«In conclusione, io credo che non sia esagerato dire che l’università italiana – tutta – è a rischio di marginalizzazione. Quindi, grande attenzione va prestata a non dividere in una competizione territoriale gli atenei tra di loro, ma a discutere di regole secondo un’esigenza comune, che unisca tutti gli atenei italiani. In particolare, l’università del Mezzogiorno è a rischio di estinzione e questo rappresenta una responsabilità storica delle classi dirigenti. Non devo ricordare a voi quando è stata fondata la Federico II: non vorrei cominciare a discutere di quando si debba ridimensionare quella o altre università del Sud».

Pubblichiamo il video e le slide dell’Intervento di Gianfranco Viesti in occasione del seminario di approfondimento e riflessione sulla realtà delle università meridionali, “Per il diritto allo studio e alla ricerca“, Università degli Studi di Napoli Federico II, Aula Pessina, Corso Umberto 1 11 febbraio 2016.

Le slide (download diretto):

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25 Commenti

  1. Una strada per le università del sud, passa per una sana mobilità dei docenti. In base a una valutazione seria, i più bravi , da qualsiasi parte arrivino, devono, attraverso opportuni incentivi, essere invogliati a trasferirsi al sud. In questo modo, migliora la didattica, gli studenti magari del nord si muovono al sud.

    • Non ho capito come hai fatto a concludere che la didattica o i docenti del sud siano peggiori e che quindi sia necessario trasferire docenti proveniente dal nord per migliorare la didattica. Per favore puoi farci capire?

    • Mi sembra un ragionamento fatto al contrario. In realta’ sono gia’ adesso molti i docenti (e gli studenti) del sud che vanno al nord in cerca di maggior “fortuna”.

    • Che alcuni studenti del sud vadano spesso al Nord è vero ma concludere che la ragione principale è dovuta ad una didattica migliore è assolutamente privo di fondamenti. Invece se i docenti cercano fortuna al nord è anche per il semplice motivo che in questi ultimi anni le risorse del sud sono state spostate al Nord.

      Abbi pazienza, ma questi discorsi Nord vs Sud per come siamo messi in questo momento sono veramente patetici oltre che inutili.

    • Se i tagli all’università e la competizione feroce per accedere a quelle poche risorse disponibile inizia a produrre anche tra i docenti e ricercatori conflitti tra Nord e Sud a livello accademico non siamo molti diversi da quei politici che ci hanno trascinato in questa situazione.

    • Lei implica che la didattica al Sud sia inferiore a quella del Nord e progetta un piano di conquista. Vorrei informarla che, per qualche strano motivo (ipotizzo), nelle università del Sud ed isole è facilmente dimostrabile che la maggioranza dei docenti non proviene dalle università locali, ma sono ‘importati’, fanno carriera e poi raggiungono le sedi per loro più prestigiose.

    • per la qualità della didattica, si possono consultare i dati del Censis. Per quella della ricerca , beh , le banche dati. Il territorio non è votato. Questo è il fatto. AL di là di inutili proclami. Ve lo dice un meridionale al nord.

    • non è un problema di didattica intesa come contenuto, ci sono ovviamente ottimi docent, al sud (dove inizia poi il Sud ? Boh ). Ma anche di strutture: aule, strutture, funzionalità degli uffici e contesto sociale. Il resto è populismo e assistenzialismo. Che abbiamo visto non funziona.

    • se il censis non è attendibile. ti invito a recarti in ufficio a NApoli o a Pavia, in università, poi dimmi i tempi di attesa e i risultati. Entranbi gli impiegati guadagano 100 euro al mese….

  2. In effetti da circa vent’anni e forse piu’ , ci stanno tormentando con la virtu’ della competizione tra servizi pubblici, scuole ed ospedali. I tribunali srmbrano assenti. Mi pare che sia una sciocchezza. Uno stato dovrebbe preoccuparsi della equa distribuzione delle opportunita’ sul teritorio nazionale, vigilando che glu standard qualitativi siano omogenei. Non si capisce perche’ io dovrei preoccumarmi di competere con altre universita’ o , addirittura , ospedaliche svolgono praticamenre la stessa funzione pubblica, didattica o assistenziale. Si tratta invece di coordinare gli sforzi per dare un buon servizi ai cittadini. Mi pare una misura dell’aberrazione cui si giunge ,quando si applicano al pubblico le categorie pensate per il privato..

    • La competizione andrebbe bene in un mondo in cui a tutti fossero offerte le stesse possibilità di crescere e migliorare.

      In un mondo in cui la valutazione fosse seria, e finalizzata ad individuare i punti di forza e di debolezza delle varie realtà, per mantenere – e magari potenziare – i primi, e rimediare ai secondi.

      In un mondo in cui le risorse pubbliche fossero investite a vantaggio di tutti cittadini, senza distinzione geografica tra serie A e serie B.

      In un mondo, insomma, in cui la competizione non si traducesse in un gioco al massacro, ad una mera lotta per la sopravvivenza.

      E in un mondo che, anzitutto, corrispondesse ai più elementari principi dello Stato sociale, improntato all'”uguaglianza sostanziale” fra tutti i soggetti chiamati a contribuire al suo sviluppo.

      Un mondo che forse non esiste.

      O, perlomeno, non è quello concepito e realizzato dalle attuali politiche universitarie italiane.

  3. E diciamola tutta: la competizione sta avendo effetti deleteri ed insensati. Sbranarsi per brandelli di fondi favorisce chi ha risorse amministrative e relazioni politiche adatte ad affermarsi in quel determinato momento. Permettere invece a dieci università di lavorare dignitosamente distribuendo le risorse con regolarità e certezza fa accedere un maggior numero di persone alla ricerca e verosimilmente permette di avere migliori risultati nel tempo, oltre che ricadute positive in termini di impiego.

  4. Lo si capisce o no che tutta questa storia della VQR e di tutto questo sistema di valutazione abborracciato (a sragion veduta) è soltanto uno dei tasselli della ristrutturazione neo-cepitalistica del settore pubblico? A questo serve la selezione meccanizzata e burocratica. Ecco la verità che si farebbe bene a confessare.
    In quanti sanno che i laureati del Sud trovano lavoro al nord perché in Piemonte, Lombardia etc. etc. hanno esaurito le graduatorie e, in assenza di veri concorsi, arruolano giovani con impieghi precari a quattro soldi? Lo vogliamo dire o no? O vogliamo perdere ancora tempo con l’ANVUR?
    Se non si considerano Scuola e Università in un quadro più generale, non si capirà un bel nulla e continueremo a inseguire le cervellotiche trovate del governo e del ministro di turno.

    • E’ questo che si dovrebbe fare, ma esiste in Italia un politico che abbia la preparazione, la sensibilità, la volontà, il seguito, per pensare alla situazione italiana nella sua globalità? E anche di noi chi lo sosterrà? Io ho visto i rivoluzionari del 2008 tacere ogni polemica una volta conquistato il loro avanzamento carriera.

  5. Il problema delle università del Sud è il non essere supportate da politiche idonee al rilancio del territorio. Un territorio che offre poco o niente spinge studenti e docenti verso mete che possano in qualche modo dare una benché minima possibilità di futuro.
    Quanto alla bravura dei docenti..ritengo che, ma è ovviamente una mia idea personale, se lavorano in un contesto economico e sociale idoneo alla loro valorizzazione possono veramente dare il meglio di loro stessi. Un docente che si trasferisce non per sua volontà ma per costrizione (vedi piano assunzione della buona scuola) non avrà mai la serenità giusta per date il meglio.
    Anche il piano assunzione per RTDB sebbene di entità economica ridicola rispetto a quello della scuola sortira’gli stessi effetti..sopratutto dopo la modifica del mille proroghe.
    Quanti RTDA provenienti dal Sud e da un lungo percorso di precariato (potenzialmente anche già abilitati), andranno ad occupare i posti assegnati alle università del Nord??

    • Sono stati spesi i miliardi al sud, senza risultato. Il territorio è votato per altre attività. Ve lo dice un meridionale al nord.

    • Certo: pizza, mandolino e bellezze naturali. D’altronde, come diceva un economista:
      “Ci sono un miliardo e quattro di cinesi e un miliardo di indiani che vogliono vedere Roma, Firenze e Venezia [e Cuneo – aggiunge Briatore dallo studio]. Noi dobbiamo prepararci a questo. L’Italia non ha un futuro nelle biotecnologie perché purtroppo le nostre università non sono al livello, però ha un futuro enorme nel turismo. Dobbiamo prepararci per questo, non buttare via i soldi a fondo perduto». A Roma, Firenze e Venezia si potrebbero tranquillamente aggiungere Napoli, Pompei e la costiera amalfitana.

  6. quoto: Il problema delle università del Sud è il non essere supportate da politiche idonee al rilancio del territorio. Un territorio che offre poco o niente spinge studenti e docenti verso mete che possano in qualche modo dare una benché minima possibilità di futuro.
    Quanto alla bravura dei docenti..ritengo che, ma è ovviamente una mia idea personale, se lavorano in un contesto economico e sociale idoneo alla loro valorizzazione possono veramente dare il meglio di loro stessi.

    Putroppo questo è il dato di fatto. occorre prenderne atto.

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