Il sistema della valutazione della ricerca cinese è primitivo e non è attualmente in grado di produrre effetti positivi per lo sviluppo della scienza del paese. Se non verranno rapidamente prese misure per renderlo efficiente ed equo c’è il rischio che le enormi risorse investite nella ricerca non generino un inadeguato ritorno.

Oggi tutti ammiriamo il rapido sviluppo economico cinese – ed allo stesso tempo lo temiamo. Anche nel settore scientifico assistiamo ad un’espansione straorinaria: dopo anni di incrementi a due cifre percentuali, tra il 2011 ed il 2012 la spesa per R&S in Cina è aumentata del 18%. Naturalmente un così rapido sviluppo richiede tempestivi ed efficaci aggiustamenti politici, sociali, gestionali, valoriali, come abbiamo potuto verificare nel nostro paese dopo il boom economico degli anni 60.

Nel campo della valutazione della ricerca e dell’innovazione la Cina è decisamente indietro e deve affrontare seri problemi, pena la vanificazione degli enormi sforzi che sta compiendo. L’OCSE, nel rapporto “OECD Reviews of Innovation Policy: China”[1], osserva che:

“ Prima del 1994 non esistevano programmi professionali di valutazione della S&T. Finora, la cultura, la pratica, la capacità e la struttura istituzionale della valutazione sono ancora inadeguate in tutto il paese.”

“La valutazione può svolgere un importante ruolo nel processo di apprendimento nella formazione delle politiche, oltre che nell’assicurare la rendicontabilità, l’efficienza e la trasparenza della gestione dei programmi. La debolezza dei meccanismi attualmente disponibili fa sì che la funzione della valutazione nel fornire riscontri nel processo di formazione delle politiche sia limitato. Inoltre, quando la valutazione è affidata ad agenzie collegate all’attuazione delle politiche, è difficile che dette agenzie possano fornire ai decisori una valutazione critica e indipendente delle politiche e degli strumenti.”

L’OCSE formula le seguenti raccomandazioni.

Rafforzare la cultura e la competenza nel campo della valutazione. Il governo della politica scientifica e tecnologica cinese trarrebbe beneficio da una più solida cultura della valutazione. Le competenze necessarie possono essere sviluppate mediante la creazione di gruppi di ricerca, di piattaforme per gli esperti e per gli utenti della valutazione, ed il paese potrebbe trarre vantaggio dalle reti internazionali al fine di beneficiare delle migliori pratiche internazionali. La valutazione dovrà diventare un elemento caratteristico nella progettazione e nella gestione dei programmi e nell’allocazione dei fondi alle istituzioni di ricerca.”

Istituzionalizzare la valutazione ed assicurare il suo impatto. Attualmente la valutazione non è né istituzionalizzata, né fa  parte integrante della gestione dei programmi di R&S. Il governo dovrebbe far diventare la valutazione indipendente un importante strumento di gestione dei programmi e delle politiche pubbliche. Al fine di assicurare indipendenza e impatto la valutazione dovrebbe essere istituzionalizzata e dotata di risorse adeguate.”

Fin qui l’analisi di un’organizzazione intergovernativa che, ovviamente, non può che usare un linguaggio diplomatico e che deve evitare di travalicare limiti che potrebbero urtare la suscettibilità dei governi – peraltro la Cina non è membro dell’OCSE.

Fortunatamente i membri della comunità scientifica possono essere, nelle loro analisi, ben più “graffianti” delle organizzazioni internazionali. E’ il caso di un articolo apparso su Nature dal titolo “Reforming China’s S&T System”[2]. A proposito di valutazione, gli autori mettono a nudo un sistema con molte ombre. Sostengono infatti che in Cina da un lato vi è una scarsa cultura della valutazione delle prestazioni e, dall’altro, si è affermato un orientamento verso il “publish or perish”, specialmente nei confronti delle pubblicazioni nelle riviste dello Science Citation Index (SCI). Gli autori affermano che le pubblicazioni sullo SCI sono diventate un parametro inappropriato nella valutazione dei programmi di ricerca, delle istituzioni e degli scienziati. L’Istituto sull’Informazione Scientifica e Tecnologica della Cina stila la graduatoria delle università e degli istituti di ricerca sulla base delle pubblicazioni sullo SCI, e molte istituzioni giudicano e promuovono gli scienziati meccanicamente sulla base del numero di pubblicazioni sullo SCI e dell’impact factor delle riviste. Coloro che sono in grado di produrre articoli ad alto impatto nello SCI tendono ad essere avvantaggiati nella competizione. Di conseguenza, gli scienziati sono motivati a pubblicare senza sosta per ottenere riconoscimenti e finanziamenti piuttosto che a trovare vere soluzioni ai problemi sociali. Gli autori dell’articolo mettono in luce un altro aspetto, quello dell’impatto negativo della valutazione sullo sviluppo delle carriere: scrivono che il sistema delle promozioni nelle carriere è diventato, per un ristretto numero di persone che fanno parte delle commissioni giudicatrici, un’opportunità per acquisire posizioni di potere che hanno un’influenza determinante per segnare il destino dei candidati. In alcune istituzioni il processo non è né trasparente né equo, visto che le regole per la valutazione non sono chiare o non vengono applicate adeguatamente. Questo modo di procedere può condurre alla corruzione, poiché le promozioni possono essere ottenute mediante il guanxi, il potere amministrativo e burocratico, o addirittura attraverso il pagamento di tangenti. Si registrano, infine, casi di conflitto di interessi che, in un contesto di guanxi, porta a far sì che scienziati passati a svolgere funzioni amministrative spesso ricevono immeritate valutazioni positive e fanno rapidamente carriera.  

Il sistema della valutazione della ricerca cinese, così come delineato dalle due fonti citate, è decisamente inadeguato. Se la Cina vuole raggiungere i livelli di efficienza e di efficacia dei paesi più avanzati dovrà mettere mano, nel campo della scienza, ad una nuova “rivoluzione culturale”. Ciò consentirà di trarre i dovuti frutti dall’enorme investimento in ricerca che il paese sta facendo ormai da molti anni. Ma le rivoluzioni culturali richiedono tempo e, soprattutto, quella che una volta veniva chiama “volontà politica”[3] (ma chi saranno le nuove guardie rosse?).

 



[1]OECD Reviews of Innovation Policy: China, OECD, Paris, 2008

[2]Cong Cao, Ning Li, XiA Li, Li Liu, Reforming China’s S&T System, Science, vol. 341, 2 August 2013, pp. 460-462.

[3]E’ alquanto difficile ritenere che, nell’attuale sistema politico cinese, possa affermarsi un assetto di check and balance come quello italiano in cui dialogano – e talvolta configgono – il MIUR, l’ANVUR, ed espressioni della comunità scientifica come ROARS. Nel complesso si può affermare che nel campo della valutazione della ricerca il nostro paese, pur con tutti i suoi ritardi e le sue manchevolezze, può rappresentare un utile punto di riferimento per la Cina – forse, esagerando un po’, si potrebbe dire che anche l’esperienza della valutazione può essere parte integrante del “made in Italy” .

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