Un buon capro espiatorio
vale quasi quanto una soluzione
A. Bloch
C’era una volta la meritocrazia, o almeno c’era la volontà di affermarla, o forse soltanto la corsa a esserne ricordati come i promotori. C’era bisogno di qualità e di merito nell’università – si proclamava all’unisono nei palazzi della politica, sulla stampa che conta, tra gli accademici più meritevoli e baldanzosi. Qualcuno – di sicuro uno stravagante pieno di ubbie che si ostinava a richiamarsi ai dati – protestava che da anni l’antica istituzione era sistematicamente bersagliata da sanguinosi tagli ai finanziamenti, che l’Italia era solo 23a su 33 tra i paesi OCSE quanto a spesa annua per studente universitario[1] e che era diventata, tra i paesi industrializzati, quello con il peggior rapporto studenti-docenti[2], nonostante il minor numero di studenti universitari (47% a fronte di una media europea del 70%)[3]. Tali dettagli, però, vennero giustamente tralasciati come irrilevanti e pretestuosi, poiché fu immediatamente chiaro a tutti che il merito della questione universitaria consisteva essenzialmente nella questione del merito degli universitari, e che questo era l’autentico problema da affrontare.
Sennonché, non sapendo di preciso come instaurare il merito nell’università, il legislatore cominciò a istituire nel frattempo un’agenzia che l’avrebbe instaurato: l’ANVUR. E presto questa nuova agenzia si mise alacremente al lavoro per assicurare finalmente all’università il dominio della meritocrazia.
Una ministra (neanche a dirlo) meritocratica, si affrettò a riformare le diverse recenti riforme universitarie promosse da precedenti ministri non meno meritocratici di lei. Insomma, l’università italiana divenne in quel tempo un laborioso cantiere, dove gli ingegni più preclari e meritevoli si affannavano a cercare l’araba fenice della qualità e del merito. Tra le idee più meritevoli che vennero in mente a quei meritevoli nel perseguire il merito, merita di essere segnalata quella di chi immaginò che occorresse riverniciare l’università italiana con una meritevole passata di internazionalizzazione. Eureka! Finalmente fu trovata l’equazione fondamentale della qualità scientifica: ciò che era internazionale, doveva essere necessariamente meritevole.
Fedele a questa nuova filosofia la legge della meritevole ministra previde che d’ora in avanti le commissioni esaminatrici per l’attribuzione dell’idoneità scientifica avrebbero dovuto comprendere un membro di un paese OCSE, diverso dall’Italia. Finalmente il competente occhio internazionale di un meritevole studioso straniero avrebbe vigilato sulla qualità del nostro sistema universitario e tutti quanti sarebbero stati più tranquilli. I commissari OCSE, per il solo fatto di essere internazionali, non potevano non essere meritevoli e avrebbero certamente irradiato il loro merito anche su coloro che avessero concorso ad abilitare.
E così fu.
Tutti ebbero finalmente la loro meritocrazia. Il legislatore poté vantarsi di essere riuscito ad introdurre il merito nell’università italiana. I sagaci e meritevoli ingegni dell’ANVUR meritarono consistenti emolumenti per aver reso possibile questo nuovo miracolo italiano, e frotte di nuovi abilitati poterono esibire la propria idoneità come una meritata certificazione di meriti acquisiti.
Ma, proprio nel momento in cui l’ordine della meritocrazia sembrava essere ormai stabilito anche nel nostro paese, ecco che improvvisamente un giudice di merito (ma certamente non meritevole) ebbe sorprendentemente ad eccepire che il commissario OCSE, per poter essere considerato meritevole di giudicare i candidati, avrebbe dovuto avere un curriculum congruente con il settore concorsuale in cui era chiamato ad operare. Pare che il giudice si fosse ingenuamente (o forse capziosamente) convinto che, in base al dettato normativo, i commissari internazionali che nel proprio paese insegnavano una certa disciplina avrebbero dovuto esercitare la loro attività di commissari in Italia proprio in quella disciplina. Addirittura, rilevava che fosse compito dell’ANVUR assicurare che gli aspiranti commissari fossero scelti tra studiosi in possesso di un curriculum coerente con il settore concorsuale in cui sarebbero stati impiegati[4]. Ovviamente queste ridicole posizioni erano figlie di formalismo e di provincialismo (antichi vizi italici), ed auspicabilmente destinate ad essere spazzate via dal vento della modernità e dell’internazionalizzazione. In un paese serio, infatti, la questione del merito è prioritaria su ogni questione di merito, e l’assurda pretesa della pertinenza disciplinare non merita neanche di essere presa in considerazione.
Ma si sa che – se l’Italia è il paese sottosviluppato e immeritevole che è – è proprio perché c’è sempre qualcuno pronto a cavillare con formalismi giuridici. E purtroppo i sofismi fanno presto a incrinare anche le iniziative più meritevoli. Fu così che il dominio della meritocrazia cominciò ad essere ingiustamente sabotato prima ancora di essere implementato. Colpa dei soliti gufi e rosiconi – potrebbe dire (se solo ci pensasse) l’ultimo epigono di una lunga schiera di illuminati e meritevoli modernizzatori del nostro paese…
Non è una storia di fantasia. Il TAR del Lazio, relativamente alla tornata ASN 2012, ha pronunciato un buon numero di sentenze di annullamento fondate sull’illegittimità della commissione giudicante per il settore 12/A1 (Diritto privato). Nel ‘merito’, il componente OCSE della commissione – José Miguel Embid dell’Università di Valencia – è un professore di diritto mercantile (macrosettore 12/B, settore 12/B1 “Diritto commerciale e della navigazione”) e dunque estraneo sia al settore concorsuale 12/A1 che al macrosettore 12/A “Diritto privato”. Insomma, il prof. Embid non poteva far parte della commissione. Ed essendo quest’ultima un ‘collegio perfetto’, i giudizi finali da essa prodotti – in ben due tornate di Abilitazione Nazionale – potrebbero essere illegittimi e, dunque, annullati[5].
Il caso non sembra isolato. Un ricorso per il settore concorsuale 14/D1 (Sociologia dei processi economici, del lavoro, dell’ambiente e del territorio), relativamente al quale il Consiglio di Stato ha ordinato al TAR di procedere ad una sollecita fissazione dell’udienza di merito, presenta le stesse motivazioni delle sentenze relative a Diritto privato: il commissario OCSE, il prof. Federico Varese, docente presso l’Università di Oxford, insegna Criminologia, che è materia evidentemente estranea al settore concorsuale 14/D1. Anche in questo caso la nomina di un componente risulterebbe illegittima. Pertanto, sono a rischio la validità della composizione della commissione e di tutte le azioni da essa compiute[6].
In breve, sembrerebbe che con l’abilitazione scientifica nazionale 2012-2013 un considerevole numero di candidati abbia attraversato lo specchio per trovare e sperimentare la condizione di non-abilitati da una non-commissione.
Non disponendo della penna di Lewis Carroll, ci limiteremo a ricordare che il paradosso di non saper/voler distinguere settori e macrosettori, persino nel compito – che apparirebbe tutto sommato semplice – di nominare 5 componenti per una commissione, è soltanto l’ultima, sconcertante vicenda di una ormai lunga serie di sviste, errori, e ardite ‘invenzioni’ meritocratiche e meritometriche – mediane, classificazione delle riviste, VQR – che tutte si sono rivelate inaffidabili scientificamente per le tecniche di valutazione adottate, ben lontane dalle migliori prassi internazionali, enormemente disfunzionali sul piano operativo ma, più di tutto, evidentemente aliene da ogni criterio di efficienza/efficacia sul piano dell’attuazione.
A questo punto sembrerebbe appropriata una domanda: e se il problema della mancanza di merito riguardasse, innanzitutto, proprio l’agenzia incaricata di promuovere il merito?
In fin dei conti, per essere un ente che avrebbe dovuto promuovere la meritocrazia operando «secondo principi di imparzialità, professionalità, trasparenza e pubblicità degli atti»[7], l’Anvur ha dato prova di operare in modo tutt’altro che professionale e meritevole. Di certo non sembra meritevole aver elaborato criteri come le ‘mediane’, così poco adeguati da essere sconfessati subito dopo la loro promulgazione[8], oppure aver istituito una lista di riviste che ha provocato ilarità[9], anche in molte sedi internazionali[10] o, appunto, non essere stati in grado neanche di allestire una lista di commissari OCSE nelle modalità stabilite dalla legge.
Sicuramente questi sono rilievi cruciali e, altrettanto sicuramente, la questione della valutazione dei valutatori va posta con forza sul terreno culturale e politico[11]. Nondimeno nell’ultima parte di questo articolo vorremmo distogliercene, per concentrarci invece su come l’agenzia sembri essere stata messa al governo di un dispositivo (in senso foucaultiano) che promette di premiare la ‘qualità’ senza tuttavia mettere a disposizione – e anzi sottraendo – le risorse (umane, economiche, di tempo) necessarie a raggiungere gli obiettivi che esso stesso pone.
Non è un mistero né una novità che il lavoro quotidiano degli universitari sia caratterizzato dalla costante instabilità e incertezza delle risorse economiche, dalla crescente penuria di tempo a disposizione per la ricerca, in sedi che si vanno spopolando di personale di ruolo.
Non è un mistero né una novità che la quota di finanziamento ordinario destinata all’università sia diminuita di oltre il 12% dal 2009 (tra il 2009 e il 2013, di «1,1 miliardi in termini nominali, di cui circa 800 milioni per le risorse destinate al funzionamento del sistema e 260 per borse di studio post laurea e sostegno del diritto allo studio»[12]).
Non è un mistero né una novità che nel 2010 l’Italia si collocava al 32° posto su 32 tra i paesi OCSE nel rapporto tra spesa pubblica nell’istruzione e spesa pubblica complessiva, e che era 31° su 33 per spesa pubblica complessiva in formazione in rapporto al PIL[13].
Oggi la nostra spesa è pari allo 0,43% del PIL a fronte dell’1,5% di Francia e Germania[14]. In queste condizioni le risorse economiche per l’acquisto di libri o per l’abbonamento alle riviste, così come per i laboratori, per i materiali di consumo, per le collaborazioni, per le tante attività di ‘supporto’ alla ricerca (laboratori linguistici, tecnici, ecc.) si avvicinano pericolosamente allo zero in moltissimi Atenei. E come sa bene chiunque viva la vita quotidiana dell’università né la didattica né la ricerca potrebbero proseguire senza massicce dosi di lavoro volontario e non pagato.
Non a caso, le uniche azioni di lotta e di protesta che gli universitari vanno da diversi anni minacciando (ma mai attuando) riguardano l’osservanza minuziosa, e dunque paralizzante, di leggi e regolamenti: non eccedere le ore di attività didattica frontale prescritte per legge per i professori; non accettare la titolarità di corsi, cui per legge non sono tenuti, per i ricercatori a tempo indeterminato; o la titolarità di corsi non coperti da altri docenti per i ricercatori a tempo determinato; cessare le attività di tipo burocratico-gestionale al di fuori dalle proprie mansioni, competenze e tempi di lavoro. Per non parlare dell’enorme ‘zona grigia’ dei docenti a contratto e delle mansioni ‘non di ricerca’ svolte da dottorandi, assegnisti e borsisti[15].
Il tutto mentre la riduzione delle risorse per l’università si traduce quasi esclusivamente nella riduzione del personale e nel blocco delle progressioni stipendiali[16].
Così, mentre un rapporto dettagliato della Commissione Europea precisava che nel 2007 le nostre università corrispondevano retribuzioni che, a parità di potere d’acquisto, erano circa la metà di quelle dei pari grado di Austria e Svizzera, due terzi di quelle del Regno Unito e un po’ inferiori a quelle dell’India[17], le recenti disposizioni meritocratiche non hanno migliorato la situazione.
Le progressioni stipendiali sono ormai tutte esplicitamente legate al ‘merito’, ma bloccate dal 2011. Bloccati fino a tutto il 2015 rimarranno gli scatti stipendiali triennali attribuibili a quanti conseguono una valutazione positiva del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale[18]. A parziale compensazione di questo blocco, la legge stabilisce attribuzioni ‘una tantum’ per il triennio 2011-2013. Che, infatti, proprio in questi giorni sono in distribuzione secondo criteri di merito accademico e scientifico, a chi avrebbe ‘meritato’ lo scatto nel triennio bloccato[19]. Ma, comunque, a non più del 50% del personale.
Questi ‘premi di consolazione’, oltre a essere legati in alcuni Atenei a criteri del tutto impropri (ad esempio, l’uso delle valutazioni VQR che, come è ampiamente noto, non sono finalizzate all’accertamento del ‘merito’ individuale), sono stati resi possibili grazie a un grazioso gioco contabile: i fondi per le premialità provengono infatti dallo storno di risorse già stanziate, «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», secondo il leitmotiv della legge Gelmini[20].
E in generale, mentre – come ricercatori, dipartimenti, università – di ‘merito’ non se ne accumula mai abbastanza, i premi promessi sembrano decisamente modesti e non proporzionati all’impegno necessario ad ottenerli ed erogarli.
Anche i complicati esercizi MIUR/ANVUR finalizzati a ‘premiare’ le università ‘virtuose’ generano ricompense ambigue. Mentre i costi e gli oneri organizzativi della valutazione sono sicuramente elevati (si pensi alla sola VQR, i cui costi pare si aggirino intorno ai 300 milioni di euro[21]), in un regime di risorse continuamente decrescenti la quota premiale relativa si è di fatto trasformata in una quota punitiva. Grazie ad essa, gli Atenei più meritevoli al più riescono a mantenere approssimativamente invariate le risorse. Per gli altri il ‘premio’ ha la sola funzione di calcolare quante risorse sottrarre[22].
Insomma, nella nuova università valutata, il concetto di ‘premio’ – vale a dire ciò che si riceve come ricompensa, in riconoscimento di meriti, in determinate circostanze, o per particolari risultati produttivi, ma che ovviamente si aggiunge, non sostituisce, né decurta l’ordinario – è stato completamente stravolto, e convertito nel principio pedagogico volgarmente detto il bastone e la carota, dove il bastone picchia ogni giorno e la carota – quando c’è – vale come il pranzo di Natale dei tempi andati, a compensare la fame di tutto un anno.
Benefici incerti provengono inoltre anche dalla procedura di abilitazione scientifica nazionale 2012-2013 (e che alla fine del 2014 non è ancora conclusa), i cui costi sono stati stimati invece in circa 126 milioni di euro[23]. In questa cifra non sono però inclusi i costi sostenuti dall’ANVUR, le risorse usate dai candidati per documentare intere vite di lavoro né, ovviamente, il totale dei costi – quelli sostenuti dai ricorrenti, quelli della macchina giudiziaria, più i costi delle abilitazioni ripetute e l’ammontare di eventuali danni – generati dall’enorme mole di ricorsi derivante, fra le altre cose, dalla scarsa precisione e competenza con cui sono state gestite le procedure. Insomma, stabilire il ‘merito’ di ognuno degli abilitati (compresi quelli giudicati dalle ‘non-commissioni’ ma, in questo caso, forse faremmo meglio a preoccuparci di quanto noi tutti rischiamo di pagare per i ricorsi dei ‘non-abilitati’) è costato e costerà molto alla collettività.
Un merito acclarato a tanto caro prezzo ha, però, limitate speranze di essere premiato, almeno nell’immediato. Siamo in regime di turnover bloccato (al 20% per il 2013, al 50% per il 2014 mentre, nelle previsioni, soltanto nel 2018 torneremo – ma sarà poi vero? – al rapporto 1:1 tra chi va in pensione e chi viene assunto). Inoltre, la scarsità di ‘punti organico’, che sono legati a ‘virtù’ residenti puramente in indicatori finanziari, fa prevedere che l’assorbimento degli abilitati sarà piuttosto lento. Non a caso, le abilitazioni, che originariamente dovevano ‘scadere’ in quattro anni, ora ne ‘durano’ sei.
Concluderemo suggerendo che, probabilmente, discutere se l’agenzia incaricata di promuovere il merito sia o meno ‘meritevole’ è un esercizio che – se pur va doverosamente affrontato nelle sedi opportune – va rapidamente superato nella vita quotidiana delle comunità scientifiche. Da troppo tempo ci stiamo dividendo fra i partigiani (della sua insipienza o della sua infallibilità) e i possibilisti. Da troppo ci stiamo spiando fra noi, alla scoperta di chi è più o meno meritevole, ed è facile prevedere che – così come le sanguinosissime abilitazioni – anche la distribuzione degli scatti stipendiali e la SUA-RD lasceranno sul terreno molte vittime, fra amicizie distrutte, perdite di stima e reputazioni spezzate.
La ‘questione del merito’ sta diventando così centrale nelle nostre vite perché la usiamo a livello individuale e sociale per placare la nostra ansia di dare un senso alle frustrazioni umane e professionali legate ormai al nostro lavoro. E se talvolta ci capita di pensare di meritare il nostro disagio perché non siamo abbastanza bravi, sicuramente ci è molto più comodo e usuale imputarlo ai nostri colleghi, quei dannati ‘fannulloni’ all’origine di tutta questa ira di dio.
Sarebbe ora che cominciassimo, invece, a considerare le nostrane istanze meritocratiche – parafrasando T. S. Eliot – come la carne di cui il ladro si serve per distrarre i cani mentre entra di soppiatto per svaligiare la casa. La nostra casa comune, l’università è, da molti anni, ogni anno svaligiata. E, per dirla con Marshall McLuhan – che amava citare Eliot – pensare che sistemi valutativi e ‘premiali’ come questi siano a guardia della sua ‘qualità’ è come pensare che la funzione dei ladri sia quella di cibare i nostri cani.
[1][1] http://www.oecd.org/edu/Education-at-a-Glance-2014.pdf
[2] Secondo il Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013 dell’ANVUR, (http://www.anvur.org/attachments/article/644/Rapporto%20ANVUR%202013_UNIVERSITA%20e%20RICERCA_integrale.pdf ): «Dal 2009, a seguito della riduzione del finanziamento alle università statali e all’introduzione di misure di contenimento del turnover, il numero dei docenti scende rapidamente portandosi nel 2013 a 53.459 (-14,8% rispetto al massimo del 2008), un valore inferiore a quello del 2001. Data la relativa stabilità del numero degli iscritti, il calo si è tradotto in una rapida crescita del rapporto studenti/docenti, risalito a circa 32 nell’ultimo biennio»; p. 221.
[3] Cf. Lettera aperta del Cun sulla legge di stabilità, 15 ottobre 2014.
[4] Legge n. 240 del 30.XII. 2010, art. 16, comma 3, lettera f-h; DM 76 del 7 giugno 2012, art. 8. c. 2, lettera b.
[5] La sentenza, essendo di primo grado, è suscettibile di appello dinanzi al Consiglio di Stato. In ogni caso, mentre attendiamo l’esito dei contenziosi, eventuali condanne al risarcimento o segnalazioni alla Corte dei Conti per gli extracosti, ci pare si possa sin d’ora parlare di errore nella composizione delle commissioni e di vulnus alla affidabilità delle procedure. In altre parole, un giudizio politico e culturale sulla vicenda è possibile di là dai suoi esiti giudiziari.
[6] Il Consiglio di Stato ha ritenuto di sollecitare il TAR, pur non sospendendo l’esecutività degli atti impugnati in primo grado dal ricorrente. Ciò vuol dire che le ragioni del ricorrente non sono state né accolte né respinte, mentre il procedimento è tuttora in corso. Tuttavia ci pare incontestabile che il prof. Federico Varese, come del resto appare nel sito del Dipartimento di Sociologia dell’Oxford University, risulti ‘Professor of Criminology’ ed esperto studioso di crimine organizzato, corruzione, storia criminale del Soviet, e dinamiche del comportamento altruistico (cf. http://www.sociology.ox.ac.uk/academic-staff/federico-varese.html).
[7] Legge n. 286 del 24.XI.2006, art. 2, comma 140, lettera a.
[8] http://www.anvur.org/attachments/article/253/mediane_spiegate_definitivo_14_settembre_2012.pdf
[9] http://www.phenomenologylab.eu/index.php/2012/09/abilitazione-dossier/
[10] http://www.timeshighereducation.co.uk/421723.article
[11] Tanto cruciali da porre molto seriamente il problema di se, come e perché una agenzia come l’ANVUR diretta da nominati “con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro” (art. 8, comma 3 del ‘Regolamento concernente la struttura ed il funzionamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca’), possa valutare il sistema universitario e della ricerca senza essere – a sua volta – essere oggetto di alcun tipo di valutazione oltre a quella ‘politica’.
[12] ANVUR, Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013, cit., p. 161.
[13] http://www.oecd.org/edu/Education-at-a-Glance-2014.pdf
[14] http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=2224
[15] ANVUR, Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013, cit.: «Nel 2013 il picco dei reclutati a inizio anni ottanta appare ormai riassorbito e si osserva una netta riduzione del peso delle giovani generazioni. Questo processo è dovuto, da un lato, alla recente riforma del reclutamento che ha posto i ricercatori a tempo indeterminato in un ruolo a esaurimento con il conseguente blocco del ricambio generazionale, e dall’altro, alle misure di contenimento del turnover che hanno favorito un incremento del peso del personale non strutturato, come ricercatori a tempo determinato, borsisti e soprattutto assegnisti di ricerca», p. 237.
[16] ANVUR, Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013, cit., pp. 156-7.
[17] http://ec.europa.eu/eracareers/pdf/final_report.pdf
[18] Legge 240/2010 – ‘legge Gelmini’ – art. 6 comma 14.
[19] art. 29 comma 19 e relativi decreti attuativi della 240/2010.
[20] In pratica, per il 2012 e 2013 – secondo l’art 29 comma 19 della 240/2010 (legge Gelmini) – la copertura di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni proviene – ‘parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca’ – da una corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente per l’anno 2012, iscritto ai fini del bilancio triennale 2010-2012. I 18 milioni di euro destinati al premiare i meritevoli del 2011 derivano da una corrispondente riduzione delle quote di spesa annuali determinate dalla legge finanziaria di quell’anno.
[21] http://www.issirfa.cnr.it/download/Articolo%20Paradoxa%20Baccini-Coin-Sirilli.pdf
[22] Il conseguente ‘effetto Matteo’ si annuncia ancora più pesante per il 2014, proprio per l’incremento della quota premiale, bruscamente portata al 18%, cfr. http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=2224
[23] http://www.issirfa.cnr.it/download/Articolo%20Paradoxa%20Baccini-Coin-Sirilli.pdf
molto ben scritto, grazie. Il problema però è anche capire come si è creata la drammatica (e probabilmente senza speranza) situazione attuale. Voler imporre il merito dall’alto con regole e regolette è un esercizio francamente folle. A me piacerebbe che siano riconosciute le colpe e presi provvedimenti verso chi ha gestito l’università per decenni in modo tale da rendere necessarie reazioni come la legge gelmini e l’istituzione dell’anvur. A proposito di quest’ultima, non avendo seguito la vicenda dall’inizio, mi domando come ne siano stati individuati i componenti. Se, come temo, si è trattato di processi opachi dettati dalla convenienze e dalle brame di potere, direi che il suo fallimento era scontato sin dall’inizio.
V.
“A me piacerebbe che siano riconosciute le colpe e presi provvedimenti verso chi ha gestito l’università per decenni in modo tale da rendere necessarie reazioni come la legge gelmini e l’istituzione dell’anvur” Ma lei in quale universo parallelo esattamente vive? Probabilmente quello antisimmetrico al nostro per inversione temporale e causale.
Secondo me è totalmente fuorviante parlare di fallimento. Il sistema già ora è diventato più meritocratico. Chi si aspettava che una riforma potesse rendere un sistema melmoso improvvisamente perfetto vive nel mondo delle favole. La riforma Gelmini e l’ANVUR, sicuramente da migliorare in futuro – certo il ministro attuale non promette bene – sono primi passi nella giusta direzione.
Questo equivale a dire che l’università non sa gestirsi da sola, che ha bisogno di agenzie esterne e maestrine che bacchettino i professoroni. Certo non è bello, ma è ciò a cui hanno portato decenni di autogestione nei quali gli universitari hanno fatto “un po’ quello che c…. gli pareva” dimostrando di non sapersi gestire in modo trasparente, meritocratico, e che serva al paese.
Condividerei invece l’idea di far pagare le colpe a chi ha reso il sistema melmoso… peccato sia impossibile da attuare!
“Secondo me è totalmente fuorviante parlare di fallimento. Il sistema già ora è diventato più meritocratico. Chi si aspettava che una riforma potesse rendere un sistema melmoso improvvisamente perfetto vive nel mondo delle favole. La riforma Gelmini e l’ANVUR, sicuramente da migliorare in futuro – certo il ministro attuale non promette bene – sono primi passi nella giusta direzione.”
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Grazie del momento di buonumore. Davvero.
“Il sistema già ora è diventato più meritocratico.”
Con tutto il rispetto non capisco bene dove stia la meritocrazia nel sistema attuale, se nel proporre contratti a tempo indeterminato fino ad oltre i 40 anni o se nel far vincere a qualche migliaio di precari la ASN per poi non assumerli. O forse nell’ aver mantenuto il post-doc terra di nessuno senza diritti nè valutazione alcuna.
Che poi anche il sistema precedente fosse estremamente problematico nel reclutamento è anche questo vero. Trovo in particolare vergognoso che in pochissimi abbiano lottato contro la cooptazione nei contesti, come dire, non virtuosi… così come il fatto che la conferma in ruolo dei ricercatori TI fosse una pura formalità invece che una seria valutazione… e aggiungiamoci anche le chiamate degli idonei che non si poteva dire di no a nessuno. Risultato: ora chi è fuori dal sistema deve espiare non solo le colpe legate alla crisi ma anche quelle (passate, presenti e future) di chi è dentro (anche questo non molto meritocratico).
Sto vedendo The Mist su Rai4 e, a fronte di un’invasione di creature mostruose venute da un’altra dimensione, c’è una fanatica religiosa che continua a parlare di castigo divino a dei malcapitati barricati in un supermercato. Che ci siano delle malefatte e dei colpevoli è qualcosa di certo in ogni epoca e regione. Che la ragione della catastrofe (soprannaturale o meno) sia in qualche modo un’espiazione di colpe non redente mi sembra un ragionamento che trascura alcuni dati di fatto.


Una nazione che era già agli ultimi posti per ricercatori universitari, laureati e spesa (ma non per produttività scientifica e con una spesa per studente tutto sommato bassa) ha deciso di tagliare selvaggiamente università e ricerca. E ci è riuscita anche perché chi lavora nelle università ha abboccato all’idea che il castigo fosse una forma di espiazione (magari per le colpe del collega fancazzista oppure dell’umanista ozioso oppure dell’ateneo dei sud oppure del personale tecnico amministrativo oppure …).
Da sempre i dati hanno mostrato che l’Italia è un paese in ritardo dal punto di vista della formazione (siamo *ultimi* in Europa per percentuale di laureati) e che il ritardo è perfettamente allineato con la carenza di investimenti (siamo *penultimi* per spesa) e che la produttività scientifica (ove misurabile bibliometricamente) e pari o migliore di nazioni di riferimento come Germania, Francia e Giappone e che nel terzo millennio le nazioni europee che incrementavano la loro quota di ricerca erano Italia, Paesi Bassi e Spagna, mentre UK, Germania e Francia perdevano terreno.
Mentre scrivevo queste cose, mio figlio ha spento la TV perché la sorte dei poveracci chiusi nel supermercato era troppo atroce. Anche perché davano retta alla fanatica che parlava di colpa ed espiazione, invece che cercare di capire come stavano le cose e come uscirne. La fanatica chiede un sacrificio umano. Noi non siamo arrivati a tanto, ma temo che molte delle ricette in campo siano altrettanto inefficaci, se non si comincia a guardare in faccia la realtà invece di cercare capri espiatori.
https://www.youtube.com/watch?v=PYr0Jz-rTY0
I precari sono già stati scelti come candidati ideali per il sacrificio. Credo per la loro purezza ma non certo per la giovane età. Dentro il supermercato pare più un lento soffrire di dantesca memoria.
Non cercate logica nell’università: è tutto un grande pettegolezzo. Chi ha protestato contro la Gelmini ha avuto avanzamenti di carriera, il plauso degli studenti ammirati da cotanto coraggio, e non vede ora, proprio non vede cosa ci sia di sbagliato. Non cercateli per nessuna rivendicazione o lotta
purtroppo, nel nostro Paese, l'”Università non tira”! e , quindi, nessuno la considera!!!!!!!!1
se solo un ministro, un sottosegretario avesse un nipote dottorando/precario sfigato che il proprio prof. non riesce a sistemare, allora sai gli investimenti sulla ricerca!!!!!!!
Caro Vladimir,
immagino che con l’espressione ‘chi ha gestito l’università per decenni in modo tale da rendere necessarie reazioni come la legge gelmini e l’istituzione dell’anvur’ lei intenda riferirsi ai tanti baroni nepotisti antimeritocratici, figli del maledetto familismo amorale e della corsa alle poltrone che il nostro giornalismo ama farci odiare. Mi piacerebbe, però, che lei riflettesse sul fatto che ‘reazioni’ come la legge Gelmini e questa particolare gestione dell’ANVUR non sono reazioni più ‘necessarie’ del generale rialzo della tassazione a fronte dell’evasione fiscale. Se c’è chi attua comportamenti censurabili (e non c’è dubbio che individui del genere esistano e agiscano) la ‘reazione’ dovrebbe essere quella di colpire chi ha commesso il fallo (l’evasore fiscale, ad esempio o il barone nepotista che mette in cattedra allievi, familiari e famigli) non l’intera categoria cui appartiene (i contribuenti, ad esempio, o i docenti universitari). Quando, al contrario, la ‘reazione’ colpisce prevalentemente gli innocenti (in più, come nel caso delle procedure valutative in oggetto, consentendo comportamenti almeno altrettanto opachi e censurabili di quelli dei maledetti baroni) io non la definirei ‘necessaria’ ma, al contrario, scientemente attuata per fini altrettanto opachi e censurabili.
Per rispondere alla sua domanda su come sono stati individuati i componenti della dirigenza ANVUR la rimando alla nota 11 del testo, che ricorda come l’agenzia sia diretta da nominati “con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro” (art. 8, comma 3 del ‘Regolamento concernente la struttura ed il funzionamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca’). Il ministro proponente era, ovviamente, Maria Stella Gelmini.
Cara MS,
Condivido il suo intervento. La sola parte che non condivido è la squente: “scientemente attuata per fini altrettanto opachi e censurabili.”
I fini non mi sembrano opachi, ma chiarissimi: distruggere l’università pubblica!
Qualcuno aveva chiaro questo sin dall’inizio: ” “Questa legge distrugge l’università come servizio pubblico, come bene pubblico – dice al Foglio.it Luca Spadon, responsabile a Torino della lista Studenti Indipendenti e tra i registi dell’occupazione – invece di investire sulla formazione si preferisce lasciare il campo ai privati”.”.
ovviamente è “la seguente” non “la squente”. Sorry.
Caro Mourinho,
vorrei nutrire la sua stessa speranza. Vorrei essere certa, cioè, che dietro a tutto questo c’è realmente il disegno che lei indica. Cosa che dimostrerebbe quanto meno una forma di intelligenza del presente capace di dar luogo a una strategia che – se ho ben capito la sua lettura – sarebbe quella di distruggere l’università pubblica e lasciar spazio a quella privata. Sarebbe certamente una strategia da combattere ma, almeno, avrebbe il pregio dell’intellegibilità e la dignità della ricetta. Io, invece, mi trovo nella scoraggiante situazione di pensare che la ratio sia semplicemente quella di distruggere l’università italiana. Mi pare, infatti, che – non potendo svalutare la moneta, che è l’unica cosa che i nostri politici ed economisti sono stati fino ad oggi capaci di pensare di fronte alle crisi – si stia complessivamente attuando a una politica di ‘svalutazione’ della forza lavoro. Nel frattempo, i tradizionali ‘clienti’ delle università private hanno in gran parte già preso strade di eccellenza europea e i fratelli minori li seguiranno in gran fretta. In breve, nel complesso, lei mi pare un ottimista. Perché dà ancora credito alle nostre classi dirigenti di un pensiero in qualche modo costruttivo, di una strategia di crescita per quanto errata possa essere…
Cara Maria Luisa,
grazie per la sua risposta cortese, priva di attacchi personali e contenente persino nome e cognome, una rarità di questi tempi. Trovo francamente ridicolo che tante persone invochino trasparenza e poi utilizzino pseudonimi.
Ammetto di aver usato impropriamente nel mio commento la parola “necessaria”. Ritengo che la legge Gelmini sia una pessima legge, non necessaria, i cui presupposti sono stati però creati da decenni di pessima gestione dell’Università. Non apprezzo il suo riferimento ai media che ci “fanno odiare” il sistema. Purtroppo conosco il sistema dal suo interno in maniera molto più precisa e dettagliata di quello che i giornalisti, semplicemente in cerca del sensazionalismo, scrivono. Uno dei motivi per cui non si riesce a “colpire chi ha commesso il fallo” è che l’Università italiana è stata sempre avvolta da una coperta di silenzio ed omertà. Qualche ricorso rispetto a procedure di reclutamento di una nefandezza incredibile quanto generalizzata c’è pure stato ma si è sempre abbattuto contro un muro di silenzio. I professori italiani, nel loro insieme, non hanno mai messo in atto la “peer pressure” necessaria affinchè le procedure si svolgessero in accordo con minimi criteri di trasparenza ed onestà. Hanno sempre scelto di spartirsi in silenzio piccoli orticelli di potere. Il risultato è stato che alla fine è arrivato qualcuno con più potere di loro ed ha imposto l’ANVUR per “nomina”, concetto questo che dovrebbe far rabbrividire qualunque mente liberamente pensante. Adesso servirebbe anche un po’ di sana autocritica e mi preoccupa molto che questa sia completamente assente.
Lei stessa, nel suo post mette in discussione il concetto di valutazione per se, mentre la valutazione è necessaria e sacrosanta. Il problema è che le procedure di valutazione devono essere completamente trasparenti e condivise ab initio, a partire cioè dalla scelta dei membri dell’agenzia di valutazione fino alla metodologia di valutazione. Oggi ci troviamo in una situazione paradossale, senza precedenti, di nomine opache, metodologie maldestre, scontro su tutti i fronti. Io ripartirei dalla condivisione della responsabilità di questo sfascio ma pochissimi la vedono in questo modo.
Saluti,
V.
Condivido, la responsabilità è di tutti. Ma come diceva quel grande allenatore di calcio che era Boskov. “Rigore è quando arbitro fischia.”
Se lo dice Mourinho … ;-)
Caro Vladimir,
non vorrei che questa diventasse una corrispondenza privata ma mi sento in dovere di precisare. Non mi pare di aver messo da nessuna parte ‘in discussione il concetto di valutazione per se’. Né, d’altra parte lo potrebbe una che valuta ogni giorno: gli studenti durante le lezioni e gli esami, i colleghi nelle più diverse procedure formali e informali. Una che, soprattutto ha scelto un lavoro in cui è valutata ogni giorno dai suddetti studenti e colleghi e che è inoltre continuamente oggetto di procedure di ‘valutazione’. Come tutti coloro che lavorano nell’università, d’altro canto: dal primo assegno di ricerca al primo contratto di insegnamento, dal precariato all’ordinariato, dal Prin al trasferimento ad altra sede…
Non è quindi la ‘valutazione’ la ‘novità’ di questo sistema, come i nostri meritocrati/meritometri tendono a millantare, riuscendo talvolta ad avere facile gioco contro chi li critica. ‘Sei contro la valutazione!!!’ è l’anatema che colpisce solitamente i dissidenti. Non è affatto la valutazione la ‘cosa nuova’ in discussione, ma le sue modalità. Concordo con lei: le precedenti erano pessime. Ma almeno distribuivano l’arbitrio. Il che, in un’ottica di sistema complesso, quale l’università è, assicurava quanto meno qualche forma di differenziazione, direi di ‘biodiversità’. Non voglio – nessuno lo vorrebbe – tornare al pessimo che abbiamo vissuto. Deve ammettere, però, che è difficile trovare un superlativo assoluto per qualificare questa forma ipercentralistica di dominio di un’agenzia unica su tutto il sistema. Un impero monocratico che non ha nemmeno dalla sua la correttezza e la trasparenza delle procedure e che, comunque, prosegue in pratiche già note. Lei non ha intravisto pratiche di spartizione silenziosa di orticelli di potere nella passata VQR o nelle procedure ASN? Come definire questo nuovo sistema? Iperpessimo? Strapessimo? Pessimissimo? Nessuna fra queste forme è consentita dalla nostra lingua. Inoltre – e questo è il peggio del peggio del peggio – anche se queste forme valutative e premiali fossero le migliori possibili e le più condivise della storia, anche se fossero ottime e finalmente eque, ciò non toglierebbe che i temi della valutazione e della meritocrazia funzionano nelle mani dell’ANVUR e della disinformatia come armi di distrazione di massa dal sistematico dissanguamento del sistema universitario italiano, progressivamente privato delle sue risorse di uomini, di mezzi, di dignità. Ed è a questo che Davide Borrelli ed io invitiamo a guardare nell’articolo.
Cara Stazio M,
In effeti io sono un ottimista perso. Tuttavia, l’errore da non commettere è quello di sottovalutare l’avversario. Nel calcio, questa è una regola basilare. Anche il più cretino degli avversari può avere un barlume di tattica. Mettersi in testa di distruggere l’università pubblica per avvantaggiare quella privata, può essere venuto in mente anche e addirittura alla gelmini. Strategia semplice e obiettivi facilmente raggiungibili … che poi i soliti noti siano ancora più furbi e vadano all’estero è un altro discorso. Consideriamo anche che noi universitari siamo in perenne battaglia fraticida e il gioco è reso ancora più semplice. Anche loro (i gelmini, renzini e seguaci), forse, sapranno il motto “dīvide et īmpera”. …. e ci stanno riuscendo.
Buon Natale a tutti
Sono usciti i risultati degli Starting grants.
Áll’Italia ne andranno 11, cosi’ come all’Austria, e molti meno che negli altri paesi europei di pari dimensione. Perfino Israele ne ha ricevuti di piu’.
Mi chiedo, ma la riforma Gelmini non doveva incentivare giovani e merito ? Se cosi’ fosse perche’ vedo molti nomi italiani in giro per il mondo ?
Forse si stava meglio quando si stava peggio, ovvero con una posizione da ricercatore a tempo indeterminato che perlomento garantiva la sicurezza del posto fisso ?
Con il reclutamento bloccato di meritocrazia si muore…
Qui bisogna decidere se il malato università è più morto che vivo oppure più vivo che morto(?).
Buon Natale a tutti.
In effetti, i vincitori italiani (che non sono pochi) vanno all’estero. Forse non credono nelle sorti magnifiche e progressive dischiuse dalla riforma Gelmini che qualcuno aveva definito un’opportunità che non potevamo permetterci di perdere. Ecco alcuni numeri:
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Nell’ultimo bando Ue «starting grant» che ha messo in palio 485 milioni per premiare l’eccellenza della scienza europea i nostri ricercatori si sono piazzati al terzo posto con ben 28 progetti. Ma solo una decina di questi faranno ricerca nel nostro Paese, gli altri lo faranno all’estero portandosi dietro anche i finanziamenti, con Inghilterra e Germania tra le destinazioni preferite.
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-12-15/sono-28-cervelli-italiani-top-nell-ue-ma-oltre-meta-sceglie-altro-paese-fare-ricerca-205420.shtml?uuid=ABJwCBRC
Si, ma c’è anche il problema che un vincitore di bando ERC che prova a spostarsi in altro Ateneo italiano incontra problemi e opposizioni a non finire. Non credo sia una sfiducia data tanto dalla legge Gelmini ma più dall’impossibilità a poter operare (in molti casi) o dalla sfiducia totale in chi siede nei nostri dipartimenti…
Se voi foste vincitori di un bando ERC in quale nazione europea scegliereste la host institution? Nella nazione in cui il reclutamento è stato azzerato ed il finanziamento (in rapporto al PIL) è inferiore solo alla Bulgaria?
torno al tema dell’articolo e ai commissari incompetenti.
Quando ho scritto all’ANVUR perché tra i candidati OCSE per la mia commissione (archeologia 10A1) c’era – tra gli altri – un egittologo (culture del vicino oriente antico 10N1) Fantoni mi ha risposto (e di questo almeno gli va dato atto) che non poteva farci niente se il collega non gli scriveva una mail in cui diceva di essersi sbagliato. Che poi dal curriculum risultasse implicitamente ma chiaramente che non sapeva l’italiano – cosa gravissima per archeologia come per molte altre materie umanistiche – era un problema di cui l’ANVUR non poteva occuparsi. C’è poi andata bene che non è stato sorteggiato altrimenti il Tar avrebbe avuto un ulteriore ricorso e sarebbe stato invalidato anche questo settore. Ma ho trovato diversi casi simili: un archeologo nel settore di storia antica (le ho chiesto se aveva sbagliato e mi ha detto che era assolutamente sicura di non aver chiesto il settore di storia). Dunque all’ANVUR non sanno neanche che cosa sono le macroaree concorsuali e se lo sanno non gli va di controllare e magari sbagliano anche a mettere una domanda nella casella giusta. Insomma troppo bene è andata…
La mia proposta era semplice e direi onesta. Se mettete me al posto di Fantoni, per metà del suo stipendio annuale mi impegnavo a fare solo la metà dei suoi danni. Era anche una proposta in linea con la spending review. Pare che non abbiano accettato…