“We don’t want to set up a bibliometric police“: è lecito domandarsi cosa penserebbe l’ANVUR di questa dichiarazione fatta all’inizio dell’intervento di Paul Wouter (Direttore del CWTS* di Leiden) e Wolfgang Glänzel (KU Leuven), intitolato The dos and don’ts in individual level bibliometrics”. Si tratta di un primo contributo alla riflessione – non esaustivo e certamente ampliabile – su un tema di scottante attualità nel mondo scientifico. Pur avendo già pubblicato su Roars le loro slides (I “dieci comandamenti” della bibliometria individuale), il video dell’intervento merita da essere visto da tutti i valutatori e i valutati italiani. Con l’augurio che l’Italia esca al più presto dalle tenebre del suo medioevo bibliometrico, impenetrabile alla luce della scienza bibliometrica internazionale.
* Il Centre for Science and Technology Studies (CWTS) è internazionalmente noto per la sua specializzazione nello studio delle dinamiche della ricerca scientifica e delle sue connessioni con la tecnologia, l’innovazione e la società.
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Video dell’intervento di Paul Wouter (Direttore del CWTS di Leiden) e Wolfgang Glänzel (KU Leuven),presentato alla ISSI Conference di Vienna http://www.issi2013.org/about.html
Medioevo? Pensate che per dichiarazione di persone implicate qualche anno fa nel carrozzone della valutazione italica, “prima della Storia c’è la Preistoria”.
Da notare che era al tempo stesso una ammissione e una prescrizione…
“Il Centre for Science and Technology Studies (CWTS) – OLANDA – è internazionalmente noto per la sua specializzazione nello studio delle dinamiche della ricerca scientifica e delle sue connessioni con la tecnologia, l’innovazione e la società.”
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Chiedo scusa per il tono, ma questi due colleghi di che cosa stanno parlando nel 2013? Intorno al 2007, forse prima, ero capitata in un sito universitario olandese; si trattava di linguisti. Nella pagina personale di una persona erano elencati, lezione per lezione e in previsione, l’argomento, i cosiddetti obiettivi, le modalità per raggiungerli, la bibliografia specifica e altre cose del genere. Formalizzazione e progettazione (?) quasi al minuto. Invece in un sito istituzionale della medesima università veniva asserito che con un carico didattico di tot numero di ore settimanali, rimaneva ancora il sabato e non so più quale altro periodo (probabilmente le vacanze, insomma i periodi senza attività didattica in senso stretto), per poter produrre all’anno un saggio di cca 30 pagine.
Di che cosa ci si meraviglia se poi si arriva alla degenerazione della tendenza a formalizzare e a quantificare in una maniera sempre più precisa i processi didattici e del pensiero, perché poi di questo si tratta. Una linea degenerativa è quella di “ma sì, scriviamo nel modulo (c’è sempre un modulo!) quello che vogliono loro (Anvur e parenti stretti), li facciamo fessi e contenti e noi facciamo ciò che possiamo nella determinata situazione”. La seconda direzione degenerativa è quella che proviene da Anvur e affini, resi baldanzosi anche da questa arrendevolezza formale (sotto la quale si può celare di tutto, dalla bravura alla fannullaggine) oltre che dalle spinte provenienti dalla politica, di rafforzare e di rendere sempre più sofisticate, dunque alla fine anche incontrollabili, le tecniche e le procedure di misurazione. Da qui la ulteriore degenerazione di agire, soprattutto nella ricerca, secondo modalità quantificabili e gerarchizzabili sempre sul piano formale. Riviste con double blind peer review?, comitato scientifico internazionale?, uso dell’inglese? ecc. —-> tutto OK, la qualità non importa (più). Lo dico a ragion veduta a proposito di un caso accaduto localmente, di un articolo che evidentemente nessuno aveva revisionato perché l’autore stava nel comitato scientifico e che per me è semplicemente scandaloso.
Sono cose diverse. L’attribuzione di un tempo nozionale di apprendimento al Credito Formativo Universitario è una necessità teorica e pratica che non è comparabile con l’uso errato della bibliometria per i giudizi del merito scientifico dei ricercatori-docenti.
A proposito del credito, sarei anche d’accordo. Ma vogliamo andare a vedere quanti docenti universitari e quanti anvuriani sanno cos’è il cfu con tutti i suoi limiti applicativi? Se persino nelle famose linee guida si parla di credito in relazione alle ore/docente, mentre il credito riguarda il lavoro dello studente, semplificando.
Quanto al resto, sono la formalizzazione e la mera quantificazione ad oltranza di qualsiasi attività di studio, di apprendimento, di ricerca, di riflessione (con la mostruosa burocratizzazione e standardizzazione che ne derivano) i motivi di scandalo intellettuale. Alle quali servilmente si è piegata l’intera università, da cima a fondo.
L’ignoranza del docente medio e del docente anvuriano in materia di CFU è grave e scandalosa.
Detto questo, ribadisco che il CFU è *definito* in termini **qualitativi**, sulla base dei risultati formativi attesi. L’apposizione di una o più proprietà quantitative non intacca la definizione, ma ne precisa alcuni aspetti.