«E siccome il Sud, come ho scritto nel titolo, a mio parere, si è suicidato, non è stato ucciso, allora il problema è che per poter creare una base di discussione che sia, tra virgolette, “accettabile” al resto del paese, occorre chiarire i meccanismi di accountability. Perché il paese può fare un investimento compensativo al Sud, visto che non può uccidere i docenti inattivi che sono presenti nelle università del Sud e rimpiazzarli con docenti nuovi freschi. […] Marino [Regini] suggeriva la differenziazione tra orientamento professionalizzante e orientamento di tipo generalista – ma uno può anche dire: “al Sud basta facoltà di Giurisprudenza” con rispetto ai colleghi eventualmente presenti che siano laureati in Giurisprudenza in università del Sud. Perché è un input produttivo che non serve, non serve a quella regione lí. E quindi uno dice: “chiudo dei corsi, li chiudo d’autorità, sposto il personale da altre parti perché invece voglio promuovere degli altri corsi”. E via di questo passo», come spiegato dalla slide che, oltre ad auspicare per il Meridione «più corsi professionalizzanti e meno corsi di giurisprudenza» dice anche «più beni culturali e meno medicina». A parlare così è l’ANVUR per bocca di uno dei suoi consiglieri, Daniele Checchi, che non brilla per rigore quando usa gli indicatori di velocità negli studi a sostegno della tesi del suicidio del Sud. «La letteratura corrente, che io ho letto – a differenza di Daniele che la scrive con grandissima qualità – mi pare suggerisca anche che la velocità alla laurea dipende dal bagaglio di competenze che uno si porta dal liceo» gli fa notare Gianfranco Viesti. Il quale, oltre a pizzicarlo su un altro paio di punti, descrive punto per punto i meccanismi per nulla meritocratici attraverso i quali non solo si è ampliato il divario tra Nord e Sud, ma – cosa che non è successa in alcun paese – si è ridotta l’intera università italiana del 20% nel giro di otto anni, «una delle peggiori politiche pubbliche fatte in questo paese».
Il 29 aprile si è svolta presso la Casa della Cultura (Milano) la presentazione del volume “Università in declino” (Donzelli editore). Alla discussione (qui il video completo), moderata da Armando Massarenti (Il Sole 24 Ore), hanno partecipato: Daniele Checchi (ANVUR), Marino Regini (Università di Milano), Mario Ricciardi (Università di Milano) e il curatore del volume Gianfranco Viesti (Università di Bari). Di seguito, riportiamo la trascrizione di alcuni passaggi degli interventi di Daniele Checchi e di Marino Regini e della replica di Gianfranco Viesti.
1. DANIELE CHECCHI
1.1 «L’università meridionale è stata uccisa o si è suicidata?»
Data l’ora in cui avremmo fatto questo dibattito ho cercato di essere provocatorio cercando di mettere al centro della discussione quello che, in qualche modo, è un po’ il tema di fondo di questo rapporto che ha il grosso pregio di coprire più o meno tutte le dimensioni che riguardano l’università italiana. A me sembra, diciamo, per volerla mettere in modo polemico che la questione sia se l’università meridionale è stata uccisa oppure si è suicidata. E i sospettati di omicidio sono fondamentalmente tre:
- uno è il MEF, il Ministero dell’Economia e Finanza, da Tremonti in avanti con varie misure che sono andate dai tagli ai finanziamenti al blocco delle assunzioni.
- il secondo è l’ANVUR con in particolare il suo esercizio di misurazione della VQR
- e il terzo è il meccanismo di ripartizione dell’FFO che è centrato – diciamo “a tendere” – per il 70% sul costo standard degli studenti.
[…]
1.2 Le università del Sud scelgono volontariamente di fare pagare tasse più basse?
Sicuramente contribuisce a questo il diverso grado di imposizione fiscale, cioè le tasse che gli studenti pagano. È vero che sono aumentate, che sono aumentate di più nelle regioni meridionali, ma è altrettanto vero che il divario tra le tasse medie pagate al Nord e al Sud è quasi di uno a due. Ma qui il problema è capire se questo è dovuto al reddito pro-capite medio più basso nelle regioni del Sud o al fatto che le università del Sud scelgono volontariamente di imporre tasse più basse. Il professore universitario guadagna esattamente la stessa cifra in un’università del Nord e un’università del Sud, ma il figlio di un professore universitario in un’università del Nord paga fino a quasi tre volte quello che paga in un’università del Sud. Oppure semplicemente c’è un problema di non popolarietà nel riallineare questi livelli di imposizione.
[…]
1.3 Università del Sud: «un fenomeno di ridimensionamento»
C’è un problema oggettivo: che nelle università – in tutte le università, ma in quota maggiore nelle università meridionali – c’è un corpo docente che non è competitivo sul piano della ricerca internazionale.
Se prendiamo il punto di massima, diciamo, ascesa della spesa come punto di riferimento, il 2008, per cui andiamo a vedere nel corso dei tre anni, qui vedete che sostanzialmente le università del Sud perdono circa due o tre punti percentuali sia su tutto il versante delle entrate sia sul versante delle iscrizioni sia sul versante dei docenti – leggermente meno sul versante dei docenti. Il che ci dice, fondamentalmente, che il fenomeno è un fenomeno di ridimensionamento, di cui è difficile dire che cosa parta per primo: calano i docenti, calano gli iscritti, calano i finanziamenti. Finanziamenti e docenti, ovviamente, sono correlati, perché la voce principale di spesa sono i docenti stessi. Se si muovano prima gli studenti che portano ad un abbassamento dei finanziamenti che portano a riduzioni dei docenti o, diciamo, viceversa, questo è un problema che va analizzato.
1.4 Il problema più drammatico: al Sud ci sono pochi ERC
Il problema, però, che a mio parere è più drammatico è quello di questa cartina. Questa cartina rappresenta le borse ERC, che sono quelle attribuite per via competitiva da commissione internazionale, che quindi non risente di pressioni e di orientamenti della politica locale, e vedete che mentre il Nord è popolato di ricercatori che sono dotati di questo tipo di finanziamento, il Sud è quasi totalmente spopolato. Ovviamente, questo ha a che fare con il meccanismo stesso del bando di questi fondi, perché il ricercatore vincitore di un fondo ERC sceglie qual è la localizzazione dove vuole svolgere la sua ricerca. Evidentemente, anche se ci sono dei vincitori ERC nelle università meridionali, questi evidentemente sono andati a spendere i loro fondi in altre regioni o, come accade per un quarto di questi, nelle università estere. Questo però ci dice che il potenziale di attrattività da un lato e di ricerca dall’altro è ovviamente più debole.
[…]
1.5 Le università del Sud «non ce la faranno mai»
C’è una situazione altrettanto preoccupante, però, nel percorso dal punto di vista degli indicatori della didattica. Qui uno può mettere le mani subito avanti: può dire che, siccome i migliori studenti del Sud sono andati al Nord è evidente che si produce questa situazione. In realtà questo divario preesiste da tempo e quindi non è fenomeno di questi ultimi tempi. Qui sono quattro indicatori di didattica: il numero dei crediti, la prosecuzione al secondo anno, quindi il complemento del tasso di abbandono, la prosecuzione col numero di crediti, ma questo direi è quello più evidente: […] si laurea entro un anno dalla [durata legale della] laurea al Nord il 54% degli immatricolati che erano partiti contro un 36% delle università del Sud. Quindi noi abbiamo fondamentalmente delle università che sono deboli sul piano della ricerca e con dei percorsi di didattica che sono altrettanto, diciamo …, quanto meno più lenti. È quindi chiaro che, a mio parere, le università del Sud, a finanziamenti attuali, non ce la faranno mai a ridiventare competitive con le università del Nord. Però, questo è un problema da discutere politicamente: cioè se il paese vuole o non vuole avere un sistema universitario degno di questo nome al Sud.
E, siccome il Sud, come ho scritto nel titolo, a mio parere, si è suicidato, non è stato ucciso, allora il problema è che per poter creare una base di discussione che sia, tra virgolette, “accettabile” al resto del paese, occorre chiarire i meccanismi di accountability. Perché il paese può fare un investimento compensativo al Sud, visto che non può uccidere i docenti inattivi che sono presenti nelle università del Sud e rimpiazzarli con docenti nuovi freschi. Però c’è un problema di mettere dei paletti che impediscano fondamentalmente il ricrearsi, un’altra volta, di qui a vent’anni, di una situazione di questo tipo.
[…]
Il problema del rapporto tra personale tecnico-amministrativo e docenti. Alcune università, nella fattispecie quella di Foggia, sono riempite di personale tecnico-amministrativo e quindi poi i costi sono gonfiati da questa cosa.
1.6 La cura per il Sud? Meno giurisprudenza e medicina, lì non servono.
Uno richiede che nel momento in cui si stipula un nuovo patto di rifinanziamento, questi paletti ci siano. Io non so e questa è una cosa su cui mi interesserebbe conoscere il parere di Gianfranco, quali patti è disposto a sottoscrivere – e qui ne ho elencati alcuni.
Un altro modo per stipulare un patto è … – Marino suggeriva la differenziazione tra orientamento professionalizzante e orientamento di tipo generalista – ma uno può anche dire: “al Sud basta facoltà di Giurisprudenza” con rispetto ai colleghi eventualmente presenti che siano laureati in Giurisprudenza in università del Sud. Perché è un input produttivo che non serve, non serve a quella regione lí. E quindi uno dice: “chiudo dei corsi, li chiudo d’autorità, sposto il personale da altre parti perché invece voglio promuovere degli altri corsi”. E via di questo passo.
Ma ci sono anche altre strategie. Io, per esempio, posso ritenere che abbiano un senso le università anche per la terza missione che svolgono. E terza missione in tutti i sensi, nel senso che un sacco di gente ritiene che la terza missione sia la categoria in cui si butta tutto quello che non si riesce a classificare. Quando si sentono ogni tanto in CRUI i rettori delle università del Sud, loro invocano la loro funzione sociale nel contenimento del tasso di disoccupazione giovanile. È una terza missione anche questa, se si vuole. Però, diciamolo esplicitamente: allora diciamo che un pezzo della necessità di mantenere alcune università in alcune aree problematiche del paese è svolgere questa cosa qui.
2. MARINO REGINI
2.1 Accesso più classista? Frutto della non volontà di differenziare
[…] a mio parere non è tanto un disegno machiavellico perverso del Principe [si sta riferendo a questo intervento di G. Viesti]. Purtroppo, di Principi non ce n’è … o comunque, diciamo, per quanto riguarda l’università, nessun partito, nessun settore politico è stato in grado di produrre delle scelte coerenti.
Passo al secondo punto, la seconda domanda che è rispetto sia al problema dell’accesso meno egualitario – accesso più classista – che Viesti sottolinea e anche al problema della crescita dei divari tra Nord e Sud. La causa è la volontà di differenziare il sistema universitario italiano, come sembra trasparire qua e là nel libro, o sono gli effetti perversi della non volontà e non capacità di differenziare?
2.2 L’università di serie B: la soluzione ideale per i figli dei non laureati
Viesti insiste molto sulla spiegazione – non dico che questa non sia importante – dell’aumento delle tasse universitarie per spiegare il calo degli immatricolati, soprattutto da famiglie meno agiate e per spiegare l’aumento dei fuori corso, l’aumento del tasso degli abbandoni, eccetera. Indubbiamente, ha giocato anche l’aumento delle tasse ma a mio parere molto di più gioca l’assenza di un canale professionalizzante in Italia. Il fatto che quando aumentano le persone provenienti da famiglie che non hanno la laurea e che vogliono un titolo spendibile sul mercato del lavoro, in Italia non trovano un canale che sia dedicato a quello, ma vanno a finire in un calderone indifferenziato insieme a quelli che vogliono proseguire, magari per il dottorato, eccetera eccetera. Non c’è la differenziazione.
[…]
2.3 Adesso ve lo spiego io perché difendere la qualità media è sbagliato
Rispetto a questo, ci sono vari passaggi nell’introduzione di Viesti e poi anche nel libro in cui si ribadisce una visione, che so è molto diffusa nell’accademia italiana, che bisognerebbe invece non incentivare dei fenomeni di eccellenza, ma difendere una qualità media. La qualità media che nelle università italiane è relativamente elevata.
Allora, il problema però è che difendere una qualità media con l’inevitabile calo delle risorse senza forti elementi di competizione interna, inevitabilmente fa deteriorare anche la qualità media.
Ciò che a mio parere manca – e torniamo al punto precedente – è invece la discussione – la capacità di condurre in modo aperto, trasparente ed esplicito una discussione – su come incentivare una differenziazione intelligente che sia efficiente ed equa, al tempo stesso, perché ovviamente gli esiti di questa differenziazione non devono portare alla penalizzazione di una parte del paese. È evidente che ci devono essere dei vincoli territoriali, ma è altrettanto evidente che, assieme ai vincoli territoriali, occorrerebbe favorire l’emergere di realtà che siano competitive a livello internazionale. Che non possono essere che poche e selezionate, appunto, in modo efficiente ed equo.
[…]
2.4 La differenziazione compassionevole
Perché non dobbiamo pensare ad una differenziazione condotta in modo esplicito, trasparente e intelligente? Perché il mio punto – e qui chiudo veramente – è che se non si fa questo – se non c’è una classe politica, purtroppo, capace di guidare questo processo, la differenziazione avviene comunque, ma avviene in un modo perverso. Avviene come byproduct, come sottoprodotto, di altre scelte ed è una differenziazione molto meno equa, molto meno trasparente per definizione e anche molto meno efficiente di quella che invece sarebbe se condotta da un Principe capace .
[…]
3. GIANFRANCO VIESTI
3.1 Sono sorpreso da Checchi e Regini: io penso che ci sia un problema nazionale
Grazie, grazie a tutti per essere qui. Questo rapporto [Università in declino, Donzelli 2016] è un po’ eccentrico, nel senso che è realizzato da 19 ricercatori di tutta Italia che non si erano prevalentemente occupati di università prima, a differenza di grandi esperti del sistema di istruzione, come Marino Regini e Daniele Checchi. E che quindi danno all’università uno sguardo dall’esterno. Questo avviene perché molti di questi ricercatori, a cominciare dal curatore, erano interessati al tema dello sviluppo competitivo del nostro paese, delle imprese, della nostra capacità di esportare. Dunque, ritenevano che, comunque sia, una dotazione sufficiente di capitale umano ad alta qualifica sia una condizione indispensabile per riempire di competenze le imprese e quindi essere capaci di competere meglio nel paese. Questa considerazione tradizionale, che io ritengo ancora valida – continuo a seguire la letteratura in materia mi pare che confermi – si scontra con la circostanza che l’Italia è l’ultimo paese europeo per numero di giovani laureati.
Ultimo vuol dire peggio della Romania e peggio della Bulgaria. Sta per essere superato dalla Turchia [in realtà è già accaduto, NdR] e in questi ultimi otto anni ha fatto una politica estremamente forte per ridurre il numero dei futuri laureati, nel senso che l’università italiana si è ridotta del 20% nel giro di otto anni, cosa che non è successa in alcun paese, neanche in quelli più duramente colpiti dalla crisi, a partire da una dimensione molto più piccola. Quindi, questa era la preoccupazione di insieme da cui nasce questo rapporto.
Devo dire che sono estremamente sorpreso dalla circostanza che negli interventi si è molto più analizzata la dimensione interna di differenziazione del sistema, che pure è un tema rilevante su cui naturalmente tornerò, piuttosto che questa dimensione di insieme, che io trovo di una certa rilevanza, nel senso che la Lombardia è largamente in fondo nella graduatoria europea di laureati su 30-34 anni. Quindi, non stiamo parlando di un paese nel quale un pezzo ha un sistema universitario che per dimensione, almeno, o come capacità di laureati, compete. La regione più forte d’Italia quantitativamente, il Lazio, è al livello del Portogallo.
Devo dire: sono molto sorpreso dalla discussione, perché pensavo che questi temi di insieme fossero comunque dei temi molto rilevanti. Su questi tornerò alla fine, perché il dubbio, ringrazio ovviamente Regini e Checchi – chiedo scusa a Mario Ricciardi se trascurerò un po’ le sue osservazioni ma mi concentrerò su questo ruolo eccezionale che hanno svolto di discussant. Come se la Lombardia fosse in una situazione con un sistema universitario che ha livelli e dinamiche assolutamente perfetti e a posto e, quindi, il problema fosse solo quello dell’università di Foggia. A me non pare questo. Quindi, credo ci sia un problema nazionale.
3.2 Esplicita o implicita, è stata una scelta politica
Chiedeva Regini: […] è stato un disegno politico o no? Noi abbiamo cercato di fare come al solito i ricercatori e quindi abbiamo visto quello che è successo. E poi ne abbiamo dato una lettura ex-post. Quindi, non siamo andati a fare un’analisi politologica sui documenti dei partiti. E abbiamo visto che questo cambiamento che c’è stato è sicuramente effetto rivelato di una scelta politica, esplicita o implicita, fortissima. Per capirci, mentre la Germania aumenta del 20% il finanziamento all’università, l’Italia lo taglia del 20%. È questo un disegno politico esplicito o implicito? Noi non entriamo in questa discussione e siamo aperti a ogni suggerimento. Non c’è nel libro risposta a questa domanda, ma sicuramente quello che possiamo dire con certezza e che è rivelato dai dati è che questa massa di documenti illeggibili e di circolari e decreti ministeriali che ha tradotto in pratica questa politica, senza che vi sia stato alcun annuncio pubblico, della sua effettuazione, ha prodotto risultati fortissimi.
3.3 Il Principe ha detto «l’aumento delle tasse universitarie va premiato»
Dice Regini: ma sei in contraddizione perché parli di un Principe. Beh, certo che parlo di un Principe. Non a caso parlo di un Principe e non parlo di un tale ministro, di un tale partito, perché c’e1 qualcuno che li avrà scritti quei decreti. E siccome quei decreti sono scritti in modo che io trovo assolutamente contestabile, perché tutte le allocazioni sono fatte – lo dirò fra un attimo – sulla base di dati già noti. Quindi, l’Italia si distingue in campo internazionale per una politica di premialità molto bizzarra, nella quale prima si vedono i dati e poi si decidono gli indicatori. Questo è avvenuto sempre. Tutti i decreti del ministero sono stati emanati cambiando sempre gli indicatori, dopo aver avuto disponibili i dati. E quindi l’avrà fatto qualcuno. L’avrà fatto Profumo, l’avrà fatto la Carrozza, l’avrà fatto qualche dirigente, ma certamente c’è un Principe che non ha stabilito un principio ex-ante, sulla base del quale ha costruito indicatori noti, rispetto ai quali tutti erano tenuti a comportarsi, ma ogni anno ha guardato i numeri e ha scelto gli indicatori. Ognuno può avere la sua idea, ma questa mi sembra una lettura fattuale di quello che è avvenuto. Indicatori sia complessivi, sia di allocazione all’interno del sistema. Facendo delle scelte molto rilevanti. Per esempio, nel nostro paese, Regini e Checchi sicuramente lo sanno molto meglio di me, esisteva una norma, di valenza politica generale, che impediva che il gettito delle tasse fosse superiore al 20% dell’FFO, se non vado errato. Il Ministro Profumo l’ha cambiata di 180 gradi. Che cosa ha fatto il Ministro Profumo? Ha inserito il gettito delle tasse nell’algoritmo che determina quanti professori si possono assumere. E ha variato il criterio del 20% per cui la politica, che era “non si devono alzare troppo le tasse universitarie” è diventata “l’aumento delle tasse universitarie è un merito che va premiato”.
3.4 No Daniele, guarda che a parità di ISEE si pagano le stesse tasse in tutta Italia
Questo è molto rilevante, perché parliamo di gettito – Daniele non avrà visto una cosa che d’altra parte tutti si aspettano, un lavoro recente che ha fatto un nostro comune collega che si chiama Vito Peragine – che dimostra quello che tutti vedono dai dati, cioè che a parità di ISEE, i figli dei professori universitari pagano le stesse tasse in tutta Italia. E che quindi il gettito medio – con qualche eccezione, l’Università della Basilicata le tiene più basse, ma non c’è una differenza – il gettito medio, molto più basso in alcune regioni, è funzione della circostanza che i contribuenti si ripartiscono diversamente come numerosità nelle classi ISEE. E dunque il gettito medio è figlio del diverso reddito pro-capite. Inserire il gettito delle tasse all’interno dei punti organico, nel criterio che definisce i unti organico, è una scelta politica con impatti territoriali fortissimi, perché sostanzialmente dice: “le università, indipendentemente dalla loro qualità intrinseca, allocate nei territori più ricchi hanno diritto ad assumere più docenti”.
3.5 La volonta di differenziazione esiste e si sta rafforzando
Questo è molto rilevante, perché porta alla questione più volte sollevata, anche da Regini e poi anche da Daniele: esiste una volontà di differenziazione? Mah, io credo che si stia molto rafforzando. Quando si fa un decreto di questi, che nessuno vede, perché sono troppo oscuri, in cui si stabilisce d’emblée, dati i risultati della VQR 2004-2010, che essi valgono anche per il reclutamento dei nuovi ricercatori, cosa che non ha mai detto nessuno, si dice, dato che i risultati sono questi, che si fa una differenziazione territoriale. Credo che la differenziazione più forte di tutte verrà con queste “Cattedre Natta”, per le quali i vincitori sono sostanzialmente liberi di scegliere. L’Università di Campobasso è peggio della Statale, da molti punti di vista. Ma, anche se fosse meglio, non ci andrebbe nessuno. Potendo scegliere, andrebbero a Milano. Perché Milano ha una qualità della vita, una densità di presenze universitarie, una qualità della ricerca extra-universitaria, una possibilità di collaborazione con le imprese immensamente superiore a quella di Campobasso.
Noto incidentalmente – non se n’è parlato – che l’FFO copre solo i 2/3 del finanziamento delle università. Ecco, un altro aspetto molto rilevante della politica, così come rivelata dai documenti, è che le università sempre più si finanziano con altri fondi. Questi sono le tasse universitarie, il cui gettito dipende dal reddito, e poi c’è una grande voce di “altri finanziamenti”, che è una scatola oscura su cui sarebbe bene entrare. Perché possono esser in parte proventi di ricerca – e quindi non c’è dubbio – in parte possono essere le fondazioni bancarie che esistono solo al Centro-Nord e non al Sud. le regioni a statuto speciale, per cui alcuni sono più speciali degli altri, E quindi l’intero meccanismo presenta diverse criticità.
3.6 Prima si sono guardati i dati, poi si sono scelti gli indicatori. Alcuni odiosi.
C’è stata volontà di differenziazione? Mah, io credo e sono assolutamente convinto, innanzi tutto, che la politica che si è fatta nell’allocare all’interno del sistema universitario un ammontare di risorse che si andava restringendo si stata una delle peggiori politiche pubbliche fatte in questo paese. Innanzi tutto, per i motivi che ho già detto e cioè perché oggi anno, prima si guardavano i dati, e poi si sceglievano gli indicatori. Gli indicatori sono cambiati tutti gli anni meno uno. Ne sono stati usati 22 diversi in sette anni. Non vi era alcuna possibilità di miglioramento, dato che se volevo migliorare su un indicatore, quello te lo cambiavano l’anno dopo.
Alcuni indicatori sono stati odiosi. Per esempio, l’attuale ministro ha inserito un indicatore per cui – molto piccolo, come dimensione, ma significativo politicamente – per cui le università hanno un merito se i loro studenti vanno a fare l’Erasmus. Ancora ieri il rapporto AlmaLaurea ci ricorda una cosa del tutto ovvia e cioè che la possibilità di andare a fare l’Erasmus dipende dal reddito delle famiglie. E dunque questo indicatore significa: “le università che hanno gli iscritti che provengono da famiglie più agiate hanno un premio”.
3.7 La letteratura corrente, che io ho letto – a differenza di Daniele, che la scrive con grandissima qualità – dice che …
Gli indicatori di velocità sono molto dubbi. Ne ha parlato molto Daniele Checchi. Non c’è dubbio che esista una forte differenza di velocità negli studi fra Nord e Centro-Sud, perché fra Lazio, Campania, Marche, Puglia, da questo punto di vista, le differenze sono bassissime. Da che cosa dipende questa differente velocità? L’assunzione implicita nelle politiche che sono state fatte è che dipende dalla qualità delle università. La letteratura corrente, che io ho letto – a differenza di Daniele, che la scrive con grandissima qualità – mi pare suggerisca anche che la velocità alla laurea dipende dal bagaglio di competenze che uno si porta dal liceo. E siccome noi sappiamo che i test PISA e INVALSI disegnano un bagaglio di competenze assai diverso sul pilo territoriale, forse dipende anche da questo. E quindi un indicatore di velocità premiale è un indicatore che ha un forte bias territoriale.
3.8 Non è questione del Sud: anche Genova e Trieste vanno a chiudere
Ma non è questione del Sud. Le università che vanno a chiudere sono Genova, sono Trieste, cioè sono, non a caso, le università dei territori più deboli del Nord. E sono tutte le università romane. Da questo punto di vista Napoli è messa molto meglio di Roma. La Federico II ha degli indicatori molto migliori. E, come ha detto Mario Ricciardi, che cito, questo crea un effetto, a mio avviso, estremamente negativo. Che cosa notiamo noi nel libro? Che ci sono indicatori di qualità a livello di ateneo e indicatori di qualità negli atenei. E che quello che caratterizza il sistema italiano è che la varianza nella “qualità”, comunque la misuriamo, è molto maggiore all’interno degli atenei che fra atenei.
[…]
Siamo perfettamente d’accordo che il tema non è il numero di dottorati, ma il tema è che al Sud gli studenti di dottorato sono diminuiti di un terzo. E che dunque hanno una densità rispetto alla popolazione che è 1/10 rispetto alla Germania. Nel senso che in Germania ci sono tre studenti di dottorato ogni mille abitanti, in Sicilia ce ne sono 0,3. Io, che vengo da altri studi, di imprese e di competitività, non penso che possa avere alcun futuro un territorio che abbia dei livelli di istruzione, liceale e poi universitaria e poi avanzata, di questi livelli.
3.9 Stratificazione prodotta dall’eccellenza o dalla retorica dell’eccellenza?
[…] Trivellato e Triventi, che credo siano due riconosciuti esperti del sistema, scrivono:
In quattro paesi europei, compresa l’Italia, non sia tanto l’eccellenza a produrre la stratificazione, quanto la necessità e la volontà di stratificazione a utilizzare la retorica dell’eccellenza come fattore legittimante
Questo mi sembra un problemino non da poco, soprattutto venendo alla fine del discorso che ha costituito l’argomento principale della discussione, molto sincera, di cui lo ringrazio moltissimo. D’altra parte con Daniele siamo abituati a un confronto molto … Devo dire in alcuni punti un po’ caricaturale, però la tesi è stata espressa, e lo ringrazio, con grandissima onestà e chiarezza.
[…]
3.10 Molti inattivi? Daniele, però, qua te la tiri perché Bocconi e Cattolica …
L’altra cosa che noi scopriamo è che, a parità di abilitazione – l’abilitazione è un pezzo di carta che ti dice “sei professore ordinario”, ma non sei professore ordinario finché qualcuno non ti chiama – questo sistema sta provocando che al Nord, rispetto al Centro-Sud, la percentuale di abilitati che vengono chiamati è molto superiore. Quindi si sta introducendo un ulteriore meccanismo di attrazione dei migliori.
Le università del Sud hanno una cattiva organizzazione? Non c’è dubbio, ci lavoro e sono perfettamente d’accordo. Daniele, d’altra parte, è venuto tate volte a Bari e quindi lo sa perfettamente. Il personale amministrativo è del tutto pari, rispetto ai docenti e agli studenti oggi. In passato, può essere stato usato come reclutamento clientelare? Ma non c’è dubbio. Infatti, la qualità media del personale amministrativo al Sud è più bassa. Ma questo avveniva mentre queste università del Sud nuotavano nei soldi? Eh no, perché proprio quello che ha detto Daniele Checchi dimostra una cosa molto interessante e cioè che, passando dallo storico al costo standard, queste università guadagnano, pur essendo il costo standard solo sugli studenti regolari. Perché, come ha fatto vedere Torrini [ex Direttore dell’ANVUR, NdR] in una delle discussioni che abbiamo avuto, come veniva allocato l’FFO prima di tutto questo? Su base storica, quindi su base discrezionale. Ma questo produceva grandi disparità fra atenei all’interno delle circoscrizioni e anche fra circoscrizioni.
Non c’è dubbio, ci sono molti inattivi. Daniele, però, qua te la tiri, perché sai perfettamente che nella tabellina che noi abbiamo messo – un po’ cattivella – si fa vedere che la Bocconi e la Cattolica sono nel “top 10” degli inattivi.
Perché questo? Dipende molto dalle discipline. Gli inattivi sono moltissimi in medicina […] poi ci sono molti inattivi nei giuristi e molti inattivi negli aziendalisti, perché sono evidentemente persone che svolgono attività esterne.
[…]
3.11 VQR: una costruzione scientifica messa in dubbio da Baccini e De Nicolao
C’è questa differenza drammatica? Beh qui noi non entriamo, come sai, nella VQR. È stato pubblicato recentemente su Scientometrics un articolo di Baccini e De Nicolao, piuttosto duro sulla VQR, che ne mette in dubbio l’intera costruzione da un punto di vista scientifico. Non ho le competenze e non entro. Dico soltanto che una valutazione sperimentale non avrebbe dovuto avere così tanta pretesa di essere un criterio ordinatore così grande, come dicono sempre Trivellato e Triventi, in nessun paese europeo si allocano tanti soldi in base alla VQR e, soprattutto, in nessun paese europeo, mai si è usato questo criterio per allocare un ammontare che si riduce e non quote premiali.
3.12 I dati erano gli stessi ma il MIUR ha prodotto due classifiche completamente diverse
Noi notiamo nel libro che si è fatto di tutto per ampliare questa differenza. E cioè` l’FFO è basato sull’IRFS – mi scuso se parlo in arabo, ma queste sono le cose che abbiamo dovuto imparare – quindi l’indicatore della qualità della ricerca usato nell’FFO, non è l’IRAS1, che è l’indicatore della ricerca, ma solo al 50% è IRAS1 e per il resto ha anche una [parte che misura la] capacità di attrazione di risorse, che può essere condizionante. Peggio, nell’UFO, come forse Daniele e Marino sanno, che cosa è successo? Che c’è un indicatore che si chiama IRAS3, che è un indicatore di qualità del reclutamento. Grazie a Roars, abbiamo scoperto che con gli stessi dati, due ministri diversi hanno fatto due graduatorie completamente diverse. Ma completamente diverse. Perché hanno usato, nel portare i dati dalla VQR all’FFO, due algoritmi (uno “Carrozza” – mi pare – estremamente discutibile, uno “Giannini” – mi pare – più ragionevole) molto, molto diversi.
3.13 Il tema non è “povero Sud”, ma “povera Italia”
In conclusione, grazie moltissimo per questa discussione aperta, però non m pare che l’argomento del libro e il tema in discussione sia “come dare qualche compensazione alle università del Sud”. Non è proprio questo. È “come un migliore sistema universitario è capace di fare diventare migliore questo paese”. Per quello che capisco io, sotto il profilo economico, ma anche sotto il profilo … noto incidentalmente che l’ISTAT l’altro giorno ci ha detto che un maschio italiano laureato vive 5,2 anni in più di un maschio italiano che si ferma all’istruzione elementare. Quindi, è un tema rilevante.
Come si produce questo risultato? Migliorando. Ma parliamo di come si migliora. Parliamo se è meglio che ciascuna università faccia ricerca prevalentemente per se stessa o ci debbano essere dei meccanismi anche di cooperazione all’interno del sistema universitario, che non mi paiono per niente incentivati.
C’è un tema di concentrazione, che lascio agli amici milanesi e lombardi. Io ho la mia risposta. La domanda è: la Lombardia è più forte se le università lombarde sono forti o se le università italiane sono forti. A me pare, anche per la diversità di competenze che c’è nel sistema universitario italiano, che la risposta sia la seconda. Ma temo che le difficoltà dell’Università di Foggia abbiano a che fare con la competitività della Lombardia, perché è un sistema nazionale quello che nutre la competitività dei suoi pezzi territoriali.
E poi ci sono comunque dei problemi, degli effetti sul territorio. Allora, prendo la Calabria, perché è molto interessante. La Calabria è di gran lunga la regione italiana in condizioni peggiori, la più povera. Ha un’ottima università. Nella cartina di Daniele c’era zero all’ERC – non c’è dubbio – ma è un’ottima università da ogni punto di vista. Va bene nella VQR, va molto bene nell’ASN. Rappresenta un presidio fondamentale per l’istruzione dei giovani anche calabresi, per il trasferimento tecnologico – per quel che si può fare in quella regione – non a caso è nato un piccolo polo del software e per la ricerca applicata. E, dunque, io terrei in considerazione anche questo. Non è un problema di compensazione. È un problema di quali sono i principi che debbano presiedere alla politica del dimensionamento e della strutturazione del sistema universitario all’interno di un grande paese avanzato.
Nessuno ha la verità. Abbiamo visto la Germania, la Excellence Initiative, abbiamo visto i problemi non piccoli che mi pare si stiano registrando nel Regno Unito, sul sistema universitario. Parliamone: lo scopo di questo libro era fornire elementi all’intera comunità nazionale per fare questa discussione, traducendo in italiano le colonne dei decreti del MIUR – che tra l’altro sono solo in pdf e non in Excel, per cui bisogna copiarseli e poi salta sempre la riga – quindi vi assicuro che non è stata una cosa facile. In questo, ovviamente, essendo l’università un tema importante, vale anche il tema delle università nelle aree deboli del paese, perché io credo – un po’ all’antica, scusatemi – che in un sistema nazionale lo sviluppo delle aree deboli faccia bene a tutto il paese. E, quindi, avere delle buone università faccia bene alle aree deboli e all’intero paese.
VIDEO DELL’EVENTO:
Nota: In base al comma 1 dell’art. 5 del Codice Etico dell’ANVUR «Nelle materie di competenza dell’Agenzia, i membri dell’Agenzia e, per quanto attiene le attività ad essa connesse, gli studiosi collaboratori esterni partecipano a convegni, seminari e simili, nonché pubblicano articoli su quotidiani o periodici solo quando la partecipazione o la pubblicazione avvengano nell’interesse dell’Agenzia. Tali attività sono comunicate al Presidente».
Occorrerebbe correggere non solo le tasse ma anche gli stipendi legandoli al costo della vita, e quindi ridurli al sud ed aumentarli al nord.
Oppure, meglio ancora, privatizzare lasciando che il libero mercato operi il riequilibrio, premi il merito e punisca (anche con il fallimento) chi ha assunto in maniera clientelare o nepotistica personale inutile o incapace e non vuole rimediare.
Tipo come è successo alle banche dopo la crisi?
Perché non ha il coraggio di firmarsi? Due: che teorie economiche del cavolo e datate sta esibendo? Tre: vuole uno Stato nord-italiano
meritocratico, già abitato dalle sole persone oneste e capaci dell’attuale Italia? 4: perché l’Anvur e il Miur hanno necessità di essere tutelati e difesi anche da anonimi? Devono essere nella …. fino al collo.
Vivo a Napoli, ma lavoro (temporaneamente) a San Giuliano Milanese, dove dirigo un Istituto del CNR. Le assicuro che vivere il costo della vita a Napoli è molto maggiore che a SGM. A chi posso chiedere, secondo lei, di aumentarmi lo stipendio?
sono di Napoli, vivo e lavoro a Bologna da una vita, però sto pensando di tornare a Napoli, si vive meglio. Dite che mi prendono ?
[…] del 20% nel giro di otto anni, «una delle peggiori politiche pubbliche fatte in questo paese». LEGGI […]
Si è scatenata proprio una guerra schifosa e vergognosa. E a condurre la controffensiva è un delegato dell’Anvur, chiaramente disinteressato alla faccenda. All’Anvur importa la propria sopravvivenza e basta.
Da Viesti, due annotazioni: Prima si sono guardati i dati, poi si sono scelti gli indicatori. Alcuni odiosi. – Non è questione del Sud: anche Genova e Trieste vanno a chiudere.
Manfredi cosa risponderebbe a tutto ciò? E in genere la Crui cosa fa? E il ministro gongola? Ma anche la strumentalizzazione dell’ERC, che schifo.
Marinella Lorinczi: “Manfredi cosa risponderebbe a tutto ciò?”
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Cosa risponderebbe? “Grande soddisfazione”, immagino.
Ma perché non parla per sé?
Abcd, suggerirei di introdurre il libero mercato anche per le terapie oncologiche. Non sia mai che un meridionale debba curarsi nei suoi ospedali. Li chiudiamo, lo mandiamo al Nord e fa pure girare il PIL (farmaci, viaggio in treno, soggiorno in albergo per i parenti …).
Le risorse a disposizione sono limitate, quindi è bene che vengano levate agli ospedali (ed alle università) che funzionano peggio e date a quelli che funzionano meglio. Questo lavoro di ottimizzazione delle risorse lo fa meglio il privato piuttosto che lo stato, a cui basta alzare le tasse ai sudditi per coprire gli sprechi.
ad “abcd” manca l’abc, ragion per cui d’ora in poi lo chiameremo “d”: ciò che “d” non afferra è che non ha senso levare risorse quando le risorse non bastano a garantire il servizio. E questo è proprio l’abc, se appena si guardano le statistiche OCSE:


è gia cosi.
Ciò che trovo più interessante nell’intervento di Checchi, è l’abbandono di ogni remora a esternare l'(a propria) impronta politica generale, che definirei ormai chiaramente di “Destra Storica”, senza preoccupazione alcuna, né per il proprio ruolo ufficiale né per i contenuti stessi. Ancora pochi anni fa S. Benedetto fu costretto a “ritrattare” le proprie esternazioni politiche dopo una nota intervista su “Repubblica”.
Ma è perchè dalle parole di Benedetto a oggi è cambiato il governo del Paese, che ora è di centro-sinistra… No, aspetta, che cxxxx sto dicendo?
Renzo Rubele: «S. Benedetto fu costretto a “ritrattare” le proprie esternazioni politiche dopo una nota intervista su “Repubblica”.»

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È una storia interessante quella dell’intervista di Simonetta Fiori (Repubblica) a Sergio Benedetto.
http://rassegna.unipv.it/bancadati/20120206/SIA6005.pdf
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Successivamente alla pubblicazione dell’intervista, c’era stato un piccolo “giallo”, mai definitivamente chiarito. Per comodità dei lettori, riporto quanto aveva postato proprio Renzo Rubele nel lontano 2/3/2012:
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Sul sito del Senato è comparso un documento, evidentemente consegnato in sede di audizione dell’ANVUR alla 7a Commissione il 29/2 (l’oggetto dell’audizione non interessa qui), contenente il testo della “intervista scritta” di S. Fiori di “Repubblica” a S. Benedetto, ***nella versione di Benedetto***, che si discosta da quella pubblicata sul giornale
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm07/documenti_acquisiti/Prof.%20Benedetto%2029.02.12.pdf
Ora, mentre è del tutto possibile che l’intervista pubblicata sul quotidiano riassuma e “tagli” certe parti, si notano degli scostamenti vistosi nella parte più “scottante”, circa il fatto che la “mappa del VQR” potrà essere usata per chiudere delle sedi, e per distinguere fra “teaching Universities” e “researching Universities”. A quella domanda, Benedetto riporta una risposta completamente diversa, e *ovviamente* corretta. Pero il testo della Fiori metteva quella risposta fra caporali (cioè « … »), esattamente come le altre.
Anche in un’altra risposta, riguardo al quesito su “serie A, serie B, …, serie Z”, Benedetto riporta una versione con risposta più lunga, la cui elisione dalla versione pubblicata cambia il senso della frase.
https://www.roars.it/ce-spazio-anche-per-anvur/comment-page-1/#comment-430
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Inutile dire che il documento depositato presso la VII commissione si rivelava provvidenziale per togliere d’impaccio l’ANVUR che doveva essere audito, ma metteva in forte imbarazzo Simonetta Fiori: possibile che avesse messo in bocca a Benedetto (tra virgolette) delle affermazioni del tutto assenti nell’intervista scritta? Negli anni a seguire, l’intervista è stata spesso citata da noi e altri, senza che ci fossero smentite da parte di ANVUR.
Tornando a Daniele Checchi, bisogna dire è più sfortunato (o meno accorto) di Benedetto: questa volta esiste una registrazione video e non si può esibire una intervista scritta priva delle frasi più scomode. Nemmeno servirebbe seguire le orme del Presidente CNR Massimo Inguscio (il cui controverso video è scomparso dal canale YouTube dell’Università di Catania), ovvero chiedere alla Casa della Cultura di rimuovere il video, dato che abbiamo provveduto a scaricarlo e a tenerne copia nei nostri hard disk.
Mah, che dire….visto che il sud non si nordizza, io mi meridionalizzo, quindi lavorerò meno, pur insegnando in un ateneo del nord….mio figlio lo mando a studiare in Olanda, mi costa meno….cari saluti.
Vogliamo commentare una impressionante frase di Checchi? “Perché il paese può fare un investimento compensativo al Sud, visto che non può UCCIDERE i docenti inattivi che sono presenti nelle università del Sud e rimpiazzarli con docenti nuovi freschi”. Viene fuori il sottofondo violento dell’ossessione “valutativa”. Che non è un progetto neutro, come ben sappiamo, ma un piano di smantellamento che toglie risorse a tutti in modo che solo gli “individui” più dotati sopravvivano, o, meglio, muoiano più tardi. Un po’ come succedeva nei campi di concentramento nazisti. Lo sfondo di tutto il discorso valutativo (nord produttivo, sud pigro e fannullone) è saturo della triste miscela di razzismo e luoghi comuni che guida da tempo, in Italia come nel resto d’Europa, il dibattito pubblico nei campi della cultura e dell’economia.
Sì, è un po’ sinistro questo liberismo di sinistra.
Gente senza arte né parte, che in un altro paese farebbe tutt’altro mestiere, chiamata a decidere sulla sorte del sistema universitario del paese in nome della lotta ai baroni. Se non ci fosse da piangere, e se il grosso dell’accademia non fosse ridotta a una ameba interessata solo a portarsi a casa qualcosa, ci sarebbe da farsi grasse risate con gente del genere. Che pena !
Bé, l’eugenetica sotto le mentite spoglie di “ricerca dell’efficienza” è ben noto chi l’abbia inventata, no? [Sugg.: cercare oltreoceano, circa 100 anni fa]
E tutto ciò, a ben vedere, è quanto di più profondamente illiberale possa esserci. Per cui, per favore, non chiamatelo “neoliberismo”, ché i veri liberali si rivoltano nella tomba…
La visione miope e priva di cultura o attenzione e’ sconvolgente. Posto che senza finanziamenti la ricerca e’ difficile, mi chiedo con che criterio si decide sulla inutilità di medicina o giurisprudenza al Sud. Ma poi queste scelte dovrebbero partire da una visione che qui manca del tutto.
Semplicemente incredibili le parole di Checchi, che non conoscevo. Semplicemente incredibili. Riescono persino a far dimenticare la superficialità della sua, chiamiamola così, analisi.
…E finalmente qualche anvuriano che esce dalle fogne bibliometriche (dove si nascondono ufficialmente per MIGLIORARE il sistema universitario italiano) e riesce a confessare l’inconfessabile rendendo palese il vero motivo dietro quella caterva di mi****te stratosferiche di indicatori, meritocrazia, mediane, Q1-2-3-4, SUA, MIA ZIA e compagnia cantando.
Che uno potrebbe anche liberamente ragionarci su, se solo venisse presentata per quello che è:
una scelta POLITICA di ridimensionamento DIFFERENZIALE del sistema universitario italiano;
Sono sicuro infatti che molti docenti, da Vipiteno a Portopalo di Capopassero, non vedono l’ora di aderire fieri al (nuovo) ventennio, magari solo per raccattare le briciole cadute dal tavolo (e.g. abcd).
E il resto dei docenti che fa? resta a guardare?
Sicuramente le posizioni espresse nel dibattito tolgono credibilità definitivamente a qualsiasi scusa sulla distruzione del sistema universitario del sud da parte di Anvur con la copertura che “Anvur fa scelte tecniche”. Anvur è stato ideato per fare quello che sta facendo, più chiaro di così non si può. Comunque il problema non è solo Anvur, il problema è chi non lo butta di sotto [cit.]
Infatti. Lo penso anch’io: per assurdo, Checchi è da apprezzare perché almeno ha rivelato sinceramente qual è l’obiettivo di fondo. Terrificante, disgustoso, ma sincero.
Solo che di queste cose se ne dovrebbe discutere in Parlamento e davanti all’opinione pubblica e non in un convegno tra pochi intimi.
Ma ce lo vedete voi un ministro così coraggioso da alzarsi in Parlamento e proporre apertamente una politica universitaria di pura stoffa anvurian/bocconiana? Lo si fa, ovvio, ma non lo si può mica dire. Questa è la regola – il fatto compiuto – e tanto peggio per la democrazia.
Il fatto è che questi discorsi, quelli di Checchi, sono del tutto sconclusionati.
Dice che non si sa cosa viene prima, se il calo di studenti o di finanziamenti o di immatricolazioni.
Poi che un figlio di un professore paga meno tasse al Sud, ma i professori prendono lo stesso stipendio. Grazie, ma non sono mica tutti figli di professori ad esempio, direi un’esigua minoranza.
Poi dice che non ci sono ERC, ma poi che dovresti vedere da dove provengono i vincitori di ERC del Nord. Mingione mi pare un caso, ad esempio.
Poi che sono di più gli inattivi al Sud, quando appunto i milanesi figurano fra i primi dieci campioni di inattività dai dati VQR.
Poi che il problema si può risolvere iniziando a eliminare Giurisprudenza e Medicina. Ma senza parlare del mercato del lavoro al Sud, che pure è in gran parte figlio di scelte politiche.
Poi dice che:
“È quindi chiaro che, a mio parere, le università del Sud, a finanziamenti attuali, non ce la faranno mai a ridiventare competitive con le università del Nord. Però, questo è un problema da discutere politicamente: cioè se il paese vuole o non vuole avere un sistema universitario degno di questo nome al Sud.”
che sono affermazioni di nuovo sconclusionate. “A finanziamenti attuali”? E allora significa che qualcuno ha già deciso che le università del Sud non devono diventare competitive con quelle del Nord. Qualcuno le sta suicidando. Il Paese, o meglio, la classe politica, non vuole avere un sistema universitario degno di questo nome al Sud.
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Il discorso del tal Regini sulla “qualità media” non è da meno.
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Se questi sono gli ammiragli della nave, si capisce perché siamo allo sbando.
Grazie, ma non sono mica tutti figli di professori ad esempio, direi un’esigua minoranza.
GIA’ MOLTI SONO ANCHE FIGLI DI PANETTIERI CHE AL NORD DICHIARANO TUTTO FINO ALL’ ULTIMA LIRA.
Poi che sono di più gli inattivi al Sud, quando appunto i milanesi figurano fra i primi dieci campioni di inattività dai dati VQR.
MILANO E’ UNA: PARLIAMO DI VALORI MEDI DI INATTIVITA’. NON INTERPRETIAMO I DATI A CASO PER FAVORE.
Poi che il problema si può risolvere iniziando a eliminare Giurisprudenza e Medicina. Ma senza parlare del mercato del lavoro al Sud, che pure è in gran parte figlio di scelte politiche.
NUMERO CHIUSO A GIURISPRUDENZA: ALTRIMENTI RASSEGNATEVI AD ESSERE UN UFFICIO DI COLLOCAMENTO STUDENTI.
È quindi chiaro che, a mio parere, le università del Sud, a finanziamenti attuali, non ce la faranno mai a ridiventare competitive con le università del Nord. Però, questo è un problema da discutere
HANNO SPERPERATO PER DECINE DI ANNI. CLIENTELISMO, ED ANCHE PEGGIO (RETTORI INQUISITI ED ANCHE ARRESTATI) MA DOVE VIVE ?
detto questo, l’ unviersità al centro sud ma anche al nord dove non funziona, va territorializzata. Non ci sono molte alternative. Altrimenti affondiamo tutti insieme allegramente.
http://www.anvur.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1038:comunicato-it&catid=48&Itemid=129&lang=it
Io credo che sarebbe più prudente che i membri dell’ ANVUR si astengano da dichiarazioni che rischiano di ingenerare confusioni di ruoli. Infatti se le dichiarazioni di Checchi possono avere cittadinanza in un convegno tra studiosi della materia, sconfinano fuori dal ruolo di una agenzia di valutazione EX POST come l’ANVUR.
Infatti che valuta a posteriori NON DEVE DARE INDIRIZZI POLITICI. Chi ha detto che nell’ università non ci possono essere docenti inattivi? Parlando PER PARADOSSI qualcuno potrebbe obiettare che magari avere una parte di docenti che si occupano di politica locale e di sottogoverno e non fanno un tubo di ricerca e fanno didattica scadente e’ positivo perché bla bla bla….
Cosa vuol dire questo che esiste una sfera di INDIRIZZO POLITICO del sistema, che oggi e’ totalmente latitante, che appartiene alla politica e NON a chi valuta.
La valutazioni E’ UNO STRUMENTO DEL DECISORE POLITICO, non una entità che esiste in modo decontestualizzato. Faccio un esempio terra terra. Oggi ci sono nella valutazione dei prodotti 5 classi di merito, perché? Quale e’ l’obiettivo che ci si prefigge? Uno potrebbe intuire che si vuole separare un livello di eccellenza dal resto, ma e’ questo necessario per intraprendere una azione politica? Quale obiettivo si vuole raggiungere?
Un punto di vista diverso potrebbe dire, vogliamo solo accertarci che il sistema abbia un buon livello medio, poi per l’eccellenza ci affidiamo ad altri strumenti, esempio ERC e simili. Allora 5 classi sono inutili.
Oggi una agenzia di valutazioni priva di indirizzi politici, finisce per fare essa stessa politica IN MODO IMPLICITO e questo non e’ il suo mestiere.
Il libro di Viesti documenta questa politica svolta in forma indiretta in modo encomiabile.
Io per le scelte politiche non delego colleghi ma voto per i membri del parlamento.
L’Anvur è stata pensata per supplire all’assenza della politica, e infatti nel vuoto della politica è l’Anvur che fa la politica universitaria. Questo fa parte del fatto che la politica dell’università e della ricerca sono state delegate dal 2008 in poi a entità esterne alla politica e che i vari “politici” altro che non sono che tristi figuranti.
Signori, forse sarò semplicista, ma, credo le cose siano piu’ semplici di quel che sembrano.
L’Italia è una economia di mercato matura. Il sistema universitario ha una unica strada di salvezza; la creazione di un sistema parallelo privato o almeno di diritto privato.
Oggi l’Università è, in un ottica economica, un ufficio di collocamento, che produce poco o nulla reddito. Ne consegue l’appiattimento delle retribuzioni (al ribasso) rispetto ad una salita delle retribuzioni nel settore privato, una mancanza di valutazione seria (perchè deve appunto collocare ). Se non si crea un regime di concorrenza, ed un regime di concorrenza interno allo Stato non è nè possibile ne giusto, non ne usciremo mai. In inghilterra e negli Stati Uniti ma anche in Cina, funziona. Si trasforma l’ università in un sistema economico , in grado di generare reddito, di attrarre capitali dall’ estero, da reinvestire. Il privato creerebbe nuova occupazione, il pubblico ne beneficerebbe per effetto della concorrenza. Ha funzionato per le poste, per altri settori, anche per la sanità. Perchè si vuole ipocritamente far finta di garantire un servizio di livello per tutti, quando sappiamo tutti che non è cosi e che non è possibile, ed aggiungo, neanche giusto, in senso etico. forse è ora di superare lo statalismo nella formazione. E non è vero che i poveri non andranno all’ università, perchè non ci vanno già adesso, mentre i ricchi vanno già a fare master all’estero. Forse è ora di cambiare rotta.
Sì certo è ora di cambiare rotta e smetterela di propagandare queste stupidaggini grazie.
Chiedo venia, vorrei in primis un paio di chiarimenti. L’universita’ e’ un ufficio di collocamento: di chi? Non e’ chiaro se si riferisce al clientelismo nel reclutamento o a cosa altro.
La mancanza della valutazione seria: di chi e per cosa?
A seguire, ho alcune osservazioni.
Vorrei che fosse chiaro che non esiste categoria di lavoratori piu’ spesso valutati dei docenti universitari, ogni articolo, ogni progetto, ogni corso, sempre soggetti a valutazione. Non entro neppure nella discussione relativa alla serieta’ della VQR perche’ sparare sulla croce rossa e’ uno sport odioso.
Sull’appiattimento delle retribuzioni che lei reputa ovvio e ineluttabile nel pubblico vorrei invitarla a confrontare quello che e’ accaduto alle retribuzioni dei docenti universitari con quanto accaduto a quelle dei magistrati. Non mi pare mostrino la stessa dinamica, ma non mi pare che i tribunali siano stati privatizzati, quindi chiederei di evitare di brandire correlazioni… saro’ gentile, diciamo discutibili? a stregua di una clava.
Sulla necessita’ di un sistema di essere privato per funzionare, chiedo un momento di riflessione: magari mi sbaglio, ma non mi pare che l’Universita’ Tedesca sia privata.
acicchel, ma lei sa quanto costa fare un’università privata vera (con le varie facoltà di scienze dure)? E dove li prende i capitali? Lei li vede in Italia? E quanto costerebbe? E chi avrebbe i soldi per andarci? Facciamo una cosa, torniamo alla realtà, piantiamola con le ricettine ideologiche sentite chissà dove e propagandate da gente che, se fosse sottoposta ad una valutazione scientifica seria, dovrebbe cambiare mestiere. L’università di oggi genera reddito e tantissimo: sotto forma di sapere diffuso, competenza professionale e consapevolezza culturale di chi la frequenta. Cose che se si misurano male usando i metodi semplicistici che piacciono a qualcuno.
Purtroppo si sta verificando ciò che era stato ampiamente previsto: ANVUR e VQR sono strumenti creati al solo scopo di nascondere il disinvestimento dello stato nell’università. Il significato di quello che dice Daniele Checchi è chiaro: non li abbiamo uccisi, si sono suicidati. Uno studio dettagliato come quello di Roars è prezioso ma di difficle lettura per il pubblico: costringere Roars a scendere al dettaglio fa parte della strategia di occultamento perseguita dal governo e dalle sue agenzie. Il punto della questione è: suicida o vittima, l’università del Sud (e non solo) sta morendo. Far funzionare l’università è un compito del MIUR. Quindi, suicidio o omicidio, la primissima responsabilità dell’accaduto resta del MIUR (e dell’ANVUR). Troppo comodo scaricarla verso il basso.
Non ci sono capitali privati (qualcosa c’è per la verità : Varese e l’università dell’ass industriali ad es.) Perché l’investimento non è renumerativo alle condizioni attuali. Se si garaniscono le condizioni adatte allora un privato potrebbe investire. Non capisco perché una famiglia trovi normale spendere 30000 euro per un suv e niente o quasi per l’istruzione dei figli. Allora , si può generare un sistema economico virtuoso sulla formazione
rispondo per punti:
a Sylos Labini: lei usa spesso insultare le idee del prossimo o comunque agire di impulso: ” Sì certo è ora di cambiare rotta e smetterla di propagandare queste stupidaggini grazie” in modo perentorio. Manca di rispetto per le idee altrui in quanto diverse dalle sue. Cmq capisco che il dialogo con certe personalità ipertrofiche sia difficile, anzi impossibile.
Per Belelli:
L’universita’ e’ un ufficio di collocamento: di chi? Non e’ chiaro se si riferisce al clientelismo nel reclutamento o a cosa altro.
Mi riferisco al clientelismo nel reclutamento, dove non mancano mi sembra i casi. Mi riferisco anche a curiose ondate di assunzioni di TA in concomitanza di elezioni rettorali ad esempio. Ma forse sono solo coincidenze.
La mancanza della valutazione seria: di chi e per cosa?
Dalla valutazione non si scappa, Anvur o no. E’ giusto che chi lavora venga premiato e chi no, venga penalizzato. Sul modo certamente si può discutere, ma occorre partire da qualcosa.
A seguire, ho alcune osservazioni.
Vorrei che fosse chiaro che non esiste categoria di lavoratori piu’ spesso valutati dei docenti universitari, ogni articolo, ogni progetto, ogni corso, sempre soggetti a valutazione.
Esiste. Innanzitutto i primari ospedalieri che vedono una valutazione seria ogni 5 anni per mantenere il posto. Per i magistrati è stata inoltre introdotta la responsabilità, non è cosa da poco. Eviterei paragoni inopportuni. Allora io introdurrei anche per gli ordinari una valutazione quinquennale, con perdita della funzione.Quella che c’è ora non produce nessun danno, mi sembra. A danno di chi nell’università lavora più che nel suo studio privato.
Non entro neppure nella discussione relativa alla serieta’ della VQR perche’ sparare sulla croce rossa e’ uno sport odioso.
E’ evidente che tutto è migliorabile, ma bisogna partire da qualcosa. Cosa propone ? azzerare la VQR ? riportare tutto ad ordinari amici degli amici? Chiamiamo i tedeschi ?
Sull’appiattimento delle retribuzioni che lei reputa ovvio e ineluttabile nel pubblico vorrei invitarla a confrontare quello che e’ accaduto alle retribuzioni dei docenti universitari con quanto accaduto a quelle dei magistrati.
Non mi sembra di avere detto che è ovvio e ineluttabile. Vuole mettere la responsabilità (e il rischio della vita in alcuni casi) dei magistrati ? Ma le sembra un paragone serio ?
Non mi pare mostrino la stessa dinamica, ma non mi pare che i tribunali siano stati privatizzati, quindi chiederei di evitare di brandire correlazioni… saro’ gentile, diciamo discutibili? a stregua di una clava.
Ma di cosa parla ? E’ ovvio che non si puà privatizzare la giustizia, ma mi sembra esistono casi funzionanti di doppio sistema pubblico privato nell’ istruzione. Se non era gentile cosa faceva, offendeva anche lei le idee altrui come Labini ?
Sulla necessita’ di un sistema di essere privato per funzionare, chiedo un momento di riflessione: magari mi sbaglio, ma non mi pare che l’Universita’ Tedesca sia privata.
Fare paragoni con contesti culturali diversi non è realistico. La Germania è un paese ricco noi no. Ho detto: doppio sistema: pubblico – privato come in altri paesi, segnatamente USA e Inghilterra, dove il doppio sistema beneficia gli uni e gli altri.
Non mi sembra proprio di insultare nessuno: ribadisco anzi che L’Italia non è una economia di mercato matura, l’università non è ufficio di collocamento, e l’università e le poste sono cose piuttosto diverse. Però poiché sono decenni che leggo queste stupidaggini lo ribadisco: Basta ! (ps la prossima volta che leggo un riferimento alla mia personalità, poiché appunto sono malato, sarà pure l’ultimo)
Non ci sono in giro capitali privati al servizio dell’istruzione. La stessa Confindustria sta piratando lo Stato Italiano. Al massimo metterebbero in piedi qualche esamificio per i loro figli …
[…] questo quadro già critico, si sono aggiunte qualche tempo fa le dichiarazioni del neo consigliere Anvur, Daniele Checchi, il quale si è espresso con parole pesanti come […]