«Dove eravate come classe dirigente? Ormai, stanno reagendo anche i professori ordinari. Stanno reagendo i professori delle Università di Pisa e di Pavia». Uno j’accuse, quello di De Nicolao, che non va giù al Presidente della CRUI: «noi non abbiamo bisogno – lo dico dal rettore del Sud – non abbiamo bisogno della benevolenza delle università del Nord. Noi siamo in grado di poter difendere i nostri diritti con la nostra responsabilità». Davvero la difesa dei diritti è sotto controllo? Ecco cosa dice Gianfranco Viesti riguardo all’accesso all’istruzione superiore: «La Campania è 267-esima tra 272 [regioni europee, come laureati]. Se la Campania si accontenta di essere messa peggio di tutte le regioni – non della Germania – ma di tutte le regioni della Bulgaria e di quasi tutte quelle della Romania, noi possiamo dire che non c’è un problema di pochi laureati». È volata qualche scintilla nel corso del forum organizzato dal Mattino di Napoli (16 marzo 2016) di cui riportiamo la trascrizione dello scambio tra Giuseppe De Nicolao (Roars) e Gaetano Manfredi (CRUI), seguita dall’intervento di Gianfranco Viesti (Università di Bari).

Qui il filmato completo del forum: Forum al Mattino per una nuova primavera dell’Università

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Un momento emblematico del forum: il presidente della CRUI, Gaetano Manfredi, abbassa lo sguardo, mentre Gianfranco Viesti – inesorabile – snocciola i numeri che mostrano che le università del Sud, lungi dall’essere state in grado di difendere i loro diritti  (e quelli dei territori in cui operano), sono state oggetto di “una delle peggiori politiche pubbliche degli ultimi anni”, che ha colpito duramente il Sud e massacrato le Isole.

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1. De Nicolao: «dove eravate come classe dirigente?»

De Nicolao: Qui mi ricollego a quello che hanno detto Nicolais e anche Manfredi. Sentendo certi discorsi, uno non può che condividere, naturalmente. La domanda, però, è: dove eravate come classe dirigente? Nel senso che non è vero che questa qui è la somma di interventi che si sono accumulati casualmente. Se uno legge gli articoli che si scrivevano, i libri che si pubblicavano prima della riforma Gelmini, il programma era chiaro. L’Istituto Italiano di Tecnologia, che è stato menzionato, è il fulcro attorno a cui gli ideologi di questa svolta – perché è stata una svolta – volevano rifondare la ricerca. L’idea era che il CNR non era riformabile, andava raso al suolo. L’università italiana non era riformabile e il modello era la ricerca privata, come quella dell’Istituto Italiano di Tecnologia.

AlesinaGiavazzi

Questo è stato – come dire – formulato chiaramente e quindi sta venendo in qualche modo a riscossione quella che era l’ipoteca iniziale. Però, tutta questa cosa è stata sopportata. Nel 2010 c’è stata una mobilitazione forte, perché qualcuno aveva visto l’onda che stava arrivando, ma la CRUI, in quel caso, cercò di smorzare. Qualche rettore anche rivendicò il fatto che aveva smorzato e diceva “adesso vogliamo in cambio il finanziamento”.

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Ma il finanziamento non è arrivato. E adesso siamo in presenza di una stessa protesta, in questi mesi, e la CRUI è riuscita a non nominarla nemmeno una volta nei suoi documenti. È stato l’ANVUR che ieri almeno l’ha nominata. Almeno, per la prima volta a livello istituzionale, l’ANVUR ha nominato la protesta per dire che secondo lui è fallita. Però – come dire – i docenti sono più avanti della classe dirigente di questo paese. Perché i rettori fanno dei bei discorsi, i  presidenti del CNR fanno dei bei discorsi, però i docenti reagiscono. Prima sono stati i ricercatori. Ormai, stanno reagendo anche i professori ordinari. Stanno reagendo i professori delle Università di Pisa e di Pavia. La preoccupazione, ormai – io, a Pavia, sto meglio che nelle università del sud – ma siamo preoccupati per il crollo del sistema. Non possiamo permetterci neanche noi che venga giù tutto …

3. Manfredi si inalbera: «siamo in grado di difendere i nostri diritti»

Manfredi: La tua benevolenza, ne facciamo a meno al Sud – te lo dico con piacere, diciamo, nel senso che non penso che stai meglio che nelle università del Sud, perché tutte le università hanno i loro pregi e i loro difetti …

De Nicolao: ma “meglio” come tessuto produttivo!

Manfredi: … e noi non abbiamo bisogno … le università del Sud – lo dico dal rettore del Sud – non abbiamo bisogno della benevolenza delle università del Nord, né abbiamo bisogno di chi fa le crociate per difendere noi. Noi siamo in grado di poter difendere i nostri diritti con la nostra responsabilità.

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Scusami se te lo dico, ma perché … diciamo … eh perché questo diciamo … perché io non voglio entrare in un dibattito, però tu non puoi dire a me “io dov’ero?” …

De Nicolao: Ma come classe dirigente!

Manfredi: … quando io faccio il rettore da un anno. Io dico a tutti gli altri che stavano nell’università: dov’erano? Perché poi il problema non è il problema di dire – diciamo – le mobilitazioni o non le mobilitazioni. Qua è un problema di responsabilità. Se l’università si trova, si è trovata in queste condizioni – apprezzo moltissimo quello che ha detto Carlo Trigilia, moltissimo – è dovuto, da un lato, a delle politiche sbagliate, ma dall’altro a una serie di comportamenti che sono stati dei comportamenti non corretti, che sono stati fatti in tutte le università d’Italia, ma maggiormente nel Mezzogiorno, perché da noi c’è una pressione sul pubblico che è più alta rispetto a quella del Nord, che hanno fatto perdere credibilità alla nostra istituzione. Allora, quello di cui noi ci dobbiamo preoccupare, con l’azione quotidiana, è cercare di recuperare questa credibilità, perché questo è estremamente importante. E il tema della valutazione, scusatemi se lo dico, è un tema estremamente importante. Gino Nicolais – lo dico io – quando ha cominciato a fare la valutazione nel nostro ateneo, che è stato  … quando è stato? Quando sei stato presidente …

Nicolais: fine degli anni ’80

Manfredi: fine degli anni ’90? Insomma … degli anni ’90. È stata la rivoluzione dei colleghi che dicevano che non si doveva fare la valutazione. Perché c’è stata la rivoluzione. E io che ero un giovane professore all’epoca mi sono schierato da quel lato, perché per me era assurdo che non si facesse la valutazione in un posto dove … dove l’università è basata sul principio della valutazione. Allora, il tema non è mettere in discussione il fatto – diciamo – che qualità, valutazione, prendersi le proprie responsabilità è alla base del rilancio di qualsiasi attività in questo paese, compresa l’università. Possiamo discutere di come si fa. La vogliamo fare meglio. Dobbiamo fare delle politiche migliori. Facciamo delle proposte alternative. Io sono aperto a tutto. ma se noi torniamo un’altra volta ai discorsi ideologici degli anni ’80, torniamo ai danni che  abbiamo fatto e abbiamo distrutto questo paese – scusatemi se lo dico.

Una replica che non convince quella del Presidente della CRUI. Gli addebiti mossi da De Nicolao erano chiari. Siamo di fronte a una catastrofe annunciata: i tagli hanno seguito un copione che era stato sbandierato ai quattro venti, come pure preannunciato era il dirottamento dei fondi verso un ente privato quale l’Istituto Italiano di Tecnologia. Piuttosto che opporre resistenza, la CRUI, sia nel 2010 che oggi, ha preferito spendersi per smorzare le proteste dei ricercatori e dei docenti, con risultati che stanno davanti agli occhi di tutti.

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Come si vede, invece di rispondere, Manfredi ricorre a un diversivo, calando la carta dell’orgoglio meridionale: non abbiamo bisogno della benevolenza delle università del Nord, noi siamo in grado di difendere i nostri diritti. Che gli atenei – anche del Nord! – protestino per scongiurare il crollo del sistema nazionale è vissuto con fastidio, forse perché è un rimprovero alle classi dirigenti che hanno lasciato che il sistema scivolasse sull’orlo dell’abisso. E per annacquare le responsabilità di una classe dirigente – sia nazionale che regionale – che non ha saputo opporre resistenza allo smantellamento, sfodera una seconda carta retorica, quella della “colpa collettiva” da espiare: “moltissimo – è dovuto, da un lato, a delle politiche sbagliate, ma dall’altro a una serie di comportamenti che sono stati dei comportamenti non corretti” delle università. Per capire che il ragionamento non tiene, basta farsi una semplice domanda. Per purificare la categoria dei medici dalla sue colpe, sarebbe  lecito privare interi territori delle strutture sanitarie necessarie a tutelare la salute dei cittadini? E chi lavora nella sanità, non avrebbe il dovere, prima ancora che il diritto, di mobilitarsi a difesa del diritto alla salute della popolazione?

3. Ma Viesti avverte: «Campania 267-esima» su 272 regioni europee

Viesti: Innanzi tutto, grazie al mattino per questo forum che dimostra come del tema occorra discutere, perché ci sono opinioni diverse. Permetterete di ricordare che coincide con la giornata dell’università, domani con l’uscita di questo libro di 460 pagine, che si chiama “Università in declino – un indagine sugli atenei italiani da nord a sud”, che abbiamo realizzato con la Fondazione Res e Carlo Trigilia e che cerca di mettere del materiale di discussione, perché non c’è dubbio che il sistema vada rafforzato, lo dicevano Nicolais e Manfredi, sotto il profilo della qualità, facendo autocritica. Anche magari sotto il profilo della quantità. Non abbiamo pochi laureati in Italia? Ma, è materia di opinioni, diciamo. La Campania è 267-esima tra 272 [regioni europee]. Quindi, possiamo dire che non sono pochi, perché c’è la Sicilia che ne ha meno e c’è la Sardegna che ne ha  di meno. Se la Campania si accontenta di essere messa peggio di tutte le regioni – non della Germania – di tutte le regioni della Bulgaria e di quasi tutte quelle della Romania, noi possiamo dire che non c’è un problema di pochi laureati.

RegioniEuropeeLaureati
Però, dei tanti temi che tocchiamo voglio sottolineare un punto solo: che il sistema è stato caratterizzato negli ultimi sette anni da un’assoluta e totale divergenza, perché anche qui vedo opinioni diverse. Il sistema è stato governato in modo da produrre un’assoluta e totale divergenza. Perché? Perché le politiche universitarie del finanziamento delle università sono state basate su una serie di indicatori che incorporano una scelta di polarizzazione del sistema, che ha creato degli effetti allocativi fortissimi, per cui una piccola parte del sistema, corrispondente al Nord centrale, è stata relativamente difesa; una grande parte del sistema, il Nord periferico, il Centro e il Sud continentale è stata colpita fortemente e un’altra parte del sistema – le isole – è stata massacrata. Quindi, il Principe ha deciso che c’erano università migliori, premiate,  e università peggiori. Come ha deciso il Principe? La mia personale opinione è che ha deciso tramite una delle peggiori politiche pubbliche degli ultimi anni. L’allocazione del fondo premiale per l’università è stata – a mio avviso – una delle peggiori politiche pubbliche degli ultimi anni. Gli indicatori sono stati definiti tutti dopo aver avuto i dati, sono cambiati tutti gli anni, ne sono stati usati ventidue in sette anni. Tutti gli indicatori sono relativi a valori assoluti e mai a indicatori di miglioramento. Quasi tutti gli indicatori hanno rapporti più con le condizioni di contesto in cui sono collocate le università  che col comportamento delle università. La VQR [la Valutazione della Qualità della Ricerca gestita dall’ANVUR], su cui non entro, è stata utilizzata anche in questo modo e siamo arrivati al paradosso che lo stesso indicatore della VQR, cioè l’IRAS3 [qualità del reclutamento] ha prodotto due classifiche completamente diverse in base agli stessi dati. Dunque, la politica ha prodotto la divergenza sulla base di scelte d-i-s-c-r-e-z-i-o-n-a-l-i del “Principe”, mascherate da indicatori tecnici.

Alessandro Barbano (Direttore del Mattino): Scusate, signori: questo “Principe” ha avuto colorazioni diverse?

Viesti: Certamente!

Barbano: Perché non è un Principe unico. Ci sono stati governi diversi, ministri diversi, ma uno stesso Principe. Perché?

Viesti: Questa è una buona domanda da fare al dibattito politico e al dibattito culturale del nostro paese. Sembra quasi che ci sia stato un “pensiero unico”, che noi ovviamente … il nostro libro è un libro di carattere scientifico, quindi basato sui dati e poi forniamo un’interpretazione. Certamente è molto interessante che, per esempio, sia cambiata molto l’opinione di alcuni partiti politici. Prima, vigevano delle regole per cui alle università era proibito aumentare le tasse al di sopra di un certo valore dell’FFO [Fondo di Finanziamento Ordinario]: sono state cambiate per cui avere tasse alte è un merito. È uno dei grandi criteri di merito delle università. Se io ho tasse alte, avrò più docenti in futuro. Naturalmente, è uno dei tanti esempi e uno dei tanti indicatori che – possiamo dire – è in chiave territoriale. Perché – possiamo dire – a parità di tassazione, tassa sul reddito delle famiglie (è quasi uguale in tutta Italia  – in Campania un po’ più alta), il gettito è completamente diverso. E questo è molto importante, perché ha prodotto un’enorme divergenza. Io sarò il 21 a Cagliari perché la Rettrice dell’Università di Cagliari, giustamente si sta ponendo il problema, perché la sua università potrà chiudere nei prossimi anni. Perché? Perché questi meccanismi non sono stati solo discrezionali e divergenti, ma sono assolutamente cumulativi, nel senso che ogni indicatore influenza gli altri e vanno tutti nella stessa direzione …

Barbano: Cioè spieghiamoci bene: le condizioni di svantaggio, lungi da essere assunte come un gap da colmare, diventano un presupposto per ulteriore punibilità. È così?

Viesti:  Assolutamente sì! Per cui, la riduzione degli studenti provoca una riduzione del gettito. La riduzione del gettito e dell’FFO – mi fa piacere che il Prof. Manfredi annuisca – è cumulativa. È una palla di neve che sta travolgendo molte università del paese – anche alcune del Nord – ma soprattutto il Sud. Allora, questo è il punto con cui concludo: allora, discutiamo delle colpe e delle responsabilità – certamente il desiderio di migliorare la qualità dell’università credo che ci metta tutti insieme, poi possiamo discutere su come fare. Il sistema non sta producendo questo, ma sta producendo un sistema universitario, soprattutto al Sud, più piccolo, ma non necessariamente migliore. I corsi si sono ridotti, semplicemente perché i docenti sono andati in pensione. Quindi, non c’è stato alcuno spazio di ridisegno dei corsi in maniera da venire incontro alle esigenze della società. Di questo io spero che con questo libro forniremo un contributo alla discussione, perché dobbiamo chiamare  l’opinione pubblica e la politica a discutere: dove si sta andando, in base a quali criteri e che effetto provoca questo sullo sviluppo. Perché noi stiamo avendo, diciamo, una politica che veramente taglia l’erba sotto i piedi al Mezzogiorno. Perché, posto che le università meridionali – l’ha detto il Rettore Manfredi, l’ha detto Carlo Trigilia – hanno più delle altre necessità di migliorare, noi stiamo facendo diventare questo sistema solo molto più piccolo, ma non migliore. Con effetti a catena sullo sviluppo economico che saranno catastrofici. Attenzione: non parliamo di cosette. Il taglio dell’università italiana non ha paragoni nel tempo e nel mondo. Un taglio del 20% non ha paragoni in nessuna parte del mondo. Neanche in Spagna e in Finlandia, dove hanno enormi problemi. Né paragoni con la storia dell’Italia. Il fatto che questo 20% sia diventato un terzo nel Mezzogiorno significa che l’Università del Mezzogiorno, negli ultimi anni, è diventata e-n-o-r-m-e-m-e-n-t-e più debole, in base a criteri assolutamente discutibili. Se l’intento è quello di migliorare, questo intento non si palesa negli indicatori che sono usati nei decreti del MIUR di attribuzione delle risorse, l’ultimo dei quali premia, ad esempio, le università italiane perché sono piccole [il piano straordinario ricercatori RTD di tipo b]. La lascio, direttore, con questa chicca: l’ultimo decreto del MIUR attribuisce [almeno] due ricercatori [su 861] a ogni ateneo, indipendentemente dalla sua dimensione. E, quindi, quelli piccoli ne hanno tanti e quelli grandi ne hanno pochissimi. Se questo è un indicatore di merito e di miglioramento, credo che ci sia spazio per discutere.

4. Non è mai troppo tardi

Per fermare una deriva che, come dice Viesti ha prodotto “effetti catastrofici”, non si può dire che la CRUI abbia mai opposto molta resistenza. Chi ha abbassato i toni, affidando le proprie rivendicazioni alle arti diplomatiche degli ermellini ha forse ottenuto qualcosa? Poteva andare peggio di così? A guardare le statistiche OCSE, pare proprio di no. Se il risultato è stato un taglio che non ha paragoni nel tempo e nel mondo, chi aveva ragione? Chi si è mobilitato contro questa deriva nel 2010 e nel 2016 oppure i rettori che, usando le parole di uno di loro, hanno cercato (riuscendoci) di “contenere le pressioni che venivano dal basso, dagli studenti, dai colleghi ricercatori”?

Eppure, nonostante le occasioni perse, c’è sempre ancora qualche treno da acciuffare in corsa. Noi ne vediamo due.

  1. Nonostante le pressioni esercitate sui docenti, la protesta #stopVQR non si è sciolta e, proprio per l’esito a macchie di leopardo, non solo rischia di inceppare la procedura di valutazione ma ha lasciato dolorosi strascichi nei rapporti personali e istituzionali. Un elementare senso di lealtà nei confronti dei colleghi che li hanno eletti imporrebbe ai rettori di rendere note in forma disaggregata tutte le diverse forme di caricamento, quelle spontanee, quelle istituzionali autorizzate e quelle istituzionali non autorizzate. La politica dello struzzo delegittima chi la pratica. Ebbene, la CRUI è riuscita a non menzionare la protesta #stopVQR nemmeno una volta nei suoi documenti. Abbia almeno la dignità di riconoscerla e quantificarla dopo che non è riuscita a vanificarla.
  2. La CRUI è pure silenziosa nei confronti dell’operazione IIT-Technopole, che da sola basta a minare la credibilità della conferenza dei rettori. Come si possono celebrare primavere immaginarie senza spendere una parola per fermare l’ingente flusso di soldi pubblici verso un ente privato? Il messaggio è chiaro: i soldi ci sono, ma non arriveranno all’università che ne ha disperato bisogno e nemmeno andranno a sostegno dei giovani che vogliono studiare ma non ne hanno i mezzi. Ci vuole coraggio ad opporsi a questo disegno, dirà qualcuno. Ebbene c’è chi questo coraggio lo manifesta apertamente. La scienziata e senatrice Elena Cattaneo chiama a raccolta l’intera comunità scientifica:

Gli atenei, i centri di ricerca e i singoli ricercatori non possono tacere. Se decideranno di farlo, non si potrà fare molto in futuro, anche per piccoli e grandi abusi che pure mi vengono segnalati

La CRUI può permettersi di tacere? Noi pensiamo di no, anche perché certi silenzi sono più eloquenti di mille parole quando si tratta di evidenziare lo spessore etico delle persone e delle istituzioni.

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16 Commenti

  1. FInalmente anche a ROARS vi state rendendo conto che nelle università del sud c’è un enorme problema di qualità della docenza e della dirigenza, compromessa a vari livelli con le clientele locali (per non dire di peggio). A certi “rettori” del Sud fa ovviamente comodo avere un’università ridotta a lumicino, perché questo è funzionale a determinati, innominabili obiettivi (altro che le dimissioni della Giannini e l’Anvur). Volete finalmente aprire gli occhi, o continuerete a sostenere che il Sud è come il Nord e che è bene continuare a finanziarlo così come è?

    • Non so perché, ma immagino che, se il presidente dell’ANVUR precipitasse oltre il muro, manderebbero un commando di Roars a liberarlo:
      ____________________
      Jena Plissken: Che parliamo a fare?
      Bob Hauk: Ho un affare per te. Ti sarà perdonata l’astensione dalla VQR. C’è stato un incidente: circa un’ora fa un piccolo jet è precipitato, c’era a bordo il Presidente.
      Jena Plissken: Presidente di che?
      Bob Hauk: Questo non è spiritoso. Tu entri la, trovi il Presidente, lo porti fuori entro 24 ore e sei un uomo libero da VQR, ASN e, soprattutto, AVA.
      Jena Plissken: 24 ore, eh?
      Bob Hauk: Ti sto facendo un offerta.
      Jena Plissken: Balle…
      Bob Hauk: Attendibile e onesta.
      Jena Plissken: Ci voglio pensare.
      Bob Hauk: Non c’è tempo. La risposta.
      Jena Plissken: Fate Miccoli Presidente…

    • Non dubitavo che sarebbe apparso qualcuno a dirci che noi di roars diciamo che il sud è come il nord e che è bene continuare a finaznarlo così com’è. Senza che ovviamente questo sia scritto da nessuna parte.

    • Il commento di Sylos Labini è perfetto è nasconde il dramma di questo paese spaccato in due.

      Perché la politica degli ultimi 20 anni questo sta facendo: costruire un muro.

      Il definanziamento (di scuola, sanità, università, ecc) questo fa: aumenta il divario nord-sud.

      Ci sono tonnellate di pagine sulla questione meridionale, e non si possono banalizzare in un commento.

      Ma che vuole fare il nostro Governo per metà del paese?
      Possibile che il fatto che per vincere le elezioni basta vincere al Nord, sia la risposta a tutto?

  2. Ho ascoltato l’intero dibattito. L’intervento di De Nicolao si è fondato su alcuni tempi “forti”:
    – sistema bibliometrico di VQR sballato;
    – stipendio principesco (178.000 euro annui) a beneficio dei dirigenti ANVUR;
    – valutatori ANVUR alla prova dei fatti peggiori dei valutati;
    – caso dell’aspirante dirigente ANVUR, risultato degno della carica nonostante fosse stato beccato a fare copia e incolla di testi altrui senza le opportune virgolettature.
    Dopodiché, il moderatore gli ha tolto la parola – senza più restituirgliela – con la motivazione di non doversi scendere in politica (sic).

    • Qualunque moderatore di qualunque quotidiano (eccettuati “Il Fatto” e “il manifesto”) lo avrebbe zittito per non ridargli poi più la parola: è tutta gente pagata da confindustria, imprenditoroni e amministratoroni delegati, ossia dai gruppi ovviamente al manganello in questo popolo da sempre e per sempre di destra, quei gruppi che, in pieno accordo coi padroni extraitaliani degl’italiani (che, non a caso, hanno sostanzialmente la loro stessa estrazione), stanno felicemente devastando costituzione e università attraverso il pupazzo, loro tristo sicario.
      Da manuale anche il “non buttiamola in politica” con cui viene zittito De Nicolao. Fa mirabilmente il paio con il ricorrentissimo mantra “non essere ideologico, basta con le ideologie, le abbiamo superate”, che ovviamente significa “vogliamo e procuriamo che ne resti in campo solo una torreggiante e onnidecidente, quella dell’estrema destra neoliberista di origine, manco a dirlo, mericana”.
      Gustoso anche il momento in cui graziosi, da scolaretto insieme obbediente e fiero, fa – o meglio rinnova – la sua professione di fede: “sono liberista e per il privato”. E’ ovviamente ciò che si deve dichiarare per entrare nel direttivo anvuriano. Senz’altro basta pronunciare tale parola d’ordine, condendola con qualche copia e incolla à la miccoli; l’esame da superare è tutto qua. E il livello dei “reclutatori” è tale che – credo – verrebbe aggregato agli anvuriani pure uno che, perfidamente, la pronunciasse con aria carica e satolla pur essendo in verità nemico del pensiero unico che stringe nella sua morsa d’acciaio non solo il nostro povero paese ma l’intero continente; un “infiltrato” che entrasse così nel direttivo potrebbe poi forse infilare qualche granellino di sabbia nella gloriosa e gioiosa macchina anvuriana

    • Da qualche parte qualcuno seduto al tavolo (io), ricorda a Graziosi che il suo programma e quello dell’ANVUR sono di stampo sovietico…

    • Per chi fosse interessato, ecco il mio intervento completo (sono stato interrotto mentre ricordavo la vicenda Miccoli e, a quel punto, ho posto la domanda “dove eravate come classe dirigente?”):
      https://youtu.be/lshu-8AZ5qY?t=42m5s
      ______________
      Qui Baccini:
      https://youtu.be/lshu-8AZ5qY?t=1h10m57s
      ______________
      Infine anche Graziosi che parla di convergenza (verrà poi smentito – dati alla mano – da Viesti che parlerà di “assoluta e totale divergenza”):
      https://youtu.be/lshu-8AZ5qY?t=28m45s
      ______________

  3. Manfredi si inalbera, però non è assolutamente uno stupido, infatti alla fine è lui stesso a dire che non ci devono essere università di serie A e di serie B, ma che tutte devono mirare ad ottenere risultati buoni/ottimi. Tuttavia, aggiunge, “le università NON partono tutte dallo stesso livello” …ed è un po’ come dire “a Pavia, si sta meglio che “in moltissime” università del sud”, ma questo non vuol dire che, come dice lo stesso Manfredi, la soluzione è tagliare e ridistribuire sempre meno, dando sempre di più a chi sta meglio e sempre di meno a chi sta peggio. Come, giustamente dice Manfredi, le eccellenze non sono delle singole università, ma le eccellenze sono delle specificità delle singole università calate nel loro contesto territoriale. E non bisogna finanziare, solo le eccellenze.

  4. scusate ma di cosa stiamo parlando? alcuni interventi sembra vengano da un altro pianeta, Marte forse
    Ha ragione De Nicolao, c’è stato un enorme errore di prospettiva di coloro che all’epoca (anni pre Gelmini) erano ai vertici dell’università. Quanti ordinari hanno protestato contro la riforma?
    Io non ne ricordo molti.
    In realtà gli faceva comodo: presenza di meno ordinari nel sistema, dunque aumento del potere di carattere baronale; aumento del numero di precari e dunque della loro ricattabilità; crescita di potere dei settori disciplinari forti.
    Non hanno però preso in considerazione che, assieme al potere, avrebbero tagliato i soldi…

    • “Quanti ordinari hanno protestato contro la riforma?”
      _____________________
      Pochi, troppo pochi. Eppure, molto – se non tutto – era chiaro fin da allora a chi aveva gli occhi aperti. Rispetto al bieco calcolo di convenienza (che qualcuno avrà anche fatto) penso abbiano prevalso la cecità e l’ignavia. Non che questo riscatti la categoria, anzi.

  5. Quello che è successo dalla riforma del reclutamento del 2000 con i tre vincitori e poi fino ad oggi ha dell’incredibile:l’Università è diventata (non sempre, ma spesso) il luogo delle chiamate degli idonei locali, con pratiche che hanno rasentato il ridicolo. E’ finita la mobilità, si sono sistemati clientelarmente i locali. Poi c’è stata l’esplosione dei corsi di laurea dai nomi più fantasiosi e con numeri di studenti irrisori, nelle sedi distaccate più esotiche e minuscole. Era chiaro che ci sarebbe stato il giro di vite, cieco e draconiano. Quando perdi credibilità, poi ne paghi lo scotto. Questo comunque ha generato una classe dirigente frutto di queste pratiche che difficilmente avrà la forza e la capacità di progettare il futuro. Tutto questo offre il fianco ai vari Alesina & C. ed il gioco è fatto!

    • Ottima sintesi con qualche pizzico di verità e un mirabile condensato di “miti e leggende”. Col permesso dell’autore, riciclerei come abstract della prossima “Collector’s edition” di Miti e Leggende e Realtà. Mi rimane sempre il dubbio su come sia compatibile la carriera accademica (che è fatta di abitudine all’indagine scientifica e alla verifica dei fatti) con l’uso estremamente parsimonioso del senso critico nei confronti dei luoghi comuni correnti.

      https://www.roars.it/universita-miti-leggende-e-realta-collectors-edition/

      Quella dell’esplosione dei corsi di laurea e delle sedi è una delle “verità” mai sottoposte a verifica. Un’analisi sul mito delle sedi periferiche è riportata qui:

      https://www.roars.it/il-corriere-la-spara-grossa-in-italia-ci-sarebbero-oltre-400-atenei/

      Eppure, se da tempo siamo ultimi in Europa come percentuale di laureati e se abbiamo meno università per abitante di UK, Francia e Germania, a me sembra difficile rimontare la china riducendo le sedi. E anche le vituperate sedi periferiche: se decidi di chiuderle, devi potenziare (e di molto) le misure per il diritto allo studio. Altrimenti, il risultato è questo:


      Per quanto riguarda la classe dirigente sono d’accordo. Ma non tanto sul livello scientifico (che nonostante tutte le manfrine concorsuali rimane su standard internazionali più che buoni). È sul piano etico che faccio fatica a sopportare quella classe dirigente che ha fatto carriera senza farsi troppo scrupoli in passato e che adesso fa da cinghia di trasmissione dello strangolamento dell’università usando proprio l’argomento della colpa da espiare. Peccato che siano i giovani a dover espiare le colpe dei vecchi, i quali preferiscono gestire le bastonature dalle loro poltrone al motto di “noi abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità; voi, adesso, pagate il conto, mentre noi recitiamo prediche sulla necessità dell’espiazione”. Il lato grottesco è che, ultimi o penultimi come siamo per laureati e spesa, avremmo veramente bisogno di investire e – arrivati dove siamo – non c’è recupero di efficienza che possa compensare il disinvestimento selvaggio. Ma chi segue il vento non si pone il problema. Se il Principe (come dice Viesti) vuole tagli, assecondarlo è il modo migliore per far carriera, dentro e fuori dell’università. Con l’aiuto di chi ripete a pappagallo gli slogan dell’università sotto casa etc

  6. Io dico solo: Nicolao Meraviglio non mollare, siamo in tanti con voi. Dico ancora a Ferraro avanti Ferraro per la dignità della docenza universitaria. Dico ancora GRAZIE roars. Alle primavere i Rettori in molti casi hanno raccolto solo la loro corte (le varie cortigianerie). Politici non se ne sono visti.

  7. Per incrementare il numero dei laureati o, almeno arrestarne il declino, si dovrebbe iniziare a riaprire davvero, biblioteche, archivi, e centri di ricerca senza
    parlare poi del declino della qualità degli elaborati di quelli che alla fine comunque si laureano.
    E’ triste, oltre che noioso, dover ripeter sempre questo concetto elementare a fronte della sordità di stampia e dei social

    Arnaldo Marcone

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