La settimana ROARS: 23 – 29 giugno 2014

Una rapida sintesi dei contributi pubblicati
nel corso della settimana appena conclusa.

  • “Chiudere qualcuna delle svariate decine di università in eccesso, di livello mediocrissimo, disseminate nella Penisola, le quali assorbono risorse molto meglio utilizzabili altrove”: questa la lungimirante e meditata ricetta lanciata dall’articolo di fondo del Corriere della Sera di oggi. Ma come decidere chi rottamare? Forse, ce lo può dire il Sole 24 Ore che questa settimana ha pubblicato la classifica delle migliori università italiane. E chi svetta nella classifica della qualità della ricerca elaborata a partire dalla “fotografia dettagliatissima e, soprattutto, certificata” fornita lo scorso luglio dall’ANVUR? A sorpresa, vince Macerata, che infligge un pesante distacco a Salerno, Verona, Trento, per non dire del Politecnico di Milano, letteralmente umiliato dall’ateneo marchigiano. Ma ci si può fidare? (La classifica del Sole 24 Ore: Macerata e Salerno al top per la ricerca … o no?)
  • Agli editorialisti del Corriere, che vedono giunto il momento delle rottamazioni irrevocabili, forse sfugge che c’è una massiccia rottamazione già in atto. A partire dall’addottoramento circa un terzo dei dottori di ricerca abbandona l’università mentre il 96,6% degli assegnisti non continuerà a fare ricerca (Intervista al segretario dell’ADI). Che fossero troppi? In sei anni, i posti di dottorato sono calati del 20%: ne restano 35mila, contro i 70mila della Francia, i 94mila della Gran Bretagna e i 208mila della Germania. In rapporto alla popolazione, siamo il terzultimo paese in Europa (La rottamazione all’incontrario). In questi venti anni l’Università ha pagato un altissimo tributo al risanamento delle finanze del Paese: limitazioni del turnover, tagli, blocco degli scatti stipendiali, azzeramento dei fondi di ricerca, burocrazia insopportabile, pseudo-sistemi di valutazione. Nel frattempo il risanamento dei conti pubblici non c’è stato e, anzi, il debito è aumentato (N. Casagli, Vent’anni dopo (atto II)).
  • Il treno sferragliante dell’abilitazione nazionale continua la sua faticosa marcia, rinfrancato dall’arrivo della tanto attesa proroga. Vengono riportate in vita le commissioni decadute alla fine di maggio, prolungandone i lavori fino al 30 settembre. Viene anche prorogato il piano straordinario associati fino al 31 marzo 2015 e viene sospeso sine die il bando della terza tornata (Ecce proroga (e sospensione) dell’ASN). Intanto, continuano gli strascichi della prima tornata: pubblichiamo un contributo di Rosa Rota sulla revisione delle procedure ASN e una lettera al Ministro di un gruppo di candidati del settore concorsuale 08/A2 (Cahiers de doleASN: documentazione ASN e VQR). Che l’attuale configurazione dell’abilitazione scientifica non sia sostenibile risulta chiaro anche alla Commissione cultura della Camera che ha approvato all’unanimità una risoluzione diretta al governo (Risoluzione sull’ASN della VII Commissione della Camera).
  • Di fronte all’accartocciarsi dei castelli burocratici da lei progettati, l’ANVUR declina ogni responsabilità. AVA? Ce lo chiede l’Europa! Ma è proprio vero? (Cosa ci chiede l’Europa su AVA e dintorni (I)). La Babele bibliometrica in cui si è impaludata l’ASN? Niente paura, basta prendere esempio dal Brasile che “ha una anagrafe della ricerca bellissima” (ed è vero). D’altronde, “l’anagrafe, se si decide di farla in pochi mesi si fa” (e questo, purtroppo, è proprio falso) (Fantoni: Quella brasiliana è bellissima). Nel momento in cui si imporrebbe una seria revisione esterna dell’operato dell’agenzia, l’ANVUR vara un autoreferenziale centro studi per la bibliometria di stato, inaugurando un modello senza precedenti nel mondo libero (L’ANVUR lancia il “centro studi per la bibliometria di Stato”).
  • Il sito lavoce.info pubblica una lettera firmata da 40 accademici che esprime perplessità sulla nomina del nuovo presidente dell’Istat, Giorgio Alleva. Il gruppo dei firmatari, composto da 13 redattori de lavoce.info e da 9 sostenitori/candidati della lista Fare per Fermare il Declino (FID), chiede il ricorso a soglie minine di qualità citando i criteri ANVUR. Ma questi criteri, già così controversi in ambito accademico, sono adeguati per selezionare un presidente dell’ISTAT? (Gli economisti che hanno in tasca la verità). Già che ci siamo, potremmo risolvere bibliometricamente anche l’annoso problema dell’uovo e della gallina. I nostri lettori saranno certamente curiosi di conoscere quale sarebbe il responso certificato dall’ANVUR (L’ANVUR e l’annoso problema dell’uovo e della gallina).
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2 Commenti

  1. I liberali e i moderati italiani hanno sempre avuto l’istruzione di massa in gran dispetto, e – come gli epigoni odierni (i Galli della Loggia, i Panebianco, ecc.) – hanno applicato lo stesso stereotipo lungo i decenni.
    Ad esempio, Giovanni Gentile, nella lettera aperta al Ministro della Pubblica Istruzione On. Berenini, pubblicata sul «Resto del Carlino» il 4 maggio 1918, fu molto esplicito:
    «L’idea mia, dunque, è che le scuole tenute dallo Stato devono essere poche, ma buone; e potrei dire: poche, ma scuole!
    L’istruzione media è incontestabilmente funzione essenziale dello Stato. Ma ciò non importa che l’estensione, in cui tale funzione deve esplicarsi, abbia ad essere tale che tutti i cittadini possano egualmente usufruirne… la scuola media deve essere sgombrata da tutta questa folla, che vi fa ressa, e abbassa ogni giorno più il livello degli studi, deprimendo la cultura nazionale…
    E così pure vorrei dirle, Eccellenza: troppe università, troppi professori universitari! Anche qui, sfrondare, recidere, se si vuoi salvare ciò che è vitale, e che deve vivere. Prenda Ella in mano la scure; e avrà con sé quanti italiani amano sinceramente la proprietà intellettuale e la grandezza della Patria». G. Gentile, Esiste una scuola in Italia? in «Resto del Carlino», 4 maggio 1918.
    [tratto da: STORIA DELLA SCUOLA ITALIANA (Fabrizio Dal Passo)]

    • In effetti, sembra esserci una corrente che attraversa decenni se non forse più di un secolo. L’allargamento dell’accesso all’istruzione è istintivamente percepito come un intollerabile spreco. Come se fosse sottintesa una struttura socio-culturale immobile che, a dispetto di tutte le possibili rivoluzioni tecnologiche e sociali, non contempla un’espansione delle conoscenze richieste alle varie categorie di cittadini. È un mantra di grande potenza, molto più persuasivo dell’evidenza delle statistiche internazionali. Da noi l'”università di massa” viene dipinta come fenomeno epocale e in qualche misura catastrofico. In realtà è solo inseguimento stentato della crescita dell’higher education nel resto del mondo. Talmente stentato da averci portato recentemente fino a retrocedere all’ultimo posto in Europa.
      Certamente contribuisce a tutto ciò lo spazio concesso a opinionisti che scrivono di cose che non capiscono e non conoscono.

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