Tra le linee guida del «decreto sul merito», oltre alla scuola, c’è anche l’università. Nelle «indiscrezioni» trapelate negli ultimi giorni su questo provvedimento, emerge una notizia sorprendente (oggi messa in dubbio sul Sole 24 ore e provocato una mezza marcia indietro in una nuova intervista al ministro Profumo): le abilitazioni scientifiche nazionali verrebbero sospese fino al 2015 e si ritorna al concorso “locale”. Nei fatti, una contro-riforma della riforma Gelmini.
Le indiscrezioni, le mezze smentite e le incerte ammissioni sul “decreto sul merito” indicano “l’immagine di un’università presa tra due fuochi” afferma Giuseppe De Nicolao, ordinario di automatica a Pavia e redattore del magazine online Roars, specializzato nell’analisi delle politiche universitarie e della ricerca.
«Il decreto dovrebbe essere approvato domani 6 giugno dal Consiglio dei ministri ma è in evoluzione in queste ore e quindi preferisco parlare di quello che conosciamo – continua De Nicolao – Credo che sia il risultato di un equilibrio di poteri, da un lato c’è l’Anvur con le sue ambizioni «riformatrici», che ha l’obiettivo di realizzare la riforma Gelmini. Dall’altro lato, ci sono i rettori che cercano di difendere quelli che sono i poteri locali. E in mezzo c’è l’università fa fatica a trovare una normalità, anche perchè sembra che chi ha il timone della nave non sia perfettamente consapevole della complessità del sistema».
Nelle bozze del decreto sul merito si legge che l’università potrebbe ritornarnare ai concorsi «locali». Perché il ministro Profumo ha deciso di rovesciare l’impostazione della riforma Gelmini?
Tornare ai concorsi «locali», si dice con due commissari interni, due esterni sorteggiati e uno designato fra esperti Ocse (ma ci sono anche altre previsioni) significa accontentare gli atenei. Da quello che sappiamo oggi, questo sarebbe un modo per mettere il reclutamento nelle mani di chi decide sui bandi a livello di ateneo. E chi è meritevole, ma poco supportato, rischia di pagarne il prezzo.
Perchè si sospende l’abilitazione nazionale, altro cavallo di battaglia della riforma Gelmini, fino al 2015?
Si vogliono evitare le abilitazioni di massa, viste come lo spettro di un’altra ope legis. Questa è la dimostrazione che le alchimie bibliometriche dell’Anvur non sono ritenute sufficienti per governare il sistema. Lo possiamo anche considerare un segnale importante perché vuol dire che si inizia a riconoscere la necessità di introdurre correttivi alla riforma.
Sembra che l’Anvur giochi un ruolo importante anche in questo decreto. Per quale ragione?
Perché le soglie rigide sulla produzione scientifica che l’Anvur dovrebbe applicare sono pensate per evitare abilitazioni di massa in molte discipline. Ma anche questo sistema non è detto che funzioni. Le soglie vengono stabilite in base alla produzione di chi occupa il ruolo superiore, ma chi sta in quello inferiore, come ad esempio associati e ricercatori, spesso ha parametri scientifici molto buoni. Se si fanno i concorsi locali c’è la sicurezza che i promossi non eccederanno le disponibilità economiche degli atenei. Si rimuove così alla radice una possibile massa di abilitati che premono per essere stabilizzati.
Viene anche introdotto l’obbligo all’insegnamento per gli assegnisti di ricerca…
È una mossa dettata dalla disperazione dovuta agli organici che si stanno svuotando e si traduce in un maggiore sfruttamento di chi è precario nell’università e che invece per fare carriera dovrebbe avere come priorità quella di fare ricerca.
Qual è il conflitto che sta dietro questa bozza di decreto?
In questi anni l’università è stata attraversata da una grande tensione verso l’atomizzazione del sistema, dove le sedi più forti ambiscono a staccarsi dal plotone. Credo che chi sta lavorando a questo decreto voglia rimettere in moto la macchina concorsuale, ma non è detto che ci riesca, per il rischio di moltiplicare i ricorsi e bloccare tutta la macchina. Da un lato, c’è l’Anvur che ha l’ambizione di realizzare la riforma Gelmini e vede nella bibliometria un’occasione di rinnovamento meritocratico dell’università, a costo di passare sopra tutte le ambiguità e le criticità di strumenti che altrove nessuno usa in questo modo.
E dall’altra parte?
Ci sono le resistenze locali per difendere le rendite di posizione. Ma né gli uni né gli altri sembrano in grado di governare la nave. E si contendono il timone senza che con questo il pericolo di finire sugli scogli sia scongiurato.
Quale sarà il risultato di questo conflitto?
E’ ancora molto incerto . Lo si vede dalle regole dell’Anvur che continuano a valere, ma ci sono dubbi che possano essere applicate senza suscitare contenziosi giuridici a non finire, con l’effetto di incagliare la nave. Resta da vedere se ci sia qualcuno che desideri questa fine, come modo per congelare ancora il reclutamento e continuare la cura dimagrante del sistema universitario.