Tutta colpa dei docenti, secondo il presidente dell’ANVUR che scrive  al  Corriere per replicare allo sferzante articolo di G.A. Stella, mentre Luisa Ribolzi e Massimo Castagnaro sul Sussidiario ironizzano sugli “attacchi”, dissacrando l’illuminismo lombardo. Ma c’è poco da ridere. Vi spieghiamo perché queste repliche mostrano che l’ANVUR è tecnicamente inadeguata a svolgere il suo ruolo.

Mercoledì 17 ottobre Gian Antonio Stella ha rilanciato sul Corriere della Sera le denunce di ROARS relative alle “riviste pazze” presenti negli elenchi di riviste scientifiche pubblicati dall’ANVUR (“Sesso, droga e chiesa: le pazze riviste ANVUR sempre più pazze“). A distanza di due giorni, venerdì 19 ottobre, arriva  una replica del Consiglio Direttivo dell’ANVUR affidata ad un articolo di Luisa Ribolzi (vicepresidente ANVUR) e Massimo Castagnaro (componente del direttivo ANVUR) pubblicato sul sito de Il Sussidiario (pubblicazione vicina a Comunione e Liberazione), mentre sabato 20 ottobre, il Corriere della Sera pubblica una lettera di Stefano Fantoni, presidente dell’ANVUR. Poiché l’ANVUR, rispondendo al Corriere risponde indirettamente a ROARS ci sembra opportuno spiegare perché entrambe le risposte del Consiglio Direttivo appaiano largamente insoddisfacenti.

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PARTE PRIMA

Sulla lettera di Stefano Fantoni al Corriere della Sera

Il prof. Stefano Fantoni, presidente dell’ANVUR, scrive una lettera al Corriere della Sera ammettendo finalmente che il filtro sulle riviste scientifiche non è riuscito a filtrare.

Nella prima parte della lettera ripropone però l’argomento secondo cui è “preoccupante” la “situazione” per cui “una parte che crediamo piccola dei docenti delle riviste umanistiche” ha pubblicato su riviste non scientifiche. Ritorna quindi la solita logica di ANVUR, seconda la quale il filtro è la “meritoria opera di sfrondamento” (ANVUR) e le pubblicazioni sono una “giungla” (Ribolzi e Castagnaro, si veda anche sotto).

Gli errori di ANVUR secondo Fantoni sono dovuti al fatto che ha usato “l’unica banca dati ad oggi esistente” (CINECA), dove i docenti hanno inserito qualunque pubblicazione, spinti “almeno in alcuni casi” dalla “prassi di valutare i dipartimenti e distribuire i fondi in base alla sola quantità delle pubblicazioni“.

Proprio poiché CINECA è l’unica banca dati esistente, sarebbe stato utile pensare a meccanismi diversi da mediane basate su dati bibliometrici, fortemente voluti da ANVUR.

In ogni caso, ancora una volta l’ANVUR mostra la propria “inadeguatezza tecnica” nel discutere la questione. La compilazione di liste di riviste scientifiche è una prassi adottata in molti esercizi di valutazione. Come si fa? Più o meno invariabilmente così:

Si parte dalla definizione di “lavoro scientifico”, e allo stato dell’arte quella invariabilmente adottata è quella del cosiddetto Manuale di Frascati dell’OCSE dove il lavoro scientifico è quello che crea conoscenza aggiuntiva rispetto allo stock esistente, distinto dal lavoro di insegnamento ed addestramento, disseminazione, sviluppo di routine tecnico-professionali.

Si bipartisce così la produzione degli scienziati (duri e umanistici, non c’è nessuna differenza!) in scientifica e “non scientifica”.

Ebbene, una volta che le definizioni sono chiare, si possono separare sulla stessa base le riviste scientifiche da quelle che non lo sono. Ma per separare le riviste scientifiche dalle altre bisogna avere di nuovo una definizione chiara in testa. E la definizione ANVUR è del tutto inadeguata. Per definire una rivista come scientifica è infatti richiesta

la presenza di uno o più dei seguenti elementi:

  • la descrizione della rivista o la politica editoriale prevedono esplicitamente il riferimento alla natura scientifica e alla pubblicazione di risultati originali
  • esiste un comitato scientifico della rivista
  • il comitato editoriale ha una composizione in cui la componente accademica è rilevante e/o il direttore della rivista ha affiliazione accademica
  • viene menzionata una procedura di revisione dei manoscritti
  • la rivista è indicizzata nei principali repertori nazionali e internazionali di riviste delle aree umanistiche e sociali
  • l’ispezione di indici della rivista e/o di esempi di articolo confermano che si tratti, per dimensione e struttura del testo, di contributi scientifici.

Vale la pena di sottolineare che la definizione ANVUR contraddice la definizione di lavoro scientifico adottata nei paesi OCSE: basta un elemento del tutto estrinseco come l’affiliazione accademica del direttore per definire scientifica una rivista, indipendentemente dai contenuti che pubblica. E non è inutile sottolineare che molto probabilmente nel lavoro di “sfrondamento”, ANVUR non ha usato neanche questa definizione, come risulta da quanto scrivono Ribolzi e Castagnaro (cfr. infra).

In ogni caso, ecco una cogente definizione di pubblicazione scientifica, quella della Norwegian Academy of Science and Letters, adottata nella classificazione delle riviste del governo finlandese:

An academic publication is defined according to four criteria; all four of these must be satisfied. The publication must:

  1. present new insight;
  2. be presented in a form that allows the research findings to be verified and/or used in new research activity;
  3. be written in a language and have a distribution that make the publication accessible to most interested researchers;
  4. appear in a publication channel (journal, series, book publisher, website) that has routines for external peer review.

Peraltro, anche con una chiara definizione, la separazione tra riviste scientifiche e non, resta difficile. Al tema della labilità del confine i documenti citati dedicano decine di pagine. E questa è la ragione per cui per svolgere un lavoro serio ci vogliono almeno un anno di lavoro (non il paio di mesi usati da ANVUR) e il coinvolgimento dell’intera comunità scientifica (e non di piccoli gruppi di lavoro nominati dai valutatori).

Tutto questo all’ANVUR, buona ultima tra le agenzie di valutazione europee, non lo sapevano?

Come abbiamo detto, ANVUR ritiene di aver parzialmente sfrondato una giungla. Forse non tutti i lettori sanno, e forse all’ANVUR lo ignorano proprio, che nel Research Excellence Framework (REF) 2014 (l’equivalente britannico della Valutazione della Qualità della Ricerca italiana) una parte importante e molto costosa dell’attività di valutazione consisterà proprio nella valutazione dei lavori “non scientifici”, di cui si vuole l’impatto, cioè “an effect on, change or benefit to the economy, society, culture, public policy or services, health, the environment or quality of life, beyond academia” (REF 2014 part 3 sect 3). Cioè l’agenzia di valutazione inglese non si propone di sfrondare alcunché, ma di capire gli effetti del lavoro non scientifico svolto dai ricercatori.

La produzione non scientifica può consistere infatti in una (questa sì!) meritoria opera di divulgazione scientifica, disseminazione di risultati consolidati, predisposizione e diffusione di regole e informazioni rivolta ai professionisti e così via. Gli articoli di John D. Barrow che divulgano la matematica, quelli degli economisti che scrivono sui quotidiani, gli articoli dei giuristi o dei commercialisti che scrivono per i professionisti e così via, sono socialmente utili, ma non per questo sono scientifici, nel senso del Manuale di Frascati.

Una di queste riviste è scientifica davvero. Una potrebbe essere valutata nel REF 2104. 
Una serve per passare le mediane. Saprebbe l’ANVUR riconoscerle?

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Per questa ragione noi siamo dalla parte degli strutturati che hanno scritto sulla Rivista di Suinicoltura.

E lo diciamo senza un filo di ironia. Hanno fatto un lavoro meritorio di divulgazione/professionale a favore di una importante parte delle imprese italiane. Siamo dalla parte di coloro che scrivono su Pig International, l’equivalente di Suinicoltura in lingua inglese. Se avessimo scritto su una di quelle riviste saremmo orgogliosi di averlo fatto e lo inseriremmo nel nostro curriculum, in una apposita sezione intitolata più o meno “pubblicazioni non scientifiche“.

Terremmo a far sapere al nostro Direttore di dipartimento e al nostro Rettore che oltre al lavoro scientifico stiamo svolgendo anche lavoro di divulgazione. E quindi inseriremmo i dati nell’anagrafe della ricerca CINECA.

Se fossimo in Gran Bretagna, molto probabilmente invieremmo al REF 2014 le pubblicazioni su Pig International per la valutazione di impatto.

Sempre se fossimo in Gran Bretagna, non ci aspetteremmo che quelle pubblicazioni, come nota Gian Antonio Stella, siano utilizzate per decidere la nostra carriera accademica o quella di altri.

In Italia invece l’ANVUR ha sancito che un articolo sulla rivista di suinicoltura serve per diventare ordinari di economia. A questo noi siamo fieramente contrari.

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PARTE SECONDA

Sull’articolo di Luisa Ribolzi e Massimo Castagnaro sul Sussidiario

Luisa Ribolzi (vicepresidente ANVUR) e Massimo Castagnaro (componente del direttivo ANVUR) hanno pubblicato su Il Sussidiario un’articolata replica all’articolo di Gian Antonio Stella sulle “riviste pazze” (La vendetta del suino: l’ANVUR risponde al Corriere). Prima di entrare nel merito degli argomenti tecnici, è opportuno esaminare il contesto entro cui Ribolzi e Castagnaro collocano la loro replica:

Da quando l’Anvur ha pubblicato la lista delle riviste scientifiche, si sono moltiplicati gli attacchi sul nostro operato: abbiamo deciso da tempo di non rispondere – in caso contrario non ci resterebbe tempo per lavorare – ma ci sembra necessaria qualche precisazione anche per tutelare l’impegno dei nostri collaboratori, che con sacrificio e senza alcun compenso hanno collaborato con Anvur nel poco gratificante compito di tentare un riordino nella giungla delle pubblicazioni. (Ribolzi e Castagnaro)

È sintomatico dell’atteggiamento dell’agenzia sia che le critiche vengano ridenominate “attacchi”, sia che le precisazioni, a fronte di problemi tecnici ampiamente documentati, invece di essere un atto dovuto di trasparenza, vengano fatte solo per  “tutelare l’impegno dei nostri collaboratori”. Si allude, pare, ai componenti i Gruppi di Lavoro responsabili della redazione degli elenchi di riviste scientifiche. Nessun dubbio sul sacrificio, specie se non compensato, e sul compito poco gratificante. Resta il fatto che il lavoro svolto, come si argomenta, ancora una volta più sotto, come già dimostrato in passato e come apparirà evidente anche in futuro, presenta gravi pecche.

Sicuramente, desta perplessità vedere un’agenzia di valutazione che rivendica pubblicamente il diritto di sottrarsi alle critiche che le vengono mosse, in aperta contraddizione con i principi di trasparenza enunciati nel proprio Codice Etico.

Rispondiamo ora per punti alle argomentazioni di Ribolzi e Castagnaro.

1. Umorismo culinario.

I due componenti del direttivo dell’ANVUR si lanciano in un funambolico paragone fra la Rivista di Suinicultura, ritenuta scientifica per l’area 13 (Economia) e niente meno che il Caffè, periodico settecentesco, nato per iniziativa di Pietro Verri (sic!), asserendo che i critici si sarebbero pretestuosamente appigliati ad un titolo apparentemente poco scientifico per mettere alla berlina l’operato dell’Agenzia:

Oggetto di sarcasmo è in particolare la Rivista di suinicultura (cui si aggiunge Stalle da latte, che non è una rivista, ma un supplemento de L’informatore agrario), il cui titolo ha colpito la fantasia dei critici. Se il titolo è così importante, suggeriremo alla redazione di cambiarlo in “Sus Scrofa Domesticus Proceedings”… Del resto, Il Caffè [1764-1766] dovrebbe forse essere escluso dal novero delle riviste che hanno fatto la cultura italiana perché ha un nome che lascia piuttosto pensare alla cucina? (Ribolzi e Castagnaro)

 

Desideriamo ricordare che la rivista Suinicoltura si pone come:

punto di riferimento imprescindibile per gli allevatori di suini, per i tecnici e per le imprese impegnate nell’indotto della filiera suinicola nazionale.

Analogamente, se Castagnaro e Ribolzi avessero letto la fonte di Gian Antonio Stella, ovvero il nostro articolo “Sesso, droga e chiesa: le pazze riviste ANVUR sempre più pazze” avrebbero visto che il problema non è che l’Informatore Agrario pubblica un inserto dal titolo “Stalle da latte”, ma che l’Informatore Agrario non ha i requisiti per essere considerato una rivista scientifica, mentre ANVUR lo considera tale. Che non abbia i requisiti è facimente desumibile dalla descrizione che la rivista fornisce di se stessa:

2. Criteri, ma “in linea di massima”.

Sorvolando dunque su accostamenti insultanti per qualunque persona di cultura, è bene ricordare, per l’ennesima volta, che secondo ANVUR  perché una rivista sia ritenuta scientifica occorre che sia “presente uno o più dei seguenti elementi” (Documento di accompagnamento alle mediane non bibliometriche, § 3.1):

  • la descrizione della rivista o la politica editoriale prevedono esplicitamente il riferimento alla natura scientifica e alla pubblicazione di risultati originali
  • esiste un comitato scientifico della rivista – il comitato editoriale ha una composizione in cui la componente accademica è rilevante e/o il direttore della rivista ha affiliazione accademica
  • viene menzionata una procedura di revisione dei manoscritti
  • la rivista è indicizzata nei principali repertori nazionali e internazionali di riviste delle aree umanistiche e sociali
  • l’ispezione di indici della rivista e/o di esempi di articolo confermano che si tratti, per dimensione e struttura del testo, di contributi scientifici.

Nell’attesa di conoscere nel dettaglio per tutte le settanta e oltre riviste che abbiamo (per ora) segnalato, quali fra i criteri sopra indicati sono stati soddisfatti, ricordiamo anche che, sempre secondo l’ANVUR:

sono stati in linea di massima esclusi:

  • quotidiani, settimanali
  • periodici di cultura, politica, attualità, costume,
  • periodici di recensioni,
  • riviste di divulgazione scientifica,
  • riviste di taglio esclusivamente professionale e di aggiornamento,
  • riviste di associazioni di categoria, ordini e associazioni professionali, enti pubblici nazionali e locali, istituzioni pubbliche non scientifiche di varia natura,
  • riviste espressione di formazioni politiche, sindacali, religiose,
  • “house organ” aziendali – bollettini, newsletter,
  • riviste promozionali, pubblicazioni non dotate di periodicità regolare o infra-annuale (Annali, Atti di accademie, Conferenze),
  • pubblicazioni ad accesso non aperto e senza cessione dei diritti di autore (“working papers“).

In modo del tutto paradossale, è possibile mostrare che queste categorie di riviste sono tutte rappresentate nelle liste pubblicate dall’ANVUR. Evidentemente la “meritoria opera di sfrondamento” è stata eseguita molto “in linea di massima“. Per come stanno le cose, sembra quasi che l’ANVUR provi piacere nel violare le regole che essa stessa si è data.

Se l’Agenzia lavorasse in modo appena adeguato, oltre ad indicare quali riviste sono state escluse, dovrebbe anche motivare le esclusioni e le inclusioni. Diversamente, se non si vuole supporre la manifesta incapacità di chi ha redatto e validato le liste, sorge inevitabile il sospetto che non tutte le inclusioni maldestre siano dovute a delle – chiamiamole così – sviste. Va ricordato, infatti, che la redazione delle liste di riviste non è un esercizio fine a se stesso, ma è finalizzato al calcolo delle mediane che saranno utilizzate per la selezione dei professori ordinari sorteggiabili come commissari per le Abilitazioni Nazionali e anche per la valutazione dei candidati.

3. Il corpo e la mente di Dylan Dog

Leadership medica (67 articoli dei filosofi morali) è una delle poche riviste che si occupano sistematicamente di bioetica” (Ribolzi e Castagnaro)

Poche? Siamo sicuri che siano “poche”?

Leadership medica è una rivista che pubblica, a quanto pare, contributi di bioetica di un solo autore, o quasi: Adriano Pessina, ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore: non contributi dei filosofi morali, dunque, ma contributi di un filosofo morale.

Peraltro è evidente che si tratta di contributi divulgativi, redatti per una sorta di rubrica giornalistica:

In conclusione, siccome le riviste che pubblicano contributi di bioetica note ad ANVUR “sono poche” (o forse sarebbe più preciso dire che sono poche quelle di un certo orientamento), conviene rimpolpare gli elenchi con una rivista che pubblica articoli divulgativi o di taglio giornalistico.

L’argomento di Ribolzi e Castagnaro è talmente debole che lo stesso Pessina, ben consapevole della natura divulgativa di questi articoli, nella compilazione del suo curriculum di aspirante commissario, li ha tenuti separati dalle pubblicazioni principali, preferendo collocarli nella sezione “Altre pubblicazioni”.

Nota: La consultazione di un fascicolo completo di Leadership Medica ci ha permesso di verificare che la rivista possiede un comitato scientifico, che era sfuggito alle nostre ricerche sul web. Pertanto, la rivista soddisfa almeno uno dei requisiti di scientificità richiesti dall’ANVUR. Come discusso  più avanti (8. La confessione: scientificità “ad personas”?) è significativo che nella loro autodifesa Ribolzi e Castagnaro, non usino l’argomento più ovvio ma denuncino una improbabile carenza di riviste di bioetica, facendo passare come scientifici articoli di natura divulgativa.

4. La scientificità non si dimostra, si eredita (dalla banca)

Etruria oggi è la rivista di una banca, e Alta Padovana di una fondazione bancaria, ed entrambe pubblicano collane di saggi sull’arte e la cultura dei territori” (Ribolzi e Castagnaro)

Qui dev’essere stato applicato un nuovo criterio di scientificità, non previamente dichiarato. A quanto pare, esisterebbe una “proprietà transitiva” in base alla quale le riviste aziendali delle banche che “pubblicano collane” (sic!) “sull’arte e la cultura dei territori” ereditano “per filiazione” un’autorevolezza scientifica. Ma tutte o solo alcune?

5. La “Bibbia del Web” è scientifica?

Wired è una rivista americana, forse la più famosa nel campo degli studi sul web, fondata nel 1993 da Nicholas Negroponte e nota, un po’ semplicisticamente, come “la Bibbia del Web”. Dal 2009 ne esce un’edizione italiana. (Ribolzi e Castagnaro)

Wired è una rivista commerciale, come sa chiunque l’abbia sfogliata o ne veda le pubblicità in edicola. Che si contrabbandi l’edizione italiana di Wired come una rivista di studi sul web, non è risibile: è deprimente. Da ultimo: il fatto che sia stata fondata da Negroponte non dice nulla sulla sua scientificità. In compenso costa 4 euro e chiarisce in copertina come si debba pronunciare il nome della rivista (‘uaird). Roba da scienziati. Non per niente, l’ANVUR è sempre stata una paladina dell’internazionalizzazione.

Wired è edito dalla Condé Nast, che non è nota come casa editrice scientifica, ma che piuttosto annovera tra le sue pubblicazioni riviste patinate quali GQ, Vanity Fair, Vogue, Glamour e Sposabella. Le descrizione promozionale di Wired, pur accattivante,  non evidenzia aspetti di scientificità:

WIRED è il mensile globale dedicato alle grandi idee e alle innovazioni che cambiano il mondo, è la mappa ideale, divertente e illustrata in modo spettacolare, per orientarsi dentro il mondo di oggi, mutevole, complesso, completamente collegato e connesso

 6. “Rigore è quando arbitro fischia” (V. Boskov)

Su CN comune notizie di Livorno hanno scritto colleghi di quattro diverse aree scientifiche, su La rivista del clero italiano di sei. (Ribolzi e Castagnaro)

Andersen, il mondo dell’infanzia, che ha trent’anni di vita, e su cui pubblicano studiosi come Pino Boero, ordinario a Genova. (Ribolzi e Castagnaro)

Quante pubblicazioni periodiche su cui pubblicano “colleghi di diverse aree scientifiche”  sono state escluse? Che criterio è mai questo? Ci ricorda la famosa frase di Boskov: “Rigore è quando arbitro fischia“.

Come raccapezzarsi davanti questa mancanza di rigore logico? Ne dobbiamo dedurre che se per accidente qualche accademico italiano (quanti?) di “diverse aree scientifiche” (quante?) avesse pubblicato sul Vernacoliere, questo sarebbe un valido motivo per ritenere scientifico non solo il notiziario comunale, ma anche il salace periodico satirico livornese?

Nota a margine: se sulle riviste in questione hanno pubblicato colleghi di quattro o sei diverse aree scientifiche, su quali basi la scientificità è stata attribuita per l’una o l’altra area? Infatti CN risulta scientifica solo per area 11. La rivista del clero italiano è scientifica solo per area 10 e 14.

7. I conti del Cineforum non tornano

Cineforum ha cinquant’anni di vita e conta un certo numero di accademici nel comitato di redazione (Ribolzi e Castagnaro)

Inutile dire che se gli anni di vita fossero un criterio, allora il Corriere della Sera che ne conta molti di più, sarebbe stato ingiustamente escluso dall’elenco. Per quanto invece riguarda il Comitato di redazione, siamo andati sul sito della rivista, dove sono riportati i membri del comitato di redazione.

Abbiamo consultato il “Cerca università” del CINECA: ebbene, nessuno dei membri del Comitato di redazione risulta essere un accademico attualmente in servizio presso un ateneo italiano. È possibile rintracciare un accademico solo se si allarga la ricerca ai membri del Gruppo di lavoro. Pertanto, non sembra corretto affermare che Cineforum “conta un certo numero di accademici nel comitato di redazione“. Al massimo, si può dire che conta un singolo accademico nel Gruppo di lavoro, cosicché la rivista non può dirsi scientifica nemmeno in base ai generosi criteri ANVUR che richiederebbero per il Comitato di redazione “una composizione in cui la componente accademica è rilevante”.

8. La confessione: scientificità “ad personas”?

Nei panni dell’ANVUR, come vi sareste comportati di fronte allo scandalo delle “riviste pazze”? Noi avremmo preso in mano la documentazione relativa alle operazioni di classificazione. Per ogni rivista, ci dovrebbe essere la lista dei requisiti di scientificità (politica editoriale di natura scientifica, esistenza di un comitato scientifico, peer review, indicizzazione, etc) con l’indicazione di quali sono soddisfatti e quali non lo sono. Sarebbe stato facile replicare a ROARS, se fosse stato possibile mostrare che ciascuna delle settanta e più “riviste pazze” soddisfaceva uno o più di questi requisiti di scientificità.

Stranamente, Ribolzi e Castagnaro  tentano questa strada, ma senza successo, solo per la rivista Cineforum.  Come mai? Sanno che la documentazione conferma che le “riviste pazze” sono effettivamente riviste non scientifiche? E allora, come mai sono state infilate nella lista? Oppure, per quanto possa sembrare incredibile, negli archivi dell’ANVUR non esiste documentazione della fase istruttoria del processo di classificazione?

Questa seconda ipotesi ci sembra la più probabile. Ma allora, come è stata verificata la scientificità delle riviste? Ribolzi e Castagnaro, ribadiscono quanto già dichiarato dal direttivo ANVUR, ovvero che

tutte le riviste contenute nell’elenco sono state valutate come scientifiche da almeno una società scientifica, tranne forse pochissimi casi di errori nella trascrizione

Da notare che non si fa cenno al ruolo dei gruppi di lavoro ANVUR. Insomma, se ci sono colpe, esse ricadono sul qualcun altro. Si tratta di una strategia diversiva che sta diventando uno dei tratti distintivi della linea politica del direttivo ANVUR: negare sempre e, quando non è proprio possibile, trovare un capro espiatorio.

Eppure, Ribolzi e Castagnaro, nel tentativo di dimostrare la strumentalità degli “attacchi” cui sarebbe soggetta l’ANVUR, non rinunciano a difendere la scientificità di un campione di riviste contestate. Vale la pena di esaminare attentamente i loro argomenti per capire in base a cosa sia stata decisa la scientificità di queste riviste. Come già anticipato, Ribolzi e Castagnaro non fanno riferimento a nessuno dei criteri di scientificità enunciati dalla stessa ANVUR, ma usano quasi esclusivamente un altro criterio, anomalo, ma rivelatore.

A parte la rivista Cineforum di cui si è già detto, i casi considerati da Ribolzi e Castagnaro sono nove: Banca Etruria, Alta Padovana, Wired, Suinicoltura e L’Informatore Agrario, CN Comune Notizie, la Rivista del Clero Italiano, Andersen, il Mondo dell’Infanzia, riviste di nautica (Yacht Capital, per esempio). Nei primi due casi, abbiamo già visto che si ricorre ad un inedito argomento “ereditario”: sono da ritenersi scientifiche le pubblicazioni aziendali di banche che pubblicano collane (scientifiche?) di saggi sull’arte e la cultura dei territori. Non va molto meglio per quanto riguarda Wired: una rivista che non soddisfa nessun requisito di scientificità può diventare scientifica solo perchè viene definita “Bibbia del Web” da Wikipedia che cita il sito del TG1?

Nei sei casi rimanenti, Ribolzi e Castagnaro usano invariabilmente lo stesso argomento: saremmo di fronte a riviste scientifiche perché su di esse scrivono studiosi universitari italiani, in alcuni casi appartenenti a più aree scientifiche.

1. Suinicoltura, L’Informatore Agrario

ci scrivono infatti studiosi di merceologia, di veterinaria

2. Leadership Medica

Leadership medica (67 articoli dei filosofi morali) è una delle poche riviste che si occupano sistematicamente di bioetica

3. CN Comune Notizie

Su CN comune notizie di Livorno hanno scritto colleghi di quattro diverse aree scientifiche,

4. La Rivista del Clero Italiano

su La rivista del clero italiano [hanno scritto colleghi di ] di sei [aree scientifiche].

5. Andersen, il Mondo dell’Infanzia

su cui pubblicano studiosi come Pino Boero, ordinario a Genova.

6. Riviste di nautica (Yacht Capital, …)

ci scrivono […] nel caso della nautica, architetti che si occupano di cantieristica

Fin troppo facile notare che il ragionamento è circolare e contraddittorio. Le riviste da classificare erano tutte e sole quelle su cui avevano pubblicato gli universitari italiani. Se valesse il criterio che Ribolzi e Castagnaro applicano nei precedenti sei casi, avremmo una circolarità perfetta: tanto valeva procedere d’ufficio e dichiarare scientifiche tutte le riviste presenti nell’archivio CINECA. Ma Ribolzi e Castagnaro non la pensano in questo modo e anzi si domandano

come sia possibile che nelle pubblicazioni “scientifiche” degli accademici italiani compaiano più di 3mila riviste che, manifestamente, scientifiche non sono

Qui emerge la contraddizione: se una rivista è stata scartata dall’ANVUR, secondo Ribolzi e Castagnaro è manifestamente non scientifica e chi ha caricato i relativi articoli sul CINECA dovrebbe vergognarsi. Però, non appena ROARS segnala la presenza nell’elenco ANVUR di una rivista che non possiede requisiti di scientificità, gli stessi Ribolzi e Castagnaro osservano che su quella rivista hanno pubblicato degli studiosi, “ergo” è scientifica. Un paradosso degno del famigerato “comma 22.

Dato che anche sulle riviste “sfrondate” dall’ANVUR hanno pubblicato studiosi universitari italiani, sembrerebbe che nella “Fattoria degli Universitari”, tutti gli studiosi siano uguali ma alcuni lo siano più degli altri, in quanto godono del potere di far diventare scientifiche le riviste su cui scrivono.

Ci sarebbe da sorridere di fronte all’inconsistenza degli argomenti difensivi di Ribolzi e Castagnaro, se solo fosse possibile ignorare un interrogativo inquietante. La nozione di scientificità “ad personas” è solo un maldestro espediente retorico, sfoderato a scopo apologetico, oppure è la vera chiave di lettura della lista dell’ANVUR? Insomma, la scientificità delle riviste ANVUR è stata decisa in base ai requisiti posseduti dalle riviste o in base ai nomi di chi vi pubblicava?

9. Un degno finale.

Avremmo certo desiderato che chi ci fa le pulci, oltre agli errori, avesse preso in considerazione anche lo sforzo fatto nell’iniziare a riordinare la giungla delle pubblicazioni (sono stati esaminati oltre 44mila titoli), con un lavoro che è perfettibile e che sarà perfezionato in tempi più distesi, ma sarebbe forse stato chiedere troppo. (Ribolzi e Castagnaro)

Ribolzi e Castagnaro sono consapevoli del fatto che sulla base di questo lavoro – inadeguato a detta della stessa Agenzia  – sono state calcolate le mediane per le Abilitazioni nazionali?

E che alcuni docenti potranno essere selezionati o meno come commissari sulla base di tali  elenchi indifendibili?

Come si dice in questi casi, degli errori siamo responsabili solo noi, anche se ci sembra importante precisare che tutte le riviste contenute nell’elenco sono state valutate come scientifiche da almeno una società scientifica, tranne forse pochissimi casi di errori nella trascrizione (come è probabilmente accaduto per l’Annuario del liceo di Rovereto…) (Ribolzi e Castagnaro)

Ci auguriamo che a furia di richieste di accesso agli atti potremo leggere finalmente i verbali (ammesso che esistano) della redazione di tali elenchi in modo da farci un’idea precisa delle responsabilità. Ma intanto, perché non li divulga l’Agenzia? Renda chiare le responsabilità delle società disciplinari, che avrebbero svolto malamente il compito assegnato (che però spettava all’Agenzia).

Da ultimo un consiglio. La prossima volta che Ribolzi e Castagnaro vorranno difendersi dalle legittime critiche dei soggetti valutati, non cadano nel ridicolo di definire Wired una “rivista di studi” o di assicurarci che la Rivista del Clero è scientifica perché contiene gli scritti di qualche accademico.

C’è un esempio più illustre che viene dal passato, Playboy, sul quale scrissero fra gli altri Eco, Calvino e Moravia. Vogliamo mettere?

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47 Commenti

  1. E’ chiaro che dopo un’ammissione di colpa così, il Ministro dovrà fare qualcosa per non mandare in frantumi il sistema delle abilitazioni. Spero che abbiate mandato questo articolo al Corriere o a qualche altro mezzo a stampa. Siamo allo sbando totale.

  2. Una nota “tecnica”. Il sito CINECA, in i docenti immettono le proprie pubblicazioni, ha svariati usi.
    Ad esempio, esso è la fonte in cui indicare le proprie pubblicazioni che siano da considerarsi quando si presenta domanda di finanziamento per un progetto di ricerca.
    In questo senso, è OVVIO che il sito contenga anche pubblicazioni non scientifiche: se faccio un progetto che riguardi la divulgazione della matematica, è molto più qualificante un articolo divulgativo su una rivista “da edicola” che un saggio scientifico su una rivista specialistica!
    Il sito CINECA è stato pensato (prescindendo dal fatto che riesca nell’opera) come il “luogo” ove un accademico italiano possa mettere i propri lavori, in modo che essi possano essere riferiti per la valutazione di qualsiasi attività connessa alla ricerca – dalla valutazione della produttività delle strutture, all’abilitazione, passando per il finanziamento dei progetti (di ricerca, di innovazione, didattici, ecc.).
    E’ NORMALE e CORRETTO che contenga di tutto – anzi, sarebbe errato se non contenesse gli articoli che i ricercatori stessi definiscono come “altro”.

    • Questo è un commento da stampare e mandare a quelli dell’ANVUR. Come non concordare?

      Se avessi scritto su PlayBoy l’avrei inserito sull’elenco delle mie pubblicazioni. Se ci fosse un flag per indicare “Il contributo del lavoro è scientifico?” non avrei certo marcato il lavoro come scientifico.

      Come anche se ho scritto il “Guest Editorial” di una rivista (dove riassumo in breve di che cosa si parla in questo numero), lo inserisco su U-GOV, ma certo non lo presento tra gli articoli scientifici.

  3. L’Anvur fa di tutto per salvarsi dalla bocciatura definitiva; della logica stringente (scientifica) se ne infischia altamente anche perché non ci arriva, né tecnicamente né eticamente. D’altronde tutto il meccanismo che passa attraverso la 240 (detta “l’epocale gelminiana” — dal nome di una giovane ministro paravento che capiva soltanto che doveva ubbidire ) — e che sfocia nella sua implementazione sconcia e sciocca, riordino degli atenei compreso (ma si sa in giro il caos che c’è nelle università?), è stato generato e poi gestito solertemente dalle emanazioni di quei gruppi di potere accademici che non hanno fatto niente, anzi, per tenere a bada la deriva degli anni 2000- . E adesso danno e continuano a dare la colpa agli altri. Questo significa reciclaggio del vecchio. Non potrebbero essere rottamati?

  4. Come gli autori dell’articolo, mi dichiaro dalla parte dei colleghi che hanno scritto su “Suinicoltura”. Anni fa, ho collaborato a “Penthouse”. Ne ero molto fiera, ma non l’ho mai messo nel mio CV.
    Sono ammirata e concordo su tutto. Ma non riesco a convincermi che i collaboratori ai quali si riferiscono Ribolzi e Castagnaro siano solo i componenti dei Gdl. Continuiamo ad indagare…

    • Ma, hai mai sfogliato la rivista Suinicoltura sulla quale ti appare più che legittimo ironizzare ?Probabilmente, che ha scritto su questa rivista, che sotto il profilo tecnico-scientifico è più che dignitosa, probabilmente in termini applicativi, ha avuto un ruolo più impattante, di tanti frequentatori di questo blog. Quando alle 12.00, 13.00 si va in pausa pranzo, e si prende,magari un toast col prosciutto cotto od un panino con del prosciutto di Parma, si dovrebbe riflettere sul fatto che dietro questo coacervo di carboidrati e proteine, c’è anche un lavoro intellettuale.
      Sicché …. ti dirò che paragona “Suinicoltura” a “Penthouse” dimostra solo di essere una persona poco provveduta, per usare un sottile eufemismo.

    • @velvet. Consiglierei di leggere il post. Se lo legge si accorgerà che c’è scritto senza ironia che difendiamo la rivista di suinicultura e chi ci scrive su. Solo diciamo che scriverci non dovrebbe contare per diventare ordinario di economia o statistica! Le faccio notare che tale rivista non vale per fare carriera in veterinaria/zootecnia o altro.

    • “probabilmente in termini applicativi, ha avuto un ruolo più impattante, di tanti frequentatori di questo blog”
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      Nessuno ha messo in dubbio l’impatto di Suimicoltura e la sua qualità come rivista di settore orientata prevalentemente ad allevatori, tecnici e imprese. Come è spiegato nella prima parte dell’articolo ci sono riviste *non scientifiche* che, ciò nonostante, possono avere un impatto, anche grande. Scrivere su queste riviste non è e non deve essere motivo di vergogna e nemmeno deve esserlo tenerne traccia nel proprio sito docente (cone sostiene l’ANVUR a corrente alternata: bisogna vergognarsi se la rivista è stata bocciata da ANVUR, va bene se invece è finita nella lista ANVUR). Ma l’impatto, da solo, non implica la scientificità della rivista. Il Sole 24 Ore ha sicuramente un grande impatto ma (tranne l’ANVUR che però poi si è pentita) nessuno si sognerebbe di ritenerlo una rivista scientifica. È bene che i ricercatori scrivano sul Sole 24 Ore, ma non ha senso usare questi articoli come titolo per farsi dare l’abilitazione di I o II fascia. Per capire che Suinicoltura *non* è una rivista scientifica basta leggere la descrizione che fornisce di se stessa e del suo lettore. Nelle descrizioni che seguono la parola “scienza” non è mai menzionata.
      ________
      “Suinicoltura è il punto di riferimento imprescindibile per gli allevatori di suini, per i tecnici e per le imprese impegnate nell’indotto della filiera suinicola nazionale. Realizzata con uno stile diretto e immediato, capace di invogliare alla consultazione anche i lettori meno attenti, presenta una visione ampia e “multidisciplinare” delle problematiche del comparto. In Suinicoltura, infatti, i dossier, le ricerche, le rubriche curate da noti specialisti e le novità di settore si completano con le informazioni di scenario, dalle tematiche normative a quelle economiche e di politica. Da quest’anno la rivista si arricchisce di una nuova rubrica dedicata completamente ai suinicoltori che potranno sottoporre ai nostri esperti quesiti, problemi, chiarimenti su come gestire al meglio l’allevamento da ogni punto di vista: tecnico, igienico-sanitario, alimentare, economico, normativo.

      PROFILO DEL LETTORE
      Sempre più consci della interdisciplinarità del loro operatoIl selezionatore, il produttore di suini leggeri e l’allevatore di suini pesanti da avviare alla trasformazione, gli stagionatori, i tecnici dell’industria, i veterinari e i ricercatori, sono gli utenti ideali. Per tutti loro la Rivista di Suinicoltura supera i pur ampi confini del mezzo di informazione tecnica, per divenire indispensabile strumento di produzione e di lavoro.”
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      http://www.edagricole.it/r_17_dett.asp

  5. A dire la verità mi piaceva l’idea che fossi paragonato ad una specie di re Mida per cui laddove scrivo io una rivista diventa automaticamente di bioetica e scientifica!. Ovviamente non è così, e non ho mai pensato che Leadership Medica sia una rivista di bioetica, anche perché, come ognuno può verificare, gli articoli più interessanti sono quelli di divulgazione scientifica e di etica sanitaria. Come altri colleghi, anch’io ho un’attività pubblicistica e mi sono limitato a segnalarla sul sito Miur. Condivido totalmente la necessità di sfrondare le pubblicazioni e di distinguere tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è.

    • Adriano Pessina: “non ho mai pensato che Leadership Medica sia una rivista di bioetica”
      _________
      Ringrazio il Prof. Pessina che conferma che la giustificazione di Ribolzi e Castagnaro (“Leadership medica (67 articoli dei filosofi morali) è una delle poche riviste che si occupano sistematicamente di bioetica”) non è plausibile.

  6. Sono l’unico che trova fastidiosa questa frase: “[…]impegno dei nostri collaboratori, che con sacrificio e senza alcun compenso hanno collaborato con Anvur[…]”.

    Ma come? La scelta sul futuro dei docenti italiani, sulla scientificità di una rivista e sul fatto che un Professore Ordinario meriti di essere nelle commissioni è fatto da ignoti “collaboratori”. Collaboratori che non hanno neppure un contratto e dunque non hanno titolo per accedere ai dati gestiti dall’ANVUR?

    Insomma, la decisione su scientifico/non scientifico chi l’ha presa? Un dottorando nel suo tempo libero, per non contrariare il tutor che lavora presso l’ANVUR?

    Infine mi permetto un calcolo (massacratemi, dato che non ci ho pensato molto): 44000 riviste. Diciamo che facciamo lavorare 44 persone alla loro analisi per valutarne la scientificità. Non penso che ci vogliano più di 6 minuti a rivista per verificare se questa rispetta i parametri definiti dall’Anvur, se chi fa l’operazione è minimamente competente nel campo di cui si sta parlando. Quindi ogni persona avrebbe dovuto impiegare 6000 minuti del suo tempo per scremare le riviste assegnatele. Cioè 100 ore. Cioè (supponendo 5 ore al giorno per questo compito) 20 giorni di lavoro. Considerando che se la rivista è, che so, una Transaction IEEE posso andare tranquillo, i miei 6 minuti probabilmente possono ridursi a 3 in media e quindi arrivare a 10 giorni di lavoro. Visti gli stipendi che girano all’ANVUR se lo potevano anche permettere, no?

    • Noi autori dell’articolo abbiamo pensato che Ribolzi e Castagnaro si riferissero ai membri dei Gruppi di lavoro, che non ricevono compenso. Non abbiamo elementi per dire che siano stati coinvolti altri collaboratori (dottorandi o altro).

  7. già Fantoni aveva accennato, nel suo ultimo intervento sul Sole, alla mirifica opera di un pugno di entusiasti, giovani collaboratori….
    saranno dottorati di ricerca? non mi stupirebbe….
    a loro infatti, pare, venga affidato anche il referaggio di alcune riviste ascese miracolosamente in seria A…..
    qualcuno, mi ha detto, che così facendo i giovani si fanno le ossa e imparano tante cose….

  8. HELP!
    molti candidati alle abilitazioni non riescono a caricare i pdf fai-da-te perché troppo pesanti…
    si tratta di un problema generale per l’area umanistica…. gli storici, ad esempio, producono anche monografie i 500-700 pagine….
    Amici di Roars so quanto siete sotto pressione ma occorre denunciare questo malfunzionamento… alcuni candidati sono nellimpossibilità materiale di presentare i loro lavoro…

    • basta fare i pdf in modo corretto – ad esempio, a partire da scansioni in bianco e nero anziché a colori – per ottenere pdf che restino sotto la soglia di 50 mega prevista dalla procedura

  9. Ogni giorno che passa emergono sempre piu’ incongruenze del lavoro dell’anvur. Cosi’ non e’ possibile. Siamo docenti universitari oberati da lezioni e ricerche. Per favore, troviamo il modo di fermare questo scempio che sta distruggendo la nostra universita’! Signor ministro ma che ci vuole a fare un decreto legge che commissari l’anvur, elimini le mediane e renda tutti i docenti sorteggiabili o, meglio, ripristini le elezioni per i commissari?

  10. @eugenio di rienzo. Ho già cercato di scriverlo. Schedare migliaia di riviste (quante non si sa!) non è roba da tre o quattro componenti dei Gdl. L’allusione di Fantoni corrisponde a quanto scrivono Ribolzi e Castagnaro: studenti, dottorandi, collaboratori, insomma una corposa équipe. Ma altro andrebbe indagato: Fare, per favore, un confronto tra le liste di riviste accreditate come fascia A e B dai Gev per la Vqr e i “nostri” elenchi dell’abilitazione. Io non ho le liste della Vqr, ho delle tracce relative unicamente al mio ssd.

  11. Insomma, le elezioni sono un fondamento della democrazia. Senza le elezioni c’e’ la dittatura. Bobbio diceva che la democrazia doveva diffondersi dalla sfera politica alla societa’. E’ triste constatare che questi principi minimi sono oggi negletti.

    • Francamente, il principio elettorale non si può applicare a tutto. Applicato alle commissioni di concorso, in Italia ha portato al trionfo delle “cordate” più forti nei vari settori. Perché non ammetterlo, se, come credo qui siamo tutti in buona fede? E per favore, lasciamo Bobbio fuori da tutto ciò…

  12. Il principio elettorale garantisce la responsabilizzazione dell’eletto nei confronti della comunita’ di riferimento. Applicato alle commissioni di concorso individua chi fa le porcate. Leggere Bobbio al riguardo e’ istruttivo e farebbe molto bene a chi pensa il contrario. Anzi, perche’ non torniamo alla nomina ministeriale dei commissari come durante il fascismo? La buona fede impone di affermare che togliere alle comunita’ scientifiche la possibilita’ di decidere chi merita di entrarvi, significa affidarlo ad altri. A chi? All’anvur? Alla gelmini? Al parlamento che ha sancito che ruby fosse nipote di mubarek? A questo punto sorteggiamo ogni anno le materie da insegnare. Spero che mi esca il vodoo o l’astrologia. Suvvia, cresciamo un po’, smettiamo di utilizzare argomenti riciclati dalle parole d’ordine dei berluscones, che lottavano tanto contro il potere baronale da creare una legge che concentra il potere nelle universita’ in poche persone. Straordinario!

    • Non sono affatto sicuro che sorteggiare sia un metodo migliore per nominare i Commissari in un concorso nazionale, ma l’affermazione: “Il principio elettorale garantisce la responsabilizzazione dell’eletto nei confronti della comunita’ di riferimento.” mi lascia perplesso. L’eletto non potrebbe sentirsi più che altro responsabile verso l’eventuale cordata che l’ha eletto?
      E cosa mai vuol dire che “Applicato alle commissioni di concorso individua chi fa le porcate.”?

    • Discussioni al momento abbastanza inutili. La procedura sta andando avanti. I candidati commissari che non superano le mediane dovrebbero avere avuto la comunicazione dal MIUR (circa 1 su 5 stando alle dichiarazioni di Fantoni). Io mi chiedo se l’ANVUR supererà questa fase della formazione delle commissioni. Questi numeri sono la legge, sono certo che la quasi totalità della comunità scientifica italiana ha gli occhi puntati su questa selezione. Non si sgarra, se l’ANVUR ammetterà qualcuno sotto mediane si saprà così come qualcuno meritevole escluso per le mediane si arrabbierà e potrebbe fare un qualche ricorso. Le prossime due settimane sono decisive per le sorti dell’abilitazione e, forse, dell’ANVUR.

  13. Carissimi,

    mi chiedo: se i commissari dell’ANVUR sono incompetenti e hanno prodotto un danno allo Stato realizzando un sistema inefficace e inefficiente, è possibile denunciarli e obbligarli, quantomeno, a restituire il loro compenso? E’ possibile denunciare alle autorità competenti colui che li ha nominati per non avere verificato la loro competenza e avere, così, realizzato un notevole danno allo Stato?

    Saluti a tutti e complimenti per il vostro lavoo davvero notevole.

  14. @eugenio di rienzo. cercando su google “ridurre file pdf” o simili (downsize pdf x es.) si trovano diversi programmi shareware o in versione valutazione per un mese che permettono di comprimere notevolmente anche files molto grandi. Io ne avevo uno pieno di immagini a colori da 150Mb che ho ridotto in forma ancora accettabile a 33.

  15. Navigando nel sito dell’ANVUR non sono riuscito a trovare l’elenco delle riviste di molte aree. Qualcuno sa se per le aree 02 scienze fisiche e 03 scienze chimiche la classificazione è già stata fatta ed eventualmente dove reperirla? Grazie.

    • per le aree bibliometriche non sono previste liste di riviste, ma unicamente parametri quantitativi (n° di prodotti) e citazionali (citazioni/h-index).
      Le liste di riviste sono un surrogato della bibliometria per le aree non bibliometriche.

    • Il mio interesse riguarda il fatto che nel concorso a cattedre appena bandito “Sono ammessi a valutazione gli articoli pubblicati su riviste scientifiche con riferimento alla classificazione ANVUR”. Cercherò di capire come verrà fatta questa valutazione. Comunque grazie.

    • Per i settori bibliometrici, le riviste scientifiche valide ai fini degli indicatori di produttività per l’ASN sono quelle indicizzate ISI e/o Scopus. Un elenco di quelle ISI si può avere dal Journal of Citation Report (da Acoustic a Zoology per il 2011 ne riporta 8336).

    • Se ai fini del concorso a cattedre le riviste indicizzate Scopus rientrano nella “classificazione ANVUR” non avrò problemi poiché tutte le mie pubblicazioni sono su riviste Elsevier!
      Grazie infinite.

  16. Bellissimo articolo. In effetti, Cineforum, come altre riviste di cinema che compaiono nell’ambito delle riviste “scientifiche”, sconta un problema di fondo, che è quello di stabilire la differenza fra produzione scientifica e produzione critica. Andare a vedere un film e scrivere una recensione, di per sé, è una pratica nobile, utile, culturalmente significativa, ma che per sua stessa natura è l’esatto contrario della produzione scientifica (qualcosa che ha almeno una vocazione all’oggettività e si presta a verifica e confutazione). D’altra parte, la confusione ha regnato sovrana per molti anni, ed è vero che anche su questo tipo di riviste sono stati pubblicati, in apposite sezioni, anche articoli e saggi che hanno tutte le caratteristiche di scientificità richieste. In casi come questi, torna buono quanto è stato detto da Banfi e De Nicolao. Come studioso di cinema ho tutto il diritto di caricare sul mio sito Cineca pubblicazioni che hanno trovato posto su una gloriosa e meritoria rivista di critica. Ma non sono di per se stesse pubblicazioni scientifiche da cui deve dipendere il mio destino accademico. Poi, giacché in passato si sono create zone di sovrapposizione, se io avessi pubblicato su Cineforum un saggio di natura scientifica (o su altra rivista analoga), dovrei comunque poterlo inviare ad un organismo apposito affinché ne stabilisca – a posteriori – la scientificità, entrando però nel merito della pubblicazione in questione.
    Insomma, come su tutto il resto, anche in questo caso il sistema si è rivelato di una rigidità insensata e fondamentalmente inservibile.

    • Manzoli ha in effetti colto il punto: la rigidità. E non si vede solo in casi come questo, ma anche per le rigide barriere disciplinari, le scientificità per aree (in quale paese al mondo salvo il nostro si è scientifici solo per un’area?), le eccellenze di settore, e così via.
      Una pessima iperregolazione attuata da un gruppo di persone poco competenti non poteva che produrre pessimi risultati.

  17. marcopet: non sono un giurista, ma esista una culpa in eligendo nel nostro diritto…..ma bisognerebbe partire da Monti che ha scelto Profumo come ministro per poi passare a Napolitano che ha ratificatio quella scelta….
    quanto ai problemi dei pdf non si capisce perché un candidato per presentare i suoi titoli debba avere le stesse competenze di un tecnico informatico….

  18. Abbiate pazienza, ma dove pretende che pubblichi un aspirante ricercatore/docente in zootecnia, non so, su “Protonic journal” o magari su “macroeconomics review”, prima di fare facili ironie su riviste come Suinicoltura, bisognerebbe informarsi, altrimenti si rischia di fare la figura di chi si vorrebbe criticare, quella degli incompetenti !!!
    Ovviamente, invece di insistere, con argomentazioni forvianti, quando si sbaglia, bisognerebbe ammetterlo. Altrimenti si pecca di presunzione; sempre che discipline come la veterinaria o l’agraria, non vengano considerate dai frequentatori di codesto Ill.mo blog, alla stregua di simpatici hobbies.
    Ciao a tutti gli aspiranti premi Nobel

    • Velvet: ho l’impressione che non abbia colto il fatto che suinicultura è considerata scientifica per area 13, che c’entra agraria e veterinaria? Ma l’ha letto l’articolo?

    • Caro Banfi, si parla di Zootecnia (che è sub-disciplina della agraria e della veterinaria); sul piano logistico in qualsiasi paese l’allevamento di animali, delle più disparate specie, è alla base del sostentamento dello stesso, Adesso non sò, ma fino a qualche hanno fà l’importazione delle carni era la seconda voce nel bilancio italiano dopo il petrolio ed i suoi derivati, e poi se il direttore scientifico di Suinicoltura è il Prof. Giulio Zucchi che è professore emerito di ECONOMIA ED ESTIMO RURALE c/o l’ateneo felsineo, forse una ragione valida ci sarà per inserirla in area 13.

      per Sylos, la rivista di cui trattasi, in un ipotetico ranking di settore, non eccellerà, ma viene considerata più che dignitosa, sicché. che non soddisfa i requisiti lo hai stabilito tu ?!
      Perchè, prima di portare come paradosso quella rivista, ed indicarla al pubblico ludibrio, con estrema faciloneria e superficialità – ciò va detto – probabilmente e dico probabilmente, cercando nel mucchio se ne sarebbe potuto sceglierne qualche altra, e si sarebbe fatta più bella figura.

    • velvet: “in un ipotetico ranking di settore, non eccellerà, ma viene considerata più che dignitosa, sicché. che non soddisfa i requisiti lo hai stabilito tu ?!
      Perchè, prima di portare come paradosso quella rivista, ed indicarla al pubblico ludibrio, con estrema faciloneria e superficialità – ciò va detto – probabilmente e dico probabilmente, cercando nel mucchio se ne sarebbe potuto sceglierne qualche altra, e si sarebbe fatta più bella figura.”
      _______________
      Per quanto ne sappiamo, Suinicoltura potrebbe eccellere nel ranking di settore, se si considera il settore adeguato ovvero quello delle riviste tecniche e non quello delle riviste dedicate alla pubblicazione di risultati scientifici originali. Leggendo l’articolo, è chiaro Suinicoltura non viene in alcun modo indicata al pubblico ludibrio, ma al contrario se ne sottolinea l’utilità sul piano della divulgazione professionale:
      ______________
      “E lo diciamo senza un filo di ironia. Hanno fatto un lavoro meritorio di divulgazione/professionale a favore di una importante parte delle imprese italiane. Siamo dalla parte di coloro che scrivono su Pig International, l’equivalente di Suinicoltura in lingua inglese. Se avessimo scritto su una di quelle riviste saremmo orgogliosi di averlo fatto e lo inseriremmo nel nostro curriculum, in una apposita sezione intitolata più o meno “pubblicazioni non scientifiche“.

    • “che non soddisfa i requisiti lo hai stabilito tu ?!”
      ________________
      Come spiegato nell’articolo, è l’ANVUR che ha fissato dei requisiti:
      __________

      la presenza di uno o più dei seguenti elementi:

      – la descrizione della rivista o la politica editoriale prevedono esplicitamente il riferimento alla natura scientifica e alla pubblicazione di risultati originali
      esiste un comitato scientifico della rivista
      – il comitato editoriale ha una composizione in cui la componente accademica è rilevante e/o il direttore della rivista ha affiliazione accademica
      – viene menzionata una procedura di revisione dei manoscritti
      – la rivista è indicizzata nei principali repertori nazionali e internazionali di riviste delle aree umanistiche e sociali
      – l’ispezione di indici della rivista e/o di esempi di articolo confermano che si tratti, per dimensione e struttura del testo, di contributi scientifici.

    • “Abbiate pazienza, ma dove pretende che pubblichi un aspirante ricercatore/docente in zootecnia,”
      _____
      Su “The Pig Journal”, per esempio, come spiegato nell’articolo. Inoltre, come sottolineato da altri, Suinicoltura sta nella lista delle riviste scientifiche dell’area 13(Scienze Economiche e Statistiche), non dell’area 07 (Scienze Agrarie e Veterinarie) che non ha liste di riviste scientifiche perché usa criteri bibliometrici diversi.

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