L’annuncio di uno sciopero dei professori universitari programmato il prossimo settembre sta producendo molte e diverse reazioni, e una notevole eco sui media. Forse perché nessuno ricorda uno sciopero proclamato in Italia direttamente dai professori. Questo sciopero segnala che le coscienze intorpidite dei docenti si stanno svegliando? Potrà rappresentare un primo passo per rimettere in discussione le politiche della ricerca e della università di questi ultimi decenni? Sapranno i professori universitari dialogare con studenti, dottorandi, precari, personale tecnico amministrativo ed accettare in prospettiva un allargamento della protesta?
Lo sciopero è stato indetto dal Movimento per la dignità della docenza universitaria, coordinato dal prof. Carlo Ferraro del Politecnico di Torino, con un documento firmato da circa 5.500 docenti. Le ragioni dello sciopero sono molto specifiche. I professori non chiedono aumenti di stipendio, come pure si è letto su qualche quotidiano; chiedono che l’orologio della loro anzianità lavorativa ricominci a scorrere come per tutti gli altri lavoratori in regime di diritto pubblico non contrattualizzati. Mentre per questi ultimi l’orologio è ripartito il 1° gennaio 2015, assieme al recupero di tutta l’anzianità congelata, per i professori lo sblocco è avvenuto un anno più tardi, ma senza alcun recupero dell’anzianità.
E’ opportuno anche ricordare che tutto questo avviene dopo il cambiamento radicale delle retribuzioni di tutti i professori previsto dalla legge Gelmini nel 2010. Prima della Gelmini i professori si vedevano riconoscere scatti di anzianità al compimento di ogni biennio. Adesso, gli scatti non solo sono diventati triennali, ma non sono più automatici: lo scatto è concesso solo a coloro che ricevono una valutazione positiva del lavoro svolto, secondo regole stabilite da ciascuno ateneo.
Lo sciopero dei professori prevede che quanti aderiranno non tengano solo il primo appello della sessione di esami del mese di settembre. Certo, ci saranno disagi per gli studenti, ma è del tutto ragionevole pensare che saranno ridotti: nelle sedi in cui nel mese di settembre sono previsti due appelli, il secondo si terrà comunque; dove è previsto un solo appello di esame, c’è l’impegno a garantire comunque un appello straordinario a 15 giorni di distanza da quello che è saltato.
Questa curiosa forma di protesta arriva a circa un anno e mezzo di distanza da un’altra protesta, forse anche più strana, che prese il nome di #stopvqr. Nei primi mesi del #2016 gli aderenti allo #stopvqr si rifiutarono di partecipare alle procedure di valutazione della qualità della ricerca (VQR) realizzate dall’agenzia governativa per la valutazione ANVUR. Gli aderenti a #stopvqr si rifiutarono di inviare all’agenzia i due libri/articoli che l’agenzia avrebbe poi valutato. I rettori e moltissimi professori si indignarono per quella protesta perché ritenevano che avrebbe danneggiato le istituzioni, senza costare niente a chi la attuava. Così molti rettori si sostituirono ai protestatari nella scelta e nell’invio all’ANVUR dei libri/articoli per la valutazione.
La fine della storia è istruttiva: ANVUR rilasciò un comunicato stampa in cui sosteneva che la protesta era fallita e che la valutazione procedeva tranquillamente. In realtà la protesta inserì molti granelli di sabbia negli ingranaggi della valutazione, tanto che il MIUR, per distribuire i finanziamenti agli atenei, ha dovuto ricorrere ad un complesso algoritmo per sterilizzarne gli effetti. Nel frattempo, gli atenei hanno cominciato a scrivere le regole per gli scatti stipendiali dei professori. E in molti atenei i regolamenti prevedono che lo scatto stipendiale sia concesso solo se il professore ha partecipato alla VQR. Di fatto questi regolamenti hanno bloccato una forma di protesta pensata proprio per non danneggiare gli studenti, e che aveva ricevuto l’appoggio di alcune delle loro organizzazioni.
Ed eccoci allora allo sciopero di settembre. Sciopero corporativo, dicono alcuni; e v’è chi ha affermato che, in un momento così difficile per l’università, non è il caso di fare una rivendicazione come lo sciopero degli esami; insomma, ci sarebbe “BEN ALTRO” per cui protestare nell’università. In effetti c’è MOLTO ALTRO per cui la comunità universitaria nel suo complesso – docenti, personale tecnico amministrativo, studenti e loro famiglie – dovrebbe protestare.
Come abbiamo innumerevoli volte documentato sulle pagine di ROARS, nonostante la retorica sulla società della conoscenza e gli impegni in merito sottoscritti dall’Italia in sede europea, dal 2009 ad oggi l’università e la ricerca sono il comparto della pubblica amministrazione che ha subito la più drastica cura dimagrante. La spesa per l’università rispetto al PIL è la più bassa dei paesi OCSE (solo il Lussemburgo fa peggio di noi). Durante gli anni della crisi, mentre tutti gli altri paesi europei hanno aumentato la spesa per istruzione e ricerca, noi l’abbiamo ridotta, restando ben al di sotto del 3% di spesa in R&D assegnata dalla strategia di Lisbona ai paesi dell’UE. Il personale docente dell’università si è ridotto del 20%, passando dai circa 63mila docenti nel 2008 ai circa 50mila del 2015. Nel frattempo si è creato un piccolo esercito di personale non strutturato precario che svolge compiti di didattica e di ricerca, spesso in forma gratuita, e che non vede alcuna possibilità di un lavoro stabile. C’è la valanga crescente di adempimenti burocratici che distoglie la comunità universitaria dai compiti che le sarebbero propri. C’è una pervasiva invadenza delle pratiche di valutazione della ricerca e della didattica che stanno restringendo gli spazi di libertà garantiti dalla costituzione. C’è il problema del diritto allo studio, con il fenomeno tutto italiano degli studenti che hanno diritto ad una borsa di studio, ma che non la ricevono per mancanza di risorse. C’è infine, ma l’elenco è solo parziale, la questione meridionale dell’università, con il vertiginoso aumento del divario tra Centro-Nord e Sud/Isole del Paese.
Sono quindi molti i problemi per cui c’è spazio e materia di protesta. Ma forse vale la pena osservare che anche la questione degli blocco differenziale degli scatti ha una sua valenza più generale. Per capirlo ci si può porre la seguente domanda: come mai i docenti universitari sono stati discriminati rispetto agli altri lavoratori del pubblico impiego non contrattualizzati?
La risposta a questa domanda è il frutto di decenni di narrativa nazionale sull’università e della scarsa considerazione che i “policy makers” (ah, l’inglese!) hanno dell’università, della ricerca e in particolare di coloro che dovrebbero portarla avanti, cioè i docenti universitari. A costoro, appartenenti a istituzioni secolari che hanno mantenuto e sempre mantengono (nonostante tutto) una certa autonomia rispetto al potere politico, vengono preferiti altri enti di ricerca, creati ad hoc con personale scelto al di fuori delle normali procedure concorsuali e docile al munifico erogatore di tale beneficio. I professori universitari – una volta corteggiati per essere fiore all’occhiello nelle liste elettorali – sono stati oggetto di una metodica opera di screditamento, basata sull’idea di una scienza nazionale in declino e di una università nella sostanza inutile. Non più ritenuti un “asset” (di nuovo!) su cui investire, i professori e le loro università vengono sottoposti a pervasive procedure di controllo centralizzato, attuate spesso attraverso una burocratizzazione crescente del lavoro di didattica e ricerca. Controllo e burocratizzazione da cui sono generosamente esentate, in tutto o in parte, le istituzioni create dal potere politico e le università private e telematiche.
Tutto ciò i docenti universitari – categoria tra le meno sindacalizzate e con minore coscienza di ceto – lo hanno sinora hanno subito in rassegnato silenzio, esprimendosi con i mugugni e le lamentele davanti alla macchina del caffè o nei corridoi; oppure sviluppando, quando possibile, un senso opportunistico di adattamento, tentando cioè di ricavare per sé/il proprio gruppo/dipartimento/ateneo qualche briciola in più di una torta sempre più piccola, magari sottraendola a un “rivale” operante nella stessa istituzione. D’altro canto i rettori in questi anni hanno di fatto assecondato qualsiasi politica governativa, purché questa fosse accompagnata da qualche briciola in più di finanziamento, o assai spesso dalla semplice promessa di briciole future. Per questo hanno dovuto tenere sotto controllo quelli che la legge Gelmini ha trasformato in loro sottoposti, rintuzzandone i pochi segnali di riottosità, come avvenuto nel caso della protesta #stopvqr.
Ed ora questo sciopero sta finalmente suscitando attenzione, conquistando per la prima volta le prime pagine dei quotidiani nazionali.
Le questioni in gioco a nostro parere sono: questo sciopero segnala che le coscienze intorpidite dei docenti si stanno svegliando? Potrà rappresentare un primo passo per rimettere in discussione le politiche della ricerca e della università di questi ultimi decenni? Sapranno i professori universitari dialogare con studenti, dottorandi, precari, personale tecnico amministrativo ed accettare in prospettiva un allargamento della protesta? Se dovesse concludersi solo con una rivendicazione salariale e di carriera, e con la creazione di tensioni interne al mondo universitario, allora sarà stato inutile, perché altri danni e funeste previsioni si profilano sull’orizzonte dell’università e della ricerca.
Nella mia università è capitata una cosa davvero spiacevole.
Sono stati resi pubblici (non so da chi e come, ho troppo da fare per dedicarmi anche alle investigazioni) i nomi di chi ha aderito allo sciopero.
I professori aderenti hanno pertanto ricevuto telefonate e mail da direttori, presidenti di CdS, coordinatori e anche da studenti, che chiedevano chiarimenti sulla partecipazione allo sciopero.
Non mi sembra una cosa correttissima.
Ci sono altri casi simili in altre università?
Il testo integrale della “Lettera firmata da 5444 Professori e Ricercatori Universitari e Ricercatori di Enti di Ricerca di 79 Università e Enti di Ricerca Italiani” e le relative firme sono disponibili online.
Non è necessario condurre alcuna attività di investigazione.
Quello che evidentemente i rettori non hanno capito e’ che una cosa e’ la dichiarazione di sciopero e un’ altra l’adesione. Anche senza aver fatto la dichiarazione chiunque puo’ aderire e solo dopo la dichiarazione di *aver aderito* allo sciopero un rettore puo’ fare i conti sulla partecipazione allo sciopero.
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Per cui la richiesta di informazioni anticipate, più che scorretta è stupida.
Sciopero a parte, su cui non entro (giusta chiamarla mobilitazione, sebbene c’è anche da dire che i sindacati nel mondo universitario comunque esistono): la questione degli scatti deve essere discussa.
Non ci si è resi conto in effetti che l’idea di fare uno scatto per anzianità ma soggetto a valutazione significa in sostanza poter ricattare i docenti. E’ come se si dicesse loro: lo scatto triennale nella sostanza è ANCORA automatico (tanto, non esistono soglie particolari per averlo) PURCHE’ tu docente abbia fatto il bravo. Altrimenti ti puniamo.
In molti paesi (UK…) c’è una sola sessione di esami, a fine corso. In Italia ce ne sono anche 6, in gran parte inutili, la maggioranza degli studenti passa gli esami alla prima sessione. Bisognerebbe ridurle indipendentemente dallo sciopero
In molti paesi (UK…) c’e’ una sola sessione di esami *assieme* ad un sistema abbastanza diverso di condizioni al contorno. Vagheggiare di uniformarsi ad altri sistemi solo su alcune cose ee non su altre è improponibile.
La protesta deve allargarsi a vari punti, che concernono sia studenti che docenti. Speriamo sia possibile avere un movimento maturo, che guardi ad interessi comuni… Ho visto troppo spesso invocare il bene dell’istituzione per favorire alcuni e danneggiare altri …
In molti atenei, soprattutto quelli piccoli ci sono 10 appelli (1 al mese di media), forse per attrarre studenti.
Cmq, oggi mi è capitato di leggere questo articolo:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-07-19/che-delusione-l-universita-ridotta-corsa-posto-224559.shtml?uuid=AEWDnuzB
Alla fine, parlando dello sciopero, l’autore scrive:
«Ho pensato: “Ci risiamo. L’Università si guadagna le prime pagine con un argomento che porterà ben poche simpatie”»…………… «È una richiesta ingenua. Ma la mia generazione è quella del “siamo realisti, esigiamo l’impossibile».
Che ne pensate?
Penso che l’articolo mescoli capra e cavoli.
La discriminazione del blocco degli scatti rispetto al resto del pubblico impiego non contrattualizzato è talmente palese da rasentare l’incredibile, e senz’altro giustifica lo sciopero nella blanda modalità proposta dal Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria.
Il discorso a tutto tondo sull’università è un altro paio di maniche.
Per punti:
1) I rettori dovrebbero fare il loro lavoro politico, raggrupparsi e fare pressione sul ministero per difendere l’universita’, ma, come dice l’articolo, non lo fanno.
2) Finche’ i rettori sono compiacenti con i “policy makers”, non vedo perche’ questi ultimi dovrebbero cambiare la loro strategia, smettere di tirare noccioline e aumentare la considerazione per il comparto della ricerca.
2) Qualsiasi protesta di lungo respiro andrebbe fatta a partire dai rettori, ma il conflitto tra un professore ed un rettore mette in crisi la carriera. E’ piu’ facile fare una protesta “rumorosa”, che non danneggia i tuoi diretti vicini, ma si rivolge direttamente al ministro e colpisce solo i piu’ deboli di tutti, gli studenti.
3) La piattaforma e’ chiara nel suo manifesto: non si parla di altro se non di scatti stipendiali, e’ una legittima lotta corporativa.
Io non ci vedo segnali migliorativi, e penso che cosi’ come bisogna essere critici con le politiche sbagliate del ministero, bisogna esserlo altrettanto con quelle sbagliate locali. Soprattutto perche’ le seconde, che sono molto piu’ vicine alla gente, giustificano le prime nell’opinione pubblica.
Leobowski,
– con riguardo al secondo punto 2) della tua argomentazione (che forse avresti dovuto indicare con “3)”): hai presente quando scioperano i ferrovieri o i tranvieri o il personale delle compagnie aeree? Ti sei mai chiesto chi è normalmente colpito dallo sciopero? Forse il disagio causato ai “più deboli” (o, forse più correttamente, ai fruitori dei relativi servizi) è intrinsecamente connesso all’idea stessa di sciopero? Che dici?
– con riguardo al punto 3) della tua argomentazione (in assoluto il più oscuro in quanto a connessioni logiche): a quale “piattaforma” ti riferisci? a quella del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria?
In caso affermativo, devo smentirti: basta leggere i documenti sino ad ora prodotti dallo stesso Movimento per capire che non è così. Quello degli scatti stipendiali è un problema immediato, non fosse altro che per la palese discriminazione che produce. Il Movimento, tuttavia, ha uno scopo e denunzia problemi e storture di decisamente più ampio respiro. Anche in questo caso, basta leggere la predetta documentazione per rendersene conto.
Quali sarebbero, poi, le “politiche locali sbagliate” a cui fai riferimento? Che connessione avrebbero queste ultime con l’oggetto della protesta?
Lotta corporativa in 3, 2, 1… come? Ah è già arrivato il genio di turno. Ok, possiamo stare tranquilli, anche qui abbiamo qualcuno fuori dal coro (e vista Ratisbona, buon per lui… ;) ).
si tratta evidentemente di una lotta corporativa, che però è appunto legittima.
A mio modo di vedere, c’è solo da guadagnare se gli strutturati riuscissero a ragionare ed agire come corporazione. Qualsiasi “mercato” oggi è corporativo
“è una lotta corporativa…”
e perchè mai tutti posso farla
tranne noi?
@MAFFoodandbeverage
“hai presente quando scioperano i ferrovieri o i tranvieri o il personale delle compagnie aeree? Ti sei mai chiesto chi è normalmente colpito dallo sciopero? Forse il disagio causato ai “più deboli” (o, forse più correttamente, ai fruitori dei relativi servizi) è intrinsecamente connesso all’idea stessa di sciopero? Che dici?”
Si ho presente. Nel caso del privato chi viene colpito di piu’ e’ il “padrone”, nel caso del pubblico, lo sciopero si fa per poter andare a negoziare con l’amministrazione competente condizioni migliori. Lo sciopero serve a contarsi per far valere i numeri.
In questo caso quelli che dovrebbero andare a negoziare non lo faranno. Infatti, i promotori si pongono essi stessi come negoziatori, saltando direttamente i rettori, perche’ evidentemente non si fidano. E’ come se (per rimanere nel tuo esempio) gli insegnanti scioperassero senza essere d’accordo con i dirigenti della FLC, che poi vanno a contrattare con il ministero e dicono cose potenzialmente diverse. Io penso che il primo passo sarebbe quello di mettersi in conflitto con chi dovrebbe sostenere la loro (peraltro legittima) causa, visto che non li hanno supportati adeguatamente finora.
“– con riguardo al punto 3) della tua argomentazione (in assoluto il più oscuro in quanto a connessioni logiche): a quale “piattaforma” ti riferisci? a quella del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria?
In caso affermativo, devo smentirti: basta leggere i documenti sino ad ora prodotti dallo stesso Movimento per capire che non è così. Quello degli scatti stipendiali è un problema immediato, non fosse altro che per la palese discriminazione che produce. Il Movimento, tuttavia, ha uno scopo e denunzia problemi e storture di decisamente più ampio respiro. Anche in questo caso, basta leggere la predetta documentazione per rendersene conto.”
Io vedo che il documento a cui fa riferimento l’articolo e che e’ stato firmato da 5444 professori, parla unicamente degli scatti stipendiali. Poi, sul sito ci puoi mettere i documenti che vuoi, ma la *piattaforma* su cui si basa lo sciopero (si, si dice cosi’…) e’ una lettera al ministro per riavere gli scatti: una legittima e anche giusta rivendicazione corporativa. Visto che la domanda che pone l’articolo e’ se da questa protesta puo’ nascere qualcosa di diverso, io non ci vedo spazio, perche’ il primo luogo dove cominciare a creare conflitto, sono gli atenei, e questo costa caro. Invece far saltare un appello costa poco, e qualcuno tra i commenti si stupisce pure di aver ricevuto qualche email che chiedeva spiegazioni.
“Quali sarebbero, poi, le “politiche locali sbagliate” a cui fai riferimento? Che connessione avrebbero queste ultime con l’oggetto della protesta?”
Questo e’ un argomento delicato, che avrebbe bisogno di spazio che su ROARS secondo me manca, perche’ ci si concentra (in modo sistematico e accurato) su quello di sbagliato che fa il governo e meno su quello di sbagliato che fanno gli atenei. Ma quando un ateneo perde un ricorso al TAR per aver alzato troppo le tasse agli studenti, e’ un errore veniale? da rappresentante degli studenti ho visto corsi di laurea triennale con 42 esami, perche’ nessuno voleva cedere il suo corso nel transitorio della riforma 3+2, quando ancora le specialistiche non c’erano, e’ buona gestione? I tanti concorsi RTDb con scritto sopra un progetto di ricerca, sono una buona pratica? Se ci nascondiamo dietro ad un dito, diciamo che questi (tra gli altri) sono singoli problemi, io penso invece che queste pratiche contribuiscono a costruire quell’immagine di universita’ sprecona e baronale che si usa per giustificare tutte le peggiori politiche ministeriali, ed e’ da dentro che bisogna iniziare a combatterle per non avere scheletri nell’armadio.
leobowski: «Questo e’ un argomento delicato, che avrebbe bisogno di spazio che su ROARS secondo me manca, perche’ ci si concentra (in modo sistematico e accurato) su quello di sbagliato che fa il governo e meno su quello di sbagliato che fanno gli atenei. Ma quando un ateneo perde un ricorso al TAR per aver alzato troppo le tasse agli studenti, e’ un errore veniale?»
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No, non è un errore veniale e, anche se Lebowski non se n’è accorto, Roars vi ha dedicato diversi articoli:
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https://www.roars.it/pavia-tasse-troppo-alte-lateneo-costretto-al-rimborso/
https://www.roars.it/tasse-universitarie-e-ricorso/
https://www.roars.it/consiglio-di-stato-a-pavia-tassazione-fuori-legge-ateneo-dovra-risarcire-17-milioni-agli-studenti/
https://www.roars.it/tasse-universitarie-fuorilegge-pavia-deve-restituire-8-milioni-tremano-gli-altri-atenei/
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leobowski: «I tanti concorsi RTDb con scritto sopra un progetto di ricerca, sono una buona pratica?
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No e infatti abbiamo dedicato una rubrica apposita intitolata “bandi anomali” ai “concorsi a fotografia” (modo di dire introdotto in un articolo di Roars, guarda un po’):
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https://www.roars.it/universita-il-ministero-e-i-concorsi-a-fotografia/
https://www.roars.it/gli-strani-bandi-per-ricercatore-a-tempo-determinato/
https://www.roars.it/ancora-a-proposito-di-bandi-anomali/
https://www.roars.it/prosegue-la-querelle-sui-bandi-anomali/
https://www.roars.it/concorsi-a-statuto-speciale-non-solo-a-trento-ma-anche-a-verona/
https://www.roars.it/e-campus-candidati-telematici-e-bandi-fotografia-il-tar-lombardia-interviene-ancora/
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leobowski: «… ed e’ da dentro che bisogna iniziare a combatterle per non avere scheletri nell’armadio.»
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È trascorsa meno di una settimana da quando scrivevo:
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«Non è una regola assoluta, ma spesso quando qualcuno si lamenta che Roars non si occupa di qualcosa si scopre che ce n’eravamo già occupati …»
https://www.roars.it/smetto-quando-voglio-perche-lascio-la-ricerca-e-laccademia/comment-page-2/#comment-64323
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Rimane un po’ buffo l’atteggiamento di chi se la prende con Roars perché non scrive quello che vorrebbe leggere. Lavoriamo gratis, sottraendo tempo al sonno, e dovremmo anche scattare agli ordini dei lettori che dalla loro poltrona storcono il naso. Il bello è che storcono il naso senza accorgersi che quelle cose le abbiamo già scritte.
@Giuseppe De Nicolao
Mi aspettavo una risposta come questa, perche’ ne ho gia’ viste di altre. Apprezzo ROARS ed il tempo che la redazione gli dedica ma questo non significa che debba essere d’accordo su tutto e, per inciso, non ho detto che non parlate di quei temi.
Sono pero’ dell’idea che ROARS mantenga un atteggiamento diverso tra il vicino ed il lontano. Con i ministri sistematicamente polemico denunciando azioni che delineano un piano preciso contro l’universita’. Con gli atenei lo trovo piu’ episodico, denunciando comportamenti, ma non ci vedo lo stesso tono, come se non avessero parte attiva in quel piano. La differenza e’ che il ministro non lo votano i professori, ma il rettore si, e penso che per produrre cambiamento si deve iniziare dal locale, perche’ se non cambiano gli atenei e chi li governa qualsiasi ministro fara’ le stesse cose di quello prima.
E’ una mia impressione su come scrivete, si puo’ non essere d’accordo, ma non me la prendo, non storco il naso, non do ordini, ecc..
Ho sempre detto che le persone attuano le leggi, bene o male. Noi votiamo persone pensando siano in grado, onesti, ecc. ecc.: come realmente sono lo scopriamo nello scorrere di anni, decreti, interventi… Scopriamo anche quanto e se si possono opporre a varie manovre e pressioni. Pressoché impossibile credo non compromettersi e non fare errori.
Dagli intelligenti ed onesti mi aspetto che riconoscano di aver sbagliato ed una correzione della politica delle Università: ricordarsi che ci sono persone che verranno toccate profondamente da quello che decidono (proprio studenti), forse potrebbe aiutare.
Lo sciopero significa dire “siamo vivi, protestiamo contro un’ingiustizia”. Certo, gli intellettuali dovrebbero avere uno sguardo e critico sul mondo e non su un angolo solo di esso ….
No, perché sta diventando tutto abbastanza ridicolo. Perché si protesta sugli scatti stipendiali ma si accetta senza batter ciglio ogni riforma peggiorativa, anche quando viene richiesto di sostanzialmente promuovere tutti con un ricatto. L’Università sta diventando un esamificio dove viene tolto il potere di formazione, dove si umilia il ruolo del docente che deve solo garantire statistiche e numeri, senza ricerca. E svegliarsi improvvisamente dal torpore per alzare la manina su “quanto mi pagate” risulta fallace nel messaggio che si vuole dare all’esterno.
Quando ci si sveglia dal torpore ci si può accorgere che altre cose non vanno, oltre agli stipendi.
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Ma devo dire che non capisco questo “pudore” secondo cui non dovremmo preoccuparci anche della “vil pecunia”. Conosco docenti che pensano di dover giustificare il loro livello di stipendio. Io credo che sia il governo italiano che debba giustificare quello che paga i docenti universitari, a fronte della situazione europea (anche al netto di costi della vita differenti siamo fanalini di coda) e dell’ aumento di incombenze.
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O abbiamo noi per primi un’ immagine così miserabile del lavoro di professore universitario?
La cosa peggiore sarebbe l’accoglimento dell’istanza di chi manifesta “ecco i soldi, ora zitti” e così si chiude il sipario in maniera indecorosa e ogni altra istanza urgente (e ce ne sono tantissime, le stiamo elencando da mesi) andrà a farsi friggere.
Quindi meglio che tutti quelli che hanno “il posto fisso” restino nello stato attuale, vero anto? Addirittura l’accoglimento di un’istanza ispirata ai più elementari principii di buonsenso ed eguaglianza proporzionale sarebbe “la cosa peggiore”, che porterebbe alla calata del “sipario in maniera indecorosa” su “ogni altra istanza urgente”. Naturalmente tra le istanze urgenti rientra ciò che a te sta più a cuore, e che non ha nulla a che vedere con le ragioni della protesta. Complimenti, ineccepibile logica argomentativa!!!
Non c’è rischio. Proprio perché il MIUR sa che i docenti si accontenterebbero di un pezzo di pane, non gli daranno neanche quello.
bisogna iniziare a strappare i soldi. Brutto da dire ma ha ragione Proietti, ci si misura su quello
Quando chi veramente ha fatto ricerca, è andato all estero, ha scritto libri e si è fatto un cu x farsi un cv … quando uno così entrerà nell università e scoprirà che stipendi del c…. ci sono e chr situazione di m. Si vive nell univ. Forse penserà chi c. Me l ha fatto fare… avrei potuto guadagnare di più vendendo gelati. Forse dirà ma xke questi non hanno mai scioperato?
@MAFFoodandbeverage:
@Ernest:
io non ho la possibilità di scioperare perché sono disoccupato: da cosa mi dovrei astenere?
Ci sono 2 posizioni diverse:
1) Chi è strutturato vuole lo scatto perché gli spetta, è giusto.
2)Chi non è strutturato vuole che si faccia una protesta per gli altri problemi e non per gli scatti che non può ottenere in quanto non ha stipendio.
Se io fossi strutturato, sciopererei per i più deboli.
Mi rendo, però, conto che posso sviluppare questa sensibilità proprio in quanto non strutturato e quindi bisognoso.
Se voi vi arrabbiate, io cosa dovrei essere?
Lei dovrebbe avere il buongusto di distinguere la sua posizione personale da un problema generale, certamente molto grave, come quello del precariato nelle universita’: lei non e’ e non puo’ essere la misura delle cose e questo continuo ricorso all’ “io” (il suo) non mi pare appropriato e non giova certo alla causa che vorrebbe promuovere.
Come non giova alla causa dei precari questa contrapposizione di diritti, questa sorta di “invidia sociale” e di risentimento di cui i suoi discorsi sono pieni. Ci vuole tutto il pragmatismo del buon Carlo Ferraro per rianimare un po’ lo spirito combattivo dei professori universitari, ancorandolo a delle rivendicazioni molto concrete. Sarebbe bello, passo passo, saldarsi con le rivendicazioni dei precari e fare fronte comune, magare anche con gli studenti. Ora si prova a iniziare: e non sara’ facile neppure su questioni molto concrete.
@MAFFoodandbeverage:
@Ernest:
in definitiva,
apparteniamo a categorie diverse, abbiamo situazioni diverse, speranze diverse e auspici diversi.
ripeto: io non posso avere l’aumento proprio in quanto non ho lo stipendio.
E’, quindi, normale augurarsi (da parte mia) che, in caso di risposta politica, quest’ultima sia finalizzata alla protezione del più debole e non di chi già ha (benché ne abbia diritto).
La politica ha il dovere di proteggere i più deboli (Art. 2 della Costituzione italiana – seconda parte).:
“La repubblica……richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
mi correggo: scatto, non aumento.
In base a questa originale lettura dell’art. 2 Cost., dovremmo magari dividere il nostro lauto stipendio con assistenti e precari sotto-pagati o non remunerati affatto. Davvero incredibile quante cose si riesca a far dire alla nostra povera Costituzione!
@giorgio pastore non si tratta di discutere la vil pecunia. Certo, in Italia abbiamo tra gli stipendi più bassi ma anche tra i più blindati. Molti sognano di tornare perché qui anche se fai ca..te pazzesche non ti si può mandare a casa. Il vero problema dell’università italiana è stato proprio creare posizioni blindate di gente incapace nell’attesa che finalmente se ne vadano in pensione, anche se ormai ci andranno a ottant’anni. Tutto il sistema, non solo universitario, sta collassando per questa tipologia di contratti e un sistema pensionistico insostenibile. Il problema è che le nuove generazioni la prenderanno in quel posto sonoramente perché per salvare capra e cavoli si dovrà arrivare, e già accade, a forme contrattuali inesistenti dove al determinato non corrisponde un adeguato stipendio. E intanto Boeri riflette su una sorta di pensione minima dato che praticamente nessuno delle nuove generazioni maturera’i contributi necessari, anche sputando sangue. Quindi in un quadro del genere a mio avviso avrebbe avuto senso protestare si’ per gli scatti ma per devoverli poi alla creazione o di fondi di ricerca o di nuovo reclutamento, anche per dare un segnale. Ogni tanto bisognerebbe mettersi da parte e guardare l’insieme e comprendere come agire per migliorare il sistema. In questo modo, invece, si mantiene lo status quo.
Io la finirei una buona volta con questa storia delle universita’ italiane piene di incapaci che fanno le ca..te pazzesche. Se mi guardo attorno non ne vedo. Certo non tutti sono al top, ma questo non lo vedo neanche all’estero. Se invece Orwell conosce situazioni particolari le denunci.
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Sul fatto che il sistema collassi per contratti “tenured” mi sembra risibile (sempre guardando quello che c’e’ fuori dei confini). A meno di non sostenere che “tempo determinato” sia l’ unica tipologia di contratto buona. Ma questo preferisco lasciarlo dire a Confindustria.
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Sul sistema pensionistico (insostenibile) poi la domanda e’: che c’entra ? Ci sarebbe molto da dire. Ma moooolto prima di parlare di sistema insostenibile occorrerebbe chiedersi che tipo di gestione e’ stata fatta dei contributi pensionistici del passato, sempre confrontando la situazione italiana con quella fuori d’Italia.
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Infine sulla “protesta per gli scatti si’ ma per poi devolverli in fondi di ricerca o nuovo reclutamento”, proprio non ci siamo. Ricerca e reclutamento *vanno* finanziati ma non *invece* o coi risparmi sugli stipendi degli strutturati. Anche qui, guardare fuori dei confini, convncerebbe chiunque della ovvietà della questione. Solo il ben diffuso provincialismo italico può far pensare a false scorciatoie di questo tipo.
@giorgio pastore, quali false scorciatoie? È giusto pretendere gli scatti per una dignità della categoria ma far vedere l’interesse per il mantenimento della ricerca attraverso il gesto di devoverli per altri scopi rispetto alle nostre tasche non mi sembra provinciale. Sarebbe l’occasione per porre l’accento sul problema. L’università è piena di gente incompetente entrata secondo logiche diverse dal merito, se si riflette in maniera onesta in ogni dipartimento almeno un 10-15% del corpo docente è imbarazzante. E su questa consapevolezza ha avuto gioco facile l’anvur, non raccontiamoci barzellette.
“L’università è piena di gente incompetente entrata secondo logiche diverse dal merito, se si riflette in maniera onesta in ogni dipartimento almeno un 10-15% del corpo docente è imbarazzante.”
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Io credo che sia imbarazzante chi argomenta in modo così sgangherato, senza un dato che sia uno.
@Orwell
quindi secondo lei e tutto il coro dei benaltristi con entrate diversificate, dovremmo vergognarci del nostro stipendio. Bè, sappia che, a mio parere, chi si dovrebbe vergognare sono i responsabili di quello che si potrebbe chiamare un furto, o una menzogna nel contratto. Chiedere al derubato di devolvere in beneficenza la refurtiva va oltre la presunzione di ingenuità: è un vero e proprio insulto. Se lei fa parte dell’Università, certamente la includerei nel 10-15%, ma non per i motivi che lei pensa.
@cesare papazzoni mai detto di vergognarsi per il nostro stipendio, ho scritto che a mio avviso il giusto sciopero avrebbe un messaggio più incisivo se si delvolvesse quanto dovuto per altri scopi. Non amo fare nomi e cognomi ma credo che un po’ di onestà su un reclutamento poco limpido – attuato a maggior ragione ora con il localusmo estremo – ci dovrebbe essere. Se l’idea di corporativismo che avete e’ negare gli errori fatti allora me ne tiro fuori.
Se quanto dovuto si riferisce alla retribuzione del giorno di sciopero, essa verrà decurtata dallo stipendio e sta al MIUR decidere come e dove devolverla. Se invece ci si riferisce al danno economico dovuto al mancato riconoscimento degli scatti ai fini giuridici, si tratta di cifre che in molti casi variano tra i 50.000 e i 100.000 Euro (ma anche oltre, in base a vecchi calcoli del 2010 basati su soli tre anni di blocco). Dovremmo pagare l’equivalente di un mutuo in nome delle nostre colpe collettive. Colpe che non devono essere troppo vaste e nemmeno troppo profonde se i dati di produttività scientifica sono questi:
Certo, non sono spiccioli ma anche devolvere una parte darebbe un segnale. Che l’Italia riesca lo stesso a mantenersi in buone posizioni e per realtà di eccellenza…ma c’è sempre questa tendenza ad avere dei diamanti in mezzo alla mediocrità mentre tutto crolla. E comunque è inutile guardare a statistiche di oggi, il vero dato sarà tra cinque anni qusndo si vedranno gli effetti del ricambio quasi nullo e del nuovo reclutamento falsamente meritocratico. Bye Bye italy!
@Orwell
Vedo che lei si vergogna anche del proprio nome, ma è giusto così: la beneficenza disinteressata non va pubblicizzata, devolva pure anche il suo contributo (non inferiore ai 50.000 euro, come indicato da De Nicolao) in modo anonimo.
La mia idea di corporativismo è che la parola sia ormai talmente svuotata di significato (grazie all’uso che ne fanno le persone come lei) da rendere del tutto inutile ribattere a chi la usa come una clava. Strumento che si addice perfettamente al livello degli utilizzatori.
@Stordilano:
sicuramente dare di più ai ricchi e togliere ai poveri (con curricula importanti e non poveri sfaticati) non era nello spirito dei lavori della Costituente.
Cmq, vale quello che ho scritto sopra, siamo su 2 posizioni diverse:
è come essere sulle scialuppe di salvataggio del Titanic riservati alla PRIMA CLASSE (gli strutturati)
ed essere lasciati morire in mare (i non strutturati).
@Orwell:
per fortuna non sono solo e Lei mi capisce.
Niente paura, a rilanciare l’Università pubblica ci penserà questo signore, di professione ricercatore universitario, e fresco nominato Da Renzi come “responsabile Università” del suo partito: https://parlamento17.openpolis.it/parlamentare/655704
Tra i provvedimenti da lui proposti finora in Parlamento, il più attinente al settore (per così dire) mi risulta questo:
https://parlamento17.openpolis.it/singolo_atto/80995
@Lapo:
non ho nessuna invidia sociale, nessun risentimento.
Ma nella vita ci sono priorità.
Quale è la reale priorità?
La storia di MASSIMO PIERMATTEI
https://www.roars.it/smetto-quando-voglio-perche-lascio-la-ricerca-e-laccademia/
O un piatto di lenticchia in più a chi ha già soldi per mangiare?
Mi risponda!
Quale è la priorità?
Già il fatto che lei liquidi le ragioni dello sciopero come “ricerca di un piatto di lenticchia” la dice lunga sulla sua lucidità e sul rispetto che ha delle altrui ragioni.
Nel merito, la invito a leggersi per bene il programma (a lungo termine) del “Movimento per la dignità della docenza universitaria”. Già il nome che è stato scelto la dice lunga quale sia la priorità.
E adesso continui pure con il suo disco rotto (e lasci perdere i casi singoli di persone che hanno dimostrato, innanzi tutto, di avere dignità e capacità di analisi ben diverse).
Come il caso di anto dimostra, i primi a dare patenti di corporativismo agli altri sono proprio quelli che non pensano ad altri che a se stessi. Non rendendosi nemmeno conto che, qualora arrivassero ad ottenere l’agognato “privilegio”, si troverebbero con un pugno di mosche in mano… per colpa propria. Ecco, di altri cattedratici che ragionano così non ne abbiamo proprio bisogno.