Come noto, l’età media dei docenti e ricercatori italiani è particolarmente elevata. Di chi la responsabilità principale? Dell’onda anomala costituita dalla massa di idonei entrati in ruolo più di 30 anni fa? Di politiche universitarie che, lungi dal contenere gli effetti di quello tsunami, hanno invece strozzato il turn-over, esacerbando il progressivo invecchiamento di una popolazione accademica che si assottiglia di anno in anno a causa dei pensionamenti? Non la pensa cosí Ernesto Galli della Loggia che dalla prima pagina del Corriere sferra un duro attacco agli universitari colpevoli di aver dirottato le risorse sulle promozioni di amici e allievi invece che sul rinnovo generazionale. Ma quanto c’è di vero in questa lettura? Cerchiamo di capirlo attraverso un paziente esercizio di fact checking basato su dati OCSE, Eurostat e MIUR.
Il 26 febbraio, sulla prima pagina del Corriere, Ernesto Galli Della Loggia firma un editoriale intitolato “Chi non si guarda allo specchio” dedicato ai “privilegi delle corporazioni”. Prende di mira un minestrone davvero eterogeneo di situazioni, dagli ordini professionali alla magistratura ai professori universitari, mostrando una certa disinvoltura nell’accomunare situazioni fra loro diverse. Come quando mette nello stesso calderone avvocati, giornalisti, farmacisti e magistrati, equiparando la magistratura a una “corporazione” alla quale è stato dato “il privilegio di autoamministrarsi”. Galli Della Loggia così confonde i privilegi di cui godono certe professioni, e che hanno effetti essenzialmente economici, con le garanzie di autonomia e indipendenza che la Costituzione (art. 101 e ss.) ha posto a difesa della magistratura e quindi della funzione giurisdizionale. Capita, purtroppo, che anche professori universitari infilino simili perle, che da studenti li avrebbero condannati a una severa bocciatura in sede di esame universitario: prima o poi occorrerà riflettere su questo punto, visto che siamo tutti sostenitori del “merito”.
In ogni caso, Galli della Loggia decide di occuparsi in primo luogo della “corporazione” che conosce meglio e così, nelle sue intenzioni, traccia una radiografia spietata delle colpe dei professori universitari, soprattutto in relazione al reclutamento:
Dietro le altisonanti parole «autonomia» e «autogoverno» la realtà che novanta volte su cento si nasconde – e non può essere altrimenti – è l’interesse di chi sta già dentro e dei suoi protetti, la mancanza di ricambio, la difesa corporativa.
Non saremo noi a sottovaluare i benefici di una sincera e documentata autocritica. E tuttavia, quando il Corriere della Sera si occupa di università, non si può fare a meno di sottoporne i contenuti ad un fact checking precauzionale. Sul Corriere, Francesco Giavazzi ci ha abituati ad editoriali ai confini della realtà, dove un’Italia irriconoscibile pullula di professori e università quasi gratuite. Il suo amico Roger Abravanel pensa che i fuoricorso universitari siano un prodotto DOC italiano, più caratteristico del Parmigiano Reggiano e della mozzarella di bufala. Sempre per rimanere in tema, in un settembre neppure troppo caldo, Gianna Fregonara scriveva degli «oltre 400 atenei» che sarebbero sparsi per lo stivale.
Ma cosa scrive Galli della Loggia? Il punto di partenza è l’elevata età media degli universitari italiani, sottolineata qualche settimana fa da Gianantonio Stella, sempre sul Corriere. Ma se il punto di partenza è lo stesso, le conclusioni sono del tutto diverse.
Stella, che pure in passato non era stato tenero nei confronti dell’accademia italiana, riconosce l’esistenza di un patrimonio scientifico e tecnico che le politiche recenti stanno dilapidando:
Proprio i successi e spesso i trionfi dei nostri giovani, quando possono giocarsela alla pari all’estero, sono la prova provata di due cose. La prima: a dispetto di tutti i loro difetti, i loro scandali, le loro camarille familistiche, i nostri atenei sono comunque in grado di sfornare fisici, medici, ingegneri e così via molto preparati. La seconda: è una vergogna che quei nostri figli, spesso i più bravi e destinati a diventare la futura classe dirigente, possano dimostrare il loro valore solo andandosene da un’altra parte.
Considerazioni che rendono plausibile e urgente la richiesta – citata da Stella – di «aprire i rubinetti per poter rinnovare la nostra classe docente universitaria», rivolta al governo dal presidente della CRUI, Stefano Paleari.
Completamente diversa la lettura che viene data da Galli della Loggia, il quale ribalta sugli stessi universitari la responsabilità principale dell’invecchiamento del ceto accademico:
Ciò è la logica conseguenza, d’altra parte, del fatto che la fascia dei ricercatori, cioè il primo grado della carriera accademica, rappresenta tutt’oggi meno della metà del numero complessivo dei docenti.
Ma chi ha la colpa di una situazione che, come si capisce, ipoteca negativamente tutto il futuro culturale ed economico del Paese? Forse il governo, il Parlamento, i ministri? No. La massima colpa è dei professori universitari stessi. Bisogna sapere infatti che, grazie all’autonomia riconosciuta alle singole sedi universitarie, sono stati loro che fino ad ora hanno amministrato a proprio insindacabile giudizio l’organigramma della docenza nelle rispettive università.
Sono stati loro che hanno deciso (e decidono) come impiegare i fondi a disposizione (scarsi, certo, sempre molto scarsi, ma questo è un altro discorso: tutti sono capaci di far bene quando il denaro scorre a fiumi) scegliendo ogni volta, per esempio, se far posto a due giovani ricercatori o a un ordinario, se promuovere un ricercatore nella fascia dei professori o, viceversa, far passare un professore dalla seconda alla prima fascia.
Ma come stanno le cose veramente? Per rispondere, dedichiamoci ancora una volta ad un paziente esercizio di fact checking, basato sulle statistiche Eurostat, i rapporti Education at a Glance dell’OCSE e, soprattutto, sul Rapporto ANVUR 2014 sullo stato del sistema universitario e della ricerca. Niente di difficile. Si tratta solo di mettere in fila un po’ di numeri per fare qualche semplice “conto della serva”.
1. La piramide che non è mai esistita
Cerchiamo di capire in se sia davvero una stranezza, frutto di degenerazione corporativa, il fatto che che i ricercatori rappresentino a tutt’oggi meno della metà del numero complessivo dei docenti. La figura del ricercatore è stata introdotta dalla Legge 382/1980, in cui ne veniva anche specificata la dotazione organica insieme a quelle dei professori associati e ordinari
Art. 3 Dotazione organica della fascia dei professori ordinari.
La dotazione organica della fascia dei professori ordinari è fissata in 15.000 posti.
Art. 20 Dotazione organica.
La dotazione organica della fascia dei professori associati è fissata in 15.000 posti.
Art. 30 Dotazione organica del ruolo dei ricercatori.
La dotazione organica del ruolo dei ricercatori universitari è di 16.000 posti
Riassumendo: su un totale di 46.000 tra professori e ricercatori, si prevedeva
- 34,8% di ricercatori
- 32,6% di associati
- 32,6% di ordinari.
Ricorrendo ad una metafora geometrica, potremmo dire che la legge prevedeva una distribuzione assimilabile ad una colonna cilindrica con una base (i ricercatori) la cui dimensione sarebbe stata solo leggermente maggiore dei due segmenti superiori.
Il seguente grafico, tratto dal già citato Rapporto ANVUR, mostra l’evoluzione delle tre categorie dal 1988 al 2013. Si può vedere che le 46.000 unità della dotazione organica, specificata dagli articoli 3, 20 e 30, vengono raggiunte 10 anni dopo, nel 1992.
Spostandoci ancora di qualche anno, nel 1999 i 50.729 docenti e ricercatori erano così ripartiti:
- 12.905 professori ordinari (25,4%)
- 18.052 professori associati (35,6%)
- 19.772 ricercatori (39,0%)
Quindi il ruolo dei ricercatori, la cui percentuale mostra un andamento crescente negli anni, nel 1999 aveva un peso superiore a quello previsto nella 382/1980 (39,0% contro 34,8%), mentre la percentuale degli ordinari era significativamente inferiore (25,4% contro 32,6%).
A partire dal 1999, le università ebbero effettivamente la possibilità, menzionata da Galli della Loggia, di decidere come impiegare i fondi a disposizione, scegliendo se destinarli posti di ricercatore, associato o ordinario. Negli anni immediatamente successivi, si assiste ad una crescita fino al massimo di 62.753 docenti e ricercatori, che nel 2008 erano così ripartiti:
- 18.929 professori ordinari (30,2%)
- 18.255 professori associati (29,1%)
- 25.569 ricercatori (40,7 %)
Se è vero che la percentuale degli ordinari (passata da 25.4% a 30,2%) mostra una decisa crescita, essa rimane comunque al di sotto del 32,6% immaginato nella 382/1980, mentre la percentuale di ricercatori (40,7%) è diventata ampiamente maggiore di quanto previsto nella 382/1980 (34,8%).
Si potrebbe obiettare che la “moltiplicazione” del totale dei posti di docente e ricercatore (+23,7% in meno di dieci anni dal 1999 al 2008) sia stato uno spreco privo di adeguata giustificazione. Questo giudizio, però, assume come riferimento aureo una situazione di partenza che, lungi dall’essere soddisfacente, vedeva l’Italia posizionata agli ultimi posti delle classifiche OCSE, non solo per laureati e spesa, ma anche per percentuale di ricercatori accademici e per rapporto docenti-studenti. Come mostrato dal grafico precedente, il rapporto tra studenti e la somma di docenti e ricercatori di ruolo, che nel 1988 valeva poco più di 29, nei primi anni ’90 aveva superato quota 34 e solo nel 2008 sarebbe ritornato ai valori del 1988, che rimanevano comunque elevati in termini comparativi con le altre nazioni.
I seguenti grafici mostrano che persino al termine del decennio 1999-2008 caratterizzato da una rapida crescita in termini di personale, spesso descritta come abnorme dalla pubblicistica nazionale, l’Italia continuava a rimanere tra i fanalini di coda dell’OCSE.
NdA: il rapporto studenti/docenti riportato dall’OCSE tiene conto anche dei docenti non di ruolo ed è pertanto inferiore a quello riportato nel primo grafico, tratto dal Rapporto ANVUR.
Insomma, i numeri, facilmente reperibili nel Rapporti ANVUR e OCSE, raccontano una storia diversa da quella esposta da Galli Della Loggia. È indubbiamente vero che
la fascia dei ricercatori, cioè il primo grado della carriera accademica, rappresenta tutt’oggi meno della metà del numero complessivo dei docenti.
ma bisognerebbe avere anche l’onestà intellettuale di spiegare che, nel momento in cui ne veniva istituito il ruolo, si prevedeva una percentuale ricercatori intorno al 35%, mentre nel 2008 la percentuale superava il 40% e nel 2013 erano il 44,4% del personale a tempo indeterminato.
Se tenessimo conto anche dei ricercatori a tempo determinato, nel 2013 il totale dei ricercatori era pari al 47,7% dei professori e ricercatori, molto vicino a quel 50% a cui fa riferimento Galli della Loggia.
2. Solo promozioni? Guardiamo i dati
Un’altra accusa di Galli Della Loggia è quella di aver preferito le promozioni interne alla necessaria immissione di nuove forze. Il fact checking non è difficile nemmeno in questo caso: basta analizzare i flussi di ingressi e uscite nei ruoli accademici nel periodo 2007-2013, riassunti nella seguente figura del rapporto ANVUR.
Sia per i professori associati che per gli ordinari, il saldo è decisamente negativo: il numero di assunzioni e promozioni è ampiamente insufficiente a compensare le uscite.
L’unica categoria che è cresciuta, seppure di poco, è quella dei ricercatori: 7.442 reclutamenti a fronte di 6.752 uscite, comprensive di promozioni e pensionamenti. E questo nonostante un saldo complessivo fortemente negativo: da un totale di 61.901 docenti e ricercatori nel 2007, si scende 53.459 nel 2013, con un calo del 13,6% che ci riporta al di sotto dei valori del 2001.
In sei anni, i professori ordinari sono calati del 29%. Da notare che la figura del rapporto ANVUR non include gli oltre 3.000 ricercatori a tempo determinato assunti nel periodo 2007-2013.
A partire dal 2014, andrebbero valutati gli effetti del piano straordinario associati, varato anche per agevolare lo svuotamento del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato, diventato “ad esaurimento” in seguito all’entrata in vigore della legge 240/2010. Nelle stime del MIUR l’attuazione del piano dovrebbe comportare 2.767 promozioni da ricercatore ad associato, un numero comunque inferiore al saldo negativo tra ingresso e uscite, accumulato nella fascia degli associati nel periodo 2007-2013.
Galli Della Loggia non si lascia intenerire nemmeno dalla possibile attenuante costituita dall’indubbia scarsità di fondi:
Sono stati loro [i professori universitari] che hanno deciso (e decidono) come impiegare i fondi a scarsi, certo, sempre molto scarsi, ma questo è un altro discorso: tutti sono capaci di far bene quando il denaro scorre a fiumi
Anche in questo caso, svolgiamo un veloce esercizio di fact checking, consultando le statistiche Eurostat del decennio 2001-2011 relative alla spesa per l’università in rapporto al PIL. Del “denaro a fiumi” nessuna traccia, anche se è vero che nel 2001 ci eravamo concessi il lusso – se così si può dire – di essere 22-esimi su 27 nazioni dell’Unione Europea, davanti a Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania e Croazia. Per fortuna, la virtù ha ripreso il sopravvento e nel 2011 risultavamo penultimi davanti alla sola Bulgaria.
Per completare il quadro, osserviamo che, pur partendo da una situazione in cui l’Italia arrancava in coda nelle classifiche della spesa, tra il 2009 ed il 2013 il Fondo di Finanziamento Ordinario destinato alle università è stato tagliato del 19% in termini reali.
3. Cosa distingue un buono storico
A volte, per non essere approssimativi, basterebbe un po’ di aritmetica. Tra l’altro, nell’era di internet, non è nemmeno difficile consultare le fonti per controllare che 2+2 faccia 4. Basta saper usare un browser ed eseguire semplici interrogazioni su Google. È difficile immaginare di esprimere un parere minimamente competente sulle risorse ed il reclutamento dell’università, senza basarsi – direttamente o indirettamente – sui rapporti OCSE, le statistiche Eurostat e quelle nazionali, che l’ANVUR riporta con dovizia di grafici e tabelle. Tutto materiale liberamente accessibile in rete.
In particolare, le fonti e i dati mostrano che
- Fin dall’istituzione del ruolo di ricercatore, il modello di riferimento era una colonna composta da tre segmenti simili (34,8%, 32,6%, 32,6%), solo marginalmente più ampia alla base, costituita dai ricercatori.
- Nel tempo, il primo segmento della colonna è comunque diventato più grande, fino a costituire il 44,4% dell’intera colonna (47,7% se si considerano i ricercatori a tempo determinato).
- Nel periodo 2007-2013, il ruolo dei ricercatori è l’unico che è cresciuto sia in termini percentuali che assoluti, mentre sono calati gli associati e, soprattutto, gli ordinari (-29%).
- Nello stesso periodo, il totale di professori e ricercatori è calato del 13,6%, tornando ai valori del 2001, mentre il rapporto docenti-studenti continua a rimanere tra i più bassi dell’OCSE.
- La spesa per l’università, in rapporto al PIL non si è mai schiodata dagli ultimi posti delle classifiche OCSE e, attualmente, è la più scarsa dell’Unione Europea, con la sola eccezione della Bulgaria. Se si aggiunge il taglio del 19% del Fondo di Finanziamento Ordinario, risulta ancora più chiaro che evocare inesistenti epoche in cui il denaro scorreva a fiumi vuol dire far deragliare la discussione dal piano fattuale verso quegli orizzonti mitologici che hanno caratterizzato buona parte del dibattito recente su università e ricerca.
Galli Della Loggia appare ignaro sia delle vicende passate che delle statistiche più o meno recenti, eppure scrive
parlo della situazione che conosco meglio, quella dell’Università.
lasciando alla nostra immaginazione cosa possa scrivere su questioni a lui meno note. Da un ex professore ordinario di Storia che ha percorso tutti i gradini della carriera accademica ci si poteva aspettare una migliore consultazione delle fonti ed una ricostruzione un po’ più aderente alla realtà.
Parecchi “storici” italiani come Galli della Loggia sono usi ad un utilizzo molto ideologico dei fatti, anche nel caso li conoscessero per bene.
Inoltre egli trascura il fatto che un ulteriore ingrossamento della fascia dei ricercatori avrebbe acuito il problema delle risorse di docenza – problema che si manifestò nella sua pienezza solo fra il 2008 e il 2010 attraverso la protesta degli RU che rifiutavano carichi didattici eccedenti quelli (di natura “complementare”) dovuti per legge, ma che era evidente già alla fine degli anni ’80.
Oggidì il grave problema del reclutamento accademico è causato dal sostanziale fallimento del c.d. “tenure-track all’italiana”, in assenza di quei fondi necessari a sostenere un flusso adeguato di “ricercatori a tempo determinato che diventano Professori” E di un consenso politico-accademico necessario ad evitare uno scontro di interessi con le pari pretese del personale ricercatore ad accedere alla fascia di Professore Associato.
In un periodo di risorse magre, meglio avrebbe deciso il Legislatore se avesse istituito una terza fascia docente al posto di quella di ricercatore – decisione che peraltro avrebbe impattato contro la tradizionale opposizione continentale all’istituzione di più fasce docenti con doveri d’ufficio simili e scala stipendiale diversa.
Quanto tempo avrà dedicato a scrivere l’articolo? Che compenso riceve per articolo? Le persone non sono schizofreniche, nel senso che da privati hanno una mentalità, da editorialisti un’altra, da studiosi una terza (purtroppo mi viene subito in mente, come controesempio, il comportamento di Einstein nei confronti della moglie ‘balcanica’). Solitamente le persone sane e ponderate sono in buona misura coerenti. A meno che non allentino deliberatamente i freni del metodo di lavoro e dell’etica professionali a seconda della convenienza, o più semplicemente, meno valutativamente, a seconda della situazione. Per cui la vostra conclusione è semplice e corretta: ” Da un ex professore ordinario di Storia che ha percorso tutti i gradini della carriera accademica ci si poteva aspettare una migliore consultazione delle fonti ed una ricostruzione un po’ più aderente alla realtà.” Forse avrebbe dovuto continuare il suo mestiere ma soprattutto continuare a studiare e a imparare.
ma forse l’errore a cui si riferisce Galli della Loggia è che l’università ha fatto lui ordinario invece di prendere un paio di ricercatori.
Sono costretto a fare un appunto al peraltro ottimo articolo.
EGDL non menziona i “giornalisti” nella sua lista degli ordini. 3:)
A presto
MA
Nella versione on line li menziona:
“Ne fanno parte a pieno titolo pure le grandi corporazioni professionali pubbliche e private: l’alta burocrazia, i magistrati, gli avvocati, i medici, i notai, *i giornalisti*, i farmacisti ecc. ”
http://www.corriere.it/politica/15_febbraio_26/gli-ordini-professionali-che-non-si-guardano-specchio-45212782-bd8d-11e4-8a38-1230a4c6f057.shtml
Non ho sotto mano la versione stampata per verificare se c’è una (significativa) differenza rispetto a quella on-line.
certo, il “fact checking” che avete mostrato smaschera
un approccio ideologico al problema
ma esiste un altro tipo di “fact checking”, purtroppo
ben presente solo a chi vive nelle Universita’ (non dall’esterno)
ovvero la quotidiana evidenza che l’Universita’ italiana e’ un ambiente micro-corporativo e mal governato proprio dalla componente accademica, in cui manca quasi completamente una visione del futuro e di cosa sia la vera “meritocrazia”
chi fa parte di un gruppo minoritario in qualsiasi
dipartimento italiano lo sa fin troppo bene, chi non si trova nelle cordate giuste lo ha ben chiaro, gli altri lo capiscono ma preferiscono non sollevare il problema perche’ localmente si rischia l’ostracismo
su queste pagine di ROARS vi siete spesso giustamente
spesi contro le distorsioni nella valutazione parametrica, troppo poco spesso, secondo me, sulle distorsioni decennali dovute alla cattiva gestione e ai comportamenti micro-corporativi, che continuano e sono altrettanto deleteri
la classe dirigente dell’Universita’ italiana non e’ in realta’ migliore di quella politica (o giornalistica), la cosa piu’ triste e’ che noi universitari facciamo decisamente molto poco per cambiare le cose
Scherzandoci un po’ sù, a me verrebbe da dire che ci siamo spesi troppo in generale. Nel senso che la gestione di Roars è volontariato allo stato puro e che prima di raccogliere le donazioni che coprono costi del sito e del convegno annuale, toccava spendere anche dei soldi di tasca nostra. Non siamo dotati di superpoteri e non siamo in grado di coprire tutti i temi che i lettori ritengono prioritari (spesso con buone ragioni come quelle di Marco Vianello). In questi casi, vale sempre l’invito a diventare collaboratori scrivendo quegli articoli che vi sarebbe piaciuto leggere, ma che non avete trovato su Roars.
Caro Marco, un po’ di “fact checking” lo ha fatto Nature di recente: http://www.nature.com/news/corruption-good-governance-powers-innovation-1.16927
Il nostro è un paese che si regge sul “single bidding”: “In corrupt countries, single bidding is common, because everyone knows that particular companies will win and others do not want to lose time or fees taking part in a sham contest”. Si parla di appalti, ma basta sostituire “companies” e la frase funziona in molti altri contesti, incluso quello accademico.
Davide Rocchesso
Sono, purtroppo, d’accordo quando penso a cose raccontate nel mio piccolo ambiente, quando per es. si ‘chiedeva’ a certi candidati di ritirarsi dai concorsi perché facevano ombra ad altri. O quando penso alle graduatorie eternamente provvisorie, ai posti fuori sacco messi a concorso e simili. Ma e’ questione di percentuali, di proporzione. Una certa percentuale dei grandi gruppi è sempre poco virtuosa, e questo è fisiologico entro certi limiti. Non posso rendermi conto quanti fossero o siano, in percentuale e a livello nazionale, gli episodi come quelli da me ricordati. La poca trasparenza di certi meccanismi faceva e fa sì che poi si generalizzi indebitamente.
Devo dire che trovo ammirevole lo spirito con cui la redazione di ROARS cerca di controbattere con dei fatti affermazioni prive di riscontro che dalle colonne del Corriere (ma anche Repubblica e Sole 24 non scherzano) diversi commentatori periodicamente fanno sul sistema universitario. Sono sicuro che valga la pena di farlo, non certo per convincere commentatori troppo intelligenti per non essere in malafede, ma piuttosto per evitare che la ripetizione ossessiva di falsità crei poi delle verità impossibili da mettere in discussione.
La domanda che appare legittima e’ la seguente, quando Galli della Loggia dal 2005 al 2007 è stato preside della Facoltà di Filosofia Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, quella del galantuomo Don Verze’, si e’ mai domandato da dove venissero i fondi?
Con i dati che si desumono dal sito
http://cercauniversita.cineca.it/
la Facolta di Filosofia del San Raffaele alla data del 31/12/2008 (un anno dopo la fine del suo mandato da Preside di EGDL) aveva 15 persone di cui 7 prima fascia e 5 ricercatori. Con tutti i soldi del San Raffaele possibile non sia riuscito a combinare un tubo? O forse allora aveva idee diverse da quelle che ha oggi e l’articolo e’ in relta’ una autocritica.
E’ noto che a certi aristocratici della penna la coerenza personale non e’ mai richiesta….poi se hai tanti cognomi ancora meno.
Comincio a capire ora l’utilità dell’ obbligo del lavoro manuale cui gli intellettuali furono sottoposti durante la rivoluzione culturale in Cina, in Italia per carità niente di cruento basterebbe solo far pulire le cartacce ai giardini pubblici.
Troppo “buono”, questa volta, il tono. EGDL le ha sparate grossissime, si dovrebbe vergognare.
Evvabbé, vi piace vincere facile, il Corriere della Sera è impegnato nella distorsione dei fatti sull’università con lucida scientificità , si ricordi la campagna stampa che ha spianato la strada alla legge Gelmini, orsono dieci anni.
Diciamo che per me la domanda più interessante leggendo i commenti sul corriere (http://www.corriere.it/politica/15_febbraio_26/gli-ordini-professionali-che-non-si-guardano-specchio-45212782-bd8d-11e4-8a38-1230a4c6f057.shtml) è: come mai la borghesia liberale dei lettori del Corriere della Sera gongola di fronte a queste mistificazioni? Quale impulso suicida, o quale contorto ragionamento, fa in modo che la media borghesia accetti acriticamente la denigrazione del sistema di formazione superiore? Come mai sega sistematicamente il ramo su cui siede, senza neanche un minimo di scetticismo?
Ciao Giovanni.
Secondo me il controllo della Politica all’interno dell’Università italiana si era molto indebolito negli ultimi 30 anni. In particolare, dopo l’ope legis del 1980, dove sono entrati quasi tutti quelli che stanno andando (o sono andati) in pensione in questi anni.
Ed ora la Politica (e pure la “grande” imprenditoria) italiana, avendo visto che l’universita’ si sta’ svuotando di docenti, vuole riprendere il controllo, decidendo Rettori, Direttori e quant’altro. E naturalmente ci sono docenti pronti a mettersi a 90 gradi pur di avere un posto al sole.
EGDL le ha sparate grosse come hanno fatto per anni (ed evidentemente stanno continuando a fare) gli editorialisti impegnati – volenti o nolenti – a delegittimare l’accademia italiana “in generale”. Ecco, credo però che il vero problema in questo tipo di ragionamenti – non quelli di EGDL, che tali non sono – sono i “livelli” di analisi. EGDL fa fuoco nel mucchio senza sapere di che parla – De Nicolao ha risposto come meglio non si poteva – però, al tempo stesso, anche un’analisi a livello di sistema complessivo – che peraltro dice cose importanti – rischia di nascondere la realtà. La realtà – i “fatti” – si presenta molto diversa a seconda dei contesti. Le singole università, i singoli dipartimenti, le singole discipline temo mostrino situazioni che non rispecchiano la descrizione del sistema, per quanto incontestabilmente fondata questa sia: non la rispecchiano perché mostrano, al posto di un dato puramente quantitativo, aspetti dal significato “qualitativo”. Se, per esempio, in un singolo dipartimento, di fronte all’opportunità di reclutare un docente esterno mediante un pubblico concorso – cosa può esserci di meglio per dotare quel dipartimento di nuove energie e nuove capacità ? – manipolando variamente i vari gradi decisionali che preparano lo svolgimento del concorso e lasciando che il concorso stesso – anche se in mano a commissari esterni – segua logiche “protezionistiche” anziché “liberiste” su base meritocratica, se quel concorso, dicevo, porta alla vittoria il candidato peggiore, ma legato al commissario interno: be’, poco mi consolano i dati di sistema. Se in una ASN di una data disciplina (più discipline, in realtà) commissari anche di un certo nome fanno scempio del buon senso e attribuiscono abilitazioni ad associato semplicemente indegne e ne negano di sacrosante, in barba a qualsiasi criterio di razionalità (lasciamo perdere le mediane, che si sono rivelate la cosa più inutile e più manipolabile del mondo): be’, chi dobbiamo ringraziare ? In entrambi i casi siamo di fronte ad esempi in cui l’opportunità di reclutamento o di potenziale rafforzamento del ruolo degli associati viene malamente e crudelmente sprecata. Non sono questi esempi veramente edificanti di come le risorse vengono usate dai decisori finali ? Allora: l’analisi di sistema ci dice che le risorse ci vogliono, eccome. Ma come quelle risorse vadano impiegate e chi garantisca che le decisioni finali siano ispirate da onesta preoccupazione per il bene della comunità di riferimento: ecco, a queste domande chi risponde ? Eppure la risposta ci vuole. Il rischio terribile – temo una prospettiva realistica – è che a un certo punto arrivi un’ondata (grande o piccola) di risorse che potranno andare completamente sprecate per difetti non solo a livello di siatema, ma anche, anzi, soprattutto ai livelli sottostanti.
http://www.scienzainrete.it/files/il_rinnovamento_nelle_universita.pdf
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Anche Panza insiste come Galli della Loggia, Alleva e altri, sugli stessi “argomenti”:
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– l’università utilizza i fondi per le promozioni
– si preferisce promuovere un ordinario piuttosto che due nuovi ricercatori
– le promozioni avvengono sempre con meccanismi poco trasparenti e quindi non meritocratici
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da qui ne consegue che:
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– gli universitari hanno colpa del mancato ricambio generazionale (oltre che di invecchiare)
– le università italiane continueranno ad essere scarse nelle classifiche internazionali per mancanza di meritocrazia (non certo di fondi)
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e infine:
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– l’università italiana merita la malora, o nel migliore dei casi “una decrescita felice”, fino all’eutanasia magari.
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Il problema sono, appunto, gli “argomenti”, che, come logica insegna, devono poter supportare una tesi. E questo non dovrebbe valere solo per le materie scientifiche, ma di certo anche per quelle umanistiche di cui gli storici o i linguisti fanno parte:
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“Il termine λογικός (loghikòs) compare in tutta la storia della filosofia antica precedente (da Eraclito a Zenone, dai sofisti a Platone) e seguente la dottrina aristotelica con il significato generico di “ciò che concerne il λόγος” (logos), nel senso molteplice di “ragione”, “discorso”, “legge” ecc. che ha questa parola in greco.
Dopo Aristotele nella scuola stoica i termini ἡ λογική (τέχνη) (e loghiké tékne), τὰ λογικά (tà loghikà) assumono il significato tecnico di «teoria del giudizio e della conoscenza» intendendo non solo la gnoseologia ma anche la struttura formale del pensiero. Ed è con questo ultimo valore di organizzazione scientifica delle leggi che assicurano non la verità ma la correttezza del pensiero che Aristotele si dedicò alla elaborazione della logica, termine che non è stato mai da lui utilizzato.”
da Wikipedia.
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La “correttezza del pensiero” presuppone banalmente lo sviluppo di argomentazioni in cui gli effetti seguono le cause, e quindi prima di tutto l’identificazione delle stesse, forse.
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Quando Panza scrive:
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“Cosa fanno i dipartimenti? Bandiscono concorsi ritagliati su misura per il personale interno (per lo più ricercatori) che hanno ottenuto questa abilitazione, al fine di farli passare di grado e guadagnare di più.”
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sembra curarsi ben poco delle cause, preferendo argomenti del tutto pregiudiziali, i quali, alla prova della logica, non dimostrano di per sé nulla.
Panza (o chi per lui) ignora, o anche non si interessa di verificare, che le promozioni interne dei ricercatori avvenute nel 2014, e che stanno proseguendo nel 2015, sono quelle relative al *piano straordinario associati*, per il quale si prevede che ogni scorrimento costi 0,2 punti e che, per sua natura (straordinario) non preveda vincoli di alcun tipo.
Panza accusa di “baronismo” e di favoritismo di interni “per farli guadagnare di più”, senza naturalmente considerare neppure che si tratta nella maggior parte dei casi di persone più che qualificate per il ruolo di associati, per le quali il delta stipendiale della promozione è minore nei fatti di 0,2 anche perché in certi casi già maturato, e che capita anche che gli interni che possano concorrere per lo scorrimento siano in numero pari a *uno*, o poco più, ossia gli abilitati su quel settore. Naturalmente per Panza, o i sostenitori della legge Gelmini, ora non conta più che gli interni che possono partecipare a questi concorsi abbiano passato l’abilitazione, che per tutti loro avrebbe dovuto garantire la personale visione della “meritocrazia”.
E tutti questi meccanismi o piccoli finanziamenti non sono stati scelti in autonomia, ma imposti dal legislatore/decisore politico.
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Allo stesso modo, la favola ricorrente dei “due ricercatori per un ordinario” non è provata da argomentazioni logiche o da fatti. Questa equivalenza vale per concorsi aperti di ordinario, secondo l’art. 18, che valgono 1 intero punto budget. Che le università, soprattutto quelle con turn-over strozzato fino al 20%, banalmente (di nuovo) *non riescono* a bandire. Perfino le più ricche, dette anche di serie A.
Gli scorrimenti ad ordinario avverranno usando le chiamate dirette ex art 24, dove ogni scorrimento costa 0,3, cioè neanche il costo di un ricercatore (RTDa o b costano 0,5).
Oltre a questo, come è stato ripetuto allo finimento, dal 2012 (prima di avere effettivi abilitati e quindi anche promozioni interne, iniziate *solo* l’anno scorso) esiste un vincolo, 1 RTDb-1PO, allentato dal 2015 a 1RTDb-2 PO, dove 1 RTDb costa 0,5 e due PO costano *insieme* 0,6. Quindi, va a finire che l’equivalenza è più corretta della precedente fra l’altro, casomai. In tutti i casi, *non* si potevano bandire posti da PO senza bandire posti di RTDb.
Tutti sembrano ignorare anche che per bandire un posto di RTDb servono candidati che abbiano avuto nel loro cv 3 anni da RTDa o assegni pre-Gelmini (parliamo di prima del 2010), che ad oggi, viste ancora le poche possibilità finanziarie, non sono neanche la maggioranza.
E, di nuovo, queste disposizioni sono legislative, non capricci frutto di qualche automonia.
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I docenti sono calati negli anni in maniera non giustificata dalle necessità più oggettive, come un numero di docenti basso rispetto al numero degli studenti, e di università in numero non superiore agli altri paesi UE e oltre.
Ma la colpa è degli universitari che fanno concorsi interni e che per giunta li fanno solo per i parenti.
Argomenti non sostenuti, come si è visto, da alcun supporto logico che non sia il pregiudizio.
Anche chi invoca la Santa Inquisizione per corruzione, nepotismo, favoritismi, ancora non ha prodotto studi o evidenze che questo sia il vero cancro che affligge la nostra istituzione, l’Università. Eppure insiste.
A tutti, Aristotele fa un baffo.
E lo fa indistintamente a certi accademici, a “grandi firme” del giornalismo e a grandi testate giornalistiche.
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Anch’io fra l’altro, a margine di questo discorso, mi chiedo cosa scrive chi non è neanche del mestiere o su altri argomenti che conosciamo meno. E la mia stima per l’ordine professionale sta vivendo, questa sì, una “decrescita felice”, a pendenza molto ripida.
Per fortuna esiste internet e la possibilità di incrociare opinioni e articoli anche della stampa estera o di persone comuni (che a volte hanno più conoscenze, o anche buon senso, di certi “professionisti”) e banche dati a disposizione di tutti.
In genere si risponde a chi ha argomenti,queste sono semplicemente cose non vere. E’ inutile mostrare dati e statistiche, purtroppo in questa epoca conta la visisbilità e quella di un quotidiano nazionale è esponenziale rispetto a quella di un blog. Questa storia dei baroni universitari è deprimente, non perchè continuamente citata da articolisti qualsiasi, ma perchè riaffermata con forza anche da interventi su questo sito. Domanda delle cento pistole: quante assunzioni sono state fatte dalla conclusione della prima ASN, eravamo nell’inverno scorso? Quanti sono stati gli idonei? Se i soldi non ci sono le assunzioni o progressioni di carriera non si fanno. Se per un posto concorrono in 1.000 o più, quale che sia il metodo di valutazione scelto, ma dopo l’abilitazione qualunque metodo è legittimo anche se ovviamente criticabile, ci saranno ovviamnte insoddisfatti, ecc.
Ma che senso ha rispondere a queste critiche. L’articolista deve scrivere qualcosa per legittimare la remunerazione che riceve e non sapendo che scrivere, o non trovando il tempo di documentarsi meglio, per esempio facendo una ricerca, ripropone un tema classico che comunque fa sempre colpo. perchè trasla le responsabilità. Se il tema sono le lobby, allora potrenmmo fornire all’articolista qualche dato interessante. Produttori di energia, banche, assicurazioni, ordini professionali e soprattutto farmacisti. Qualche dato: in Italia ci sono tra le 18.000 e le 17.000 farmacie che si sparticscono una spesa farmaceutica di oltre 22 miliardi di euro di cui circa 15 a carico del SSN. Una semplice divisione indica che il fatturato medio di una farmacia è di 1.200.000-1.400.000 euro, che poi è il prezzo medio di una licenza in una città di medie dimensioni come Bari. Se poi ci si sposta a Roma o Milano il prezzo sale a 6-8 milioni. Certo in un paese una licenza può costare 300.000 euro, fatto sta che lo studio di settore dell’Agenzia delle Entrate attribuisce ai farmacisti un reddito medio annuo di 120.000 euro annui, inferiore in Italia solo a quello dei notai. Come sappiamo gli studi di settore approssimano per difetto. Dobbiamo poi ricordare che le farmacie si eerditano, come le licenze, e che quindi i figli dei farmacisti godono di una rendita di posizione di notevoli proporzioni. La mancata liberalizaizone dei farmaci di classe C, prescritti, ma a pagamento, e il mancato l’abbassamento del quorum a livelli della Francia, Belgio o Spagna, noti paesi comunisti, si traduce in un mancato risparmio per i malati che può essere stimato tra i 700 e i 1000 milioni e soprattutto nel mancato ingresso nel mondo del lavoro di centiania di laureati in farmacia. La mancata liberalizzazione è stata motivata sulla base della necessità di assicurare un giusto profitto alle farmacie nelle località disagiate e con la necessità di limitare, grazie alla consulenza dei farmacisti ai malati, il consumo dei farmaci. La prima motivazione è un autentico falso in quanto la legge del 1968 già protegge le farmacie disponendo che sotto i 7500 abitanti ci possa esssere una sola farmacia, che divenatano al massimo 2 fino a 13.000 abitanti, poi opera il quoruma almeno 3.500 abiatnti per ogni nuova farmacia. La seoonda, oltre a trascurare il fatto che anche nei cornner dei supermercati lavorano dei farmacisti, che quindi sono almeno bravi quanto un qualsisi farmacista proprietario, nasconde che il problema vero dell’assistenza è la riforma dei medici di famiglia (purtroppo anche i pediatri), che spesso chiudono gli studi il venerdi mattina e tornano il lunedi pomeriggio e che non fanno da tempo visite domiciliari, anche se i contratti regionali le prevedonoe spressamente, contribuendo così a far collassare i pronto soccorso, altro che i consigli dei farmacisti che il sabato e la domenica chiudono, se non di turno. Chi sono i Baroni vi chiedo?
Il problema non sono le falsità che EGDL e Panza dicono, quest’ ultimo facilitato dal cognome, ma poiché non sono degli imbecilli, perché e per conto di chi le dicono. Questo mantra non é nuovo nel giornalismo italico ma chi é vecchio ricorda più o meno gli stessi attori durante il governo Prodi II (2006-2008), ministro dell’ economia Padoa-Schioppa, in cui il governo centrosinistra vinse di un pelo con un programma elettorale di centinaia di pagine, molto dettagliato su ricerca e università. Risultato articoli di Panza su Repubblica e tagli spaventosi. Con una finanziaria di trenta miliardi che investiva a parole una decina di miliardi sulla’ innovazione, dettero avvio all’ inferno dei tagli del turn over e tagliarono pure rispetto al governo Berlusconi.
Oggi se piovono articoli significa solo che hanno deciso di ripartire con l’attacco all’ Università. Non voglio fare la Cassandra ma sento odore di guai in arrivo.
Concordo.
Secondo me vogliono (il governo e i grandi quotidiani di “sostegno”):
i) lasciare il numero di PA a 20 mila;
ii) abbassare il numero di PO a 10 mila;
iii) trasformare gli assegnisti in RUa, ma a partita’ di stipendio;
iv) allungare i tempi di attesa dell’RUb;
v) mettere tutti i dipendenti del comparto Università, compresi i docenti, in un nuovo settore “para pubblico” con contratti esclusivamente di diritto privato.
vi) inserire, per legge, persone di nomina politica nei CdA delle Universita’.
vii) esautorare completamente, per legge, i Senati accademici dalla gestione economico-amministrativa delle Università.
Mala tempora currunt.
“Il problema non sono le falsità che EGDL e Panza dicono, quest’ ultimo facilitato dal cognome, ma poiché non sono degli imbecilli, perché e per conto di chi le dicono.”
Sì, senza dubbio.
Ma la stupidità è un fatto legato anche all’uso dell’intelligenza.
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https://www.youtube.com/watch?v=3uz82Vo7eWA
Ma certo, non è che uno dei numerosissimi fatti adducibili come esibizione di una radiosa evidenza: nelle linee fondamentali (e in moltissimi casi anche nei minimi dettagli) della concezione culturale-socio-politica-economica, i due cosiddetti-sedicenti poli contrapposti della ripugnante scena politico-istituzionale italiana sono letteralmente indistinguibili (come osserva Marcati, lo erano di fatto già dieci anni fa; figuriamoci ora che, a conclusione di una sana operazione-verità di brutale autosmascheramento, al timone della “”””sinistra”””” s’è issato-è stato issato homo rignanensis).
Quante ere geologiche occorreranno perché si prenda atto (arrivando magari persino a trarne le conseguenze, se e quando se ne offrirà ancora l’occasione, nel cosiddetto segreto dell’urna; che è come dire abbandonando finalmente l’ebete masochismo elettorale praticato da numerosissimi “operatori culturali” di scuola e università) dell’elementarissima evidenza che in parlamento siede, con le sole eccezioni del M5S e di quelli di Sel non ancora transumati sotto homo rignanensis (ammesso che ne esista ancora qualcuno; ma mi pare di sì), un’immane, indifferenziata destra mericanoide-confindustrial-fascioaziendal-finanziaria-liberal-liberista per la quale homo verus ac perfectus da favorire in ogni modo è l’imprenditore/manager o il finanziere immerso H24 in speculazioni (ovviamente non filosofiche) e munito di qualche metro di pelo sullo stomaco, mentre lo studioso-il ricercatore-il docente è uno che ha sbagliato pateticamente l’impostazione della sua vita, un semi-distorto mentalmente, un peso morto, un quasi-pezzente che disturba anche, in quanto pretende di essere pagato (e addirittura un po’ di più di anno in anno) in cambio delle sue oziose e improduttive prestazioni che non producono e tanto meno fanno girare i danè, insomma uno che va in parte tenuto bonino ignorandolo o facendogli false promesse a casaccio e in parte generosamente randellato?
Ho posizionato male il mio commento soprastante: doveva ovviamente figurare come risposta a quello di Marcati di oggi
Dei fisici Stalin diceva:
“prima li usiamo per costruire la bomba, e poi li fuciliamo”.
Non che abbiano fatto molto diversamente con Turing in UK, e con Oppenheimer in USA.
Se nel 1939 si mandava una lettera indirizzata a Vito Volterra presso l’Accademia dei Lincei, la risposta era
“destinatario sconosciuto”.
Solo se si è utili al sistema si viene temporaneamente risparmiati, ed a volte anche ben retribuiti. Ma poi basta un attimo per essere dimenticati ed affossati. Quello è il momento per incazzarsi veramente, e quindi
estote parati.
Quanto al caso di Volterra, fu, se la memoria non mi inganna, uno dei “ben” 12 cattedratici italici che non firmarono l’atto di fedeltà-sottomissione al verbo del burattino di Predappio. Se – ripeto – la memoria non m’inganna, non occorre aggiungere una parola per comprendere come veniva trattato nel ’39
Concordo sulla indistinguibilita’ di destra/sinistra anche perché chi scrive da dietro le quinte sono gli stessi, pero’ aggiungerei che neanche SEL e M5S brillano sulla politica universitaria. Infatti il ministro dell’ epoca era Fabio Mussi e Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi (PdCI di Diliberto) Rettore di Reggio Calabria fino a quel momento.
Oggi qualcuno sa le posizioni di Grillo e Vendola sul tema? Quelle di Salvini sono chiare, laurea a Tirana come il dr. Trota.
Quanto a M5S il programma si trova sul sito di Grillo a pg 13
http://www.beppegrillo.it/iniziative/movimentocinquestelle/Programma-Movimento-5-Stelle.pdf
alcuni punti:
• Abolizione del valore legale dei titoli di studio
• Valutazione dei docenti universitari da parte degli studenti
• Accesso pubblico via Internet alle lezioni universitarie
• Integrazione Università/Aziende
Concordo con Luca Salasnich …” Mala tempora currunt”
Mussi fu voluto, prepotentemente voluto come ministro dell’università da Fassino, uno dei più zelanti flabellatori attuali e futuri di homo rignanensis. Questo per introdurre il concetto che, staccandosi dal caso particolare e venendo al presente, il mortale problema di Sel è il legame, senz’altro indissolubile, con il Pd; tanto indissolubile che si è già avviata un’altra brutale operazione-verità, quella per cui, credo, Sel finirà per DIVENTARE (una parte del) Pd.
Quanto al M5S, del secondo punto non mi preoccuperei: direi che in qualche misura è già presente.
Il terzo corrisponde al solito pittoresco feticismo internettomane.
Veramente ferale il quarto; e indubbia l’impronta casaleggesca.
Nell’elenco cui rinvia il link vedo anche:
– Abolizione della legge Gelmini
– Investimenti nella ricerca universitaria.
Naturalmente, questo secondo punto fa bella mostra di sé anche in qualunque programma di una qualunque delle componenti dell’immane destra cui ho fatto riferimento; peccato però che lì equivalga nei fatti a “sottofinanziamento e umiliazione della ricerca universitaria”.
E’ ovvio che non esiste garanzia al mondo che il M5S, qualora mai fosse messo nelle condizioni di decidere qualcosa, darebbe davvero concretezza a quelle semplici ma decisive 4 parole. Tuttavia, chi continuerà a votare una qualunque delle componenti dell’immane destra sia almeno consapevole di avere l’assoluta garanzia che continueranno indefinitamente a tenere fede alla loro (come dire?) singolare interpretazione delle suddette 4 parole.
Inutile dire, infine, che si vorrebbero e si auspicano ben altro scenario politico e ben altre possibilità di scelta e di voto. Ciascuno rifletta però se non possa accadere magari che si creino….dopo la sua tumulazione; e, qualora non opti per la via (per me, sempre rispettabilissima) dell’astensione intesa come protesta onnilaterale, valuti se abbia senso insistere su quella che dà la certezza assoluta della perpetuazione del negativo, anzi di un ulteriore peggioramento
Ok andando oltre la preistoria (Mussi etc che aio ricordo diversamente, correttore scissione etc..) io portavo certi esempi per dire come trasversalmente sulle forze politiche esiste una potente lobby più o meno occulta che pilota le scelte universitarie . Non credo che la ministra Gelmini fosse in grado di scrivere mezzo articolo di quella legge, credo sia stata solo un taxi, come presume le stesse lobbies avrebbero potuto usare un altro taxi in un governo di segno diverso (con piccoli ritocchi di facciata). Per fare un esempio con una composizione politicamente trasversale e con persone di grande livello e’ stata la Associazione TreElle. Non so se sia ancora attiva sull’ università’, ma certamente ha avuto una influenza molto forte sulle riforme approvate e sulle politiche dei vari governi. Parecchi di coloro che scriviamo occasionalmente su ROARS non condividiamo molto i risultati di questa influenza.
Onestamente sono piuttosto scettico pero’ che forze nate solo per canalizzare la protesta più radicale riescano a strutturarsi per avere politiche di un certo spessore su un settore così delicato come università / ricerca. Quell’elenco a pg 13 dei 5 stelle lo poteva scrivere il primo che passa e elenca keywords tipiche di punti di vista incompatibili tra loro (tutto e il suo contrario).
Certo, il Pd ha una notevole tradizione, anche culturale: alle spalle, però, e stuprata-rifluita integralmente e squallidamente nell’alveo del pensiero unico ormai stradominante in Occidente, di cui non occorre certo che ricordi i capisaldi, che tiene lo studioso-ricercatore-docente nel conto che ho indicato in uno dei miei commenti di ieri, e i cui fucinatori sono indubbiamente, fra gli altri, quelli da lei ricordati, cioè anche “persone di grande livello” che hanno abbracciato quel pensiero e determinato le conseguenze che ben sappiamo e vediamo.
Della naïveté di molti aspetti del M5S non c’è bisogno di convincermi; è in buona parte quella di chi, appunto, non ha la minima tradizione alle spalle.
Resta il fatto che, se proprio devo-voglio rivolgermi a qualcuno, a puro lume di logica non mi rivolgo a indegnissimi eredi di raffinati del passato e sicari-servi di raffinati del presente che hanno imboccato da anni una via nefasta e chiarissimamente irreversibile, ma semmai a barbari entusiasti che forse devono ancora definire la loro posizione e anche per questo potrebbero (sottolineo il “potrebbero”) rappresentare un’alternativa allo straconsolidato establishment garante della certissima continuazione sulla suddetta via.
Naturalmente, lo ripeto, tutto ciò è quel che mi ritrovo a pensare in un quadro desolante e probabilmente già irreparabile
Propongo che ai docenti in pensione sia vietato, oltre che l’uso degli spazi universitari (stanza, telefono, pc, ecc.), anche le esternazioni, visto che il più delle volte sono molto lontane da una realtà che non conoscono più. Un legge speciale andrebbe fatta per i pensionati delle università private di ispirazione cattolica, specie quelle fondate da sacerdoti affaristi di dubbia moralità. Ormai parlare di università è diventato, per certi signori, un modo per avere una facile ribalta nel contesto mediatico nazionale.