1. Premessa: dalla “meritocrazia” alla catastrofe (annunciata)
Dopo anni e anni di invettive sulla corruttela dell’accademia italiana, l’introduzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale fu salutata da un coro di giubilo. Finalmente una valutazione centralizzata, operata da commissioni sorteggiate avrebbe potuto spezzare le catene del nepotismo, familiare e accademico, lasciando spazio al merito. Ancor meglio, gli estensori del D.M. 76/2012 (noto universalmente come “criteri e parametri”) introdussero il requisito delle mediane. Bisognava togliere di mezzo quel 50% dei docenti e dei ricercatori italiani che se non proprio fannulloni, erano di certo poco attivi. Si obiettò, allora, anche da queste pagine, sull’assurdità del criterio della mediana: non solo perché costruito sulla base di preconcetti ideologici non confermati dai fatti, ma perché produceva conseguenze paradossali, poneva problemi di calcolo degli indicatori pressoché insormontabili e incentivava comportamenti opportunistici. Niente da fare, il meccanismo doveva procedere, anche perché un’orda di candidati, certi di possedere i requisiti quantitativi, si sentiva già l’abilitazione in tasca.
Poi le abilitazioni si sono svolte in un crescendo di difficoltà: sospetti sullo svolgimento dei sorteggi, mancati agganci, commissari dimissionari, privi dei requisiti o dediti al salami slicing, commissioni nelle quali talora mancavano del tutto commissari appartenenti a settori disciplinari che erano chiamati a giudicare e così via. È bastato aggiungere gli inevitabili errori materiali, perché si avverasse il risultato profetizzato: una moltiplicazione del contenzioso e una figuraccia del sistema universitario davanti all’opinione pubblica.
Qualche voce continua a difendere il formidabile strumento meritocratico, ma sulla stampa si è assistito al ritorno di fiamma degli stereotipi: gli accademici italiani sono baroni, nepotisti, dediti a pratiche eticamente censurabili, se non proprio illecite. In questo clima alquanto deprimente, sui giornali sono fiorite le lamentazioni per supposti casi di nepotismo, di abilitati “figli di” o “parenti di”. Lamentazioni per lo più indimostrate, mentre ci si ostina pervicacemente a ignorare i difetti strutturali della macchina costruita a seguito della l. 240/2010.
Nel frattempo, le falangi di entusiasti sostenitori dell’abilitazione (talvolta fiduciosi in un’agevole abilitazione seguita da concorsi locali più o meno scontati) si sono rapidamente assottigliate, per lasciar spazio ad un coro che mescola recriminazioni strumentali a doglianze del tutto legittime.
Il rischio è che tutto ciò si risolva nell’ennesima delegittimazione del sistema dell’università e della ricerca italiana, che servirà per giustificare all’opinione pubblica ulteriori tagli, mancati finanziamenti, ridimensionamento del sistema.
Ora, è evidente che all’interno di una procedura di dimensioni così ampie, con decine di migliaia di candidati, si saranno certamente verificati casi moralmente discutibili; casi, sia detto una volta per tutte, dei quali dovrebbero occuparsi in primo luogo le comunità disciplinari e tutti i loro componenti e, ove necessario, il tribunale amministrativo.
Il punto tuttavia, non è questo: il punto è che la procedura è stata disegnata male ab origine, come su Roars era stato detto e ridetto fino alla nausea. Vediamo di ricapitolare perché.
2. I principali aspetti critici dell’ASN
Nell’attuale quadro normativo e regolamentare, alcune commissioni si trovano a giudicare valanghe di candidati (anche più di 500) e questo rende poco credibili i giudizi sul merito scientifico di migliaia di articoli e centinaia di monografie, che non è materialmente possibile leggere nei tempi stabiliti.
Anche l’uso di indicatori quantitativi ha contribuito al caos. Nelle scienze umane e sociali, contare pubblicazioni e monografie mette nello stesso sacco materiale della più diversa qualità: riviste “scientifiche” selezionate in modo approssimativo (basti ricordare il caso di Suinicultura) e generi letterari incomparabili fra loro (saggi, note a sentenza, cronache, curatele, ecc.).
Nelle scienze dure, il numero delle citazioni è scaricato da database commerciali che non costruiti per farne uso a scopi amministrativi, con il risultato che le statistiche sulle citazioni sono spesso incomplete o erronee e, ancor peggio, soggette a continue revisioni tutto l’anno. Revisioni che riguardano, naturalmente, anche le statistiche degli anni precedenti.
Non si contano i casi di commissioni che, a lavori conclusi, sono state costrette a riaprirli perché avevano giudicato i candidati sulla base di informazioni citazionali che andavano corrette con lo scorrere del tempo. I candidati non avevano potuto vedere i loro indicatori quantitativi, visibili solo ai commissari. Adesso che gli indicatori vengono pubblicati insieme con gli esiti, diversi candidati scoprono di essere stati giudicati sulla base di numeri non corretti: un facile motivo di ricorso, come si può intuire.
L’uso di indicatori quantitativi era stato motivato dall’intenzione di ridurre la discrezionalità dei commissari, soprattutto alla luce di scandali più o meno recenti. Ciò è stato fatto ignorando le raccomandazioni delle più importanti organizzazioni scientifiche internazionali che escludono la possibilità di emettere giudizi automatici sui ricercatori sulla base del numero degli articoli, delle citazioni ricevute e dell’impact factor delle riviste in cui si è pubblicato (link, link, link).
Deve essere chiaro che i dati bibliometrici (numero di articoli/libri e sedi di pubblicazione) e citazionali (citazioni ricevute) costituiscono informazioni utili, che devono però essere soppesate ed interpretate da un giudice umano. Per esempio, c’è da capire se le citazioni sono per lo più autocitazioni, se il numero dei coautori è grande o piccolo, se gli articoli sono leggere varianti della stessa idea ripetuta all’infinito, se il candidato è l’autore più importante oppure un coautore tra tanti che ha contribuito marginalmente, e così via. Per queste ragioni, una buona parte delle commissioni ha formulato i criteri di giudizio in modo da riservarsi la possibilità di promuovere anche candidati i cui indicatori non raggiungevano le soglie prescritte.
E’ accaduto così che alcune commissioni hanno richiesto in modo tassativo il superamento delle soglie numeriche (le “mediane”) ed altre no. Le prime sono esposte al rischio di ricorsi se qualcuno dei candidati bocciati in modo automatico si accorgerà che, una volta corretti gli indicatori si trova a superare le fatidiche soglie. Le seconde potrebbero trovarsi ad aver abilitato candidati che superavano 0-1-2-3 mediane come pure ad aver bocciato persino candidati che ne superavano 3 su 3 (i parametri richiesti prevedevano il superamento di 2 mediane per le scienze dure e di 1 mediana per le scienze umane e sociali). Nel primo caso, potrebbe trattarsi di candidati con una lunga età accademica che, a dispetto di contributi scientifici solidi e noti nella comunità, sono stati penalizzati dal fatto che alcuni degli indici sfavoriscono i candidati “anziani”. Per esempio, le citazioni vengono divise per l’età accademica (il numero di anni trascorso dalla pubblicazione dei primo lavoro scientifico). Chi avesse 35 anni di età accademica potrebbe faticare a superare questa soglia anche perché il volume di citazioni di qualche decennio fa era parecchio inferiore a quello attuale.
È successo anche che siano stati bocciati candidati che superavano 2 o 3 mediane, e questo potrebbe destare scandalo.
Senza escludere la presenza di giudizi delle commissioni del tutto opinabili, bisogna tener conto che gli indicatori quantitativi ignorano del tutto il contenuto dei lavori. Se ho pubblicato e sono stato citato molto nel settore dell’ingegneria civile, risulto aver superato le mediane anche nell’ingegneria elettronica. Tuttavia, la commissione di ingegneria elettronica, con ogni probabilità, non mi concederà l’abilitazione ritenendo le mie pubblicazioni ed il mio curriculum “non pertinenti”. Questo è un punto particolarmente spinoso, perché se alcune distinzioni sono chiare, altre risultano molto più sfumate. Alcuni settori concorsuali riguardano discipline molto vicine tra di loro la cui distinzione può non essere banale oppure vi possono essere candidati la cui attività scientifica si muove a cavallo di due o più discipline
Pertanto, dire che la produzione scientifica di un candidato è “fuori tema” può essere allo stesso tempo un modo comodo per sbarazzarsi di un concorrente di una scuola “nemica” oppure una constatazione del tutto ovvia.
La ASN ha messo drammaticamente in luce come il sistema dei settori concorsuali e dei settori disciplinari non sia adeguato a reggere la complessità della procedura.
In mezzo a giudizi discutibili, ci sono anche molti errori materiali, alcuni clamorosi. Come mai? Quando viene espletato un concorso di norma i verbali vengono controllati dal “responsabile del procedimento” che non è un professore ma fa parte del personale tecnico-amministrativo. Se il verbale è incompleto oppure mal formulato lo si corregge prima di pubblicarlo.
In queste abilitazioni, i giudizi non erano visibili ai responsabili del procedimento. Alcuni commissari si sono dimostrati alquanto o del tutto sprovveduti dal punto di vista amministrativo. Così sono stati commessi molti pasticci, più o meno gravi.
E’ anche accaduto che il copia e incolla (la procedura era essenzialmente elettronica) abbia comportato l’assegnazione ad un candidato del giudizio che era destinato ad un altro. Questo spiega il larghissimo ricorso alle istanze di autotutela. A giudizi già pubblicati, moltissime commissioni hanno presentato istanza per riaprire i lavori, anche limitatamente ai candidati nei cui confronti si sono consumati errori materiali.
Il MIUR si è reso conto troppo tardi della mole di errori ed i suoi uffici sono rimasti ingolfati nelle procedure di verifica dei verbali/giudizi e nell’approvazione delle autotutele. In tal modo, i risultati sono usciti con il contagocce.
3. Che giudizio dare?
E’ difficile dare un giudizio univoco su queste abilitazioni. Si stanno scontando le conseguenze di alcuni errori normativi, cui va ricondotto almeno in parte il caos e i ritardi che si sono creati. Un serie di situazioni sono quanto meno incresciose, se non peggio. Tuttavia, dopo la riforma Gelmini questo era il passaggio obbligato per far ripartire il reclutamento standard, bloccato da almeno quattro anni se non di più. Lo scopo dell’ASN era quello di impedire l’accesso ai concorsi veri e propri a chi non aveva un livello più che accettabile di preparazione scientifica.
C’era il timore che la procedura si risolvesse in un “todos caballeros”, ma l’impressione generale è che le cose siano andate diversamente. Alcune commissioni hanno ecceduto nella direzione opposta, vuoi per severità (il che potrebbe rientrare entro legittimi margini di discrezionalità) vuoi per fare terra bruciata alla concorrenza accademica (e questo sarebbe senza dubbio degno di censura).
Nei futuri concorsi banditi dagli atenei, potranno presentarsi solo gli abilitati (oltre a i pochi titolari delle vecchie idoneità). Non per questo spariranno i problemi. Anche tra gli abilitati, ci sono differenze di valore e potrà capitare che una commissione spinga un candidato “amico” a danno di un altro candidato più robusto. Comunque vada, pare certo che le scarse risorse disponibili consentiranno di assumere/promuovere solo una frazione degli abilitati.
L’esperienza insegna che non esistono bacchette magiche per ottenere il concorso perfetto. Solo un’etica condivisa può prevenire le malversazioni. Da questo punto di vista, aver messo tutto “in piazza” (CV dei commissari, dei candidati e giudizi delle commissioni sono leggibili da chiunque e facilmente accessibili) consente a chicchessia di farsi un’idea sulla correttezza o meno dello svolgimento delle procedure sulla base di informazioni di prima mano.
Gli spazi che abbiamo messo a disposizione su Roars hanno ospitato critiche e dibattiti – anche severi – nei confronti delle commissioni. Vedere i commissari criticati in uno spazio pubblico (invece che nei corridoi o davanti alle macchinette del caffè) è un fatto che può avere dei risvolti positivi: speriamo che anche questo ci aiuti a diventare un paese normale, prima o poi.
Nel frattempo, il TAR lavorerà a pieno ritmo sui casi più scandalosi così come su altri più o meno pretestuosi. Solo al termine del contenzioso si potrà fare un bilancio chiaro e completo della prima tornata ASN.
Si poteva fare di meglio, questo è certo.
4. Che fare?
Osserviamo intanto come il Ministro Giannini, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Ateneo di Padova, abbia suggerito la possibilità di una riapertura della tornata 2013, annunciando al contempo uno stop alle successive tornate di abilitazione, in vista di correttivi. Fortunatamente l’idea di riaprire i termini per la tornata 2013, che avrebbe provocato un caotico “assalto alla diligenza” da parte di soggetti ancora una volta posti di fronte a uno scenario da “ultima spiaggia”, pare tramontata.
Più condivisibile l’idea di procedere a interventi correttivi e in particolare alleggerimenti di una procedura tanto mastodontica e mal progettata da faticare a sostenersi sulle proprie gambe.
Qui però si impone un caveat: impossibile intervenire chirurgicamente in profondità senza operare a livello legislativo, e questo richiede inevitabilmente molto tempo. Molto tempo richiederebbe anche il solo intervento sulla parte attuativa della l.240/2010 (si pensi ad es. al DM cosiddetto “criteri e parametri”). Si tratta di tempi quantificabili in mesi o anni, che si allungherebbero ulteriormente se si volesse stravolgere completamente il sistema di reclutamento messo in piedi dalla 240/2010.
Intanto, vi sono già molte migliaia di abilitati e altri arriveranno alla fine della tornata 2013. Sarebbe però sbagliato cullarsi nell’illusione che si possa prendere tempo, interrompendo le procedure funzionali al reclutamento per anni in attesa di prosciugare il bacino che si è creato.
Infatti, con l’abolizione dei ricercatori a tempo indeterminato, si è interrotto qualsiasi canale di accesso stabile alla docenza e alla ricerca universitaria che non passi attraverso l’abilitazione. I ricercatori a tempo determinato di tipo B (quelli con la “tenure track” all’italiana) durano 3 anni e necessitano di essere abilitati per potersi stabilizzare. Diversamente, usciranno dai ruoli. Se dunque il sistema di reclutamento dovesse rimanere congelato nell’attuale situazione, in attesa di riforme destinate a concludersi in tempi troppo lunghi, si bloccherebbe l’accesso alla ricerca dei giovani, mettendo inoltre su un binario morto i ricercatori di tipo B, il cui contratto, una volta scaduto, non è ulteriormente rinnovabile. Il sistema rende sempre meno appetibile per un giovane la carriera da ricercatore. Tanto più che in questa situazione gli atenei saranno spinti a reclutare come ricercatori di tipo B solo soggetti già in possesso dell’abilitazione.
Il sistema va corretto, poiché si è dimostrato insostenibile. Data l’urgenza, occorre avviare subito una riflessione in merito, senza alcun indugio.
Essendo da sempre stati critici delle procedure ASN, non ci sorprende l’emergere di quelle falle che avevamo diagnosticato con largo anticipo. Prenderemo le mosse da questa consapevolezza per sottoporre ai lettori e ai decisori politici ragioni e modalità di intervento mettendo a confronto le alternative sul tappeto.
Bisogna imparare una volta per tutte la lezione che ci viene dagli errori del passato, vicino e lontano, per costruire un sistema equo, stabile e robusto: ne va della ricerca e dell’università in questo Paese.
Complimenti ottimo articolo,
Che fare, due opzioni:
1) eliminare il valore abilitativo per la partecipazione esclusiva ai concorsi di docenza. e chiudere l’esperienza 2012 cercando di recuperare con la nuova ASN 2013?
2) mantenere validi gli abilitati ASN 2012 fino alla fine della guerra legale che forse porterà alla completa rivalutazione in alcuni SC e in altri alla abilitazione di altri candidati negli anni avvenire?
…meditate gente meditate…. E fatelo anche chi prende le decisioni anche perché non mi sembra tanto pratico alla meditazione
Forse – se non ci si concentrasse troppo sugli esiti dell’ASN in termini di promossi e bocciati e si badasse di più agli effetti ai fini delle possibilità effettive di nuovo reclutamento nei ruoli del personale docente – ci sarebbe una terza opzione, che sottopongo ai tanti giuristi e costituzionalisti che sicuramente partecipano a ROARS:
verificare se la Legge 240/2010 non contenga commi suscettibili di sollevare eccezioni di incostituzionalità.
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Un esempio:
all’Art. 24 (Ricercatori a tempo determinato), comma 6, la Legge stabilisce che:
“Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 18, comma 2, dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre del sesto anno successivo, la procedura di cui al comma 5 può essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università medesima, che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16.”
Il che vuol dire – come sta già avvenendo – che gli esiti dell’ASN di fatto verranno prevalentemente a valere per la promozione ad associato (upgrade) dei ricercatori a tempo indeterminato idonei, con procedure loro riservate (per gli ordinari i fondi sono di meno immediata disponibilità).
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Come è noto peraltro l’Art. 18 stabilisce, al comma, 4 che: “Ciascuna università statale, nell’ambito della programmazione triennale, vincola le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell’ultimo triennio non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca ovvero iscritti a corsi universitari nell’università stessa.”
Con ciò riducendo notevolmente la possibilità di entrata in ruolo quale docente, presso la sede in cui risultino in servizio, per ricercatori e altre figure a tempo determinato che abbiano conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale.
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Tale procedura riservata ai ricercatori a tempo indeterminato (ruolo non più concorsualmente esistente) non è in contraddizione p.es. con il fatto che molti di loro non hanno passato l’ASN?
Ciò non ribadisce anche negli esiti finali che l’essere in servizio quale ricercatore a tempo indeterminato non costituiva in alcun modo un titolo preferenziale ai fini del conseguimento dell’ASN?
Perché dovrebbe quindi costituire un titolo preferenziale una volta conseguita l’Abilitazione stessa?
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Forse il comma 6 dell’Art. 24 introduce tratti di incostituzionalità nella Legge, nella forma di una – apparentemente piuttosto palese – ingiustificata disparità di trattamento tra i cittadini che abbiano conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale?
“Dum Romae consulitur. Saguntum expugnatur….”
Occorre da parte del Ministro, l’ennesimo in pochi mesi, una decisione forte e immediatamente attuativa. È più che prevedibile che vi saranno molte ordinanze TAR sospensive e quindi possibilità di variazioni di commissioni e giudizi. Vogliamo aspettare di essere nel guado prima di muoverci? E che dire della seconda tornata alle porte, con la possibilità, incredibile ma vero, che le Commissioni (le stesse della prima si badi bene) cambino i criteri. rendendo così possibili giochetti prearchitettati? La legge Gelmini è parsa da subito la peggiore mai escogitata, ma nessuno e neppure i Rettori si è mosso. In tempi di spending review abbiamo buttato milioni di euro per istituire l’ennesimo carrozzone statale, l’ANVUR, con stipendi principeschi etc. ….Ebbene nessuno ancora si è mosso per annullare la legge Gelmini e cercare di farne una migliore. La proposta CUN delle abilitazioni “a sportello” è ancora peggiore, se possibile. Bastava lasciare la legge Berlinguer togliendo le idoneità di accompagnamento….
La cosa più grave da evitare sarebbe il blocco della procedura ASN 2014. Con la scusa di effettuare una revisione del processo MIUR e ANVUR potrebbero rimandare alle calende greche il bando ASN 2014.
Si sarebbero dovuti riaprire i termini di ASN 2013 e non è stato fatto; adesso molti rischiano di non partecipare ad ASN 2014 pur con titoli robusti, e tra essi anche chi è stato a torto bocciato nell’ASN 2012.
Il rischio di un blocco totale è più che evidente. E non far partire il bando ASN 2014 con la scusa di rivedere tutto il processo sarebbe la mossa più grave, ingiustizia tra le ingiustizie.
mi limiterei alla revisione della ASN 2013, non credo che avrebbe senso se ci fossero già moltissimi abilitati e si interrompesse il processo abilitativo nazionale…
possiamo provare a restringere le maglie ad ogni sessione però dovremo prima o poi pensare anche alla possibilità di fare quanto meno prepensionamenti o qualcosa per liberare poltrone…
meditate gente meditate..
C’è un refuso/lapsus: “con l’abolizione dei ricercatori a tempo determinato, si è interrotto…”. Magari si abolissero queste posizioni!
Aggiungo un mio parere personale. Con tutta questa confusione molti hanno perso voglia di lavorare. Questa mi sembra la conseguenza più nefasta della legge Gelmini.
La legge Berlinguer poteva essere contestabile, ma almeno le sue regole erano chiare e immodificabili. Di fronte al caos senza uscita in cui siamo piombati con questa ASN l’unica mossa saggia è scendere dal treno (prima di precipitare nel vuoto). :-|
Io ho deciso di non lavorare più per la “qualità”. Non per quella intesa dall’ANVUR. Se confrontarmi con la realtà esterna significa fare i conti con i parametri numerici di VQR ed affini, preferisco tornare a chiudermi nel mio guscio di studioso. Ed usare, come unico metro di valutazione e criterio di scelta quello del mio personale (ed insindacabile) giudizio. Punto.
Mi dispiace, ma sono convinto che a volte, per salvarsi, occorra avere il coraggio di “sbagliare”.
Con il dovuto rispetto per i commenti precedenti, tento di spostare la discussione sul binario indicato dal seguente commento della redazione:
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Il sistema va corretto, poiché si è dimostrato insostenibile. Data l’urgenza, occorre avviare subito una riflessione in merito, senza alcun indugio.
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Molto spesso su questi schermi il sistema di reclutamento britannico e’ stato bollato come “alieno”. Tuttavia, al contrario dei britannici, francesi e spagnoli sono dotati di una costituzione e di un codice civile. Se si vuole a tutti i costi mantenere l’abilitazione e progettare una procedura di abilitazione piu’ o meno funzionante, perche’ non “copiarne” una che piu’ o meno funziona, magari cercando di individuarne e correggerne i problemi? Per chi fosse interessato ad approfondire i dettagli, la procedura spagnola e’ descritta sul sito dell’ANECA:
http://www.aneca.es/Programas/ACADEMIA
e quella francese sul sito
https://www.galaxie.enseignementsup-recherche.gouv.fr/ensup/cand_qualification.htm
Ecco infine un articolo di ROARS che discute, tra le altre cose, la “qualification” francese: https://www.roars.it/abilitazione-scientifica-nazionale-primissimi-bilanci-e-modeste-proposte/
Cordiali saluti
Enrico Scalas
Non credo che “copiare” sia un modo per risolvere i problemi. Del resto, i modelli che funzionano in un determinato contesto non sono necessariamente esportabili. Non è un caso se i Paesi da cui siamo spesso invitati a prendere esempio hanno sviluppato sistemi che sono uno diverso dall’altro. Il fatto è che hanno ragionato ognuno di testa propria. Anche noi, naturalmente, dovremmo farlo; è in questo che sarebbe opportuno “imitare” gli altri. Iniziando a guardarci allo specchio. Prima di decidere cosa fare è infatti necessario capire chi siamo.
L’Italia è affetta da un handicap di fondo: ogni meccanismo che coinvolga, in qualche misura, il “fattore umano” è destinato a diventare strumento di potere nelle mani di qualcuno, creando disparità, ingiustizie, e violazioni della libertà. Non penso esistano soluzioni “tecniche” in grado di ovviare a questo inconveniente, se non quella (esclusivamente teorica) di ricorrere a puri automatismi. Ma questa idea, è ovvio, prefigura scenari degni della più grottesca fantascienza.
Ci sono mali radicati nella nostra cultura. Il mondo accademico deve cercare di combatterli: è questa una delle sue principali missioni nei confronti della società. Nella nostra attuale situazione, bisogna iniziare rifiutando ogni principio riconducibile, nelle premesse o nelle conseguenze, ad una concezione gerarchica e verticistica dell’università, in cui la “competizione” e l'”avanzamento” sono dinamiche che si esprimono fondamentalmente sul piano politico. E che, nel recente passato, ci si è illusi di poter contrastare con la stessa arma: come ha dimostrato questa ASN, nata non tanto per introdurre un affidabile criterio di valutazione del merito scientifico, bensì con il malinteso scopo “politico” di porre un freno burocratico all'”arbitrarietà” dei precedenti sistemi. Il risultato è stato un marchingegno talmente complicato e contraddittorio da prestarsi alle più disparate manipolazioni, aggravando la situazione a cui si proponeva di rimediare.
A mio avviso – prendetela come una ingenua provocazione – in certi casi chi sbaglia deve essere lasciato libero di perseverare. Ognuno nel suo piccolo, s’intende. Pagando “in loco” il prezzo dei propri errori. Forse – è vero – il conto non gli verrà mai presentato. Ma sarà sempre meglio che premiarlo, dall’alto, con una investitura di portata nazionale.
Premetto che questo post e’ solo di carattere metodologico e puo’ essere tranquillamente ignorato da chi e’ interessato al fatto che:
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Il sistema va corretto, poiché si è dimostrato insostenibile. Data l’urgenza, occorre avviare subito una riflessione in merito, senza alcun indugio.
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@hikikomori
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Non credo che “copiare” sia un modo per risolvere i problemi. Del resto, i modelli che funzionano in un determinato contesto non sono necessariamente esportabili.
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Che dire? Purtroppo non condivido questa forma di relativismo culturale in quanto ritengo che gli esseri umani siano piu’ o meno uguali sotto ogni latitudine. In particolare, un’ipotetica osservatrice aliena faticherebbe a trovare le “differenze” culturali tra Francia, Spagna, Italia, Germania e Regno Unito di cui tanto ci si vanta. Inoltre “copiare” e’ una degnissima attivita’ visto che la nostra cultura (la cultura della specie Homo Sapiens) e’ in buona parte basata sull’imitazione. “Copiare” aiuta a risolvere i problemi e a costruire ponti e astronavi funzionanti.
@hikikomori
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L’Italia è affetta da un handicap di fondo: ogni meccanismo che coinvolga, in qualche misura, il “fattore umano” è destinato a diventare strumento di potere nelle mani di qualcuno, creando disparità, ingiustizie, e violazioni della libertà.
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Per corroborare quanto scrivo sopra, si provi a fare l’esercizio di sostituire “Italia” con “Stati Uniti d’America”, “Namibia” o “Ruritania” e si otterra’ lo stesso risultato. Con gli USA, la frase diventerebbe:
Gli Stati Uniti d’America sono affetti da un handicap di fondo: ogni meccanismo che coinvolga, in qualche misura, il “fattore umano” è destinato a diventare strumento di potere nelle mani di qualcuno, creando disparità, ingiustizie, e violazioni della libertà.
Se cio’ suona stonato, si provi a pensare alla recente crisi economica o all’affaire Snowden.
Secondo me l'”eccezionalita’” italiana non esiste.
Cordiali saluti,
Enrico Scalas
@Enrico Scalas.
Parlo dell’Italia perché è il Paese in cui vivo. E che conosco meglio degli altri, nei quali non sono mai stato, o nei quali ho abitato (e lavorato) per periodi limitati. E con i quali, pertanto, non intendo effettuare confronti.
Se è vero, come dice Lei, che l’Italia non presenta nessuna “eccezionalità”, ciò vorrà dire, come sostengo io, che non è dotata di minore capacità di autocritica, di analisi e di progettazione. Ed è quindi in grado di sviluppare un pensiero proprio e originale, negativo o positivo, moderato o radicale, che non sia la banale fotocopia di quello altrui.
E comunque: i Paesi del mondo sono tutti “uguali” e tutti “diversi” allo stesso tempo. Esattamente come gli esseri umani. E allora, volendo assumere come dato di fatto che i nostri simili nati e cresciuti oltre frontiera condividono i nostri stessi “mali” e i nostri stessi “handicap”, a cominciare dalle degenerazioni politiche derivanti dal “fattore umano”, mi permetto di dubitare che i tanto decantati sistemi esteri – che sono in mano a normali persone fatte di carne – funzionino davvero bene come si vorrebbe far credere.
@hikikomori
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mi permetto di dubitare che i tanto decantati sistemi esteri – che sono in mano a normali persone fatte di carne – funzionino davvero bene come si vorrebbe far credere.
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Sono perfettamente d’accordo.
Cordiali saluti
Enrico Scalas
@REDAZIONE ROARS.
“Infatti, con l’abolizione dei ricercatori a tempo determinato, si è interrotto qualsiasi canale di accesso stabile alla docenza e alla ricerca universitaria che non passi attraverso l’abilitazione”
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“sistema rende sempre meno appetibile per un giovane la carriera da ricercatore”
PAROLE SANTE!
ora, che fare?
basterebbe abrogare l’articolo che stabilisce la previsione di RTD tipo A e RTD tipo B.
Una norma del genere tipo “è abrogata la disposizione n. tot., oppure sono abrogate le parole “…..”, è una cosa che si può fare in una finanziaria, o in un collegato alla finanziaria
Si ritornerebbe al regime “Gelmini” intermedio, dove, cioè venivano banditi posti RIC. A TEMPO INDETRMINATO, con sorteggio dei commissari (questo sistema è durato circa 2 anni).
in alternativa, con un DECRETO MINISTERIALE, si potrebbero sospendere i concorsi ric. temp. det. a o b, definiti giustamente “a fotografia”,
e si mettono, EX NOVO, dei CRITERI del tipo “se non hai minimo 3 libri o 20 articoli, non partecipi ecc….”,
con un altro DECRETO MINISTERIALE, in poco tempo, si può disporre la totale composizione della Commissione con tutti i membri SORTEGGIATI,
Dico bene?
fatemi sapere se dico bene….
@Anto
Wikipedia non e’ forse la fonte di giurisprudenza piu’ autorevole, ma riassume abbastanza bene la situazione:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ricercatore
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Nell’ordinamento legislativo italiano il ruolo di ricercatore universitario è stato istituito col decreto presidente Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.[2] La legge 4 novembre 2005, n. 230[3] (Art. 7) prevedeva la messa ad esaurimento del ruolo a partire dal 2013. La legge n. 240/10 del 30 dicembre 2010[4] (Art. 29, Comma 1) ha anticipato la messa ad esaurimento al 2011. La stessa legge, all’articolo 24, ha istituito la nuova figura del ricercatore a tempo determinato.
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Cordiali saluti
Enrico Scalas
Un possibile schema per impostare il dibattito sul reclutamento e alcuni interrogativi di fondo:
1) chiarire l’obiettivo: si intende attuare una politica di sviluppo del sistema universitario in Italia? Che indicazioni provengono dal Governo e dal Parlamento su questo tema?
2) Se si, si intende sostenere finanziariamente una politica di reclutamento di ricercatori e docenti? Quante risorse si intendono assegnare nei prossimi anni?
3) Se si intende avviare un reclutamento, serve un processo di preselezione degli aspiranti candidati ai ruoli a tempo indeterminato? Cioè serve una abilitazione?
3.1) Perché il possesso di un titolo come il dottorato non è un prerequisito selettivo? Il Phd in molti paesi occidentali è un requisito essenziale richiesto dagli atenei. In Italia invece come noto si può accedere al ruolo di ordinario anche senza la laurea e dunque servono altri esami e verifiche.
3.2) Perché non si può strutturare una carriera progressiva per step ma senza automatismi per anzianità? Perché si generano aspettative di accesso all’ordinariato anche in cittadini che fanno da sempre un altro mestiere (giornalisti, giudici, dirigenti di Banca, analisti finanziari, commercialisti, avvocati, consulenti, scrittori, ecc., almeno in alcuni settori)
3.3) Perché la didattica non è un requisito? Insegnare non richiede forse competenze e conoscenze di metodo (formazione formatori?)? Perché non si attiva un sistema di certificazione di competenze didattiche (scuole di metodologia della didattica e rilascio di attestati o abilitazioni)?
3.4) E se l’abilitazione fosse solo un “contentino” per ritardare l’accesso nei ruoli? Un processo di abilitazione per accreditamento progressivo di competenze certificate non potrebbe sostituire una mega abilitazione nazionale?
4) Il meccanismo dell’abilitazione come lo conosciamo può essere migliorato? Ecco i passaggi sensibili:
4.1) Nomina delle commissioni: estrazione, elezione, numerosità, composizione, durata, con esperti stranieri o senza, per settori o per macrosettori, ecc.
4.2) Metodi di valutazione delle pubblicazioni: bibliometrici, non bibliometrici, apporto individuale, peer review, qualità delle riviste, monografie (cosa sono?), grado di internazionalizzazione (come si misura?), continuità (su quanti anni?), ecc.
4.3) Metodi di valutazione dei titoli: come si certificano? Quali sono rilevanti? In che arco temporale?
4.4) Come decidono le commissioni? Maggioranza assoluta, relativa, con voti, con giudizi, come valutazioni anonime, con che frequenza si riuniscono, ecc.
5) Cosa succede dopo l’abilitazione? Se non ci sono concorsi o chiamate a cosa serve l’abilitazione? Quanto dura l’abilitazione? Come sono banditi i concorsi nelle università (art, 18, art, 24 ecc) e in base a quali esigenze di programmazione? Ci sono limiti al numero di docenti per settore disciplinare che un dipartimento può reclutare? E’ accettabile che ogni ateneo nomini con metodi diversi la commissione locale? Come valuta la commissione locale? L’ateneo definisce un profilo? Come sono ri-valutate le pubblicazioni? Come sono ri-valutati i titoli? Che succede se i criteri non sono omogenei? C’è un colloquio? C’è una prova didattica? La mobilità dei docenti fra gli atenei è un valore o un sacrificio? Deve esser incentivata o meglio lasciare che ogni docente costruisca il proprio percorso secondo le propria prospettiva?
Conclusione:
A mio avviso, un modello di reclutamento si definisce mediante la combinazione di tutte queste variabili. Il modello “reale” di reclutamento non necessariamente rispecchierà il progetto “ideale”, dato che scegliere una o l’altra delle diverse e numerose alternative ipotizzabili è in grado di condizionare il risultato finale.
Quindi, il “domandone” conclusivo è: quale caratteristiche deve possedere un ente o organismo in Italia affinché sia dotato di un livello di affidabilità, competenza, maturità e legittimità tale da garantire che un ipotetico disegno di sviluppo dell’università italiana eventualmente formulato dal Governo e dal Parlamento italiano venga realizzato nella pratica e attuato in modo efficace, equo e virtuoso?
>Bisogna imparare una volta per tutte la lezione che ci viene
>dagli errori del passato, vicino e lontano, per costruire un
>sistema equo, stabile e robusto: ne va della ricerca e dell’università
>in questo Paese.
Parole sante! Ciò che emerge dal passato, IMHO, è la inefficacia
dei sistemi di valutazione ex-ante.
Spero che su roars.it si possa parlare soprattutto delle inevitabili
difficoltà delle valutazione ex-post (soprattutto quelle periodiche
per le strutture).
Dico questo perché a me pare che il vero problema sia quello
della assenza di un meccanismo di responsabilizzazione dei
decisori. La valutazione ex-ante è un bel modo per perpetuare
questo problema, mentre la valutazione ex-post è il fondamento
(pur senza essere una condizione sufficiente) per arrivare alla responsabilizzazione dei decisori.
Grazie per qualunque commento critico che potreste aver voglia
di fare.