ABRAVANEIDE – Atto II

«Mazzabubù,  quanti svarioni stanno quaggiù?» Potrebbe essere questo il titolo più adeguato per una recensione di “La ricreazione è finita” di Roger Abravanel e Luca D’Agnese. È passato poco più di un mese dalla pubblicazione e la lista si allunga di giorno in giorno: fuoricorso che esisterebbero solo in Italia, università quasi gratuita, età media dei laureati 4-5 anni maggiore delle altre nazioni, laureati in fisica a Padova dipinti come  nerd con la testa tra le nuvole e senza lavoro mentre il vero tasso di occupazione è 96,1%. Secondo i due tuttologi “made in McKinsey”, l’Italia è fanalino di coda in Europa per la mobilità verso l’estero, ma bastano pochi clic di mouse per scoprire che Eurostat dice tutt’altro. Ma forse siamo noi a sbagliare quando prendiamo sul serio la loro opera, che più che esssere un saggio, rientra nel genere letterario delle fiabe, le fiabe del Mago Abravanel.

… e, in appendice, un regalo per grandi e piccini: l’Abravaneide illustrata!

Per leggere il primo atto:

I link a tutte le puntate dell’Abravaneide, l’epica raccolta degli svarioni di Abravanel:

 

Abravanel_DAgnese

1. La ricreazione (degli altri) è finita

Roger Abravanel e Luca D’Agnese hanno scritto un libro dal titolo vagamente minaccioso: “La ricreazione è finita”, che ricicla il titolo di un libro del 1986, edito dal Mulino. Chi ha una certa età ricorderà anche Giovanni Agnelli che nel 1990 anunciò «la festa è finita». Il problema è che, ieri come oggi, per molti non era nemmeno cominciata, ma questo è un altro discorso, che richiederebbe un aforisma alla Ricucci.

Fin dalle prime pagine, il libro appare difficilmente classificabile. Una via di mezzo tra un manifesto per la riforma dell’istruzione, sulla scia del precedente “Meritocrazia”, e uno di quei manuali di auto-aiuto, di cui il famoso “Come trattare gli altri e farseli amici rappresenta il prototipo. Non a caso, sotto il titolo minaccioso, il sottotitolo promette una via di uscita: “scegliere la scuola trovare il lavoro”.

La tesi di fondo è che il vero problema che affligge i giovani in cerca di occupazione non è tanto la crisi economica, quanto la carenza di soft skills ed  “etica del lavoro”, che, ancor più delle competenze tecniche, sono il requisito imprescindibile per farsi strada nel mercato del lavoro. Ed ecco che la responsabilità si ripartisce tra la famiglia e la scuola, non senza colpevolizzare i giovani italiani che “di solito non sono capaci di costruirsi una proposta vincente per il datore di lavoro”.

Una specie di manuale del perfetto candidato per i lavori intermediati dalle agenzie interinali, ritenute dagli autori “i maggiori alleati dei neodiplomati e neolaureati”. Sbaglierebbero i giovani ad accostare questo business al caporalato – ammoniscono Abravanel e D’Agnese. Non solo farebbero torto alle migliaia di professionisti che vi lavorano, ma correrebbero pure il rischio di trascurare le straordinarie opportunità per il proprio sviluppo personale che tali aziende offrono.

Nel primo capitolo, è la famiglia ad essere messa sul banco degli imputati, in quanto “responsabile di miti e luoghi comuni dagli esiti nefasti per il futuro lavorativo dei più giovani”. Il capitolo contiene diverse briciole di saggezza, che mescolano paternalismo  d’antan e sociologia da salotto. Diverse affermazioni richiederebbero uno straccio di riscontro, ma il capitolo non ha note e, lungo tutto il libro, se ne vedono sì e no una decina. Il più delle volte, gli autori hanno l’accortezza di stare sul generico, rendendo vano un qualsivoglia tentativo di fact checking:

Oggi la maggioranza dei ragazzi italiani che finiscono la scuola e l’università, non utilizzano quanto potrebbero questo strumento [internet] così efficace. Per loro il network digitale è quasi sempre e solo social (farsi degli amici e comunicare con loro) e non professionale.

In un colpo solo, si rassicurano le generazioni più anziane e si ribadisce una lettura paternalistica. I giovani avranno pure maggiore dimestichezza con le tecnologie digitali, ma perdono il tempo a giocare, invece di usarle professionalmente. Sembra di tornare agli anni ’90 quando si comprava il personal computer al figlio adolescente per prepararlo ai lavori del futuro, ma poi lo si sgridava perché passava le giornate incollato ai videogiochi. Nel terzo millennio, basta aggiornare il copione, dando la colpa al social: sempre attaccati a facebook, whatsapp e instagram, ‘sti scioperati.

Ma, di tanto in tanto, gli autori citano qualche riferimento un po’ più preciso. Per esempio, quando imputano alle famiglie la paura di emigrare.

Fanalino

Il lettore ingenuo non può fare a meno di pensare che la coppia Abravanel-D’Agnese parli a ragion veduta quando cita delle statistiche (pur non precisando la fonte). Gli italiani son più mammoni di Inglesi, Francesi, Tedeschi e Spagnoli, per citare solo le maggiori nazioni europee? Sì, non sono chiacchiere. Che noi siamo “il fanalino di coda” ce lo dicono le statistiche!

2. Gli italiani, un popolo pigro?

Bisogna dire che Roger Abravanel non brilla per affidabilità quando riporta dati e statistiche. In più di un caso, abbiamo verificato che citava dati inesatti. Ecco alcuni esempi:

  • «siamo gli unici al mondo che abbiamo i fuori corso», ma non è vero;
  • «La nostra università laurea persone troppo anziane. Il mercato del lavoro vuole dei giovani a 28 anni, media 27 anni, si è troppo vecchi per il lavoro», ma le statistiche OCSE dicono che l’età media dei laureati italiani è 26 anni ed è di poco inferiore alla media OCSE:
  • «ci sono settecento 100 e lode alla maturità in Calabria e 26 in Lombardia», ma secondo i dati del Ministero sono 195 in Calabria e 157 in Lombardia;
  • «La nostra università è gratuita», mentre invece è la terza più costosa in Europa dopo Regno Unito e Paesi Bassi.

Non sono distrazioni passeggere. «I fuori corso esistono solo da noi» viene ripetuto anche a pag. 17 del libro.

Idem per l’età dei laureati: a pag. 178, pur correggendo lievemente il tiro sull’età media  dei laureati italiani (“ventisei-ventisette anni”) si cita un “ventuno-ventidue di molti altri Paesi”, palesemente contraddetto dalle statistiche internazionali (media OCSE = 27 anni, media UE = 26 anni).

Infine, riguardo alle tasse, nel libro, pur non osando dire che sono gratuite, a pag. 162 viene comunque ribadito che «In Italia le tasse universitarie sono bassissime», un’affermazione che di nuovo non si concilia con le statistiche OCSE e nemmeno con il portafoglio delle famiglie che mandano i figli  all’università.

Tutti precedenti  che consigliano di non prendere per oro colato quello che scrivono Abravanel e D’Agnese. I quali, per fare un esempio preso dal loro libro, sono convinti che i laureati in fisica dell’Università di Padova sono dei «nerd con la testa fra le nuvole» a cui «le aziende guardano  con una certa preoccupazione» al punto che trovano lavoro «meno dei laureati in qualsiasi altra materia di qualsiasi università d’Italia».

Abravanel_DAgnese_La_ricreazione_e_finita_svarione_fisiciFabrizio Tonello ha provato a controllare la veridicità di questa affermazione e ha scoperto che i due tuttologi “made in McKinsey” avevano letto male le tabelle di Almalaurea: il 58,8% dei fisici di Padova è impegnato a proseguire gli studi (dottorato, master, etc) e solo il 3,9% non lavora, ma cerca. Nella tabella consultabile sul sito di Almalaurea c’è persino scritto nero su bianco che il tasso di occupazione (def. ISTAT) di questi “nerd con la testa fra le nuvole” è pari al 96,1%

Con queste premesse, eseguire un fact checking completo del libro sarebbe come intraprendere un lungo safari alla caccia di bufale, senza dubbio prodigo di trofei, ma la cui durata – proprio per questo – risulterebbe difficilmente prevedibile. In questa sede, limitiamoci a verificare il dato sull’emigrazione. Fortunatamento, il fact checking non è difficile. Eseguiamo una veloce ricerca tramite Google.

GoogleEmigrazioni

Il primo risultato è una pagina del sito EUROSTAT che sembra fare al caso nostro:

Statistiche sulle migrazioni internazionali e sulle popolazioni di origine straniera

Bastano un paio di minuti per capire che il dato che ci interessa è riportato nel Grafico 7, che riproduciamo qui sotto per comodità del lettore.

EurostatNonResident

Il grafico mostra le principali nazioni UE di origine degli stranieri (individui che non sono cittadini del paese in cui risiedono) dimoranti nel territorio di uno Stato membro dell’UE alla data del 1° gennaio 2011.

Dopo la Romania e la Polonia, è l’Italia la terza nazione di origine dei cittadini UE  emigrati verso altri stati UE.

Anche normalizzando il numero di emigrati dividendolo per il numero di cittadini di ciascuna nazione, l’Italia continuerebbe a precedere Regno Unito, Germania, Francia e Spagna.

Alla luce di questi dati, risulta difficile sostenere, come fanno Abravanel e D’Agnese, che

per quanto riguarda la mobilità verso l’estero le statistiche ci vedono il fanalino di coda dell’Europa

Gi autori usano queste statistiche immaginarie per certificare la pigrizia degli italiani. L’uso di un dato fittizio per certificare che gli italiani sono dei “nati stanchi” è un espediente a cui sembrano affezionati, visti i precedenti dei fuoricorso e dell’età dei laureati.

Un modo come un altro per dare una patina di scientificità e modernità ad una narrazione che attribuisce all’indole imbelle del popolo italiano la radice dei mali nazionali. Una vision aziendale alla Raffaele Cadorna, per intenderci (a scanso di equivoci, Cadorna non è uno dei manager di successo le cui mirabolanti imprese costellano le pagine del libro).

Una volta rimossa la realtà, ignorando i dati o fornendone di immaginari, l’ideologia non ha più ostacoli. È il trionfo della sociologia da salotto, che scarica ogni responsabilità sulle spalle dell’istituzione, degli studenti e delle loro famiglie.

3. Le fiabe del mago Abravanel

All’inizio avevamo accennato alla difficoltà di trovare un genere letterario entro cui catalogare il saggio di Abravanel e D’Agnese. A noi sembra di aver trovato la risposta: è un libro di fiabe, le fiabe del Mago Abravanel che nel suo cuore ha mille e una storia da raccontare.

Non è difficile lasciarsi catturare dal suo mondo fatato: ci vuole un po’ di fantasia … ma anche tanta ingenuità.

A mille ce n’è
nel suo cuore di fiabe da narrar …  da narrar
Per Abravanel
nel suo mondo fatato per sognar…  per sognar
Non serve il cervello
un occhiettino pronto o la cartella bella
per Abravanel…
Basta un po’ di fantasia e ingenuità … e ingenuità

https://youtu.be/lIc2-CIM_R0

 

Appendice: L’Abravaneide illustrata

Roger_Abravanel_universita_gratis

Abravanel_DAgnese_La_ricreazione_e_finita_fuoricorso

 

Abravanel_DAgnese_la_ricreazione_e_finita_Emigrazione

 

Abravanel_DAgnese_La_ricreazione_e_finita_Eta_laureati

 

Abravanel_DAgnese_La_ricreazione_e_finita_fisici

 

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13 Commenti

  1. Anche se un saggio ammoniva di non cercare di attribuire a malizia cio’ che puo’ essere spiegato piu’ semplicemente con la stupidita’, in questo caso (come in altri simili) io non riesco a non pormi la fatale domanda:
    Cui prodest? (o piu’ volgarmente: chi li paga?)

    • Chi ha vantaggio a mostrare che il problema della disoccupazione di massa nel paese non è responsabilità di una classe imprenditoriale predatoria e semi-analfabeta, e di una classe politica che da un ventennio non fa più alcuna politica industriale ma che anzi svende quello che può, ma dell’università e della scuola che non preparano abbastanza bene. Tra un po’ si introdurranno corsi di taglio e cucito, e telefonia così da venire incontro alla richiesta del mercato.

    • Banalmente giova all’autore che pubblica un libro fettecchia con un titolo piuttosto furbo per poter vendere molte copie in autogrill

    • Anche. Difficile dire se Abravanel (che sembra ancora incerto riguardo al senso dell’opera di Young, l’inventore del termine “meritocracy”) ha presente De Gaulle, Agnelli o nessuno dei due.

  2. Vi chiedo perchè in Italia ogni discussione sul mercato del lavoro e quindi anche sulla formazione, ammesso che dell’università si voglia dare questa interpretazione alquanto riduttiva di luogo dove si formano competenze professionali, si limita sempre a osservare il lato dell’offerta? Perchè nessuno, neanche questi sapientoni, si sofferma ad analizzare le condizioni della domanda di lavoro? Ovvero qual è la struttura economico-sociale del paese e perchè la sua domanda di lavoro con formazione terziaria è così bassa e scadente? Il problema va ben oltre la questione della spannometria profusa a piene mani e rimanda a una seria analisi del processo di industrializzaizone e di innovazione tecnologica che si è sviluppato in Italia. Abbiamo bisogno di analisi serie, grazie.

    • Perché la domanda viene dal mercato e il mercato, se si evitano interventi pubblici, si autoregola e non può sbagliare.

  3. Adesso attendiamo che GAS Stella, citi roars dimostrando come questo narratore di favole sia un incapace…naturalmente non succederà. Facciamo una contro prova: incominciate a predere in considerazione una unistat qualsiasi, “smascheriamo” qualche docente o rettore vedrete che GAS vi citerà.
    Valete comites

  4. La mia ammirazione a FSL, che colpisce sempre al centro. Si critica per distruggere: 1) questa cosa non va bene; 2)questa cosa costa; 3) se non va bene e costa la aboliamo; 4) chi la vuole ancora se la paga.
    L’odio verso la scuola è palese, così come il servilismo verso la tecnologia, con contorno di giovani pigri che devono togliersi dai piedi (andare all’estero), provvisti delle tre I, perché a quanto pare siamo uno stato coloniale
    in fase di suicidio indotto.

  5. La Sapienza potrebbe essere anche la migliore università d’Italia (basta trovare la statistica giusta), ma quello che viene evidenziato dal corrsera, anche ieri, è che si fanno i concorsi per miss ricerca. Può esservi stampa più pregiudiziale e faziosa? E come reagiamo “noi”? Purchè si parli male di anvur prendiamo inn considerazione gli scritti di GAS…Siamo talmente divisi che il risultato è (come è succeso per anni nella scuola) la totale inerzia. La buona scuola di Renzi se non altro ha dato un po’ di vita ad un corpaccione immenso e diviso come gli insegnanti..Guerre continue tra poveri…C’è qualche possibilità che la “buona università” generi un sentir comune tra noi…me lo auguro.
    valete comites

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