Neanche la politica riesce a cambiare le politiche per l’università? Ma se la politica non ha nessuna influenza, chi le decide davvero? Queste due domande vengono in mente alla luce di quanto è successo, fra Camera dei Deputati e Ministero dell’Università, nelle ultime settimane. Proviamo a spiegare e a raccontare i fatti.
Come documentato da un vasto insieme di dati (e come raccontato più volte da questo giornale), negli ultimi anni sulle università italiane si è abbattuto un vero e proprio tornado. A partire dal 2008 si è avuto un taglio di finanziamenti senza pari. Un insieme di disposizioni ha ridotto in breve tempo l’istruzione superiore italiana – già molto più piccola rispetto agli altri paesi europei – di circa un quinto, in termini di studenti, docenti, corsi di studio. Ma c’è di peggio: questi tagli sono stati fortemente asimmetrici territorialmente – a causa di scelte discrezionali assolutamente discutibili – e hanno colpito in particolare le università del Centro-Sud; hanno poi innescato un meccanismo a catena, che non tende a fermarsi. Non si esagera dicendo che per vedere una università del Mezzogiorno chiudere (o quantomeno ridimensionarsi drasticamente) non è necessario che attendere.
Questa grande trasformazione ha avuto due aspetti interessanti. Ha suscitato un dibatitto piuttosto modesto nell’opinione pubblica, e nelle stesse università. E’ stata perseguita lungo linee assolutamente simili dagli ultimi quattro governi, pur con maggioranze molto diverse; come se ci fosse all’opera un “pensiero unico”, rispetto al quale la politica aveva poco da dire; o rispetto al quale vi era totale condivisione.
Negli ultimi mesi qualcosa ha però iniziato a cambiare. Si sono avute una serie di prese di posizione: fra le più significative, quella di 246 docenti dell’Università Federico II (che hanno pubblicato un appello a proprie spese, raccogliendo con un meccanismo di “crowdfunding” le risorse necessarie) o di 301 docenti di Parma, che hanno chiesto le dimissioni del direttivo dell’Agenzia di Valutazione (Anvur: di recente assurta alle cronache per un caso, piuttosto serio, di plagio).
E c’è stata finalmente un po’ di attenzione in Parlamento. In primavera i deputati pugliesi Pisicchio e Palese (del gruppo Misto) avevano presentato una mozione per “iniziative volte a favorire l’accesso agli studi universitari, con particolare riferimento ad un’equa ripartizione delle risorse sul territorio nazionale”; ad essa si era affiancata una mozione di alcuni deputati del Movimento 5 Stelle (primo firmatario Vacca). Il 23 maggio sono state discusse: in quella sede la deputata Ghizzoni (PD) ha preannunciato una mozione di maggioranza; il voto era stato così rinviato. Il 29 giugno c’è stata una discussione molto articolata, a partire da diverse mozioni. Fra le diverse votazioni che hanno avuto luogo, vale la pena notare l’approvazione praticamente all’unanimità (436 sì e 6 no) di un documento su cui sono confluiti diversi firmatari: fra di essi i deputati Pisicchio e Ghizzoni, e la Presidente della Commissione Istruzione della Camera, Flavia Piccoli Nardelli. Una presa di posizione molto importante dunque.
Che cosa chiede, praticamente unanime, la Camera al Governo? Dopo un’ampia e articolata analisi della trasformazioni degli ultimi anni, la Camera chiede principalmente due azioni. La prima sui fondi del diritto allo studio: stabilizzare, come primo passo, le risorse; rivedere i requisiti di accesso; pensare a definire un’area di reddito entro cui tutti gli studenti siano esenti dalle tasse (no tax area); e soprattutto “stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo statale sulla base dei fabbisogni regionali e rendere altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie”, superando così l’attuale meccanismo che penalizza fortemente gli studenti del Mezzogiorno. Benissimo. La seconda: la Camera unanime chiede al Governo di rivedere alcuni dei criteri di ripartizione del finanziamento delle università; purtroppo si occupa solo del cosiddetto “costo standard”, ma lo fa nel verso giusto: chiede infatti di aggiornarne il modello di calcolo, su tre aspetti cruciali (perequazione territoriale, considerazione dei fuori corso, dimensioni ottimali dei corsi di studio). In sostanza chiede, unanime, al Governo di modificare profondamente meccanismi di calcolo, arbitrari, fortemente penalizzanti per le università del Centro-Sud.
E il Governo risponde! Subito: il 6 luglio! Peccato che vada in direzione opposta. Con un suo decreto, infatti, il MIUR stabilisce che per il 2016 il “costo standard” aumenterà di peso e sarà calcolato come in passato. Si dirà: magari il decreto era stato già preparato. Certo, ma questo non toglie nulla allo schiaffo che il decreto ha rappresentato per la Camera dei Deputati, specie considerando che non vi era alcuna urgenza di emanarlo, dato che per le cifre del finanziamento 2016 occorrerà comunque attendere l’autunno. Si poteva sospenderlo.
Non sappiamo che iniziative abbiano preso e intendano prendere i deputati (specie di maggioranza) e la Presidente di Commissisone. Vedremo. Certo, questa vicenda fa nascere le due domande iniziali, non da poco: quanto conta la Camera dei Deputati nell’influenzare le politiche pubbliche? E come mai il MIUR ha tanta forza politica che può infischiarsene di una pronuncia unanime delle Camere?
(testo già apparso su Il Mattino del 26.7.2016)
In tutta onestà, preoccuparsi della più o meno equa distribuzione fra nord e sud delle briciole che i vari governi ci concedono ha il retrogusto amaro della preoccupazione per la pagliuzza, anziché per la trave nell’occhio.
Quando riusciremo a capire che il problema sta nella stupidità collettiva di una classe politica che ancora oggi si compiace e gongola per la Tremontiana affermazione “con la cultura non si mangia”, e che, letteralmente, mira ad estinguerci?
Riusciremo mai noi docenti ad uscire da un sonno atavico, a prendere coscienza del nostro ruolo e a far sentire la nostra voce per la difesa della conoscenza, del progresso, e dello stesso futuro di una nazione assoggettata a una classe politica di beoti incompetenti?
Cercasi compagni di ventura, per una protesta seria e determinata, per il blocco totale dell’attività universitaria, per una discesa in piazza in massa, insieme ai nostri studenti, ai quali stanno rubando il futuro…
In fondo, a ben pensarci, non c’è da chiedere nient’altro se non il rispetto degli impegni già assunti da anni nell’ambito della Comunità Europea, sulle percentuali del PIL da dedicare all’Università e alla Ricerca…
Giorgio Zavarise
Condivido ed accetto la proposta del collega ad unirsi nell’interesse dell’Università. Poiché insegno in un’università del Sud, però, devo affermare con forza che la politica dei governi, da Berlusconi in poi, è stata segnata dalla volontà, che sta raggiungendo l’obiettivo, di spostare gli studenti al Nord. Quello che avevano capito era che l’Istruzione è un grande affare. In questa e sola questa ottica hanno creato ad hoc classifiche e distribuito finanziamenti.
Non serve non voler vedere.
Purtroppo abbiamo dimostrato la nostra insipienza come categoria già con la vicenda del blocco degli scatti, finita in nulla. Nel mio ateneo, Bologna. il 5% di adesioni.Evidentemente alla stragrande maggioranza va bene lo status quo. Adesso c’è la nuova fiera delle illusioni della ASN, poi qualche giovanotto si trova sempre per quattro spiccioli.
Ma per i rettori del sud, non c’è problema: sanno difendersi da soli, come ci aveva spiegato Gaetano Manfredi (Rettore di Napoli Federico II e Presidente CRUI): «noi non abbiamo bisogno – lo dico dal rettore del Sud – non abbiamo bisogno della benevolenza delle università del Nord. Noi siamo in grado di poter difendere i nostri diritti con la nostra responsabilità»
https://www.roars.it/dove-eravate-come-classe-dirigente-manfredi-si-inalbera-ma-viesti-snocciola-i-numeri-del-disastro/
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Sempre Manfredi, nell’ultimo comunicato CRUI ha dichiarato che i rettori sono «più che soddisfatti» per l’avvio dell’ASN 2.0 e del bando per i dottorati innovativi, senza fare cenno allo “schiaffo” di cui scrive Viesti:
https://www.roars.it/gaudeamus-igitur-iuvenes-dum-sumus-ecco-il-comunicato-crui-sullasn-2-0/
Ma Manfredi dove vive ? A Posillipo ?
Credo che Manfredi vada aiutato: che si arrangi.
… mi chiedo, perchè non lo so, ma tutto il sud risente dei tagli allo stesso modo? non è che qualcuno è meno “taglieggiato” … per esempio la Federico II … la mia è solo una domanda. Qualcuno mi sa rispondere?
Grazie
No, non è tutto uniforme. Dipende dalle condizioni di partenza. Il mio ateneo (Parthenope, il secondo più “anziano” di Napoli) è stato storicamente sottofinanziato.
Con le nuove “regole”, ed avendo conti in ordine, migliora ogni anno la quota di FFO e il numero di punti organico disponibili.
I conti in ordine vorrei proprio vederli, intendo i bilanci…..stiamo parlando di bilanci di un ente pubblico, right ?
Grazie. … come sospettavo. Sospetto anche che sebbene migliori di anno in anno è comunque insufficiente per garantire un funzionamento ottimale
Come suoleva dire un compianto professore a proposito dei ruoli universitari (docenti e non, ma anche studenti) : son posti di lavoro (da distribuire, ndr).