«La lunga fase dell’austherity [sic] anticrisi ha ridotto del 16% i docenti mentre gli iscritti agli atenei sono aumentati dell’8,6%, anche grazie alla ripresina degli ultimi due anni. […] E nello stesso periodo gli atenei del Centro-Nord, che hanno visto crescere dell’11,6% gli iscritti, hanno subìto la stessa perdita di professori che si è registrata al Sud, dove gli studenti sono calati del 2 per cento.» A scriverlo è Gianni Trovati in un articolo sul Sole 24 Ore. Il messaggio? Sono tempi duri per tutti, ma se, ciò nonostante, l’Università è più accessibile vuol dire che non è successo nulla di drammatico. Semplicemente, “buona parte degli atenei italiani ha ridotto alcuni squilibri e il sistema universitario è stato ricondotto su un sentiero di sostenibilità economica“, come scriveva il Sole tre anni fa. Peccato, però, che quelli del Sole siano dei fake numbers. Basta consultare l’ultimo Rapporto biennale Anvur per verificare che non c’è stato nessun aumento delle iscrizioni: in concomitanza con i tagli al sistema universitario e l’aumento delle tasse di iscrizione, c’è stato un saldo negativo degli iscritti pari al -9,4% nel periodo 2006-2015. Al Sud il calo non è stato un modesto -2%, ma un impressionante -18,7%. Edulcorare la realtà addomesticando, se necessario, persino i numeri: da un anno a questa parte, non ci sono molti altri modi per fronteggiare l’ingombrante convitato di pietra che ha preso posto nel dibattito sullo stato e il futuro dell’università, ovvero …
1. Diagnosi e ricette basate sui numeri. Veri o falsi?
Il 28 luglio 2017, il Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo di Gianni Trovati sulla futura ondata di pensionamenti di professori ordinari:
Università, in pensione il 20% degli ordinari. Tutti i numeri per ateneo e per area di studio
Che l’età media dei docenti italiani sia elevata è cosa nota. L’ultimo Rapporto Anvur sullo stato dell’università e della ricerca constata il continuo innalzamento dell’età media e lo collega anche al calo di assunzioni e all’innalzamento dell’età media di ingresso (che ne consegue):
negli ultimi ventisette anni, il processo di innalzamento dell’età media è stato continuo […]
Emerge in maniera evidente lo spostamento del profilo della curva del 2015 verso fasce di età più elevate per via del calo di nuove assunzioni degli ultimi anni e dell’innalzamento dell’età media in ingresso,
Ebbene, l’ondata di pensionamenti viene dipinta dal Sole 24 Ore come “un’occasione per ridisegnare l’architettura accademica”:
I numeri dei censimenti ministeriali parlano di un esodo in pieno corso, destinato ad aprire spazi enormi negli organici. Il tutto accade mentre, dopo anni di dieta forzata, il turn over tornerà al 100% dal 2018, quando il sistema universitario potrà dedicare a promozioni e nuove assunzioni tutti i risparmi prodotti dalle uscite. Un’occasione per ridisegnare l’architettura accademica: verrà sfruttata?
Per spiegare ai lettori cosa sia successo e cosa sia prioritario, ecco che vengono forniti alcuni numeri (i grassetti sono nostri):
La lunga fase dell’austherity [sic] anticrisi ha ridotto del 16% i docenti mentre gli iscritti agli atenei sono aumentati dell’8,6%, anche grazie alla ripresina degli ultimi due anni.
[…]
E nello stesso periodo gli atenei del Centro-Nord, che hanno visto crescere dell’11,6% gli iscritti, hanno subìto la stessa perdita di professori che si è registrata al Sud, dove gli studenti sono calati del 2 per cento.
A quali anni fa riferimento Gianni Trovati? “Docenti e studenti negli ultimi dieci anni” sta scritto in cima al grafico pubblicato sull’edizione cartacea del Sole.
Nemmeno troppo tra le righe, si leggono una diagnosi e una cura.
Diagnosi: c’è stato un periodo di vacche magre con una drastica riduzione del corpo docente (-16%), ma questo non ha impedito un allargamento dell’accesso alla formazione universitaria (iscritti +8,6%) soprattutto al Centro-Nord (+11,6%), mentre solo al Sud c’è stato un (modesto) calo di iscritti (-2%). A fronte di questa dinamica molto differenziata, il Sud è stato “privilegiato” perché ha subito la stessa perdita di docenti del Centro-Nord che doveva invece fare fronte all’incremento degli iscritti.
Ricetta: Adesso che si apriranno spazi enormi negli organici, bisognerà travasare organico dal Sud al Centro-Nord.
Per trovare conferma che è il confronto Centro-Nord contro Sud il nodo su cui si vuole attirare l’attenzione del lettore, basta esaminare l’impaginazione della versione cartacea dell’articolo. In fondo alla pagina, un grande “-2” in rosso affianca un trafiletto che richiama +11,6% del Centro-Nord contro -2% del Sud.
Oltre che le aree geografiche. l’articolo mette a confronto anche quattro aree disciplinari:
- Sanitaria
- Scientifica
- Sociale
- Umanistica
Di nuovo vengono sottolineati presunti squilibri (i grassetti sono nostri):
Ma è nelle singole aree di studio che si incontrano le contraddizioni più evidenti. Quella che le etichette ministeriali definiscono «area sociale», e che in pratica comprende Economia, Giurisprudenza e Scienze politiche, è l’unica a non guadagnare iscritti rispetto a dieci anni fa, ma è anche quella che subisce l’emorragia più contenuta di docenti (-4,6%): la forbice fra la robustezza del corpo docente e la platea degli studenti si allarga invece nell’area medica, che paga anche un certo gigantismo del passato, e in quella scientifica, che si è alleggerita di un docente su sei mentre gli studenti sono aumentati del 18,6 per cento.
Di nuovo, si possono leggere in controluce una diagnosi e una ricetta.
Diagnosi: L’area sociale, che è l’unica a rimanere ferma (+0%), è quella dove calano meno i docenti (-4,6%). Lo squilibrio più forte tra crescita degli studenti e calo dei docenti è nell’area medica (ma prima avevano esagerato). È stata penalizzata l’area scientifica: iscritti +18,6%, docenti -15,6%.
Ricetta: Adesso che si apriranno spazi enormi negli organici, bisognerà dare la priorità al reclutamento dell’area scientifica. In subordine a quella medica. Quella sociale può aspettare. Quella umanistica non ci interessa e non ne parliamo nemmeno.
Anche questo confronto viene sottolineato attraverso un grafico di sintesi dal titolo eloquente: “Andamenti scorrelati”.
Diagnosi e ricette potranno piacere o non piacere, ma almeno sono basate sui numeri, come sarà a questo punto persuaso il lettore. Ci sono i numeri. C’è la forza dei numeri.
Eppure, in questi numeri qualcosa non torna. A partire dal 2008, l’università italiana ha subito un ridimensionamento senza precedenti. Una sforbiciata che si è portata via circa il 20% del Fondo di finanziamento ordinario, dei docenti di ruolo e anche delle immatricolazioni. Nel 2013 a lanciare l’allarme era stato lo stesso Consiglio Universitario Nazionale con un dettagliato documento intitolato “Le emergenze del sistema“. Ne avevano dato notizia tutti i mezzi di informazione. Il Sole 24 Ore aveva intitolato: “Crollo di iscritti negli atenei – Matricole in calo del 17% rispetto a 10 anni fa – Pesa il taglio ai fondi“.
Come è possibile che, a fronte di un crollo delle immatricolazioni durato alcuni anni, la “ripresina” (così la definisce il Sole) degli ultimi due anni faccia risalire il saldo decennale delle iscrizioni ad un +8,6% nazionale?
Non sarebbe la prima volta che il Sole 24 Ore si dimostra scarsamente affidabile in tema di università e ricerca. Con una imbarazzante attitudine a dare (letteralmente) i numeri. Ecco alcuni esempi, quasi sempre riconducibili alla mano di Gianni Trovati:
- sviste nelle classifiche
- uso di occhiali dalle lenti rosa
- anticipazioni inverosimili sotto dettatura ministeriale
- classifiche confezionate su misura per l’università di Confindustria
- classifiche corrette in corso d’opera
- proteste oscurate per compiacere ANVUR
- classifiche stile slot-machine.
Alla luce di tutto questo, ci sono buone ragioni per sottoporre l’articolo di Gianni Trovati (già candidato all’Ign-ASN, l’Ig-Nobel dell’ASN) ad un attento esercizio di fact checking.
Ebbene, quanto sono attendibili i numeri che riporta il Sole?
2. La variazione del numero dei professori
Sebbene non sia il dato che desta maggiore perplessità, cominciamo a controllare il dato sulla variazione del numero dei docenti. A tale scopo, prenderemo a riferimento quanto riportato nel più recente Rapporto Anvur sullo stato dell’università e della ricerca, pubblicato nel 2016. Le variazioni del numero dei docenti, disaggregate per ripartizione geografica, sono riportate nella Tabella I.2.3.11.
L’Anvur non riporta il confronto tra 2015 e 2008 ma lo spezza in due confronti parziali:
- 2010 contro 2008
- 2015 contro 2010.
In questo modo, il crollo del totale dei docenti viene parzialmente mascherato: tranne che per il Centro (-10,6% dal 2010 al 2015), nei due confronti parziali non si evidenziano quei cali percentuali a due cifre che balzerebbero all’occhio confrontando il 2008 direttamente con il 2015. Per i Professori Ordinari, nemmeno questo espediente riesce a mascherare il crollo: i cali sono tutti a due cifre in entrambi i periodi.
Nel rapporto Anvur si ragiona sul numero dei docenti mentre il Sole 24 Ore esamina i cosiddetti punti organico:
- Professore Ordinario (PO) = 1 punto
- Professore Associato (PA) = 0,7 punti
- Ricercatore (RU e RUTD) = 0,5 punti
Aggiungiamo, pertanto, il conteggio dei punti organico alla Tabella I.2.3.11 e confrontiamo il 2015 direttamente con il 2008. Visto che il Sole utilizza il Centro-Nord come ripartizione geografica, nella nuova tabella è stata aggiunta una prima riga che aggrega i dati del Nord e del Centro.
Ecco cosa ci dice il Rapporto Anvur sul calo dei docenti, misurato attraverso i punti organico.
Punti organico: variazione 2008-2015
- Centro Nord: -13,9%
- Mezzogiorno: -16,6%
Il dato nazionale (-14,7%) sarebbe ancora peggiore se tra i docenti 2015 Anvur non contasse i ricercatori a tempo determinato di tipo A, che, a tutti gli effetti, sono personale precario, senza alcuna garanzia di entrata in ruolo.
Prima di proseguire, vale la pena di soffermarsi sul commento a pagina 373 del rapporto Anvur:
Se si considera il numero dei docenti rispetto a quello degli iscritti, in particolare, rispetto al sottoinsieme degli iscritti regolari (definizione alla base del calcolo del costo standard), gli andamenti descritti appaiono in modo più evidente: – gli atenei del Mezzogiorno hanno tendenzialmente meno docenti a disposizione rispetto agli studenti regolari, ma è in atto un processo di convergenza facilitato dal calo degli studenti;
Traduzione. Al Sud avranno anche meno docenti per studenti, ma non è un problema. È in atto un processo di convergenza facilitato dal fatto che tra i giovani meridionali [vedi grafico sotto] la percentuale di immatricolati su maturi, dopo aver dato qualche timido segno di salita, a partire dal 2011 si è assestata sotto il 50%, seguendo – ma peggiorato – un trend nazionale di decrescita. A chi nasce al Sud vengono date meno opportunità di andare all’università ed è giusto che le risorse di docenza si adeguino a questa disuguaglianza di diritti.
Ma torniamo ai numeri del Sole 24 Ore. Anche se le finestre temporali non coincidono, il calo nazionale dei docenti dal 2008 al 2015 (-14,7%) non differisce molto da quello riportato dal Sole (-16%). Tuttavia, dal 2008 al 2015 non si può dire che gli atenei del Centro-Nord (-13,9%) “hanno subìto la stessa perdita di professori che si è registrata al Sud” (-16,6%).
Tuttavia, mentre i dati del Rapporto Anvur fanno riferimento al periodo 2008-2015, il Sole fa riferimento al periodo 2006-2016. È pure verificabile che quelli tra il 2006 e il 2008 sono stati gli ultimi anni di (relativa) espansione della docenza di ruolo, non necessariamente omogenea su tutto il territorio. Non possiamo pertanto dire una parola conclusiva su questo primo passaggio del nostro fact checking.
Vale comunque la pena di notare che la scelta del Sole di analizzare le variazioni su una finestra decennale non è particolarmente felice. Dato che le politiche di austerità entrano in azione dal 2008, ci si trova a ragionare su variazioni (di docenti e di iscritti) di non facile interpretazione perché combinano gli ultimi anni di crescita con i successivi anni di decrescita. Decisamente più opportuna la scelta fatta dall’Anvur di tenere il 2008 come punto di riferimento.
2. La variazione del numero degli iscritti per area geografica
Nel Rapporto triennale Anvur sullo stato dell’Università e della ricerca, il confronto tra iscritti 2015 e 2006 è fornito nella Tabella I.1.4.23.
Come si vede, dal 2006 al 2015 c’è stato un calo pari al -9,4% nazionale. Una sforbiciata difficilmente conciliabile con il +8,6% nazionale riportato dal Sole 24 Ore in relazione all’ultimo decennio
Ci sia consentita una seconda digressione per segnalare il commento che nel rapporto Anvur segue la tabella:
Il calo delle iscrizioni ha interessato prevalentemente il Mezzogiorno, dove tuttavia il numero degli iscritti aveva registrato l’incremento più elevato nella fase di ascesa
Traduzione. È vero che c’è stato un crollo delle iscrizioni nel Mezzogiorno, ma in precedenza avevano alzato un po’ troppo la testa (“l’incremento più elevato”). Il calo non è così grave: sono solo tornati al loro livello fisiologico di sottosviluppo.
Un’interpretazione esagerata? Può darsi, ma sempre a proposito del Meridione sarà bene ricordare quello che aveva dichiarato in pubblico Daniele Checchi, componente del consiglio direttivo dell’Agenzia:
visto che non può uccidere i docenti inattivi che sono presenti nelle università del Sud e rimpiazzarli con docenti nuovi freschi […] uno può anche dire: “al Sud basta facoltà di Giurisprudenza” con rispetto ai colleghi eventualmente presenti che siano laureati in Giurisprudenza in università del Sud. Perché è un input produttivo che non serve, non serve a quella regione lì. E quindi uno dice: “chiudo dei corsi, li chiudo d’autorità, sposto il personale da altre parti perché invece voglio promuovere degli altri corsi”
Sulla sua slide, la “cura” per il Sud contemplava anche “più beni culturali e meno Medicina”. Viene quasi da pensare che, “visto che non può uccidere i docenti inattivi”, puoi almeno smettere di curarli quando si ammalano.
Torniamo però al confronto dei numeri del Sole con quelli del Rapporto Anvur. La Tabella I.1.4.23 smentisce il Sole non solo sul dato nazionale, ma anche sui dati disaggregati per area geografica
Variazione 2006-2015 studenti iscritti
Centro Nord:
- secondo Sole24Ore (ultimi 10 anni): +11,6%
- secondo ANVUR (2006-2015): -3,9%
Meridione:
- secondo Sole24Ore (ultimi 10 anni): -2%
- secondo ANVUR (2006-2015): -18,7% (-15,8% se si escludono le Isole)
Le differenze sono talmente macroscopiche che non si può imputare la differenza al fatto che il Rapporto Anvur non includa l’anno 2015/2016.
3. La variazione del numero degli iscritti per area di studio
L’andamento del numero di iscritti disaggregati per tipologia di studi è riportato nella Tabella I.1.4.27 del Rapporto Anvur.
Il Sole 24 Ore fa però riferimento a sole quattro aree:
- AREA SANITARIA
- AREA UMANISTICA
- AREA SCIENTIFICA (E TECNOLOGICA)
- AREA SOCIALE
Procediamo pertanto ad una rielaborazione della Tabella I.1.4.27. Per la conversione, facciamo riferimento al sito MIUR “Studiare in Italia” che riporta gli ambiti disciplinari di ciascuna delle quattro aree. Non potendo disaggregare veterinaria da agraria e farmacia da chimica, esse sono state incluse nell’area scientifica invece che in quella sanitaria. Il risultato della conversione è riportato nella seguente tabella.
Riportiamo per comodità anche la tabella del Sole 24 Ore.
Di nuovo i conti non tornano.
Variazione studenti iscritti
Area sanitaria:
- secondo Sole24Ore (ultimi 10 anni): +25,3%
- secondo ANVUR (2005-2015): +22,7%
Area scientifica (e tecnologica):
- secondo Sole24Ore (ultimi 10 anni): +18,1%
- secondo ANVUR (2005-2015): -1,6%
Area sociale:
- secondo Sole24Ore (ultimi 10 anni): 0%
- secondo ANVUR (2005-2015): -18%
Area umanistica
- secondo Sole24Ore (ultimi 10 anni): +1,2%
- secondo ANVUR (2006-2015): -15,5%
Totale:
- secondo Sole24Ore (ultimi 10 anni): +8,6%
- secondo ANVUR (2006-2015): -9,4%
A parte l’area sanitaria dove c’è una sostanziale concordanza su una crescita ampiamente superiore al 20%, tutte le altre percentuali del Sole 24 Ore sono radicalmente smentite dal Rapporto Anvur. Nelle altre tre aree, la discrepanza è superiore a 16 punti percentuali.
3. Fake news e convitato di pietra
A costo di turarsi il naso di fronte ai commenti ideologici e a qualche espediente contabile (spezzare 2008-2015 in due periodi, contare i precari come personale di ruolo), consultare il Rapporto Anvur si è rivelato utile ai fini del fact cheking. Troppi numeri non tornano. Evidentemente, ciò che stava a cuore al Sole non era tanto la precisione dei dati riportati, quanto usare dei numeri (giusti o sbagliati che fossero) per puntellare una visione ideologica.
Ecco, in estrema sintesi, un confronto tra la narrazione suggerita dai fake numbers del Sole e la realtà delle cose.
Sole 24 Ore. La lunga fase dell’austerity anticrisi ha ridotto del 16% i docenti mentre gli iscritti agli atenei sono aumentati dell’8,6%. Sono tempi duri per tutti, ma se, ciò nonostante, l’Università è più accessibile vuol dire che non è successo nulla di drammatico. Semplicemente, “buona parte degli atenei italiani ha ridotto alcuni squilibri e il sistema universitario è stato ricondotto su un sentiero di sostenibilità economica” (Sole 24 Ore, 26.08.2014).
Realtà. In concomitanza con i tagli al sistema universitario e l’aumento delle tasse di iscrizione si è registrato un saldo negativo degli iscritti pari al -9,4% nel periodo 2006-2015. Una contrazione in controtendenza rispetto al panorama internazionale, tanto che nel 2015 l’Italia, dopo essere stata superata da Cile e Turchia, è scivolata all’ultimo posto nell’OCSE come percentuale di laureati nella fascia di età 25-34 anni.
Non è certo la prima volta che il dibattito sull’università si basa su numeri di fantasia. A preparare il terreno ai tagli e alla riforma del 2010 furono anni di fake news diffuse da tutte le tribune, incluse le prime pagine di quotidiani nazionali. Un martellamento senza tregua. Dedicarsi al loro debunking è come infliggersi un supplizio di Sisifo o tentare di uccidere l’Idra di Lerna, animale mostruoso a cui ricrescevano due teste ogni volta che gliene mozzavi una. Chi ne dubitasse, può dedicarsi alla lettura dei nostri post catalogati come Bufala del giorno oppure scorrere il campionario Università: miti, leggende e realtà – Collector’s edition!.
Da un anno a questa parte, però, il dibattito sull’università deve fare i conti con un convitato di pietra. L’anno scorso è stato pubblicato il volume “Università in declino” (Donzelli 2016) (qui la nostra recensione), un’indagine coordinata da Gianfranco Viesti che scatta una fotografia dettagliata degli effetti delle riforme e degli interventi degli ultimi anni, spesso varati sull’onda di quei numeri e di quelle notizie fasulle di cui dicevamo.
“Compressione selettiva e cumulativa” è l’espressione usata da Viesti per sintetizzare un ridimensionamento dell’istruzione superiore che non ha precedenti nella storia dello stato italiano. Selettiva perché asimmetrica a danno del Centro-Sud e cumulativa per l’effetto di “reazione a catena” con cui i tagli indeboliscono le realtà più fragili legittimandone ulteriori definanziamenti:
negli ultimi anni sulle università italiane si è abbattuto un vero e proprio tornado. A partire dal 2008 si è avuto un taglio di finanziamenti senza pari. Un insieme di disposizioni ha ridotto in breve tempo l’istruzione superiore italiana – già molto più piccola rispetto agli altri paesi europei – di circa un quinto, in termini di studenti, docenti, corsi di studio. Ma c’è di peggio: questi tagli sono stati fortemente asimmetrici territorialmente – a causa di scelte discrezionali assolutamente discutibili – e hanno colpito in particolare le università del Centro-Sud; hanno poi innescato un meccanismo a catena, che non tende a fermarsi. Non si esagera dicendo che per vedere una università del Mezzogiorno chiudere (o quantomeno ridimensionarsi drasticamente) non è necessario che attendere.
G. Viesti, “L’ultimo schiaffo agli atenei del Sud“, Il Mattino, 26.7.2016
Attenzione: non parliamo di cosette. Il taglio dell’università italiana non ha paragoni nel tempo e nel mondo. Un taglio del 20% non ha paragoni in nessuna parte del mondo. Neanche in Spagna e in Finlandia, dove hanno enormi problemi. Né paragoni con la storia dell’Italia. Il fatto che questo 20% sia diventato un terzo nel Mezzogiorno significa che l’Università del Mezzogiorno, negli ultimi anni, è diventata e-n-o-r-m-e-m-e-n-t-e più debole, in base a criteri assolutamente discutibili.
G. Viesti, intervento al Forum al Mattino per una nuova primavera dell’Università, 16.3.2016
Questo convitato di pietra chiama alle loro responsabilità gli ispiratori e gli esecutori delle politiche recenti. Come replicare alla messe di dati squadernati da Viesti e dai suoi collaboratori? I lettori che sono arrivati a questo punto hanno visto all’opera quelle che sono le due principali strategie, l’occultamento dei fatti (coadiuvato dall’impiego mediatico di dati fasulli) e la retorica della colpa collettiva, in nome della quale una parte di accademia, se non di paese, merita collettivamente di essere abbandonata alla deriva.
La seconda opzione sembra essere quella prediletta dall’Anvur, se si presta fede alle parole del consigliere Daniele Checchi. Le università del Sud hanno subito una punizione così dura? Beh, se lo sono meritato, dato che “il Sud si è suicidato, non è stato ucciso”. Una frase pronunciata da Cecchi nel corso della discussione pubblica del volume Università in declino tenutasi l’anno scorso presso la Casa della cultura. Quel dibattito, a cui partecipavano tra gli altri anche Viesti e Checchi, rappresenta una testimonianza fondamentale per comprendere lo sfondo ideologico entro cui è maturata la compressione selettiva e cumulativa (per chi fosse interessato, Roars ne aveva pubblicato un’estesa trascrizione).
Per quanto riguarda l’occultamento dei fatti, basterà riportare quanto scrivevamo a commento di un articolo del Sole 24 Ore pubblicato tre anni fa
Ebbene, negli ultimi anni, il Sole 24 Ore ha promosso e sostenuto quegli interventi legislativi che hanno prodotto gli effetti devastanti di cui anche l’ANVUR ha dovuto prendere atto nel suo rapporto. Dare conto dei risultati obbligherebbe a porsi delle domande imbarazzanti sulla bontà delle diagnosi e delle ricette recenti.
P.S. Annotiamo, in chiusura, la recente ripresa del dibattito sui destini dell’Università ospitato sulle pagine del quotidiano di Confindustria, in un momento nel quale le forze politiche si apprestano a definire le proprie agende in vista della competizione elettorale ormai all’orizzonte. Un dibattito di qualità estremamente variabile in cui rispuntano dati fasulli e slogan miracolosi. Uno fra tutti, l’abolizione del valore legale del titolo di studio, un classico esempio di zombie idea, ovvero un idea “uccisa ripetutamente dai fatti, ma che continua ad avanzare verso di noi per mangiarci il cervello” (Paul Krugman).
Per quanto riguarda il tema dell’ abolizione del valore legale del titolo di studio, tema vetusto se è vero che fu già oggetto di un ampio dibattito promosso da Luigi Enaudi negli anni 50 (ll principio del valore legale dei titoli universitari era previsto dal Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore del 1933), mi chiedo cosa ne è stata della Consultazione Pubblica sull’abolizione del valore legale del titolo di studio, voluta dal Ministro Profumo, se non sbaglio, nel 2012.
Io non ne trovo traccia, ma fu all’epoca voluta dal Governo per riproporre il dibattito sul tema. Mi viene un dubbio: non è che gli italiani non erano assolutamente favorevoli alla abolizione del valore legale del titolo di studio e per tali motivi il risultato della consultazione, non coerente con i desiderata governativi, è stato oscurato?
Non bisogna comunque pensare che per l’Anvur il ricorso alla retorica della colpa collettiva escluda l’utilizzo di fake numbers. È sufficiente ricordare le dichiarazioni di Graziosi, rilasciate poche settimane prima di diventare Presidente dell’agenzia, quando “senza tema di smentita” (sic) rievocava una mitologica decuplicazione dei docenti universitari.

https://www.roars.it/graziosi-anvur-sistema-alla-deriva-sono-decuplicati-i-docenti/
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Anche Daniele Checchi, per puntellare meglio la tesi della colpa collettiva, non disdegna il ricorso ai fake data:
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«Il problema del rapporto tra personale tecnico-amministrativo e docenti: alcune università, nella fattispecie quella di Foggia, sono riempite di personale tecnico-amministrativo e quindi poi i costi sono gonfiati da questa cosa»
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Bastava controllare i dati per scoprire che nella speciale classifica delle università “più riempite di personale tecnico amministrativo”, Foggia occupava appena il 38° posto su 66. Tra le università “più riempite” di personale tecnico-amministrativo invece c’erano:
– Al primo posto la Scuola Normale Superiore di Pisa, il cui direttore Fabio Beltram venne poi cooptato nel direttivo ANVUR.
– Al secondo posto IMT di Lucca, il cui ex-rettore, Fabio Pammolli, è tra i prescelti da Cingolani per dirigere uno dei laboratori di Human Technopole.
– Al terzo posto la Università per straneri di Perugia, di cui era stato rettore il Ministro Stefania Giannini.
– Al quinto S. Anna di Pisa, anch’essa retta dal precedente ministro Maria ChiaraCarrozza.
– Al nono posto la SISSA di Trieste, già diretta dal Presidente uscente di ANVUR Stefano Fantoni (e dove ha fatto carriera Raffaella Rumiati, altro membro del direttivo ANVUR).
https://www.roars.it/sostiene-checchi-anvur-unifoggia-e-riempita-di-personale-tecnico-amministrativo/
Carissimi,
secondo la circolare del Ministero della Verità, che ho appena ricevuto al mio indirizzo e-mail istituzionale, i dati esatti sono quelli del Sola 24 Ore.
Ovviamente, ciò candida roars ad essere chiuso e/o sanzionato (per i suoi animatori c’è la ‘crocifissione in sala mensa), in base all’apposita legge contro la disinformazione.
Scherzi a parte, un articolo che inizia riferendo di una ripresina degli ultimi due anni non può che continuare sullo stesso tono.
A questo punto, forse basterebbe usare il teorema di Gasparino (se mi freghi su quello, mi freghi anche sul resto: sei ladro tu, era ladro tuo padre ed era ladro tuo nonno, e io vi licenzio tutti e tre), ma -come comunità accademica- dobbiamo comunque essere grati all’autore, che ‘ci regala il suo tempo’ e si prende l’impegno di smentire e ribattere ‘dato per dato’.
Tom Bombadillo
Ma da dove provengono i “fake numbers” del Sole 24 Ore? Come mostro di seguito, potrebbero essere dovuti ad un maldestro fai-da-te statistico. Immaginiamo di volerci improvvisare data-analyst di statistiche universitarie. Dove andremmo a cercare i dati? Nell’anagrafe nazionale degli studenti:
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http://anagrafe.miur.it/index.php
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Sembra facile: prendo il dato degli iscritti 2016, quello del 2006, li confronto e il gioco è fatto.
Tuttavia, chi ha un minimo di consuetudine con l’analisi delle serie storiche sa che prima di lanciarsi in analisi e confronti bisogna accertarsi che non presentino discontinuità e/o fenomeni transitori.
Chi si occupa di questioni universitarie sa anche che i dati delle immatricolazioni e delle iscrizioni non sono privi di insidie. Per esempio, esistono due diverse rilevazioni, le rilevazioni statistiche del MIUR (interrotte dall’a.a. 2012/2013) e quella dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti. Questa duplicità era già emersa in occasione delle dichiarazioni del Ministro Profumo che minimizzava la rilevanza del calo delle immatricolazioni denunciato dal CUN nel suo documento 2013 sulle Emergenze del sistema universitario (https://www.roars.it/profumo-fantoni-e-gli-studenti-non-normali/).
Un terreno minato insomma. Cosa fare allora? Non si può certo pensare di essere i primi a domandarsi come sono variate le iscrizioni all’università. Un’analisi di questo genere deve per forza essere presente nel Rapporto biennale Anvur sullo stato dell’università e della ricerca. Il rapporto 2016 è liberamente scaricabile dal sito dell’Agenzia e contiene proprio questa analisi (con le tabelle che ho riportato nell’articolo).
Non solo, ma a pagina 108, l’Anvur ci spiega perché non è il caso di avventurarsi nel fai-da-te usando i dati dell’Anagrafe Nazionale.

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“L’anagrafe, non includendo gli iscritti al vecchio ordinamento se non quelli di scienza della formazione, non comprende il totale degli iscritti.”
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Una possibilità è che nel 2005/2006 esistesse ancora una percentuale non trascurabile di studenti iscritti a corsi del vecchio ordinamento (tipologia di studenti che poi è andata estinguendosi). Studenti che nel 2006 erano invisibili all’Anagrafe. Di conseguenza, i dati dell’Anagrafe potrebbero sottostimare il numero di iscritti del 2006 creando l’illusione di una crescita nell’ultimo decennio.
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Ma cosa avrebbe trovato il data-analyst improvvisato che, ignaro dell’avvertimento di Anvur, si fosse lanciato nell’analisi fai-da-te?
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Iscritti A.A. 2005/06: 1.536.448
Iscritti A.A. 2015/16: 1.672.093
Variazione % iscritti: +8,8%
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Quest’ultimo valore non è molto diverso dal +8,6% del Sole (come spiegato sulla pagina dell’Anagrafe: “I dati presenti in ANS vengono inviati mensilmente dagli Atenei, per cui possono variare ad ogni aggiornamento mensile”).
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CONCLUSIONE
Era così difficile non lasciarsi ingannare dalle insidie dell’Anagrafe studenti? Direi di no, per le seguente ragioni.
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1. Se non si è sicuri di padroneggiare fino in fondo i dati oggetto di elaborazione, è buona norma chiedere conferma dei propri risultati a qualcuno che se ne intende. Bastava telefonare al MIUR o all’ANVUR e chiedere: “risulta anche a voi che nell’ultimo decennio c’è stato un +8,6% nelle iscrizioni?”.
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2. Gran parte del dibattito pubblico degli ultimi anni era sulla “fuga dall’università”, denunciata dal documento CUN del 2013 (rilanciato da tutti i quotidiani, Sole 24 Ore incluso) e anche dal libro Università in declino, curato da Gianfranco Viesti (il quale ne aveva anticipato i risultati anche sul Sole: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-12-10/l-universita-italiana-ha-messo-retromarcia-073916.shtml?uuid=AC7WOVqB). Che l’elaborazione fai-da-te producesse un +8,6% delle iscrizioni doveva far suonare un campanello di allarme (e ribadire la necessità di tornare al punto 1).
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3. Per rispondere a questo tipo di domande esiste un apposito Rapporto Anvur e Trovati lo sapeva, tanto è vero che nella sua intervista al neo-Presidente Graziosi, gli domandava:
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“Fra poco presenterete il secondo Rapporto biennale, e avete appena presentato i primi dati sulla didattica”
http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art/universita-e-ricerca/2016-05-06/andrea-graziosi-neo-presidente-anvur-la-valutazione-fa-bene-all-universita-135846.php?uuid=AD0UoIC
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Insomma, prima di presentare numeri che giustificano strategie nazionali per ridisegnare l’architettura accademica, non sarebbe il caso di dare una controllata?
Insomma Trovati ha scritto consapevolmente.
Ha sfruttato l’inghippo degli iscritti al vecchio ordinamento per
avere due carte: una da usare quando conviene alla tesi che vuole dimostrare affermare che gli studenti calano, e l’esatto opposto quando alla tesi conviene l’esatto opposto.
Se ad esempio il sole 24 ore vuole rispondere a qualcuno che si lamenta per l’aumento della disoccupazione, allora Trovati si rende utile al suo padrone (confindustria),
sfoderando dei dati che mostrano che gli studenti universitari calano, e quindi è colpa degli italiani che non vogliono studiare se aumenta la disoccupazione, perché nell’epoca moderna, nell’era dell’informatica, il lavoro richiede una sempre maggiore specializzazione, e quindi occorre una laurea per trovare più facilmente lavoro.
Se viceversa, al Sole 24 Ore (cioè a confindustria) interessa rafforzare il governo attuale, è sempre il solito Trovati l’uomo giusto che bisogna chiamare: eccolo pronto a sfoderate i dati opposti, quelli che mostrano che le iscrizioni sono aumentate,
e quindi, essendo diminuiti i docenti, il sistema ha guadagnato in ‘efficienza’ cioè è stata necessaria una minore quantità di lavoro, cioè di docenti, per ‘produrre’ una maggior quantità di prodotto, cioè di laureati, che grossolanamente sono proporzionali agli iscritti.
“Decisamente più opportuna la scelta fatta dall’Anvur di tenere il 2008 come punto di riferimento”
Ammappa, l’Anvur è riuscita a fare una scelta opportuna? NOn credo ai miei occhi! È un caso?? Dobbiamo festeggiare?? Domani nevica???
Capita anche questo … Viene in mente la metafora dell’orologio rotto che due volte al giorno dà l’ora giusta, ma, tra tutti i documenti prodotti dall’Anvur, il rapporto biennale è probabilmente quello meno peggiore ed è sicuramente utile. Purtroppo, come evidenziato nel post, alcuni commenti e alcune scelte di metodo tradiscono una visione pregiudiziale, anche senza arrivare al livello del consigliere Checchi che si doleva in pubblico di non poter uccidere i professori meridionali inattivi (per scherzo naturalmente …):
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D. Checchi: «visto che non può uccidere i docenti inattivi che sono presenti nelle università del Sud e rimpiazzarli con docenti nuovi freschi […] uno può anche dire: “al Sud basta facoltà di Giurisprudenza”»
Qui audio:
https://youtu.be/N4ozK-ZhatE?t=1h4m34s
[…] veri. Organi di informazione e opinionisti continuano a sfornare diagnosi e ricette basate su fake numbers che restituiscono un’università immaginaria che poco ha a che fare con quella […]