sarebbe un gran passo avanti poter avere una classifica italiana degli oltre 400 atenei“: questo è quanto ha scritto ieri sul Corriere Gianna Fregonara (fra l’altro moglie del Presidente del Consiglio Enrico Letta). In realtà, basta andare sul sito del MIUR per verificare che gli atenei italiani – privati e telematiche incluse – sono poco meno di 100. Sarà stata una svista? Forse la giornalista si riferiva alle sedi staccate? Ma anche così i conti non tornano.

Ieri, 22 settembre, il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo intitolato

Harvard vince in (quasi) tutto

firmato Gianna Fregonara, fra l’altro moglie del Presidente del Consiglio Enrico Letta. L’articolo desta alcune perplessità. Lasciamo da parte la fiducia acritica nelle classifiche internazionali degli atenei, la cui inaffidabilità e contraddittorietà questa estate ha cominciato ad essere notata persino sulle pagine dei maggiori quotidiani nazionali, Corriere incluso. Tralasciamo anche di tornare sull’enorme disparità delle risorse impegnate da Harvard e dal nostro sistema nazionale, un argomento che – cifre alla mano – abbiamo già trattato altrove.

Di sicuro, lascia perplessi che uno dei quotidiani di riferimento nazionali confonda l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) con una fantomatica (e inesistente) Associazione Nazionale di valutazione delle Università e degli Enti di ricerca. Sono solo parole, dirà qualcuno, ma il giornalismo è fatto di parole:

Chi parla male, pensa male, e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!

diceva Nanni Moretti ad una giornalista. Non sfugge a nessuno che un’agenzia è cosa assai diversa da un’associazione.

Per trovare il nome giusto dell’ANVUR basta digitare www.anvur.org e leggere la denominazione riportata in bella evidenza.

Ma l’errore più grosso è quello relativo al numero di università. Fregonara scrive:

sarebbe un gran passo avanti poter avere una classifica italiana degli oltre 400 atenei

Al giorno d’oggi non c’è bisogno di chissà quali archivi e biblioteche. Anche chi scrive per il bollettino parrocchiale o per il giornale studentesco del suo ateneo può fare una ricerca con Google e scoprire (in 30 secondi) che su Wikipedia c’è una voce intitolata

Università in Italia

Lì si trova una lista di 68 università statali. Più sotto, sono elencate 28 università private di cui 11 telematiche. Insomma, poco meno di un centinaio di atenei, 96 per la precisione. Un giornalista scrupoloso non si fiderebbe della voce di Wikipedia e cercherebbe una fonte di prima mano, consultando il sito del MIUR. Basta poco per scoprire che c’è un pagina dal titolo esplicativo

Cerca Università

Interroghiamo l’oracolo ministeriale ed ecco il responso:

Insomma, Wikipedia aveva ragione nel dire che ci sono 96 atenei, mentre Gianna Fregonara ha più che quadruplicato il vero numero delle università italiane.

È abbastanza singolare il fatto che il Corriere della Sera non riesca proprio a riportare correttamente il numero di università italiane. Già nel 2010 Francesco Giavazzi aveva sostenuto che

tutte e 100 le nostre università offrono, oltre ai corsi di triennio, corsi di biennio e di dottorato.

F. Giavazzi, Interventi e repliche, Corriere della Sera, 6-11-2010

Anche allora, bastavano un paio di clic per verificare che il numero totale degli atenei non era 100, ma era pari a 89 di cui 61 statali e 28 non statali, tra i quali vi erano 11 atenei telematici (che notoriamente non offrono corsi di dottorato).

Va detto che le sviste di Giavazzi sono quisquilie, se paragonate ai numeri di Gianna Fregonara.

Gonfiare il numero di atenei sulle pagine di un grande quotidiano nazionale non è senza conseguenze. Se l’opinione pubblica è convinta che la nazione pullula di atenei è più facile sostenere la necessità di una bella sforbiciata. Al contrario, se ci si attiene ai dati reali, il numero di atenei italiani appare tutt’altro che elevato.

Torniamo, però, ai 400 atenei e domandiamoci da dove può essere saltato fuori un numero così esagerato. Può esssere che Fregonara abbia fatto confusione tra atenei e sedi di corsi di laurea? Sarebbe comunque un errore poco perdonabile perché nel contesto delle classifiche trattate dall’articolo non avrebbe senso fare una classifica delle sedi distaccate. La stessa ANVUR, che ha classificato tutto il classificabile – atenei, aree disciplinari, dipartimenti e settori scientifici – non si è sognata di classificare le sedi distaccate.

In ogni caso, anche se si fosse confusa con le sedi distaccate, il numero “oltre quattrocento” sarebbe ugualmente gonfiato. Per verificarlo, torniamo al sito Cerca Università e nella schermata della precedente ricerca schiacciamo il bottone che abbiamo evidenziato in rosso:

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Sullo schermo appare la lista di tutti gli atenei e, per ognuno di essi, sono anche riportati i recapiti delle sedi distaccate.

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Se prestiamo fede a questo elenco, il numero totale di sedi (principali + distaccate) è pari a 359, decisamente inferiore all’oltre 400 riportato nell’articolo del Corriere. Non è lo scopo di questo post discutere a fondo se siano molte o poche. Tuttavia, prima che qualcuno gridi senz’altro allo scandalo, bisogna tener presente che almeno una cinquantina sono sedi di corso di studio delle discipline infermieristiche, (Undicesimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, p. 46). Riguardo ad esse, vale la pena di citare un commento di Alessandro Figà Talamanca:

dobbiamo ricordare che una recente legge ha imposto l’obbligo della laurea per esercitare la professione di infermiere, stabilendo anche che la metà dei crediti impartiti per il conseguimento di questa laurea sia impartito da personale ospedaliero. A questo punto è divenuto conveniente aprire i corsi di laurea per infermieri e professioni equivalenti nelle strutture ospedaliere che ospitavano le vecchie scuole per infermieri di livello non universitario. Quando si parla degli “sprechi” associati alla apertura di sedi distaccate bisognerebbe escludere i corsi di laurea di discipline infermieristiche per i quali la sede distaccata dà luogo ad un risparmio piuttosto che a uno spreco.

Messe da parte le discipline infermieristiche, abbiamo circa 309 sedi di corsi di laurea.

Proviamo a  fare un rapidissimo confronto con il Regno Unito, consultando il sito

Check if a university or college is officially recognised


https://www.gov.uk/check-a-university-is-officially-recognised

__________________________________________

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Dal sito risulta che vi sono

157 Recognised bodies

747 Listed bodies

Per quanto i “Recognised bodies” includano anche istituti di formazione terziaria di natura tecnico-professionale, in prima approssimazione, essi potrebbero essere assimilati ai nostri atenei. Meno immediato equiparare i “Listed bodies” alle nostre sedi distaccate. Essi comprendono, per esempio, i 38 college indipendenti che compongono il “collegiate system” di Oxford. Per quanto sia difficile raccogliere dati esaustivi sulla numerosità delle sedi “geograficamente distaccate”, esse non sembrano costituire una rarità:

there are many towns which have university campuses but do not have a university. For example Gloucestershire university has three campuses in Cheltenham and one in both Gloucester and London, but the main campus and headquarters are in Cheltenham, hence the University belongs to Cheltenham. In the same way the University of Ulster has campuses in Belfast, Jordanstown, Coleraine and Derry, but the main campus and headquarters are in Coleraine, so the university belongs to Coleraine.

Basterebbe che ogni “Recognised body” avesse una sede distaccata perché il loro totale superasse quello delle sedi distaccate italiano. Anche senza entrare in comparazioni tra realtà e tradizioni assai diverse, la numerosità dei “Recognised bodies” e, più ancora, quella dei “Listed bodies”, testimoniano l’esistenza una struttura più articolata del sistema italiano.

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31 Commenti

  1. L’analogia fra “Listed Bodies” e “sedi distaccate” è molto pertinente, e risponde alla stessa logica italiana (e mondiale) di “avvicinare” all’utente-studente l’offerta formativa di istruzione superiore.
    Infatti i College indicati come “Listed Bodies”, pur esistendo in maniera indipendente (ad esempio perché erogano già corsi di scuola secondaria superiore), stipulano dei “validation agreements” con i “Recognised Bodies” per poter offrire corsi di istruzione terziaria legalmente riconosciuti, e il titolo di studio ottenuto dai loro studenti è del tutto identico a quello del “Recognised Body” ancillare (che ha la responsabilità di garantire una Qualità Accademica sufficiente attraverso il contratto di “Agreement”).
    L’Agenzia di Valutazione (QAA) deve sorvegliare da vicino questi Agreement: ad esempio tempo fa aveva messo sotto accusa l’Università del Galles per insufficiente qualità di tale “supervisione” nei confronti dei “College distaccati”.

  2. Molti in Italia, politici in primo luogo, si sciacquano la bocca con l’importanza della valutazione. In nome di quest’ultima si è dato un enorme potere all’ANVUR, libera di usare metodologie di valutazione molto dubbie (e a volte poco trasparenti, per usare un eufemismo), come molti studiosi e analisti di Roars hanno mostrato con approfondimenti e riflessioni acute. Allora, mi chiedevo, dopo aver letto l’articolo di Fragonara, non può l’Anvur istituire la peer rewiev anche per i giornali? :-) Almeno così si eviterebbero le sciocchezze più banali, dato che quelle ideologiche sono impossibili da eliminare, essendo una copertura di interessi ben più grandi (mi pare che le larghe intese siano presenti anche sull’università: da Giavazzi a Gelmini, da Renzi a Fragonara, dal PD alla Confindustria, da anni tutti vogliono pochi atenei, il numero giusto oscilla tra 5 e 14)!

  3. Questa “brillante” prova del corriere non mi meraviglia affatto: sui grandi (e piccoli) giornali italiani si fa assai spesso scrivere di cose di scienza praticamente il primo venuto, oppure grandi soloni.
    Temo (magari mi sbaglio…) che se qualcuno si prendesse la briga di consultare l’archivio storico del corriere (disponibile – cosa ottima ! – online e free) si scoprirebbero cose interessanti.

    Ad esempio, facendo una ricerca “watson crick dna”.. si scoprono cose simpatiche…
    ad esempio, che sia la sig.ra Fregonara in Letta ad aver scelto il titolo del seguente articolo:

    http://goo.gl/UYzCdH

    ?
    Ahime’, sul dna casca perfino il grande claudio magris, che in:

    http://goo.gl/t2iMCW

    scrive:
    “Erwin Chargaff, il grande biologo le cui ricerche furono fondamentali per la scoperta del Dna da parte di Crick e Watson, ha detto che la croce a doppia elica sta diventando la firma degli analfabeti della nostra epoca”

    E che dire del seguente didascalia di foto :
    http://goo.gl/ZM2wLj

    dove si scrive “il famoso premio Nobel James Watson, lo scopritore, insieme a Francis Crick, del Dna (foto)”…
    e’ un pesce d’aprile (vista la data: 1 aprile 2007) ?

    Per par condicio, consideriamo “LA Repubblica”. A mio parere caso clamoroso furono questi articoli :

    http://goo.gl/CVtQgZ

    http://goo.gl/TBrEMH

    dove si riprendeva la notizia che il “giornale europeo di oncologia” aveva pubblicato una ricerca su di un tema assai sensibile cura del “Centro di ricerca sul cancro della Fondazione europea di oncologia e scienze ambientali “B. Ramazzini” di Bologna”.

    Ora, io non voglio discutere del tema specifico della ricerca. Ossservo solo che se giornalisti avessero saputo dell’esistenza google, cio’ avrebbe consentito loro di
    1) scoprire che il “giornale europeo di oncologia” e’ edito dal predetto centro di ricerche:

    http://www.ncbi.nlm.nih.gov/nlmcatalog/9816188

    2)porsi qualche domandina sul lancio stampa cui andavano appresso.

    Insomma, scavando scavando ci sarebbe materiale per una simpatica tesi di laurea triennale :-)
    ..ma forse pure magistrale… !!! :-)

  4. A proposito di sparate. Oggi nella pagina dei commenti dello stesso quotidiano, Paolo Ferratini, commentando la vicenda di due docenti a contratto dell’Università di Padova cui non sarebbe stato rinnovato l’incarico per via delle valutazioni negative degli studenti, lamenta che ciò non possa accadere ai docenti di ruolo.

    Tra le altre certezze enunciate dall’autore di questo pregevole scritto, di cui vi raccomando la lettura, vi segnalo questa:

    Dal modello delle università americane, dove il giudizio degli studenti è un fattore decisivo per la conferma della docenza di qualunque insegnante, fosse anche un premio Nobel, abbiamo importato solo la scatola vuota.

    A me la storia di un Nobel che viene licenziato perché ha ricevuto un giudizio negativo dagli studenti sembra inaccettabile e grave (perché non far assegnare il Nobel agli studenti allora?), ma ho anche il sospetto che sia una lieve esagerazione. O mi sbaglio?

  5. Una nota a margine: trovo piuttosto fastidioso, per non dire sessista, leggere per la seconda volta in un post di ROARS che la giornalista Fregonara è la moglie del Presidente del Consiglio. Non capisco la relazione tra i contenuti dell’articolo e il suo stato civile; se c’è una allusione a una qualche relazione, allora andrebbe esplicitata – in questo caso e anche per gli altri giornalisti o accademici i cui nomi ricorrono in questo blog (personalmente non è un dato che mi interessa, almeno in questo contesto – altra cosa sono le questioni relative a nepotismi o conflitti di interesse vari).

    • A me pare un’informazione aggiuntiva utile e corretta. Non ci trovo niente di strano nel fornire al lettore questo dato per una eventuale migliore interpretazione dell’articolo.

      A me, ad esempio, è parso subito strano che G. Fregonara si occupasse di Università, quando ho visto questo articolo – e mi è venuta in mente la stessa questione.

    • Onestamente, di “sessista” ci vedo poco. Chi ha fatto notare che fosse “anche” la moglie del nostro premier, non era per dire che essendo “moglie” era di conseguenza una “donna raccomandata che se non avesse avuto un marito così importante non avrebbe neanche scritto su Topolino”, ma solo per far notare che pur essendo “vicina” all’autorità e alla “sala dei bottoni”, come moltissimi giornalisti (uomini o donne, raccomandati e no!) è stata molto imprecisa, come spesso accade sui temi dell’università e della ricerca. Tutto li.

  6. A proposito di bufale, la “Repubblica” di ieri, a forma del noto Zunino, ne ha imbandito un’altra. Quell’articolo sulle baronie grida vendetta. Contiene affermazioni ridicole. Usa un metodo che a qualsiasi matricola sarebbe proibito: prende qualche (grave) caso di cronaca e ne fa una chiave di lettura di tutta la realtà. Dire che è scandalistico è dire poco. Lo Zunino ha senza dubbio dei problemi suoi con l’università. Peccato che non la conosca e non sappia di che parla. Non sa letteralmente di che parla, non conosce i fatti, la realtà e pretende di parlare sulla base di episodi e comportamenti che sicuramente esistono, ma in una proporzione infinitamente minore di quanto lui vorrebbe far credere. La cosa peggiore è che questa voce non fa che aggiungersi a quella dei detrattori che da anni si accaniscono con menzogne, ingiurie, falsità contro la nostra università. Che venga da me: glielo faccio vedere io come si lavora all’università ! Potrebbe uscirne un articolo serio.

    • Diciamo che il problema del mondo accademico italiano è complesso e molti media cercano di semplificare le problematiche su basi inesistenti. Sforzarsi di capire (non arrivo a dire “capire”!) è troppo faticoso oggi.

    • In effetti, l’articolo dello zunino su repubblica e’ scandaloso per come e’ artatamente costruito. E forse dietro c’e’ qualche altro progetto alla gelmini. Non ho capito il post sulle guerre tra bande nell’accademia italiana. Non mi risulta che in altri paesi i rapporti tra i colleghi siano sempre idilliaci.

    • Anche io. Come ho scritto molte volte, trovo spiacevole discutere con Pippo, Pluto e Paperino. Tra le varie ragioni per cui sono orgoglioso di aver dato un piccolo contributo alla nascita di Roars c’è anche questo: in questa comunità si incontrano persone che la pensano in modo diverso su molte cose – a cominciare dalle politiche – ma che condividono l’idea di discutere in modo franco e aperto, e questo è possibile solo se ci si prende la responsabilità delle proprie opinioni.

  7. Il fatto che Gianna Fragonara sia anche la signora Letta non ha per se alcun rilievo, ma certo preoccupa se quelle sono le idee che circolano in famiglia visto che se a casa Letta girano sono cosi’ superficiali, possono fare danni seri.
    Altra considerazione basata sulle “serie storiche”, ogni volta che repubblica, Corriere etc cominciano a scrivere di Universita’ vuol dire che stanno arrivando guai. Prepariamoci al peggio.

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