Tutta colpa dei docenti, secondo il presidente dell’ANVUR che scrive  al  Corriere per replicare allo sferzante articolo di G.A. Stella, mentre Luisa Ribolzi e Massimo Castagnaro sul Sussidiario ironizzano sugli “attacchi”, dissacrando l’illuminismo lombardo. Ma c’è poco da ridere. Vi spieghiamo perché queste repliche mostrano che l’ANVUR è tecnicamente inadeguata a svolgere il suo ruolo.

Mercoledì 17 ottobre Gian Antonio Stella ha rilanciato sul Corriere della Sera le denunce di ROARS relative alle “riviste pazze” presenti negli elenchi di riviste scientifiche pubblicati dall’ANVUR (“Sesso, droga e chiesa: le pazze riviste ANVUR sempre più pazze“). A distanza di due giorni, venerdì 19 ottobre, arriva  una replica del Consiglio Direttivo dell’ANVUR affidata ad un articolo di Luisa Ribolzi (vicepresidente ANVUR) e Massimo Castagnaro (componente del direttivo ANVUR) pubblicato sul sito de Il Sussidiario (pubblicazione vicina a Comunione e Liberazione), mentre sabato 20 ottobre, il Corriere della Sera pubblica una lettera di Stefano Fantoni, presidente dell’ANVUR. Poiché l’ANVUR, rispondendo al Corriere risponde indirettamente a ROARS ci sembra opportuno spiegare perché entrambe le risposte del Consiglio Direttivo appaiano largamente insoddisfacenti.

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PARTE PRIMA

Sulla lettera di Stefano Fantoni al Corriere della Sera

Il prof. Stefano Fantoni, presidente dell’ANVUR, scrive una lettera al Corriere della Sera ammettendo finalmente che il filtro sulle riviste scientifiche non è riuscito a filtrare.

Nella prima parte della lettera ripropone però l’argomento secondo cui è “preoccupante” la “situazione” per cui “una parte che crediamo piccola dei docenti delle riviste umanistiche” ha pubblicato su riviste non scientifiche. Ritorna quindi la solita logica di ANVUR, seconda la quale il filtro è la “meritoria opera di sfrondamento” (ANVUR) e le pubblicazioni sono una “giungla” (Ribolzi e Castagnaro, si veda anche sotto).

Gli errori di ANVUR secondo Fantoni sono dovuti al fatto che ha usato “l’unica banca dati ad oggi esistente” (CINECA), dove i docenti hanno inserito qualunque pubblicazione, spinti “almeno in alcuni casi” dalla “prassi di valutare i dipartimenti e distribuire i fondi in base alla sola quantità delle pubblicazioni“.

Proprio poiché CINECA è l’unica banca dati esistente, sarebbe stato utile pensare a meccanismi diversi da mediane basate su dati bibliometrici, fortemente voluti da ANVUR.

In ogni caso, ancora una volta l’ANVUR mostra la propria “inadeguatezza tecnica” nel discutere la questione. La compilazione di liste di riviste scientifiche è una prassi adottata in molti esercizi di valutazione. Come si fa? Più o meno invariabilmente così:

Si parte dalla definizione di “lavoro scientifico”, e allo stato dell’arte quella invariabilmente adottata è quella del cosiddetto Manuale di Frascati dell’OCSE dove il lavoro scientifico è quello che crea conoscenza aggiuntiva rispetto allo stock esistente, distinto dal lavoro di insegnamento ed addestramento, disseminazione, sviluppo di routine tecnico-professionali.

Si bipartisce così la produzione degli scienziati (duri e umanistici, non c’è nessuna differenza!) in scientifica e “non scientifica”.

Ebbene, una volta che le definizioni sono chiare, si possono separare sulla stessa base le riviste scientifiche da quelle che non lo sono. Ma per separare le riviste scientifiche dalle altre bisogna avere di nuovo una definizione chiara in testa. E la definizione ANVUR è del tutto inadeguata. Per definire una rivista come scientifica è infatti richiesta

la presenza di uno o più dei seguenti elementi:

  • la descrizione della rivista o la politica editoriale prevedono esplicitamente il riferimento alla natura scientifica e alla pubblicazione di risultati originali
  • esiste un comitato scientifico della rivista
  • il comitato editoriale ha una composizione in cui la componente accademica è rilevante e/o il direttore della rivista ha affiliazione accademica
  • viene menzionata una procedura di revisione dei manoscritti
  • la rivista è indicizzata nei principali repertori nazionali e internazionali di riviste delle aree umanistiche e sociali
  • l’ispezione di indici della rivista e/o di esempi di articolo confermano che si tratti, per dimensione e struttura del testo, di contributi scientifici.

Vale la pena di sottolineare che la definizione ANVUR contraddice la definizione di lavoro scientifico adottata nei paesi OCSE: basta un elemento del tutto estrinseco come l’affiliazione accademica del direttore per definire scientifica una rivista, indipendentemente dai contenuti che pubblica. E non è inutile sottolineare che molto probabilmente nel lavoro di “sfrondamento”, ANVUR non ha usato neanche questa definizione, come risulta da quanto scrivono Ribolzi e Castagnaro (cfr. infra).

In ogni caso, ecco una cogente definizione di pubblicazione scientifica, quella della Norwegian Academy of Science and Letters, adottata nella classificazione delle riviste del governo finlandese:

An academic publication is defined according to four criteria; all four of these must be satisfied. The publication must:

  1. present new insight;
  2. be presented in a form that allows the research findings to be verified and/or used in new research activity;
  3. be written in a language and have a distribution that make the publication accessible to most interested researchers;
  4. appear in a publication channel (journal, series, book publisher, website) that has routines for external peer review.

Peraltro, anche con una chiara definizione, la separazione tra riviste scientifiche e non, resta difficile. Al tema della labilità del confine i documenti citati dedicano decine di pagine. E questa è la ragione per cui per svolgere un lavoro serio ci vogliono almeno un anno di lavoro (non il paio di mesi usati da ANVUR) e il coinvolgimento dell’intera comunità scientifica (e non di piccoli gruppi di lavoro nominati dai valutatori).

Tutto questo all’ANVUR, buona ultima tra le agenzie di valutazione europee, non lo sapevano?

Come abbiamo detto, ANVUR ritiene di aver parzialmente sfrondato una giungla. Forse non tutti i lettori sanno, e forse all’ANVUR lo ignorano proprio, che nel Research Excellence Framework (REF) 2014 (l’equivalente britannico della Valutazione della Qualità della Ricerca italiana) una parte importante e molto costosa dell’attività di valutazione consisterà proprio nella valutazione dei lavori “non scientifici”, di cui si vuole l’impatto, cioè “an effect on, change or benefit to the economy, society, culture, public policy or services, health, the environment or quality of life, beyond academia” (REF 2014 part 3 sect 3). Cioè l’agenzia di valutazione inglese non si propone di sfrondare alcunché, ma di capire gli effetti del lavoro non scientifico svolto dai ricercatori.

La produzione non scientifica può consistere infatti in una (questa sì!) meritoria opera di divulgazione scientifica, disseminazione di risultati consolidati, predisposizione e diffusione di regole e informazioni rivolta ai professionisti e così via. Gli articoli di John D. Barrow che divulgano la matematica, quelli degli economisti che scrivono sui quotidiani, gli articoli dei giuristi o dei commercialisti che scrivono per i professionisti e così via, sono socialmente utili, ma non per questo sono scientifici, nel senso del Manuale di Frascati.

Una di queste riviste è scientifica davvero. Una potrebbe essere valutata nel REF 2104. 
Una serve per passare le mediane. Saprebbe l’ANVUR riconoscerle?

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Per questa ragione noi siamo dalla parte degli strutturati che hanno scritto sulla Rivista di Suinicoltura.

E lo diciamo senza un filo di ironia. Hanno fatto un lavoro meritorio di divulgazione/professionale a favore di una importante parte delle imprese italiane. Siamo dalla parte di coloro che scrivono su Pig International, l’equivalente di Suinicoltura in lingua inglese. Se avessimo scritto su una di quelle riviste saremmo orgogliosi di averlo fatto e lo inseriremmo nel nostro curriculum, in una apposita sezione intitolata più o meno “pubblicazioni non scientifiche“.

Terremmo a far sapere al nostro Direttore di dipartimento e al nostro Rettore che oltre al lavoro scientifico stiamo svolgendo anche lavoro di divulgazione. E quindi inseriremmo i dati nell’anagrafe della ricerca CINECA.

Se fossimo in Gran Bretagna, molto probabilmente invieremmo al REF 2014 le pubblicazioni su Pig International per la valutazione di impatto.

Sempre se fossimo in Gran Bretagna, non ci aspetteremmo che quelle pubblicazioni, come nota Gian Antonio Stella, siano utilizzate per decidere la nostra carriera accademica o quella di altri.

In Italia invece l’ANVUR ha sancito che un articolo sulla rivista di suinicoltura serve per diventare ordinari di economia. A questo noi siamo fieramente contrari.

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PARTE SECONDA

Sull’articolo di Luisa Ribolzi e Massimo Castagnaro sul Sussidiario

Luisa Ribolzi (vicepresidente ANVUR) e Massimo Castagnaro (componente del direttivo ANVUR) hanno pubblicato su Il Sussidiario un’articolata replica all’articolo di Gian Antonio Stella sulle “riviste pazze” (La vendetta del suino: l’ANVUR risponde al Corriere). Prima di entrare nel merito degli argomenti tecnici, è opportuno esaminare il contesto entro cui Ribolzi e Castagnaro collocano la loro replica:

Da quando l’Anvur ha pubblicato la lista delle riviste scientifiche, si sono moltiplicati gli attacchi sul nostro operato: abbiamo deciso da tempo di non rispondere – in caso contrario non ci resterebbe tempo per lavorare – ma ci sembra necessaria qualche precisazione anche per tutelare l’impegno dei nostri collaboratori, che con sacrificio e senza alcun compenso hanno collaborato con Anvur nel poco gratificante compito di tentare un riordino nella giungla delle pubblicazioni. (Ribolzi e Castagnaro)

È sintomatico dell’atteggiamento dell’agenzia sia che le critiche vengano ridenominate “attacchi”, sia che le precisazioni, a fronte di problemi tecnici ampiamente documentati, invece di essere un atto dovuto di trasparenza, vengano fatte solo per  “tutelare l’impegno dei nostri collaboratori”. Si allude, pare, ai componenti i Gruppi di Lavoro responsabili della redazione degli elenchi di riviste scientifiche. Nessun dubbio sul sacrificio, specie se non compensato, e sul compito poco gratificante. Resta il fatto che il lavoro svolto, come si argomenta, ancora una volta più sotto, come già dimostrato in passato e come apparirà evidente anche in futuro, presenta gravi pecche.

Sicuramente, desta perplessità vedere un’agenzia di valutazione che rivendica pubblicamente il diritto di sottrarsi alle critiche che le vengono mosse, in aperta contraddizione con i principi di trasparenza enunciati nel proprio Codice Etico.

Rispondiamo ora per punti alle argomentazioni di Ribolzi e Castagnaro.

1. Umorismo culinario.

I due componenti del direttivo dell’ANVUR si lanciano in un funambolico paragone fra la Rivista di Suinicultura, ritenuta scientifica per l’area 13 (Economia) e niente meno che il Caffè, periodico settecentesco, nato per iniziativa di Pietro Verri (sic!), asserendo che i critici si sarebbero pretestuosamente appigliati ad un titolo apparentemente poco scientifico per mettere alla berlina l’operato dell’Agenzia:

Oggetto di sarcasmo è in particolare la Rivista di suinicultura (cui si aggiunge Stalle da latte, che non è una rivista, ma un supplemento de L’informatore agrario), il cui titolo ha colpito la fantasia dei critici. Se il titolo è così importante, suggeriremo alla redazione di cambiarlo in “Sus Scrofa Domesticus Proceedings”… Del resto, Il Caffè [1764-1766] dovrebbe forse essere escluso dal novero delle riviste che hanno fatto la cultura italiana perché ha un nome che lascia piuttosto pensare alla cucina? (Ribolzi e Castagnaro)

 

Desideriamo ricordare che la rivista Suinicoltura si pone come:

punto di riferimento imprescindibile per gli allevatori di suini, per i tecnici e per le imprese impegnate nell’indotto della filiera suinicola nazionale.

Analogamente, se Castagnaro e Ribolzi avessero letto la fonte di Gian Antonio Stella, ovvero il nostro articolo “Sesso, droga e chiesa: le pazze riviste ANVUR sempre più pazze” avrebbero visto che il problema non è che l’Informatore Agrario pubblica un inserto dal titolo “Stalle da latte”, ma che l’Informatore Agrario non ha i requisiti per essere considerato una rivista scientifica, mentre ANVUR lo considera tale. Che non abbia i requisiti è facimente desumibile dalla descrizione che la rivista fornisce di se stessa:

2. Criteri, ma “in linea di massima”.

Sorvolando dunque su accostamenti insultanti per qualunque persona di cultura, è bene ricordare, per l’ennesima volta, che secondo ANVUR  perché una rivista sia ritenuta scientifica occorre che sia “presente uno o più dei seguenti elementi” (Documento di accompagnamento alle mediane non bibliometriche, § 3.1):

  • la descrizione della rivista o la politica editoriale prevedono esplicitamente il riferimento alla natura scientifica e alla pubblicazione di risultati originali
  • esiste un comitato scientifico della rivista – il comitato editoriale ha una composizione in cui la componente accademica è rilevante e/o il direttore della rivista ha affiliazione accademica
  • viene menzionata una procedura di revisione dei manoscritti
  • la rivista è indicizzata nei principali repertori nazionali e internazionali di riviste delle aree umanistiche e sociali
  • l’ispezione di indici della rivista e/o di esempi di articolo confermano che si tratti, per dimensione e struttura del testo, di contributi scientifici.

Nell’attesa di conoscere nel dettaglio per tutte le settanta e oltre riviste che abbiamo (per ora) segnalato, quali fra i criteri sopra indicati sono stati soddisfatti, ricordiamo anche che, sempre secondo l’ANVUR:

sono stati in linea di massima esclusi:

  • quotidiani, settimanali
  • periodici di cultura, politica, attualità, costume,
  • periodici di recensioni,
  • riviste di divulgazione scientifica,
  • riviste di taglio esclusivamente professionale e di aggiornamento,
  • riviste di associazioni di categoria, ordini e associazioni professionali, enti pubblici nazionali e locali, istituzioni pubbliche non scientifiche di varia natura,
  • riviste espressione di formazioni politiche, sindacali, religiose,
  • “house organ” aziendali – bollettini, newsletter,
  • riviste promozionali, pubblicazioni non dotate di periodicità regolare o infra-annuale (Annali, Atti di accademie, Conferenze),
  • pubblicazioni ad accesso non aperto e senza cessione dei diritti di autore (“working papers“).

In modo del tutto paradossale, è possibile mostrare che queste categorie di riviste sono tutte rappresentate nelle liste pubblicate dall’ANVUR. Evidentemente la “meritoria opera di sfrondamento” è stata eseguita molto “in linea di massima“. Per come stanno le cose, sembra quasi che l’ANVUR provi piacere nel violare le regole che essa stessa si è data.

Se l’Agenzia lavorasse in modo appena adeguato, oltre ad indicare quali riviste sono state escluse, dovrebbe anche motivare le esclusioni e le inclusioni. Diversamente, se non si vuole supporre la manifesta incapacità di chi ha redatto e validato le liste, sorge inevitabile il sospetto che non tutte le inclusioni maldestre siano dovute a delle – chiamiamole così – sviste. Va ricordato, infatti, che la redazione delle liste di riviste non è un esercizio fine a se stesso, ma è finalizzato al calcolo delle mediane che saranno utilizzate per la selezione dei professori ordinari sorteggiabili come commissari per le Abilitazioni Nazionali e anche per la valutazione dei candidati.

3. Il corpo e la mente di Dylan Dog

Leadership medica (67 articoli dei filosofi morali) è una delle poche riviste che si occupano sistematicamente di bioetica” (Ribolzi e Castagnaro)

Poche? Siamo sicuri che siano “poche”?

Leadership medica è una rivista che pubblica, a quanto pare, contributi di bioetica di un solo autore, o quasi: Adriano Pessina, ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore: non contributi dei filosofi morali, dunque, ma contributi di un filosofo morale.

Peraltro è evidente che si tratta di contributi divulgativi, redatti per una sorta di rubrica giornalistica:

In conclusione, siccome le riviste che pubblicano contributi di bioetica note ad ANVUR “sono poche” (o forse sarebbe più preciso dire che sono poche quelle di un certo orientamento), conviene rimpolpare gli elenchi con una rivista che pubblica articoli divulgativi o di taglio giornalistico.

L’argomento di Ribolzi e Castagnaro è talmente debole che lo stesso Pessina, ben consapevole della natura divulgativa di questi articoli, nella compilazione del suo curriculum di aspirante commissario, li ha tenuti separati dalle pubblicazioni principali, preferendo collocarli nella sezione “Altre pubblicazioni”.

Nota: La consultazione di un fascicolo completo di Leadership Medica ci ha permesso di verificare che la rivista possiede un comitato scientifico, che era sfuggito alle nostre ricerche sul web. Pertanto, la rivista soddisfa almeno uno dei requisiti di scientificità richiesti dall’ANVUR. Come discusso  più avanti (8. La confessione: scientificità “ad personas”?) è significativo che nella loro autodifesa Ribolzi e Castagnaro, non usino l’argomento più ovvio ma denuncino una improbabile carenza di riviste di bioetica, facendo passare come scientifici articoli di natura divulgativa.

4. La scientificità non si dimostra, si eredita (dalla banca)

Etruria oggi è la rivista di una banca, e Alta Padovana di una fondazione bancaria, ed entrambe pubblicano collane di saggi sull’arte e la cultura dei territori” (Ribolzi e Castagnaro)

Qui dev’essere stato applicato un nuovo criterio di scientificità, non previamente dichiarato. A quanto pare, esisterebbe una “proprietà transitiva” in base alla quale le riviste aziendali delle banche che “pubblicano collane” (sic!) “sull’arte e la cultura dei territori” ereditano “per filiazione” un’autorevolezza scientifica. Ma tutte o solo alcune?

5. La “Bibbia del Web” è scientifica?

Wired è una rivista americana, forse la più famosa nel campo degli studi sul web, fondata nel 1993 da Nicholas Negroponte e nota, un po’ semplicisticamente, come “la Bibbia del Web”. Dal 2009 ne esce un’edizione italiana. (Ribolzi e Castagnaro)

Wired è una rivista commerciale, come sa chiunque l’abbia sfogliata o ne veda le pubblicità in edicola. Che si contrabbandi l’edizione italiana di Wired come una rivista di studi sul web, non è risibile: è deprimente. Da ultimo: il fatto che sia stata fondata da Negroponte non dice nulla sulla sua scientificità. In compenso costa 4 euro e chiarisce in copertina come si debba pronunciare il nome della rivista (‘uaird). Roba da scienziati. Non per niente, l’ANVUR è sempre stata una paladina dell’internazionalizzazione.

Wired è edito dalla Condé Nast, che non è nota come casa editrice scientifica, ma che piuttosto annovera tra le sue pubblicazioni riviste patinate quali GQ, Vanity Fair, Vogue, Glamour e Sposabella. Le descrizione promozionale di Wired, pur accattivante,  non evidenzia aspetti di scientificità:

WIRED è il mensile globale dedicato alle grandi idee e alle innovazioni che cambiano il mondo, è la mappa ideale, divertente e illustrata in modo spettacolare, per orientarsi dentro il mondo di oggi, mutevole, complesso, completamente collegato e connesso

 6. “Rigore è quando arbitro fischia” (V. Boskov)

Su CN comune notizie di Livorno hanno scritto colleghi di quattro diverse aree scientifiche, su La rivista del clero italiano di sei. (Ribolzi e Castagnaro)

Andersen, il mondo dell’infanzia, che ha trent’anni di vita, e su cui pubblicano studiosi come Pino Boero, ordinario a Genova. (Ribolzi e Castagnaro)

Quante pubblicazioni periodiche su cui pubblicano “colleghi di diverse aree scientifiche”  sono state escluse? Che criterio è mai questo? Ci ricorda la famosa frase di Boskov: “Rigore è quando arbitro fischia“.

Come raccapezzarsi davanti questa mancanza di rigore logico? Ne dobbiamo dedurre che se per accidente qualche accademico italiano (quanti?) di “diverse aree scientifiche” (quante?) avesse pubblicato sul Vernacoliere, questo sarebbe un valido motivo per ritenere scientifico non solo il notiziario comunale, ma anche il salace periodico satirico livornese?

Nota a margine: se sulle riviste in questione hanno pubblicato colleghi di quattro o sei diverse aree scientifiche, su quali basi la scientificità è stata attribuita per l’una o l’altra area? Infatti CN risulta scientifica solo per area 11. La rivista del clero italiano è scientifica solo per area 10 e 14.

7. I conti del Cineforum non tornano

Cineforum ha cinquant’anni di vita e conta un certo numero di accademici nel comitato di redazione (Ribolzi e Castagnaro)

Inutile dire che se gli anni di vita fossero un criterio, allora il Corriere della Sera che ne conta molti di più, sarebbe stato ingiustamente escluso dall’elenco. Per quanto invece riguarda il Comitato di redazione, siamo andati sul sito della rivista, dove sono riportati i membri del comitato di redazione.

Abbiamo consultato il “Cerca università” del CINECA: ebbene, nessuno dei membri del Comitato di redazione risulta essere un accademico attualmente in servizio presso un ateneo italiano. È possibile rintracciare un accademico solo se si allarga la ricerca ai membri del Gruppo di lavoro. Pertanto, non sembra corretto affermare che Cineforum “conta un certo numero di accademici nel comitato di redazione“. Al massimo, si può dire che conta un singolo accademico nel Gruppo di lavoro, cosicché la rivista non può dirsi scientifica nemmeno in base ai generosi criteri ANVUR che richiederebbero per il Comitato di redazione “una composizione in cui la componente accademica è rilevante”.

8. La confessione: scientificità “ad personas”?

Nei panni dell’ANVUR, come vi sareste comportati di fronte allo scandalo delle “riviste pazze”? Noi avremmo preso in mano la documentazione relativa alle operazioni di classificazione. Per ogni rivista, ci dovrebbe essere la lista dei requisiti di scientificità (politica editoriale di natura scientifica, esistenza di un comitato scientifico, peer review, indicizzazione, etc) con l’indicazione di quali sono soddisfatti e quali non lo sono. Sarebbe stato facile replicare a ROARS, se fosse stato possibile mostrare che ciascuna delle settanta e più “riviste pazze” soddisfaceva uno o più di questi requisiti di scientificità.

Stranamente, Ribolzi e Castagnaro  tentano questa strada, ma senza successo, solo per la rivista Cineforum.  Come mai? Sanno che la documentazione conferma che le “riviste pazze” sono effettivamente riviste non scientifiche? E allora, come mai sono state infilate nella lista? Oppure, per quanto possa sembrare incredibile, negli archivi dell’ANVUR non esiste documentazione della fase istruttoria del processo di classificazione?

Questa seconda ipotesi ci sembra la più probabile. Ma allora, come è stata verificata la scientificità delle riviste? Ribolzi e Castagnaro, ribadiscono quanto già dichiarato dal direttivo ANVUR, ovvero che

tutte le riviste contenute nell’elenco sono state valutate come scientifiche da almeno una società scientifica, tranne forse pochissimi casi di errori nella trascrizione

Da notare che non si fa cenno al ruolo dei gruppi di lavoro ANVUR. Insomma, se ci sono colpe, esse ricadono sul qualcun altro. Si tratta di una strategia diversiva che sta diventando uno dei tratti distintivi della linea politica del direttivo ANVUR: negare sempre e, quando non è proprio possibile, trovare un capro espiatorio.

Eppure, Ribolzi e Castagnaro, nel tentativo di dimostrare la strumentalità degli “attacchi” cui sarebbe soggetta l’ANVUR, non rinunciano a difendere la scientificità di un campione di riviste contestate. Vale la pena di esaminare attentamente i loro argomenti per capire in base a cosa sia stata decisa la scientificità di queste riviste. Come già anticipato, Ribolzi e Castagnaro non fanno riferimento a nessuno dei criteri di scientificità enunciati dalla stessa ANVUR, ma usano quasi esclusivamente un altro criterio, anomalo, ma rivelatore.

A parte la rivista Cineforum di cui si è già detto, i casi considerati da Ribolzi e Castagnaro sono nove: Banca Etruria, Alta Padovana, Wired, Suinicoltura e L’Informatore Agrario, CN Comune Notizie, la Rivista del Clero Italiano, Andersen, il Mondo dell’Infanzia, riviste di nautica (Yacht Capital, per esempio). Nei primi due casi, abbiamo già visto che si ricorre ad un inedito argomento “ereditario”: sono da ritenersi scientifiche le pubblicazioni aziendali di banche che pubblicano collane (scientifiche?) di saggi sull’arte e la cultura dei territori. Non va molto meglio per quanto riguarda Wired: una rivista che non soddisfa nessun requisito di scientificità può diventare scientifica solo perchè viene definita “Bibbia del Web” da Wikipedia che cita il sito del TG1?

Nei sei casi rimanenti, Ribolzi e Castagnaro usano invariabilmente lo stesso argomento: saremmo di fronte a riviste scientifiche perché su di esse scrivono studiosi universitari italiani, in alcuni casi appartenenti a più aree scientifiche.

1. Suinicoltura, L’Informatore Agrario

ci scrivono infatti studiosi di merceologia, di veterinaria

2. Leadership Medica

Leadership medica (67 articoli dei filosofi morali) è una delle poche riviste che si occupano sistematicamente di bioetica

3. CN Comune Notizie

Su CN comune notizie di Livorno hanno scritto colleghi di quattro diverse aree scientifiche,

4. La Rivista del Clero Italiano

su La rivista del clero italiano [hanno scritto colleghi di ] di sei [aree scientifiche].

5. Andersen, il Mondo dell’Infanzia

su cui pubblicano studiosi come Pino Boero, ordinario a Genova.

6. Riviste di nautica (Yacht Capital, …)

ci scrivono […] nel caso della nautica, architetti che si occupano di cantieristica

Fin troppo facile notare che il ragionamento è circolare e contraddittorio. Le riviste da classificare erano tutte e sole quelle su cui avevano pubblicato gli universitari italiani. Se valesse il criterio che Ribolzi e Castagnaro applicano nei precedenti sei casi, avremmo una circolarità perfetta: tanto valeva procedere d’ufficio e dichiarare scientifiche tutte le riviste presenti nell’archivio CINECA. Ma Ribolzi e Castagnaro non la pensano in questo modo e anzi si domandano

come sia possibile che nelle pubblicazioni “scientifiche” degli accademici italiani compaiano più di 3mila riviste che, manifestamente, scientifiche non sono

Qui emerge la contraddizione: se una rivista è stata scartata dall’ANVUR, secondo Ribolzi e Castagnaro è manifestamente non scientifica e chi ha caricato i relativi articoli sul CINECA dovrebbe vergognarsi. Però, non appena ROARS segnala la presenza nell’elenco ANVUR di una rivista che non possiede requisiti di scientificità, gli stessi Ribolzi e Castagnaro osservano che su quella rivista hanno pubblicato degli studiosi, “ergo” è scientifica. Un paradosso degno del famigerato “comma 22.

Dato che anche sulle riviste “sfrondate” dall’ANVUR hanno pubblicato studiosi universitari italiani, sembrerebbe che nella “Fattoria degli Universitari”, tutti gli studiosi siano uguali ma alcuni lo siano più degli altri, in quanto godono del potere di far diventare scientifiche le riviste su cui scrivono.

Ci sarebbe da sorridere di fronte all’inconsistenza degli argomenti difensivi di Ribolzi e Castagnaro, se solo fosse possibile ignorare un interrogativo inquietante. La nozione di scientificità “ad personas” è solo un maldestro espediente retorico, sfoderato a scopo apologetico, oppure è la vera chiave di lettura della lista dell’ANVUR? Insomma, la scientificità delle riviste ANVUR è stata decisa in base ai requisiti posseduti dalle riviste o in base ai nomi di chi vi pubblicava?

9. Un degno finale.

Avremmo certo desiderato che chi ci fa le pulci, oltre agli errori, avesse preso in considerazione anche lo sforzo fatto nell’iniziare a riordinare la giungla delle pubblicazioni (sono stati esaminati oltre 44mila titoli), con un lavoro che è perfettibile e che sarà perfezionato in tempi più distesi, ma sarebbe forse stato chiedere troppo. (Ribolzi e Castagnaro)

Ribolzi e Castagnaro sono consapevoli del fatto che sulla base di questo lavoro – inadeguato a detta della stessa Agenzia  – sono state calcolate le mediane per le Abilitazioni nazionali?

E che alcuni docenti potranno essere selezionati o meno come commissari sulla base di tali  elenchi indifendibili?

Come si dice in questi casi, degli errori siamo responsabili solo noi, anche se ci sembra importante precisare che tutte le riviste contenute nell’elenco sono state valutate come scientifiche da almeno una società scientifica, tranne forse pochissimi casi di errori nella trascrizione (come è probabilmente accaduto per l’Annuario del liceo di Rovereto…) (Ribolzi e Castagnaro)

Ci auguriamo che a furia di richieste di accesso agli atti potremo leggere finalmente i verbali (ammesso che esistano) della redazione di tali elenchi in modo da farci un’idea precisa delle responsabilità. Ma intanto, perché non li divulga l’Agenzia? Renda chiare le responsabilità delle società disciplinari, che avrebbero svolto malamente il compito assegnato (che però spettava all’Agenzia).

Da ultimo un consiglio. La prossima volta che Ribolzi e Castagnaro vorranno difendersi dalle legittime critiche dei soggetti valutati, non cadano nel ridicolo di definire Wired una “rivista di studi” o di assicurarci che la Rivista del Clero è scientifica perché contiene gli scritti di qualche accademico.

C’è un esempio più illustre che viene dal passato, Playboy, sul quale scrissero fra gli altri Eco, Calvino e Moravia. Vogliamo mettere?

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47 Commenti

  1. Be’, non tutto il male vien per nuocere: secondo la logica di Ribolzi&Castagnato, nelle riviste scientifiche dovrebbe starci, oltre a Playboy, anche ROARS (ci scrivono un sacco di docenti universitari!)

    L’unica controindicazione che vedo e’ quella che fu oggetto del noto aforisma di Groucho Marx:
    “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me.”

  2. Rispondo a Velvet. Suinicoltura, Penthouse, Playboy. Mi sembra che il mio discorso fosse chiaro (come quello degli autori dell’articolo): ogni sede è degna, dipende da cosa si scrive. Ma se si pretende unicamente di classificare i contenitori, allora si deve essere più attenti. Per esempio, agli umanisti capita abbastanza frequentemente di scrivere recensioni, ma una rivista di sole recensioni o un giornale che le accolga non possono essere considerati riviste scientifiche.

  3. La questione è quella di voler dare la patente ad alcuni contenitori e non ad altri. Il limite qual’è per esser dento o fuori ?
    Ed ancora il non voler riconoscere un ruolo alla divulgazione scientifica, senza la quale la ricerca in sè stessa sarebbe come eccitarsi sessualmente al massimo e lasciar perdere.
    Devon esser valutati i singoli lavori. E poi come diceva qualcuno settimane fa, talune ricerche durano anni e producono pochi saggi esplicativi, casomai fondamentali, altre ‘ricerche’ durano poche settimane e quindi nello stesso periodo se ne fanno tante con tanti scritti. cosa vale di più ?

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