L’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) è stata
insediata dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca meno di un anno fa, il 2 maggio 2011, ma ha già una storia pluriennale, se ne consideriamo anche il concepimento e la gestazione. Lungi dal poter abbozzare un discorso che possa anche solo ambire a qualificarsi come ricostruzione o analisi storica, come la materia richiederebbe, proviamo ad offrire qualche appunto a chi si voglia dedicare al necessario approfondimento; tuttavia, per non banalizzare eccessivamente la trattazione, e per rimanere nel perimetro stilistico degli interventi del blog, preferiamo dividere il lavoro in due parti.
Come prima annotazione, gioverà rilevare l’ovvio, e cioè che la creazione dell’ANVUR deve essere inserita nel più ampio corso di eventi riguardanti le «attività di valutazione» nell’ambito del sistema Università-ricerca in Italia, e, per essere più precisi, delle politiche pubbliche in tema di valutazione. A questo riguardo vi è una data chiave, un piccolo spartiacque, che va ricordata: si tratta del giorno dell’approvazione della Legge Finanziaria per il 1994 (Legge 24 dicembre 1993, n. 537; Governo Ciampi), che rivoluzionava il sistema di finanziamento ordinario delle Università introducendo – su una idea avanzata nel 1992 dall’allora Presidente della Commissione Tecnica per la Spesa pubblica presso il Ministero del Tesoro, Piero Giarda – un fondo “unico” da ripartire tra le singole sedi senza più la tradizionale segmentazione per capitoli di spesa (rimanevano alcune eccezioni “fuori sacco”, ad essere precisi). Parallelamente, veniva introdotta in modo istituzionale la “funzione valutativa”, così definita (Art. 5, comma 22):
«Nelle università, ove già non esistano, sono istituiti nuclei di valutazione interna con il compito di verificare, mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, la corretta gestione delle risorse pubbliche, la produttività della ricerca e della didattica, nonché l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa. I nuclei determinano i parametri di riferimento del controllo anche su indicazione degli organi generali di direzione, cui riferiscono con apposita relazione almeno annualmente».
Abbiamo voluto ricordare in maniera puntuale l’atto di nascita della politica di “valutazione istituzionale” nelle Università, perché esso riporta al contesto in cui maturarono quelle scelte, e al ruolo che la funzione valutativa era chiamata a svolgere. In particolare – e questo è ciò che più interessa, qui – non vi fu alcun significativo approfondimento preliminare relativo ai contenuti specifici e alle forme di tale valutazione, da parte del Governo; il segno di tutta l’operazione è impresso dal richiamo (e quindi, si suppone, dalla mera applicazione) di concetti e metodologie previste dall’analisi economica, e configurate per il supporto alla direzione aziendale o di generiche amministrazioni pubbliche.
Va segnalato, tuttavia, che la Conferenza dei Rettori (CRUI) aveva già promosso una propria iniziativa per discutere di valutazione, e introdurre i Nuclei di valutazione, nelle Università italiane; del resto un cenno generico (anche se inteso come controllo di gestione delle attività amministrative) era presente anche nella legge istitutiva del MURST, il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, nel 1989 (legge “Ruberti”). A partire dal 1991, e poi con la costituzione – un po’ sfilacciata nelle varie sedi (pur in presenza della norma di legge) – dei singoli Nuclei, la CRUI aveva avviato una riflessione interna, che si era concretizzata attraverso l’opera di una Commissione ristretta, composta da alcuni esperti e delegati rettorali, e poi allargata ad un gruppo di lavoro con rappresentanti di tutte le Università, coordinato dal dirigente Giorgio Allulli (qui una pubblicazione del 1996 a consuntivo dell’attività svolta lungo tre anni). Dell’attività dei Nuclei, che hanno poi provveduto a sviluppare un proprio approccio alla valutazione e una propria tradizione, adeguandosi al mutevole scenario interno ed esterno all’istituzione (incluso il cambiamento del quadro normativo), non abbiamo minimamente la possibilità di dare conto, ma va sempre ricordata la loro “primazia storica” e la funzione in sede locale.
Il secondo appunto riguarda la creazione dell’Osservatorio per la valutazione del sistema universitario, che era previsto in effetti dalla stessa legge 537/93, nel comma successivo a quello precedentemente citato, quale organo tecnico del Ministero (ma composto da esperti esterni) incaricato principalmente di dare una valutazione a livello centrale delle relazioni dei Nuclei di valutazione interna. Tuttavia la sua istituzione era affidata ad un provvedimento delegato, e l’effettiva messa in opera avvenne solo nel 1996, con un Decreto Ministeriale che ne precisava e approfondiva le finalità, che erano quelle «anche in ordine alla assegnazione delle risorse, di:
– valutare i risultati relativi all’efficienza ed alla produttività delle attività di ricerca e di formazione;
– verificare i piani di sviluppo e di riequilibrio del sistema universitario.».
Nell’idea della creazione dell’Osservatorio si coglie la prima tematizzazione di una questione che risulta fondamentale per il disegno complessivo della valutazione di un sistema universitario, e cioè la distinzione di ruoli e di funzioni fra una “valutazione interna”, o “autovalutazione” nelle singole Università, ed una “valutazione esterna”, in questo caso ad opera di un organo di consulenza ministeriale, e la loro reciproca relazione. Questione ben chiara nel resto del mondo, e che attraversa, in maniera però non sempre perspicua, tutta la storia della politica pubblica di cui stiamo trattando, a causa della varietà di approcci, di strumenti e di finalità che diversi attori e diversi orientamenti culturali vi hanno voluto dare. Lo stesso lavoro della CRUI già menzionato rappresenta in nuce tutte le difficoltà e le contraddizioni per tentare di comprendere e adattare al caso italiano questo schema teorico.
Nel periodo 1996-1999 il Presidente dell’Osservatorio fu lo statistico Luigi Biggeri (Università di Firenze), mentre i componenti erano Ferdinando Maria Amman (Università di Pavia), Dino Rizzi (Università di Venezia) e due esperti non accademici, Giuseppe Catalano (ricercatore presso la Commissione Tecnica della Spesa Pubblica del Ministero del Tesoro) e Guido Fiegna (coordinatore generale tecnico del Politecnico di Torino). Nel 1999 un nuovo Decreto Ministeriale procedette alla ridefinizione e all’ampliamento dei compiti, con un contestuale rinnovo (parziale) dei componenti, portati a 7; vennero infatti nominati Giuseppe De Rita (Presidente del CNEL) come Presidente, e Luigi Biggeri, Alessandro Corbino (Università di Catania), Alessandro Figà-Talamanca (Università di Roma “La Sapienza”), Anna Laura Trombetti Budriesi (Università di Bologna), Giuseppe Catalano e Guido Fiegna come membri. E’ di sicuro interesse storico e teorico-generale la consultazione del suo sito web, ancora attivo, per rendersi conto dello sviluppo delle attività e dei documenti che vennero prodotti.
Il terzo appunto riguarda la creazione del Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR), nel 1998, e del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU), nel 1999, concepito in effetti come “successore” dell’Osservatorio, e insediato in tale nuova veste il 19 marzo 2000. Anche questi due organismi avevano lo stato giuridico di comitati di esperti (tipicamente professori universitari, peraltro) di nomina ministeriale, e anch’essi erano istituiti per legge. CIVR e CNVSU sono, per così dire, il papà e la mamma dell’ANVUR, che ne ha ereditato il ruolo e le funzioni, con molteplici aggiunte.
L’istituzione del CNVSU fu dettata dall’art. 2 della Legge 19 Ottobre 1999, n. 370 (“Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica”), che all’art. 1 ridefiniva anche le attribuzioni dei Nuclei di valutazione di Ateneo; la legge sanciva così l’upgrade istituzionale maturato già con il secondo Decreto Ministeriale relativo all’Osservatorio. Essendo da un punto di vista strettamente giuridico un comitato di consulenza del Ministero, ne dipendeva totalmente per i mezzi a disposizione. Veniva garantita una segreteria tecnica ed amministrativa a supporto (già attivata con l’Osservatorio), ma essa era senza dubbio carente per condurre nella pienezza della loro portata tutti i compiti previsti; secondo la legge, infatti, il CNVSU:
«a) fissa i criteri generali per la valutazione delle attività delle università previa consultazione della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), del Consiglio universitario nazionale (CUN) e del Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), ove costituito;
b) promuove la sperimentazione, l’applicazione e la diffusione di metodologie e pratiche di valutazione;
c) determina ogni triennio la natura delle informazioni e i dati che i nuclei di valutazione degli atenei sono tenuti a comunicare annualmente;
d) predispone ed attua, sulla base delle relazioni dei nuclei di valutazione degli atenei e delle altre informazioni acquisite, un programma annuale di valutazioni esterne delle università o di singole strutture didattiche, approvato dal Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, con particolare riferimento alla qualità delle attività universitarie, sulla base di standard riconosciuti a livello internazionale, nonché della raccomandazione 98/561/CE del Consiglio, del 24 settembre 1998, sulla cooperazione in materia di garanzia della qualità nell’istruzione superiore;
e) predispone annualmente una relazione sulle attività di valutazione svolte;
f) svolge i compiti assegnati dalla normativa vigente, alla data di entrata in vigore della presente legge, all’Osservatorio per la valutazione del sistema universitario di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 5 maggio 1999, n. 229;
g) svolge, su richiesta del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, ulteriori attività consultive, istruttorie, di valutazione, di definizione di standard, di parametri e di normativa tecnica, anche in relazione alle distinte attività delle università, nonché ai progetti e alle proposte presentati dalle medesime.».
Soffermiamoci sul punto (d); esso introduceva un altro elemento politico, e cioè il contenuto di una raccomandazione dell’Unione Europea “in materia di garanzia della qualità nell’istruzione superiore”. Qui la storia della valutazione si intreccia con i processi politici a livello Europeo che hanno segnato una fase riformatrice – popolarmente nota in Italia attraverso il principale di questi cambiamenti, la ristrutturazione dei cicli di studio -, di cui anche la successiva nascita dell’ANVUR è un effetto, come diremo nella seconda parte. Comunque in quel periodo l’Unione Europea stava portando a maturazione i primi esperimenti di cooperazione e riflessione sulle forme di valutazione e assicurazione della qualità per le istituzioni di istruzione terziaria, sulla scorta di “progetti pilota” che avevano coinvolto diversi Paesi, fra cui l’Italia. Da noi il primo progetto era stato cogestito dal Ministero dell’Università e della Ricerca e dalla Conferenza dei Rettori, tramite un comitato nazionale presieduto da Luciano Modica, rettore dell’Università di Pisa, e una segreteria organizzativa affidata dapprima a Giorgio Allulli e poi, per tutta la fase di realizzazione, ad Emanuela Stefani, della CRUI. Le strutture educative da valutare vennero individuate nei corsi di laurea in ingegneria elettronica dei politecnici di Bari e Torino, e quelli in conservazione dei beni culturali delle Università di Udine e Viterbo. Anche in questo caso è di utile consultazione la relazione finale preparata dal comitato nazionale nel 1995. Da questa esperienza maturò poi la realizzazione del progetto Campus, che la CRUI condusse innanzitutto con l’intento di applicare ad un gruppo di Diplomi universitari triennali (ci riferiamo a quelli istituiti dalla l. 341/1990) la metodologia “europea” sopra accennata. L’accenno al “programma annuale di valutazioni esterne delle università o di singole strutture didattiche” nel punto (d) dei compiti del CNVSU si collocava nell’ottica di una ambiziosa estensione sistemica di tali pratiche, le quali prevedono procedure piuttosto complesse, che assemblano la fase di valutazione interna e quella di valutazione esterna con l’utilizzo di panel di esperti nominati per effettuare le necessarie visite in loco e redigere il rapporto finale. L’idea si arenò abbastanza presto, e non solo per carenza di mezzi, come diremo.
Per quanto riguarda il CIVR, la sua costituzione avvenne con il Decreto Legislativo 5 giugno 1998, n. 204 (“Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica, a norma dell’articolo 11, comma 1, lettera d), della legge 15 marzo 1997, n. 59”). I proponimenti di questa iniziativa vanno inquadrati, da una parte, nel ricomprendere gli Enti di ricerca e in generale tutte le amministrazioni pubbliche nella nuova attività valutativa al servizio delle politiche della ricerca, e dall’altra nella elaborazione di quei criteri e quelle metodologie che fossero le più appropriate alla peculiarità dell’oggetto della valutazione, fatto – come si è già detto – che era passato in sordina all’epoca dell’istituzione dei nuclei di valutazione delle università. La norma recitava infatti, all’art. 5:
«1. E’ istituito, presso il MURST, il comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR), composto da non più di 7 membri, anche stranieri, di comprovata qualificazione ed esperienza, scelti in una pluralità di ambiti metodologici e disciplinari. Il comitato opera per il sostegno alla qualità e alla migliore utilizzazione della ricerca scientifica e tecnologica nazionale, secondo autonome determinazioni con il compito di indicare i criteri generali per le attività di valutazione dei risultati della ricerca, di promuovere la sperimentazione, l’applicazione e la diffusione di metodologie, tecniche e pratiche di valutazione, degli enti e delle istituzioni scientifiche e di ricerca, dei programmi e progetti scientifici e tecnologici e delle attività di ricerca, favorendo al riguardo il confronto e la cooperazione tra le diverse istituzioni operanti nel settore, nazionali e internazionali. […]
3. Il comitato, d’intesa con le amministrazioni dello Stato, collabora con strutture interne alle medesime per la definizione e la progettazione di attività di valutazione di enti di ricerca da esse vigilati o finanziati, nonché di progetti e programmi di ricerca da esse realizzati o coordinati. Al comitato possono ricorrere anche altre pubbliche amministrazioni. […]
5. Il comitato predispone rapporti periodici sull’attività svolta e una relazione annuale in materia di valutazione della ricerca, che trasmette al Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, ai Ministri interessati e al CIPE. Il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica cura la pubblicazione e la diffusione dei rapporti e delle relazioni del comitato.».
Va chiarito che all’inizio non si preordinava affatto la costituzione del CIVR ad una specifica attività, dal punto vista delle forme e dei metodi, e in particolare a quella che poi sarebbe diventata la più nota delle sue iniziative, e cioè l’esercizio generale di valutazione retrospettiva della ricerca pubblica (il VTR 2001-2003). Nei primi anni il CIVR operò relazionandosi con i singoli enti di ricerca e con le singole Amministrazioni, senza programmare alcun tipo di “valutazione comparativa”.
La fase di “start-up” durò in effetti tutto il primo quadriennio, all’inizio, sotto la presidenza di Enrico Garaci (Università di Roma “Tor Vergata”), fino al 2001, e poi di Franco Cuccurullo (Rettore dell’Università di Chieti); gli altri componenti erano Sebastiano Bagnara (Università di Siena), Louis Godart (Università di Napoli “Federico II”), Fabio Roversi Monaco (Rettore dell’Università di Bologna), Raffaella Simili (Università di Bologna) e Silvano Casini (esperto di alta qualificazione).
Tra il 2002 e il 2003 cominciò a maturare l’idea di effettuare una valutazione della ricerca che prendesse a modello il Research Assessment Exercise britannico, che aveva una tradizione risalente alla fine degli anni ’80, ed era usato per calcolare la parte di finanziamento ordinario delle Università attribuibile in via teorica alla funzione “relativa alla ricerca” di ciascuna di esse. Tale metodologia deve essere inquadrata nel contesto della struttura del sistema universitario di quel Paese, dove le singole istituzioni, ben più numerose che in Italia, hanno un profilo ed un impegno nella ricerca molto vario, e deve essere letto anche alla luce del diverso ordinamento giuridico complessivo, e delle Università in particolare. Comunque, ciò che attraeva del RAE erano i due principi di base più caratteristici: l’idea di valutazione comparativa ex post, e il collegamento fra il risultato di tale valutazione con l’allocazione selettiva dei fondi. Per la messa in cantiere del primo “RAE italiano”, la Valutazione Triennale della Ricerca relativa al periodo 2001-2003, fu però determinante la decisione di “invadere il campo dell’Università”, fino ad allora di competenza del CNVSU (e dei Nuclei), che venne presa dal Ministro Moratti congiuntamente alla nomina della nuova composizione del Comitato, che venne fissata nel maggio 2003 in questo modo: alla Presidenza, ancora Franco Cuccurullo, e come membri Mario Bressan (Università di Chieti), Michele Coccia (Università di Roma “La Sapienza”), Enrico Garaci, Fiorella Kostoris Padoa Schioppa (Università di Roma “La Sapienza”), Carlo Rizzuto (Università di Genova) e Renato Ugo (Università di Milano).
Per tutta la documentazione relativa al VTR 2001-2003 si rimanda direttamente al sito web, ancora attivo. Certamente questa intrapresa, per come era congegnata, e in particolare per il coinvolgimento attivo e sincrono di tutte le strutture, ebbe un notevole impatto, e agli occhi del mondo accademico-scientifico (ma anche dell’opinione pubblica) divenne quasi sinonimo della valutazione di sistema, in grado di individuare una gerarchia fra le strutture, e consentire così una “allocazione premiale” dei finanziamenti. Pur in presenza di qualche tensione all’interno di alcune comunità disciplinari (e.g. l’area di economia), non si registrarono particolari manifestazioni di scontento, o, almeno, questo non fu espresso in maniera aperta e tematizzata, perché di certo i risultati costituirono motivo di riflessione e dibattito; furono comunque organizzati a consuntivo dei momenti di confronto pubblico fra i Panel e le comunità scientifiche di riferimento. Alcune analisi dettagliate, a cura della ristretta comunità di esperti della valutazione, vennero pubblicate più tardi, e ovviamente non è qui nostro scopo commentarli. Vanno certamente segnalate quelle a cura di Emanuela Reale, ricercatrice del CNR, che per tutto il periodo poté seguire da vicino in prima persona l’esercizio, con un incarico operativo e di studio. La valutazione della ricerca (e, “quindi”, anche dell’Università) a livello di sistema aveva compiuto il suo primo Giro d’Italia.