Dopo anni di cure miracolose somministrate all’università italiana la magistratura di Firenze ha certificato che l’università italiana è ancora gravemente malata. Le cure somministrate dai governi post-Gelmini sono tutte e sole quelle suggerite dagli economisti che avevano gridato agli scandali negli anni 2008-2010. Mi auguro che la notizia dell’inchiesta aiuti a prendere atto che in questi anni è stata seguita una strada sbagliata. Cambiare direzione significa adottare meccanismi che permettano la piena trasparenza e controllabilità di tutte le decisioni, dai concorsi alla distribuzione delle risorse alle università. Significa individuare sempre e precisamente di chi è la responsabilità delle decisioni. Significa restituire dignità e autonomia al docente universitario a cui deve competere la responsabilità delle scelte. Significa togliere potere ai piccoli gruppi di professori che si affollano intorno ai palazzi romani del MIUR e dell’ANVUR, redistribuendolo alla intera comunità universitaria. Significa aprire l’Italia al dibattito internazionale in corso su scienza aperta ed etica della ricerca.

 

E’ un vero peccato vivere in un paese senza memoria a breve termine. Sette professori universitari arrestati; 59 indagati: per una storia di concorsi truccati. Ovviamente tutto da confermare e verificare da parte della magistratura. Nel frattempo si alzano grida indignate contro i professori universitari corrotti e il familismo. Molti di coloro che ora gridano, sono gli stessi che negli ultimi 5-6 anni hanno raccontato al paese che la nuova organizzazione dell’università prevista dalla legge Gelmini avrebbe reso più efficiente il sistema; che l’istituzione dell’agenzia nazionale di valutazione (ANVUR) e la riforma dei concorsi universitari avrebbero “tagliato le unghie ai baroni”; che il nepotismo sarebbe stato sconfitto a colpi di meritocrazia, grazie all’uso generalizzato di “dati oggettivi”.

La vicenda riguarda, a quanto è dato capire, l’abilitazione scientifica nazionale (ASN) del 2012, il processo attraverso cui si è giudicati idonei al ruolo di professore universitario. Nel giugno 2014, l’allora presidente dell’ANVUR, Stefano Fantoni, in una audizione alla Camera dei deputati, garantiva che il cambio di rotta era ormai avvenuto:

“l’’abilitazione scientifica nazionale ha svolto un ruolo rilevante nel selezionare i futuri docenti  sulla base del merito … Questa operazione … è andata contro le baronie … Rispetto al passato.noi siamo stati più trasparenti di tutto ciò che è avvenuto prima di noi”.

La notizia dell’inchiesta di Firenze, qualsiasi sia l’esito giudiziario finale, rappresenta, a seconda del punto di osservazione, la fine di un’illusione e la certificazione di una sconfitta.

Rappresenta la fine dell’illusione che per contrastare la corruzione, si debba ridurre al minimo l’intervento discrezionale umano nelle decisioni. Tutti i provvedimenti di legge sui concorsi universitari hanno avuto come logica di fondo la sostituzione delle scelte “soggettive” dei professori con parametri “oggettivi”. Le norme prevedono, ad esempio, che per diventare commissari di un concorso, i professori debbano superare alcune soglie numeriche stabilite dall’ANVUR, dimostrando di aver pubblicato almeno un certo numero di articoli scientifici. Ma è sufficiente che tutti i membri delle commissioni siano scelti in questo modo per garantire che il concorso verrà svolto in modo corretto? Sia permesso di dubitarne.

La notizia certifica anche la sconfitta dell’idea che sia sufficiente fare ricorso a dati “oggettivi” ed algoritmi per far funzionare il sistema universitario e combattere storture e nepotismi. L’uso di algoritmi e dati ha semplicemente cambiato i termini dell’usuale gioco accademico. La crescente concentrazione delle decisioni nelle mani di ANVUR ha spostato verso il centro le operazioni di controllo del territorio accademico, che hanno assunto forme meno riconoscibili. Nel sistema precedente spesso bastava guardare la composizione della commissione per provare a indovinare chi avrebbe vinto un concorso. Adesso per comprendere cosa accade, si devono osservare cose incomprensibili per i non addetti ai lavori, come i nomi dei direttori delle riviste scientifiche di “classe A”, o il numero di citazioni ed autocitazioni di commissari e candidati. La sostanza non cambia, solo che ora tutto avviene all’ombra dei dati oggettivi prodotti dall’ANVUR per conto del MIUR, come si legge nelle cronache di questi giorni.

Chi scrive questo articolo è tra coloro che in questi anni hanno alzato ad ogni occasione la voce contro la deriva centralizzatrice e numerologica del governo delle università. Scrivo questo commento con un profondo senso di prostrazione; la retorica della “meritocrazia” e dell’oggettività degli indicatori non bastano per risolvere i problemi.

Mi auguro che la notizia dell’inchiesta aiuti a prendere atto che in questi anni è stata seguita una strada sbagliata. Cambiare direzione significa adottare meccanismi che permettano la piena trasparenza e controllabilità di tutte le decisioni, dai concorsi alla distribuzione delle risorse alle università. Significa individuare sempre e precisamente di chi è la responsabilità delle decisioni. Significa restituire dignità e autonomia al docente universitario a cui deve competere la responsabilità delle scelte. Significa togliere potere ai piccoli gruppi di professori che si affollano intorno ai palazzi romani del MIUR e dell’ANVUR, redistribuendolo alla intera comunità universitaria. Significa aprire l’Italia al dibattito internazionale in corso su scienza aperta ed etica della ricerca.

Pubblicato su Il Mattino 26 settembre 2017

sapere ridotto a numeri 26092017

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60 Commenti

  1. A mio avviso l’università ha rinunciato al suo compito, quello di luogo di ricerca e innovazione. Le risorse ridotte all’osso e il localismo stanno uccidendo quanto di buono si era creato. Non vi può essere una logica di do ut des e la creazione di posti nominali senza gara. A questo punto si va a chiamata e basta. Perché questi bandi sono uno sfregio della legalità e un giocare ogni volta con la vite delle persone. L’università risulta un sistema di ricatto perché c’è la chiara sensazione che devi attaccarti a una cordata, seguire il trend delle pubblicazioni, sperare in rinnovi annuali e alla fine l’agognato posto o il passaggio di ruolo…insomma un clima di ricatto dato dal fatto che non c’è mai sana competizione ma scelte a tavolino dietro porte chiuse. E se si volesse osservare oggettivamente c’è una tendenza al ribasso, per cui si recluta non il candidato migliore e competitivo ma il più gestibile. E molto spesso gente incapace di fare didattica. E il parossismo sta accadendo con gli rtd.

  2. E di fatti dalle intercettazioni Philip laroma gezzi era stato definito il più bravo ma “stronzo” e in questa definizione si racchiude tutta la logica insita nel sistema di reclutamento oggi. Basta che si faccia notare come non si sia ricattabili e subito si viene additati come teste calde, i cani sciolti o che dir si voglia. E quindi la gente che ha veramente forza di portare innovazione viene sbalzata fuori, mentre i lecchini e portaborse fanno carriera. Almeno laroma gezzi è strutturato ma oggi chi è bravo ma non lecchino manco viene strutturato. Ho visto gente bravissima sbalzata fuori e costretta a fare altro e gente che avrebbe dovuto effettivamente fare altro ottenere l’associatura. Il sistema è totalmente corrotto.

    • 1. “Almeno laroma gezzi è strutturato ma oggi chi è bravo ma non lecchino manco viene strutturato”: chi nel 2010 ha plaudito alla definitiva trasformazione del ruolo del ricercatore in un figura a tempo determinato dovrebbe fare un esame di coscienza, perché non ha nemmeno l’attenuante di non essere stato avvisato da chi invece si è opposto alla riforma.
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      2. “Il sistema è totalmente corrotto”: affermazione decisamente falsa, alla luce dei risultati e della produttività che più volte abbiamo ricordato. Sembra strano dover ricordare a chi dovrebbe fare della ricerca scientifica la sua professione come le ombre non siano sinonimo di buio totale. Che ci sia una certa dose di corruzione, ma ancor più – di cattive pratiche, è fuor di dubbio. Prima di poter dire “il sistema è totalmente corrotto”, bisogna avere qualche riscontro statistico. E i dati sono molto migliori di quello che ci si attenderebbe in base alle percezioni giornalistiche. Più modestamente, bisogna rinunciare alle frasi ad effetto e piuttosto diagnosticare un sistema con alcune disfunzionalità (a volte eccezionalmente gravi) ma che nel suo complesso funziona (sorprendentemente) bene, anche a fronte di investimenti storicamente scarsi seguiti da massicci disinvestimenti recenti. Il punto è che le (presunte) cure potrebbero uccidere il paziente o, quanto meno, intossicarlo gravemente.

    • Se l’avvocato fiorentino è stato definito il più bravo da un altro avvocato mi vien da pensare che potesse essere il più bravo sul piano professionale e non della ricerca. Mi dicono che per loro, prof. o no, misurano la bravura sui risultati ottenuti in tribunale (in tutti isensi). Ma non conosco il mondo degli avvocati e mi piace pensare che fosse il più bravo fra tutti i candidati del macrosettore,anche di chi non conccorreva per diritto tributario (difficile da stabilire). Prima di costruire eroi e lanciare encomi aspetterei il compito della magistratura (sulla quale non si può avere fiducia a caorrente alternata) e lascerei perderei tribunali mediatici.
      Certo è che il ricercatore è garantito sul piano stipendiale e non corre il rischio di perdere il posto come i nuovi validissimi ricercatori. Inoltre sembrerebbe titolare di uno studio legale dove fa il tributarista. Mi auguro che sia a tempo definito. Comunque non è giusto far convivere l’università della ricerca, che in rapporto agli investimenti è tra le prime al mondo per produttività, con i professionisti che hanno interessi extrauniversitari. Nei laaboratori si fanno prestazioni professionali tramite convenzioni e i soldi vanno al dipartimento per poter finanziare la ricerca. Sono due mondi diversi che non dovrebbero convivere e non si offendono i fisici, i matematici, i chimici e e tutti gli altri per liti tra studi professionali che non li riguardano.Non so che esperienze lei abbia avuto, spero che il suo livoroso commento non derivi da qualche bocciatura.
      Può sempre provare col TAR.

    • Ma arrampichiamoci sugli specchi mi raccomando, invece di riconoscere un problema endemico dell’università si parte con il denigrare chiunque provi a criticarla. È più importante affermare che tutto si è costruito mediaticamente che rimanere inorridito da quanto emerso dalle intercettazioni. L’ultima ricetta poi dà proprio il senso di chi vuole mantenere uno status quo: non vi va bene? Allora ricorrete al tar e intanto lasciateci lavorare. Un senso di impunità e disinteresse impressionante.

  3. Condivido. In effetti, il modesto chimico organico non dovrebbe diventare ordinario. Questo il punto: se si fanno prevalere le esigenze locali, il livello si abbassa (ho bisogno, ad es., di uno studioso che si sia occupato specificamente della poetica di fabio volo. Non potete rifilarmi Tizio, solo perché considerato il maggior italianista vivente). L’Università, così, non esiste. Contano solo gli interessi particolari dei dipartimenti .

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