto conto? La maggior parte delle reti televisive e purtroppo anche quelle nazionali, hanno trasmesso e trasmettono in continuità films e telefilmetti di bassa lega, in cui non esistono altro che crimini, balordi serial killer rappresentati come eroi, streghe più o meno seducenti e violente, mostri, rapine, odissee criminali con divinità improponibili per chi appartiene ad una cultura greco-romana, e cose come queste, di provenienza e realizzazione spesso nemmeno europea (che, anche se il prodotto è alquanto scadente, almeno ne promuoverebbe l’economia),forse acquistati per pochi euro, fatti rivedere talmente spesso che anche i gatti e cani di casa ormai li conoscono a memoria. Non parliamo di bambini che si esibiscono quali mostri di imitazione canora cantando canzoni dal contenuto quasi osè e agitandosi come adulti in preda a convulsione erotica. Adesso diranno che non ci sono più tali spettacoli ma il danno comunque c’è stato. Diranno, sempre i soliti, che occorre dare alle masse ciò che esse chiedono. Ma chi lo ha detto? Ah, dimenticavo, l’ha detto l’economia di mercato. Non si può più dire che manchino i dati scientifici a conferma dell’effetto di certe scelte operate in ambito sociale (vedi il doloroso problema degli “esodati”). Diranno, sempre i soliti, che gli universitari, ora “tecnici”, sono stati chiamati a risanare l’economia. Attenzione bene; un universitario, qualunque ruolo eserciti non è mai l’Università.
    Il corpo universitario, docenti, ricercatori, dottorandi sembra oggi principalmente impegnato (o costretto?) a impegnarsi per “mettere insieme i punti”, calcolare mediane, collegarsi a Scopus per verificare il numero di citazioni ottenute dal tale articolo, scrivere e-mail per “copyright” alle case editrici, allegare, scegliere con precisione galenica quali pubblicazioni inserire e quali scartare per la valutazione. Ore ed ore dedicate alla compilazione certosina del mosaico curriculare. In caso di valutazione negativa si assiste anche al fenomeno della fuga dagli interessi personali di ricerca per buttarsi, è il caso di dirlo, solo in attività e ambiti di ricerca alla “moda” e più remunerativi in termini di punteggio anche se forse poco interessanti per chi poi deve dedicarsi ad essi. Le sole critiche che si odono sono solo quelle, ma notiamo bene, molto sottovoce, che la maggior parte in un attimo di coscienza riconquistata, esprime nei corridoi. Ma la coscienza dura poco; la “meritocrazia” quale spettro dai denti aguzzi è dietro la porta e l’ansia di fare punti riprende il sopravvento. Va bene valutare il merito e fare di tutto per essere “migliori” ma evitare la “nevrosi meritocratica” dovrebbe essere l’imperativo per ciascuno. C’è anche molta delusione e rassegnazione e questa non l’anima e l’azione che dovrebbe esternare ed esercitare l’Università. L’Università non è un pianeta a se ne è una torre d’avorio; si prega vivamente di ascoltarla, di consultarla. Se non la si percepisce come entità presente essa stessa dubiterà della propria esistenza.

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