Sul Corriere della Sera, Roger Abravanel scrive un lungo articolo in cui critica la sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciato la decisione del Politecnico di Milano di erogare esclusivamente in lingua inglese tutti i corsi di laurea magistrale. Con una certa signorilità, i promotori del ricorso vengono da lui definiti “i cento docenti con poca conoscenza dell’inglese che hanno fatto ricorso“. Le conoscenze di Abravanel, invece, non si limitano all’ingegneria, ma abbracciamo persino le materie umanistiche, come dimostrato dal suo sfoggio di erudizione:
Forzare l’utilizzo dell’italiano dove il linguaggio del progresso scientifico è solo in inglese porterà a continuare a depauperare il nostro patrimonio del sapere, accelerando una tendenza in atto da anni. Incidentalmente, questo vale anche nelle materie umanistiche. Non si può studiare il Rinascimento artistico italiano senza avere letto Bernard Berenson e nessuno meglio di Anthony Gibbons ha raccontato lo sviluppo e il declino dell’impero romano.
Invano, proverete a cercare uno storico dell’antica Roma di nome “Anthony Gibbons”. Se cercate quel nome su Google, trovate un perito immobiliare (real estate appraiser) e poco più.
Cosa può essere successo? Beh, non ci vuole una smisurata cultura per sapere che l’autore di “The History of the Decline and Fall of the Roman Empire” è Edward Gibbon (senza la “s”). E se uno proprio non lo sa, gli basta sottoporre a Google le tre parole “Impero Romano Gibbons”, per veder corretto il proprio errore e ritrovare il vero nome del famoso storico inglese del ‘700.
Vuoi vedere che Abravanel ha inventato un ibrido tra Edward Gibbon e Anthony Giddens, l’ideologo della terza via di Blair?
Una volta, il direttore del Corriere chiamava Giovanni Spadolini e in terza pagina si leggevano gli articoli di Eugenio Montale. È già un segno dei tempi affidare un intervento di natura eminentemente culturale a un ex dirigente McKinsey. Ma anche così, è possibile che in tutta la redazione del quotidiano milanese non sia rimasto un redattore capace di rileggere quello che stanno per pubblicare e di fare un sobbalzo di fronte a un colossale svarione? Si tramanda che Dino Buzzati fosse stato sollevato dall’incarico di cronista scaligero per aver sbagliato il nome di una ballerina.
Altri tempi, è vero. Ma è proprio necessario affidarsi a un opinionista che non verifica quello che scrive, anche quando basterebbero un paio di ricerche su Google? Di fronte al ripetersi delle prodezze di Abravanel, Roars non ha potuto fare a meno di dedicargli un’apposita rubrica, l’Abravaneide:
- ABRAVANEIDE – Atto I
Abravanel e D’Agnese: troppi errori nel loro libro “La ricreazione è finita” - ABRAVANEIDE – Atto II
“La ricreazione è finita”, ma di fiabe per sognar/A mille ce n’è/Nel mondo di Abravanel - ABRAVANEIDE – Atto III
Le parole (disinformate) di Abravanel sull’università - ABRAVANEIDE – Atto IV
Roger Abravanel, l’auto a energia cinetica e l’arcivernice di Giavazzi - ABRAVANEIDE – Atto VI
Roger Abravanel: 110 e lode … in svarioni
L’articolo di Abravanel si chiude con l’indirizzo del sito meritocrazia.corriere.it: un tocco di surreale ironia, visti i precedenti dell’autore.
Decline and Fall, senza dubbio. Altre epoche hanno avuto il loro Gibbon, lo scrupoloso studioso del declino di un impero. A noi, nulla più che la maldestra erudizione di Abravanel e il declino di un ex grande quotidiano.
- Per chi volesse approfondire il tema delle lauree in lingua inglese segnaliamo l’articolo apparso sul sito dell’Accademia della Crusca, a firma del suo presidente Claudio Marazzini:
Ma siamo proprio sicuri che la lingua della ricerca sia solo l’inglese?
Abravanel? Una certezza. La s di Gibbons non c’è (più?) sul suo blog. Resta l’approssimazione dilettantistica, molto poco “meritocratica”, con cui un ingegnere ex dirigente di un’azienda di consulenza, nonché membro di consigli di aministrazione di aziende e banche, pretende di insegnare al Consiglio di Stato quali siano i limiti dell’ autonomia universitaria. Ovviamente, nel meraviglioso mondo di Abravanel, il principale problema per il Politecnico, nella competizione con l’ETH di Zurigo rispetto alla capacità di preparare ingegneri, è la lingua inglese e non la differenza di finanziamento. Che poi un ingegnere debba anche essere in grado di scrivere documeni tecnici in italiano e comprensibili per quadri ed operai italiani è qualcosa che ad un ex-consulente sembra sfuggire. Non so perché, il suo superficiale intervento sul Corriere mi ha fatto tornare alla memoria la famosa barzelletta del consulente informatico e del pastore (per chi non la conoscesse basta cercare con google). Se non fosse per il credito che gli dà il Corriere il punto di vista di Abravanel sulla questione potrebbe essere ignorato in quanto troppo superficiale.
Un pastore stava pascolando il suo gregge di pecore, in un pascolo decisamente lontano e isolato quando all’improvviso vede avvicinarsi una BMW nuova fiammante che avanza lasciandosi dietro una nuvola di polvere. Il guidatore, un giovane in un elegante abito di Versace, scarpe Gucci, occhiali Ray Ban e cravatta Yves Saint Laurent rallenta, si sporge dal finestrino dell’auto e dice al pastore: “Se ti dico esattamente quante pecore hai nel tuo gregge, me ne regali una?”
Il pastore guarda l’uomo, evidentemente uno yuppie, poi si volta verso il suo gregge e risponde con calma: “Certo, perché no?”
A questo punto lo yuppie posteggia l’auto, tira fuori il suo computer portatile della Dell e lo collega al suo cellulare della A T&T. Si collega a internet, naviga in una pagina della NASA, seleziona un sistema di navigazione satellitare GPS per avere un’esatta posizione di dove si trova e invia questi dati a un altro satellite NASA che scansiona l’area e ne fa una foto in risoluzione ultradefinita. Apre quindi un programma di foto digitale della Adobe Photoshop ed esporta l’immagine a un laboratorio di Amburgo in Germania che dopo pochi secondi gli spedisce un e-mail sul suo palmare Palm Pilot confermando che l’immagine è stata elaborata e i dati sono stati completamente memorizzati. Tramite una connessione ODBC accede a un database MS-SQL e su un foglio di lavoro Excel con centinaia di formule complesse carica tutti i dati tramite e-mail con il suo Blackberry. Dopo pochi minuti riceve una risposta e alla fine stampa una relazione completa di 150 pagine, a colori, sulla sua nuovissima stampante HP LaserJet iper-tecnologica e miniaturizzata, e rivolgendosi al pastore esclama:
“Tu possiedi esattamente 1586 pecore”.
“Esatto. Bene, immagino che puoi prenderti la tua pecora a questo punto” dice il pastore e guarda giovane scegliere un animale che si appresta poi a mettere nel baule dell’auto.
Il pastore quindi aggiunge: “Hei, se indovino che mestiere fai, mi restituisci la pecora?”. Lo yuppie ci pensa su un attimo e dice: “Okay, perché no?”
“Sei un consulente” dice il pastore.
“Caspita, è vero – dice il giovane – come hai fatto a indovinare?”
“Beh non c’è molto da indovinare, mi pare piuttosto evidente – dice il pastore – sei comparso senza che nessuno ti cercasse, vuoi essere pagato per una risposta che io già conosco, a una domanda che nessuno ti ha fatto e non capisci un cavolo del mio lavoro. Ora restituiscimi il cane!”
https://www.magnaromagna.it/satira/lavoro-da-ridere/consulente-informatico/
…ma in fondo che vuoi che sia? Si tratta solo di materie “umanitarie”.
Siete una fonte inesauribile di informazioni. Bellissimo! Quest’articolo sul Corriere, a parte lo svarione sul nome di Gibbon, é pieno zeppo di valutazioni errate e di mancanza inconsapevole di conoscenze specifiche, rivelatrici del senso comune, su cos’è il plurilinguismo, in generale e nella fattispecie. Su cos’è una politica linguistica esplicita o implicita, su cosa raccomanda l’Unione Europea in fatto di plurilinguismo nell’educazione linguistica istituzionalizzata e non (che purtroppo rimane su un piano piuttosto teorico che non applicativo, e le ragioni sono molteplici). Su qual è la differenza tra un parere giuridico e una tendenza politico-culturale, tendenza non nel senso inglese di “alla moda, trendy” ma nel senso di “direzione, orientamento per fare o voler fare qualcosa” (http://dizionari.corriere.it/dizionario-si-dice/T/tendenza-trend.shtml). Su quali sono le cause della diffusione di una lingua come lingua internazionale. Perché ora l’inglese, prima il francese, prima il latino, prima il greco in ambito mediterraneo, il persiano classico in Asia (Marco Polo usava il persiano in Cina) ecc. ? E’ rivelatore l’articolo, anzi esemplare, sul piano della cosiddetta “linguistica popolare”, persino delle persone colte, cioè su cosa pensa e dice sulla lingua e sulle lingue, con la massima convinzione di pensarla e di dirla giusta, una persona che non è specialista in problemi di lingua e che non immagina nemmeno che questi problemi possano esistere, e al massimo li immagina a un livello puramente scolastico. Un bel pezzo da analizzare durante un corso di linguistica generale. Che però non si farà mai, perché non si può vivisezionare un’opinione autorevole. Ricordo tuttavia a questo proposito il parere della conferenza dei rettori tedeschi, che evidentemente vale poco per il nostra Autore, riportato e discusso non molto tempo fa anche in https://www.roars.it/insegnare-in-inglese-abbassa-la-qualita-lo-dicono-times-higher-education-e-la-conferenza-dei-rettori-tedeschi/ da collegare anche a http://www.corriere.it/esteri/17_agosto_25/english-only-berlino-a0cc53f0-8904-11e7-9e21-3852ec61e221.shtml?refresh_ce-cp. Segnalo un interessante materiale del 1903 sul perché insegnare la filosofia nelle scuole in francese (in Francia, ovviamente) e non più in latino http://www.persee.fr/doc/phlou_0776-5541_1903_num_10_39_1800. Simile, penso, a un ragionamento recente (che non riesco più a ritrovare, di uno studioso francese) sull’uso della propria lingua e non dell’inglese (o di una lingua straniera) sempre nell’ambito della speculazione filosofica e anche altrove, che però forse è anticipato, ma in termini differenti, in Le Monde, 2013( http://www.lemonde.fr/idees/article/2013/06/03/l-anglais-chance-ou-danger-pour-le-francais_3422969_3232.html), cui risponde, idealmente, il linguista belga J.-M. Klinkenberg (https://www.rtbf.be/info/opinions/detail_lutter-contre-le-tout-a-l-anglais-en-europe-passeisme-ou-exigence-de-justice?id=7783554). Per non parlare, su un piano opposto, sulla valanga di proposte in internet di come imparare bene benissimo le lingue straniere, tra cui primeggia l’inglese, in qualche ora o al massimo in qualche settimana.
… parlare … della . Chiedo scusa.
Da un lato credo che l’abravaneide sia un’iniziativa doverosa. Dall’altro, vista la ormai conclamata irrilevanza della carta stampata, temo che contribuisca a dare al Nostro un immeritato surplus di notorietà. In altri termini: quanti qui sarebbero venuti a conoscenza dell’elzeviro se non ne avessero avuto notizia da ROARS? E figuriamoci il paese reale.
Non è questo che conta, se il paese reale (cos’è esattamente?) lo sa o non lo sa. Una sua parte, chi deve saperlo, in alto, lo sa e lo legge, eccome, forse anche prima della pubblicazione, lo sa dall’autore stesso, chissà quante volte lo contattano o lo convocano per pareri e consigli. Esiste anche il telefono. Ma lo scritto fissa, e l’umanità lo sa da sempre, sicuramente dal neanderthalensis in poi. La carta stampata, o meglio, ciò che si scrive (in senso ampio) su qualsiasi supporto, cartaceo o meno, non è cosa irrilevante (nonostante le moderne e digitalizzate feisbucate o le twittate che si collocano tra il parlato spontaneo e lo scritto irriflesso, informale e non controllato). Soprattutto se sta sotto l’etichetta di “meritocrazia”, leggere in basso nell’angolo destro dell’articolo (meritocrazia.correre.it, che è tutto un programma).
Incidentalmente, questo ignorantello dal nome che mi sembra uno scioglilingua, dimentica di dire che gli stranieri che studiano ed hanno studiato i Romani o il Rinascimento lo hanno fatto in Italia imparando l’Italiano. I migliori almeno.
Mi permetto di intervenire sul cosiddetto “nome scioglilingua”, che in un contesto di globalizzazione anche linguistica non dovrebbe essere nemmeno notato. Anche il mio lo è, e mi scontro col problema quotidianamente e da decenni, e lo risolvo e tollero a modo mio. L’italiano, tanto per tornare sull’argomento un tantino più importante, è anche la lingua internazionale degli studi musicali.
@Marinella: ho posto l’accento sul cognome proprio per sottolineare, ironicamente, il contesto da te evidenziato che rende ‘provinciali’ le tesi che lui sostiene. Se non sono riuscito a farmi capire me ne scuso.
Piuttosto che perder tempo con la lettura di Roger Abravanel, suggerisco l’ascolto di Maurice Abravanel. Soprattutto le sinfonie di Mahler
Ma come siete cattivi!
Abravanel è bravissimo e perfettissimo.
Sono i correttori di bozze, appunto, che lo odiano perchè lui non sbaglia mai niente, che. se fossero tutti come lui, loro sarebbero già tutti disoccupati, e allora per dispetto gli sbagliano (sic!) gli articoli!
Fate un po’ di fact checking su Abravanel, una buona volta, andate a controllare i documenti originali scritti da lui!
Vero, no?