Riportiamo di seguito un documento di analisi e proposta del Consiglio Universitario Nazionale, pubblicato lo scorso 11 giugno e intitolato:

Proseguendo il lavoro di analisi e di proposta sul reclutamento universitario, il documento presenta una proposta di modifica della disciplina di accesso nella carriera della docenza. Un particolare accento è posto sulla figura del Ricercatore a Tempo Determinato di tipo a).


Premessa

La legge 30 dicembre 2010, n. 240, di riforma del nostro sistema universitario, è intervenuta anche sull’accesso e sull’assetto della docenza universitaria, modificandone molti profili. Tra le innovazioni introdotte vi è l’istituzione, ad opera dell’art. 24, comma 3, lett. a) del Ricercatore a Tempo Determinato di primo livello (conosciuto anche come RTDa), figura che non trova significative corrispondenze in altri ordinamenti universitari comparabili con il nostro. In queste altre esperienze è, al contrario, diffusa la preoccupazione di assicurare stabilità agli studiosi che intendano impegnarsi nelle attività di ricerca e docenza universitaria al fine di garantire, da un lato la continuità dell’offerta formativa, dall’altro lato maggiore serenità nell’esercizio della professione. Tale condizione si traduce in un vantaggio sia per gli individui sia per il sistema nel suo complesso. Al contrario il ricercatore a tempo determinato (RTDa), pur essendo titolare a tutti gli effetti di incarichi di insegnamento, è destinato a ricoprire il proprio ruolo per un tempo limitato, da un minimo di tre a un massimo di cinque anni, senza che le università siano incentivate a programmarne una reale progressione di carriera verso l’inquadramento in ruolo.”
La l. n. 240/2010, abolendo il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato, ha così trasformato la docenza universitaria in una carriera articolata in due fasce e non più in tre. Nel far ciò ha indebitamente caricato sulle nuove figure a tempo determinato tutto il peso di questa trasformazione, allungando il periodo di precariato in modo insostenibile sia per i giovani che aspirano a entrare nel sistema sia per il sistema universitario stesso. I giovani ricercatori non possono contare su alcuna stabilità prima dei quarant’anni e non sono incentivati a investire né nell’attività didattica, che rischia di essere percepita come un peso che rallenta l’attività di ricerca, né nell’attività di ricerca di lungo respiro, che richiede necessariamente tempi lunghi e sicurezza di posizione. Anche il sistema universitario risente di questa precarietà sia nella continuità dell’offerta formativa sia nelle prospettive di sviluppo dell’attività di ricerca.
Occorre pertanto capovolgere questo paradigma e assicurare soluzioni di governo del pre-ruolo più eque, che contemplino le esigenze di una giusta selezione negli ingressi e di una corretta valutazione delle attività dei docenti selezionati, con le esigenze di stabilità e continuità lavorativa per i singoli e per il sistema.
Come richiamato analiticamente nel documento CUN del 9 aprile 2014 Reclutamento universitario: una proposta per uscire dall’emergenza il drastico calo in atto di professori ordinari e associati costituisce la principale emergenza che deve affrontare il sistema universitario italiano. Se si vuole mantenere quella elevata qualità della didattica che ha sempre contraddistinto l’università italiana, la risposta a questa emergenza non può essere il ricorso massiccio a docenti non di ruolo. Al contrario, è necessario sostenere e motivare adeguatamente l’accesso alla ricerca e alla docenza universitaria tramite misure che siano di incentivazione e valorizzazione.
Nell’intento di ribadire presso le sedi istituzionali e nella comunità accademica la centralità di un tema qual è quello connesso alle modalità di accesso alla docenza universitaria, il Consiglio Universitario Nazionale offre questa prima proposta di ridefinizione delle posizioni attualmente configurate come ricercatore a tempo determinato di tipo a) e di tipo b) nel quadro attuale della docenza delineato dalla l. n. 240/2010.
All’atto di formulare questa prima proposta, esprime la necessità di ripensare anche le posizioni successive al conseguimento del dottorato con contratti rispettosi della Carta Europea dei Ricercatori(1), nonché l’intero assetto della docenza in tutte le sue fasi, compresa la fascia ad esaurimento dei Ricercatori a Tempo Indeterminato (RTI). Sarà perciò cura di questo Consiglio predisporre, in tempi brevi, proposte che affrontino questi temi.

(1) La carta europea dei Ricercatori richiama in particolare il principio che “i datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero assicurare ai ricercatori condizioni giuste e attrattive in termini di finanziamento e/o salario comprese misure di previdenza sociale adeguate e giuste (ivi compresi le indennità di malattia e maternità, i diritti pensionistici e i sussidi di disoccupazione) conformemente alla legislazione nazionale vigente e agli accordi collettivi nazionali o settoriali. Ciò vale per i ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, ivi compresi i ricercatori nella fase iniziale di carriera, conformemente al loro status giuridico, alla loro prestazione e al livello di qualifiche e/o responsabilità”.

L’analisi del CUN

Il Consiglio Universitario Nazionale ha recentemente richiamato l’attenzione su alcune gravi carenze strutturali nella docenza italiana a confronto con gli altri paesi europei. Tra queste, in particolare, ha posto in evidenza l’eccessiva lunghezza del percorso che mediamente intercorre tra il conseguimento del dottorato di ricerca e l’ottenimento di una posizione di ruolo, con conseguente innalzamento dell’età in ingresso nelle fasce dei professori.
Considerazioni analoghe sono state effettuate anche dal Ministro, Sen. Giannini, che, presentando alle Camere le linee programmatiche per l’Università, ha ricordato che l’Italia ha il corpo docente più anziano d’Europa con un trend in rapido peggioramento al punto da essere definito “drammatico” dallo stesso Ministro.
L’anzianità del corpo docente italiano non è un problema nuovo, ma la riforma della l. n. 240/2010, modificando la struttura della docenza nella sua fase iniziale, ha pesantemente influito sulla lunghezza del percorso antecedente all’immissione in ruolo. Basti qui ricordare che oggi, con la messa a esaurimento del ruolo dei Ricercatori (RTI) e la creazione di due figure di Ricercatore a Tempo Determinato (RTDa e RTDb), l’età media di ingresso in ruolo è cautelativamente stimabile in 40 anni dato che la legge prevede un periodo massimo pre-ruolo di 12 anni(2).
A quasi tre anni e mezzo dall’entrata in vigore della nuova legge, mentre la cosiddetta tenure track (ovvero i RTDb) non è, nei fatti, decollata, la sequenza di incarichi prefigurata dalla stessa legge (Assegno di ricerca; RTDa; RTDb) ha visto quasi esclusivamente la stipula di contratti di assegnista, mentre rimane insufficiente il numero di RTDa e quasi trascurabile il numero di RTDb. Se prima della l. n. 240/10 il numero medio di RTI reclutati ogni anno era all’incirca di 1.700 unità, si rileva, dopo l’approvazione della stessa legge, una progressione del numero degli RTD, quasi esclusivamente di tipo a), come da tabella sotto riportata, a fronte di un numero crescente di assegnisti di ricerca (16.081 a fine 2013):

RTDaRTDb

Dunque, nel quadriennio il potenziale reclutamento di circa 7.000 ricercatori a tempo indeterminato è stato sostituito dalla creazione di circa 2.000 posti non di ruolo, prevalentemente di tipologia a), oltre che dal reclutamento di 3.026 RTI(3).

Questi numeri appaiono incompatibili con il modello di reclutamento previsto dalla legge stessa che avrebbe dovuto comportare un’assunzione significativa di assegnisti come ricercatori a tempo determinato di tipo a) e b). Essi testimoniano l’esclusione di fatto dal sistema universitario della maggior parte degli assegnisti di maggiore anzianità di servizio e la mancata sostituzione dei circa 2.000 docenti che mediamente escono dal servizio ogni anno e prefigurano, in assenza di interventi, una pesante contrazione dell’intero corpo docente che passerebbe, nel suo complesso, dalle 62.573 unità del 2008 alle 44.194 del 2018 (-29%)(4).
Possiamo quindi dire che questa emergenza della docenza è anche un’emergenza generazionale che rischia di segnare il futuro dell’Università e di “bruciare” intere generazioni di giovani studiosi.
I giovani ricercatori, tra l’altro, vivono una condizione di sostanziale precarietà e incertezza, in netto contrasto con le migliori pratiche europee e con i principi comunitari sanciti dalla Carta Europea dei Ricercatori richiamata anche dalla stessa l. n. 240/2010.
La Carta richiama infatti diversi principi cui i datori di lavoro, compresi i soggetti pubblici, dovrebbero attenersi relativamente alle condizioni di lavoro dei ricercatori in tutte le fasi della loro carriera. In particolare afferma che:

i datori di lavoro e/o finanziatori dovrebbero garantire che le prestazioni dei ricercatori non risentano dell’instabilità dei contratti di lavoro e dovrebbero pertanto impegnarsi nella misura del possibile a migliorare la stabilità delle condizioni di lavoro dei ricercatori, attuando e rispettando le condizioni stabilite nella direttiva UE sul lavoro a tempo determinato.

Significativo è il richiamo alla direttiva sul lavoro a tempo determinato, che mira a prevenire gli abusi derivanti dal ricorso a contratti successivi di durata determinata.
E’ altresì da evidenziare che lo stato giuridico dei ricercatori a tempo determinato è particolarmente fragile in quanto lascia all’autonomia degli atenei la definizione di aspetti importanti relativi alla libertà di ricerca e ai diritti dei ricercatori. Si vuole qui richiamare, fra gli altri, il problema della presenza dei ricercatori negli organi di governo degli atenei; tale presenza viene sancita come principio nella Carta Europea dei Ricercatori per proteggere e promuovere gli interessi individuali e collettivi dei ricercatori.

(2) Il percorso di lunghezza massima previsto dalla l n.240/10, prendendo come inizio l’ottenimento del dottorato a 28 anni, si può schematizzare in quattro anni di assegno di ricerca, cinque anni del primo contratto da RTD (tipo a) e tre anni del secondo contratto RTD (tipo b). In questo schema l’età di immissione in ruolo come professore associato sarebbe di 40 anni.
(3) Ricercatori a tempo indeterminato reclutati grazie al piano straordinario ex comma 650, art.1 della l. n. 296/06. 4(4) Vedi il citato documento CUN del 9 aprile 2014.

La proposta del CUN

 Il CUN ritiene che per rafforzare l’assetto della docenza universitaria sia necessario ripensare la disciplina di accesso al ruolo di professore. Reputa altresì doveroso il rispetto dei principi costituzionali secondo i quali l’accesso ai ruoli pubblici deve avvenire mediante efficaci procedure di selezione di natura comparativa, idonee ad accertare il possesso delle competenze e delle professionalità necessarie al miglior assolvimento dei compiti e delle responsabilità, che, nell’unitarietà della funzione docente, il nostro ordinamento assegna alle diverse fasce. A tal fine pertanto propone che:

  • sia superata la duplice figura RTDa e RTDb;
  • sia istituita una nuova figura di Professore a tempo determinato, titolare di una posizione di durata quinquennale, per l’accesso alla quale, previa idonea selezione pubblica comparativa che comprenda la valutazione delle competenze scientifiche e didattiche, è richiesto il possesso del titolo di dottore di ricerca(5);
  • il professore a tempo determinato sia confermato a tempo indeterminato con il nome di Professore Associato, previa acquisizione, entro i cinque anni, dell’ASN che ne certifica la maturità scientifica. La disponibilità delle risorse necessarie in caso di inquadramento in ruolo deve essere assicurata dall’ateneo nel momento in cui si costituisce il rapporto di lavoro con il professore a tempo determinato;
  • nel rispetto dell’autonomia universitaria, il consiglio di amministrazione, acquisito il parere del consiglio di dipartimento, proceda all’inquadramento nel ruolo di professore associato. Il consiglio di dipartimento, solo con motivata delibera approvata a maggioranza assoluta degli aventi diritto, può proporre al consiglio di amministrazione di non procedere all’inquadramento;
  • il Professore a tempo determinato abbia gli stessi diritti e prerogative degli attuali professori associati e ordinari per quanto riguarda gli aspetti legati alla ricerca (responsabilità di progetti nazionali e internazionali), sia membro effettivo del consiglio di dipartimento, abbia l’elettorato attivo alle cariche accademiche e che assuma gradualmente incarichi didattici e organizzativi coerenti con quelli dei professori di ruolo.

Per quanto riguarda l’aspetto non marginale della denominazione della nuova figura di Professore a tempo determinato, quella di assistant professor in uso nei sistemi anglosassoni non appare adottabile in Italia per il diverso significato che ha avuto la figura dell’assistente in Italia, poi cancellata dal d.P.R. n. 382/1980 e, poiché le denominazioni in uso in Spagna e Francia non sono direttamente traducibili in italiano, il CUN propone di rimettersi all’esempio tedesco che ha introdotto, con la riforma della docenza del 2001, la figura dello Junior Professor come primo livello della docenza. Pertanto il CUN propone di dare al nuovo Professore a tempo determinato la denominazione di Professore Iunior.
A queste misure normative è imprescindibile associare un congruo stanziamento di risorse che consenta il reclutamento di almeno 10.000 Professori Iunior nel quinquennio 2014-2018, rispondendo così alle esigenze di reclutamento evidenziate nel documento del CUN del 9 aprile 2014.

(5) oppure altro titolo previsto dalla legge

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40 Commenti

  1. …già, poveri rti. Veramente, il risultato finale della Gelmini è stato di stra-favotire proprio loro. Di fatto, la quasi totalità dei fondi viene utilizzata per il passaggio da rti a pa. Ciò non si trasforma in una promozione in massa solo perché il sistema è sottofinanziato. Poi che significa abbiamo ottenuto solo il 24 comma 6. E cosa si doveva ottenere di più? Promozione ad associato per meriti didattici e anzianità senza neppure il filtro asn?
    Tom

    • Plantamura, non so di che parli.
      Dall’anno 1996 il mio ateneo non bandisce posizioni da associato o ordinario nel mio SSD, che in tutta Italia ha visto bandire solo una manciata (letteralmente) di idoneità ad associato dal 2004 a oggi.
      Questo è il quadro di partenza, cui va aggiunta la constatazione che tutti i colleghi del settore hanno incarichi didattici.
      Quando parli di promozione in massa, evidentemente scordi che i c.d. “promuovendi” (10800 RTI tra cui il sottoscritto) hanno conseguito l’abilitazione e, in moltissimi casi, stanno nelle condizioni sopra descritte.
      Quanto alla genesi dell’art. 24 comma 6, a detta di Valditara è una conseguenza dell’estremismo dei veri estensori della L.240 e del loro “sorpasso a sinistra”.
      Te li ricordi i bei tempi del Dura lex sed lex?

  2. “il risultato finale della Gelmini è stato di stra-favotire proprio loro”
    ________________
    Come dovremmo interpretare? “Stra-favorire” o “stra-fottere” o qualcosa che non si capisce bene ma che potrebbe voler dire favorire alcuni RTI e fotterne altri?

  3. ..su, De Nicolao, tentiamo almeno di evitare il linguaggio triviale. Stefano, non mi sembra che prenderla dal 96 abbia senso per valutare una legge del 2010. Di fatto,la stesura finale della Gelmini favorisce gli rti. Questo è un fatto,non una mia opinione,che è appunto dimostrato dall’ utilizzo della stragrande maggioranza dei punti disponibili per la promozione da rti a pa. Che poi i fondi siano pochissimi, come sono,o moltissimi,come ci piacerebbe, non ha alcuna attinenza con i meccanismi delineati dalla legge Gelmini.
    Chiarisco un ultimo punto: per me tutti gli rti abilitati dovrebbero diventare associati, e trovo odioso che alcuni lo siano già diventati o lo diventeranno a breve e altri no,solo in base alle disponibilità. Ma la promozione se la meritano gli rti abikitati, con o senza carico didattico, non gli rti con carico didattico ma senza abilitazione. E lo scrive uno che, allo stato, è proprio un rti con carico didattico ma senza asn, che è abituato a dire le cose come stanno e non come gli convengono.
    Tom

    • Mi spiace aver turbato la sensibilità di qualcuno, ma un lapsus calami può essere freudiano. E, infatti, ho indovinato. Come scrive Plantamura: “trovo odioso che alcuni lo siano già diventati o lo diventeranno a breve e altri no,solo in base alle disponibilità.”

    • Tom, la legge favorisce gli RTI perché ha creato una competizione insostenibile: l’abbiamo ripetuto molte volte. Un RTDb costa 0.7 (1 punto se legato a uno scorrimento PA->PO) a fronte di uno 0.2 di uno scorrimento RTI->PA. Con la cifra di un RTDb si mandano avanti 3 RTI e mezzo, i quali sono persone che, vuoi o non vuoi, in questi anni si sono anche fatte chili di didattica oltre ad avere responsabilità proprie del loro ruolo di strutturati.
      La competizione l’ha creata la legge e non è vero, quindi, che non c’è attinenza tra carenza di fondi e meccanismi, perché l’RTI costava meno e non era in competizione con strutturati per diventare associato.
      .
      Sul fatto che l’ASN riconosca in assoluto il merito: sappiamo che non è vero. Diciamo che ci sono vari casi in cui questo è successo.
      E che ci sono altri casi per cui questo deve ancora succedere.
      .
      Infine, se non era chiaro, non ero per una ope legis per gli RTI e sono d’accordo nel distinguere reclutamento da avanzamento. Ma la situazione in questo periodo non è normale, si sono creati numeri insostenibili di ricercatori strutturati e non, per i quali trovare soluzioni reali adesso non è facile.

  4. ..non si tratta di lapsus calami, ma di micro-telefono con tastiera che andrebbe bene per le dita dei puffi, e non per le mie, e la r e la t sono una a fianco all’altra.
    Utilizzando il pc, tento ora di chiarire meglio il mio pensiero, e di riportare altri fatti forse di un certo interesse, senza incorrere in errori di battitura:

    1) l’impianto originario della l.g. -ovviamente, mi riferisco in particolar modo ai meccanismi di reclutamento e progressione- non era contro gli rti e a favore dei precari (come erroneamente sostenuto da Stefano), ma contro l’esistente e a favore del futuro, ovverosia contro sia gli rti che i precari, e a favore di una nuova generazione di studiosi ancora da crescere, non considerando o, comunque, sfavorendo, tutto il pre-esistente;
    2) tanto è vero che l’ideatore di tali meccanismi, di fronte alle lamentele di un mio amico dell’APRI -allora precario, oggi rti, noto anche in questa sede- rispose che l’errore era il nostro, cioè dei precari più meritevoli, che erano voluti rimanere inspiegabilmente in Italia, invece di espatriare come aveva fatto lui, e quindi non ci potevamo lamentare: peggio per voi che siete rimasti in Italia!;
    3) durante il lungo iter della l.g., ogni volta che ho sentito in tv qualcuno che si spendeva per i precari dell’università, stava parlando (paradossalmente) degli rti, e questa mistificazione degli rti come precari è continuata anche dopo;
    4) il risultato della l.g. così come approvata, senza dubbio con una sorta di eterogenesi dei fini, di fatto favorisce gli rti (e quindi parte del pre-esistente), anche se in un sistema sotto-finanziato si tratta di un favore relativo, ma ciò dipende appunto dal sotto-finanziamento, e non dai meccanismi di reclutamento e progressione delineati dalla l.g.;
    5) ribadisco che mi pare odioso che non tutti gli rti meritevoli, perché abilitati, possano diventare pa, ma che possano diventarlo solo quelli che hanno la fortuna di trovarsi in uni. o dip. più finanziato (e qui il problema principale è Monti, oltre che poi la Carrozza, con la possibilità di stornare il turnover di una uni a favore di un’altra), o per altri motivi contingenti che però nulla hanno a che vedere col merito scientifico necessario, per definizione comune a tutta la categoria
    degli rti abilitati;
    6) i più sfavoriti dai meccanismi della l.g. sono i precari, e per precari non intendo i dottorandi, ma proprio precari, cioè gente che ha fatto il dottorato, poi anni di post dottorato (nella maggior parte dei casi come assegnisti), ORA HA PRESO L’ABILITAZIONE, e magari è a casa senza uno stipendio e non sa come tirare avanti la famiglia;
    7)in conclusione, ribadisco che ritengo che tutti gli rti abilitati dovrebbero poter essere promossi a pa (e non tutti gli rti anziani o con carico didattico, che poi carico non è, visto che è su base volontaria),e l’attuale situazione, in cui, A PARITA’ DI MERITO, Tizio può esserlo, mentre Caio no, in base a circostanze del tutto contingenti, crea una disparità odiosa.
    8) tuttavia, la VERA EMERGENZA mi pare quella dei PRECARI ABILITATI, spesso senza alcuna fonte di sostentamento, che nell’attuale sistema delineato dalla l.g., praticamente, non hanno possibilità di entrare in alcun ruolo, nonostante il loro merito scientifico.
    Chiedo scusa anticipatamente a De Nicolao per eventuali errori/orrori, pur con la tastiera più idonea.
    Tom
    P.S.: quando io dissi che bisognava inserire il comma 6 dell’art.24, cioè che bisognava dare agli rti la stessa possibilità di progressione dei nuovi rtd, ché altrimenti la legge sarebbe stata, mi cito testualmente, “sfacciatamente incostituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.”, io ero un precario che parlava a nome dell’associazione dei precari, ma nella specie a favore degli rti (in realtà a favore della giustizia), mentre non ho mai visto altrettanta sensibilità da parte degli rti verso i precari. Comunque, quando espressi questa opinione, sia Possa (il presidente) che Valditara (seduto accanto a lui, come relatore della legge) fecero ampi gesti di approvazione, quindi mi parve di capire che la cosa fosse stata già considerata pure da loro negli stessi termini.

    • Plantamura-Bombadil,
      cancello la mia interminabile e alquanto polemica risposta ai tuoi due ultimi post, limitandomi a segnalare che il post delle 17.15 è l’ammissione di un colossale fallimento politico, prevedibile visto con chi eravate alleati voi “precari più meritevoli” (viva la modestia!). Ovvero CON una manciata di ultras anglo-‘amerikani’ pregiudizialmente ostili all’Università pubblica, CONTRO tutti quelli che già lavoravano nell’università italiana (40.000 tra associati e rti più parecchie migliaia di dottorandi e assegnisti con legittime aspirazioni di ingresso nei ruoli).
      Il risultato è stato risultato ovviamente -e prevedibilmente- assai negativo per la stessa Università e sicuramente contrario agli interessi di quei “precari” di cui rivendicavate la rappresentanza.
      Quanto al tuo post odierno delle 20.45 sì, nel quadro delineato dal vostro amico della L. 240 (che peraltro dovrebbe avere il buon gusto di manifestarsi, un giorno o l’altro), ero favorevole a una promozione generalizzata a fronte del blocco totale della progressione di carriera degli RTI.
      Tuttavia sono costretto a ricordarti che, oltre a tenere con buon successo incarichi didattici da una decina d’anni, ho conseguito l’ASN.

  5. Lilla,a me pare che siamo d’accordo su tutto. Il nesso con i costi c’è eccome ed e proprio quello che indichi tu. Io volevo solo aggiungere che è ovvio che pure la categoria relativamente favorita, cioè gli rti, rispetto ai precari e, se pur in misura minore, anche rispetto ai pa, in senso assoluto non risulta poi così favorita in un sistema sottofinanziato.
    L’asn non è perfetta, ma complessivamente mi è parsa meglio di molte cose viste prima, e soprattutto è stata giustamente ad asticella alta.
    La mia risposta non era indirizzata a te ma a Stefano, perché mi sembra che,a prescindere dalle volontà iniziali,gli rti non hanno ragione di lamentarsi di un complesso di meccanismi che li favorisce….a meno che l’idea sia la promozione in base ad anzianità e/o didattica,senza valutazione del merito scientifico:posizione rispetto alla quale sarei in totale disaccordo.
    Tom Bombadill- Tom Bombadillo

  6. …Stefano, noi dell’ apri non siamo stati mai alleati con nessuno, per altro, a titolo personale e al di fuori dell’ associazione gli apristi che fanno politica la fanno tutti col pd, quindi la teoria dell’ alleanza con il pdl proprio non regge nei confronti di un’associazione la cui quasi totalità dei soci è di sinistra.
    Per il resto, mi pare che hai frainteso quanto scritto, il mio amico non era l’ideatore della 240 ma il precario che di fronte ad un progetto di legge che chiudeva le porte anche ai più meritevoli dei precari, si sentì rispondere che male avevano fatto i precari meritevoli a restarsene in Italia e non espatriare. Lascio giudicare a te se questa è la risposta di un alleato.
    Ovviamente,poi, la circostanza che tu abbia successivamente conseguito l’abilitazione non ha alcun rilievo rispetto al fatto che quando sostenevi,come mi pare di capire, la promozione ope legis degli rti titolari di insegnamento, eri su di una posizione,a mio avviso,tanto sbagliata quanto corporativa.
    Tom

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