Quale sarà la politica del governo in tema di ricerca e università? Nel contratto di governo sono meno di tre pagine e viene fornito solo un disegno a grandi linee. Per fare un esempio, vengono dedicate solo due righe all’urgenza di redigere un testo unico finalizzato alla “semplificazione della legislazione universitaria”. Eppure, i sismografi registrano che si sta mettendo in moto qualcosa di più ambizioso. Un recente comunicato della Rete 29 Aprile (R29A) menziona una bozza di legge delega che userebbe il pretesto del testo unico per affidare al MIUR ampi spazi di intervento. R29A si spinge fino al punto di ipotizzare che sia in cantiere una Legge Gelmini 2.0. Una ragione in più per cercare di capire quali siano gli interventi prioritari secondo Giuseppe Valditara, attuale Capo Dipartimento Università del MIUR nonché relatore parlamentare della Legge Gelmini 1.0. Ce li dice lui stesso nel suo discorso del 3 dicembre scorso, pronunciato presso il Politecnico di Torino in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. Di seguito riportiamo il video e la trascrizione fornita da R29A (sul cui sito è scaricabile una versione commentata punto per punto). Questi i punti principali: 1) passaggio (per gli atenei virtuosi) dall’autonomia vigilata all’autonomia responsabile, inclusa l’attuazione dell’articolo 1, comma 2 della L. 240/2010 (autonomia organizzativa e funzionale); 2) flessibilità nell’impegno tra ricerca e didattica concordata tra università e professore; 3) revisione del ruolo dell’Anvur con meno burocrazia e meno complicati algoritmi; 4) la risoluzione della questione dei ricercatori a tempo indeterminato; 5) aumentare lo stanziamento per i ricercatori di fascia B; 6) diritto allo studio: erogare per la prima volta il saldo del 2018 entro l’esercizio corrente; 7) liberalizzazione delle consulenze dei professori universitari; 8) ricerca: azioni per giocare un ruolo non marginale a livello europeo; 9) diplomazia della ricerca: apertura di sedi distaccate in paesi anche extraeuropei; 10) valorizzazione concreta dei brevetti.
Negli ultimi 20 anni l’università italiana ha attraversato due fasi. La prima fase è stata quella dell’autonomia irresponsabile con atenei che nella prima decade degli anni 2000 erano arrivati, molti atenei, sull’orlo del fallimento. E non solo per una cronica assenza di adeguati finanziamenti, ma innanzitutto per una gestione non virtuosa dell’autonomia.
La seconda fase è stata quella di una autonomia vigilata, caratterizzata da controlli preventivi e da una legislazione molto vincolistica. Possiamo dire con grande franchezza che il sistema universitario italiano è ora un sistema sano, oso dire tra i più sano della pubblica amministrazione italiana e mi fa piacere di fronte al presidente di Confindustria Boccia citare come esempi virtuosi di un serio risanamento l’Università di Napoli Federico II e l’Università di Salerno. È arrivato a questo punto il momento per molte università, purtroppo non ancora per tutte, di avviare una terza fase, quella dell’autonomia responsabile. In questo senso il Ministero che qui rappresento intende muoversi.
Due prime iniziative concrete. Entro dicembre verrà varato il decreto che attribuisce i punti organico. Approfittando del fatto che si raggiungerà a livello nazionale quest’anno il 100% del turn over ho proposto che si consenta alle università virtuose di superare il limite del 110%. Torino Politecnico potrebbe quindi passare da 25,5 punti organico a 34,5 punti organico, con un rapporto pari al 137% del turn over. Non solo: il Ministero ha preparato un emendamento che il Governo ha deciso di pre- sentare nella Legge finanziaria. Consentirà a carico dei bilanci delle università virtuose – tenuto cioè conto del rapporto tra spese per il personale e FFO e dell’indice di sostenibilità finanziaria – di incrementare notevolmente le proprie facoltà assunzionali senza più il vincolo del 100% del turn over nazionale. Il Politecnico di Torino è una università sana: al 31 dicembre del 2017 aveva un indicatore di spesa per il personale pari al 63.62 % e un indicatore della situazione economico finanziaria pari a 1,22. Se verrà approvato questo emendamento i punti organico per il Politecnico di Torino passeranno a ben 43,19 con un aumento del 172% rispetto al turn over.
Non basta. Per quelle università che hanno dimostrato di saper vincere la sfida di una amministrazione sana, dobbiamo procedere all’attuazione dell’art. 1, comma 2, della Legge 240/2010. Trovo tra l’altro abbastanza strano, abbastanza curioso e inspiegabile, che questo articolo 1, comma 2 sia rimasto fino ad ora lettera morta.
E invece è un’autentica rivoluzione. Consentirebbe di realizzare infatti per la prima volta in Italia una vera, autentica, forte autonomia. Con gli organi rappresentativi del mondo accademico, stiamo discutendo su come dare sostanza concreta all’autonomia, come recita l’articolo 1, comma 2, autonomia organizzativa e funzionale. Per quanto mi riguarda sono intenzionato a valorizzare al massimo le potenzialità di questa previsione.
Ma vi è un altro tema che riteniamo indispensabile e urgente: la semplificazione. Dobbiamo rendere più semplice la vita dei ricercatori e dei docenti. Abbiamo dunque preparato una serie importante di emendamenti che mi auguro possano essere approvati per spazzare via lacci e lacciuoli che penalizzano la vita di coloro che lavorano nell’ambito dell’università. Così com’è ora sempre più necessario consentire una flessibilità concreta fra università e professore, concordata tra università e professore, nell’impegno in ricerca e didattica. Quindi flessibilità nell’impegno tra ricerca e didattica concordata tra università e professore.
Per rendere più competitivo il sistema universitario italiano e più aderente alle sfide attuali, il Ministero ha predisposto un emendamento che abrogherà un vecchio Regio decreto del 1933 che impediva di iscriversi contemporaneamente a due corsi di laurea. Questo avrà effetti rivoluzionari perché consentirà di superare il vincolo dell’80% di crediti comuni, permettendo di costruire percorsi di laurea comuni come per esempio tra ingegneria e medicina, mettendo insieme competenze differenti. Un altro caso è per esempio quello dell’intelligenza artificiale dove si potrebbero mettere insieme e unire competenze giuridiche e competenze scientifiche. L’Italia sarà così all’avanguardia nel mondo al pari di Stati Uniti, Olanda e Svizzera.
Va rivisto il ruolo dell’ANVUR. Da organismo di controllo preventivo e di controllo sulle attività e sui processi, deve diventare – com’è laddove esistono sistemi analoghi – un organismo di controllo sui risultati con meno burocrazia e meno complicati algoritmi. Abbiamo già iniziato con una drastica revisione delle linee guida sui dottorati. A proposito di dottorato, è ferma intenzione del Ministro pro- porre percorsi di dottorato in collegamento stretto tra università e imprese. È necessaria cioè una sempre maggiore integrazione della figura del dottorato con l’impresa.
Il Governo intende risolvere la questione dei ricercatori a tempo indeterminato. Si tratta di dare finalmente attuazione a quanto era stato previsto dell’articolo 29, comma 9 della Legge 240 e che mai è stato attuato.
Dobbiamo nel contempo aumentare lo stanziamento per i ricercatori di fascia B. Il Ministro sta lavorando perché ci sia un aumento del FFO già dal 2019, mentre sapete che a partire dal 2020 c’è un aumento di 100 milioni di euro. Tra l’altro dovrebbe finalmente prodursi l’aumento del 3.48% degli stipendi del personale non contrattualizzato dell’università.
Per quanto riguarda il diritto allo studio il MIUR si sta adoperando per riuscire ad erogare per la prima volta il saldo del 2018 entro l’esercizio corrente. Appena ci sarà la registrazione della Corte dei Conti procederemo con i pagamenti direttamente agli Enti regionali per il diritto allo studio. Particolarmente rapida sarà quest’anno anche l’attuazione della Legge 338. Sono già disponibili 135 milioni e tra breve renderemo disponibili gli altri 200.
Il Parlamento deve risolvere con una interpretazione autentica della Legge la questione delle consulenze dei professori universitari che ha fra l’altro drammaticamente coinvolto molti docenti dei Politecnici. Una del tutto errata interpretazione della Legge ha bloccato una liberalizzazione che il Legislatore volle in modo esplicito a iniziare dalla relazione tenuta nell’aula del Parlamento. Anche su questo punto il Ministero ha offerto una proposta concreta.
Sono appena usciti i dati sui Consolidator Grants dell’ERC. Come di consueto su 291 vincitori 35 sono italiani. Siamo la seconda nazionalità dopo i tedeschi ma in proporzione al numero di ricercatori veniamo prima dei tedeschi. Eppure solo 14 sui 35 vincitori svolgono la loro attività in Italia.
Si è sempre parlato di come favorire il rientro dei cervelli. Dobbiamo andare oltre. Rimuovere le cause economiche e strutturali che favoriscono la migrazione all’estero dei nostri ricercatori e che rendono poco attrattivo all’estero il nostro sistema. E qui veniamo ad un tema che dovrebbe interessare da vicino un Politecnico. Occorre una grande strategia sulla ricerca. Solo per fare un esempio, quando sono arrivato poco più di un mese fa, l’Italia era l’unico paese che non aveva ancora nominato un proprio rappresentante nel Board European Open Science Cloud. Ci sono grandi sfide in cui il nostro sistema di ricerca italiano deve giocare un ruolo non marginale. Penso al tema dell’intelligenza artificiale. Sto creando un gruppo di lavoro che dovrà interagire con Francia e Germania. Avremo il 15 di gennaio un importante incontro a Parigi. Penso alla rivoluzione quantistica e a Vienna abbiamo giocato da protagonisti ribaltando una situazione che rischiava di danneggiare fortemente i nostri istituti di ricerca, le nostre università, le nostre imprese.
Penso al tema della messa in rete, della condivisione a livello europeo dei risultati della ricerca. Tema su cui molti soggetti, dal CINECA a GARR, si muovono in ordine sparso: occorre una linea strategica. Penso al tema dello spazio che proprio qui a Torino e proprio qui al Politecnico ha indubbie eccellenze e dove venerdì scorso a Bruxelles venerdì scorso abbiamo raggiunto un primo importante risultato politico. L’affermazione cioè che le risorse dedicate, dovranno nel nuovo programma Horizon Europe, il nuovo programma, dovranno mantenere la stessa proporzione che c’era nel programma Horizon 2020. Il che significherebbe un aumento del 22% circa.
Ho lanciato alla Conferenza ESOF, tenutasi alla Farnesina alcuni giorni fa, l’idea di una diplomazia della ricerca. Dobbiamo sviluppare una serie di rapporti bilaterali con quei paesi anche extraeuropei particolarmente vivaci e interessanti: in Asia, come in Africa, come in America: portando là le nostre migliori Istituzioni, creando là sedi distaccate, attivando progetti di ricerca comune che mettano insieme in una grande comunità internazionale cervelli e idee. Lavorando su progetti che possano anche facilitare la penetrazione della nostra industria. Dobbiamo copiare ciò che fa il Fraunhofer Insitute. La ricerca deve poter aprire la strada anche alle nostre imprese. Imprese e università devono sedersi attorno ad un tavolo. Magari là dove è necessario con la regia del Ministero e noi ci offriamo per ospitare e incoraggiare questi tavoli, per studiare strategie comuni di sviluppo. A tale riguardo abbiamo già iniziato a muoverci. Nei prossimi giorni, proprio con le imprese dello spazio e il mondo dell’università.
Il futuro piano nazionale della ricerca dovrà avere un forte carattere strategico. Dobbiamo avere in mente un’idea di Italia, un’idea di società. Dobbiamo immaginare l’Italia dei prossimi 10 anni. Un’idea di economia. Dovrà essere un piano che sappia fare delle scelte.
E veniamo all’ultimo tema: quello del trasferimento tecnologico. Stiamo studiando il lancio di un evento che sarà unico al mondo e destinato a favorire la valorizzazione concreta dei nostri brevetti. Dobbiamo non solo renderli appetibili e comprensibili ma anche andare a cercare le imprese potenzialmente interessate.
L’università è un bene comune. Non possiamo dividerci tra schieramenti politici o semplicemente culturali. La capacità di innovare è lo strumento più forte per favorire la crescita economica e culturale di un paese. E’ qui più che altrove che si gioca il nostro futuro.
E perché questo sia chiaro a tutti voglio chiudere con una frase di Vito Volterra, particolarmente simbolica perché la fondazione di questo Politecnico nel 1906 vide il ruolo decisivo di questo grande matematico italiano. Volterra amava ricordare: “Se ci volgiamo a guardare la Storia ci rendiamo conto come i più grandi imperi siano tutti tramontati. Ma ancora oggi stiamo ad imparare il teorema di Euclide”. Grazie e buon lavoro.
‘Tra l’altro dovrebbe finalmente prodursi l’aumento del 3.48% degli stipendi del personale non contrattualizzato dell’università’. Questo passaggio a me suona misterioso: forse intendeva dire ‘personale contrattualizzato’?
Attendiamo (non sensa un po’ d’ansia) l’annunciata ennesima ‘drastica revisione’ delle linee guida sui dottorati. Per il resto, l’idea di Università proposta è chiarissima: atenei di serie A e atenei di serie B. Al di là di tutte le considerazioni che potrebbero farsi e sono state più volte fatte su questo tema, mi pare che l’aumento esponenziale della capacità assunzionale di atenei già ricchi dovrebbe accompagnarsi, come minimo, con l’obbligo di chiamare una quota di abilitati ‘esterni’ ben superiore al 20%, se l’idea è di favorire la costituzione di poli universitari d’eccellenza, e non semplicemente quella di favorire determinati territori su altri.
Capisco che dopo anni di turnover dimezzato o comunque ridotto, poter dire che una manciata di università possano arrivare a più del 170% del turnover per i pensionamenti del 2019 possa permettere di suonare la grancassa, anche perché nel frattempo si strangolano quelle “viziose”. Senza porsi il minimo problema sul fatto che ormail la virtù si gioca su margini ridottissimi, più legati all’anagrafe o a cabale anvuristiche che a reale valore.
La domanda di fondo per il prof. Valditara resta la stessa di quando era relatore della legge Gelmini: ma queste “riforme epocali” del sistema universitario, tra chi e chi le avete discusse? Quali sono stati o saranno gli spazi per un confronto democratico e non per l’ennesima imposizione dall’alto da parte dei soliti sedicenti illuminati di turno?
“L’università è un bene comune. Non possiamo dividerci tra schieramenti politici o semplicemente culturali.” Facilmente condivisibile.
“La capacità di innovare è lo strumento più forte per favorire la crescita economica e culturale di un paese. E’ qui più che altrove che si gioca il nostro futuro.”: molto bene. Nel campo umanistico, cosa si intende per innovare? Sento un terreno scivoloso …
[…] Come qualcuno ricorderà, la redazione di un “testo unico” per l’Università faceva parte degli impegni contenuti nel contratto di governo: «Non è più procrastinabile la semplificazione della legislazione universitaria attraverso la redazione di un testo unico». Una questione di mera semplificazione e di riordino delle norme, almeno in apparenza. Oggi però un comunicato della Rete 29 Aprile (R29A) informa che, prima ancora che sia stata varata una legge delega, c’è già una commissione al lavoro, «il cui decreto istitutivo, che ci risulterebbe essere del 21/11/2018, guarda caso, non si trova sul sito del MIUR». Se da un lato sarebbe interessante sapere se la commissione esiste davvero e chi la componga, è persino più interessante capire quali saranno i confini della legge delega. Sempre secondo il comunicato di R29A, il testo unico, «anziché limitarsi a radunare le varie norme in un’unico provvedimento, pare – così interpretano coloro che hanno potuto vedere le bozze della necessaria legge delega – che potrà anche innovare in settori cruciali. Potrebbe trattarsi, insomma, di una legge Gelmini 2.0». Una nuova riforma (semi)epocale? E secondo quali linee guida? Nell’attesa che il tutto emerga alla luce del sole, il comunicato suggerisce che qualche indicazione possa venire dalla lettura del discorso tenuto al Politecnico di Torino dal capo Dipartimento Università del MIUR, Giuseppe Valditara, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico (la cui trascrizione pubblichiamo in un post separato). […]
Credo che gli epocali riformatori di questi ultimi lustri abbiano voluto inculcare e realizzare l’idea, quanto alla ricerca, che con pochi soldi si possono fare grandi cose, se uno s’impegna, come ha fatto Corvelva (https://www.corvelva.it) coll’indagine sui vaccini, che adesso sta facendo altri adepti antivaccinisti: ha speso ben diecimila euro. Su Corvelva si legga a http://www.informasalus.it/it/articoli/nature-analisi-corvelva-vaccini.php
https://vaxopedia.org/2018/12/19/what-is-corvelva/
https://vaxopedia.org/2018/09/23/how-do-anti-vaccine-folks-think/, soprattutto l’ultimo.
Ed è per questo che i finanziamenti europei per la ricerca, quelli ottenuti da italiani, vanno all’estero. In Italia bastano poche migliaia di euro, con i milioni non si sa cosa fare.
Molte parole e poca sostanza.
Si parla di un generico “piano nazionale della ricerca che dovrà avere un forte carattere strategico”. Non significherà per caso ricerca orientata? Quindi soprattutto applicativa e industriale? E la ricerca di base che è il vero motore del progresso scientifico e tecnologico, che produce premi Nobel? La lasciamo marcire? Spero di sbagliarmi. Poi, non si allude minimamente a bandi per il finanziamento della ricerca pubblica (Prin o simili) che abbiano finalmente cadenza annuale improcrastinabile, budget congruo e regolamento chiaro che non cambi a seconda delle stagioni.
Spero che non si tratti come al solito di fuffa, come il famoso PNR annunciato dalla Carrozza a gennaio del 2014: “l nuovo Pnr, assicura il ministro al termine del Cdm, «permetterà di migliorare la nostra competizione a livello europeo», e «aumenterà la capacità dei ricercatori italiani di competere a livello europeo».
Vito Volterra a conclusione dell’intervento? Applausi!!!!
Prima o poi arriveremo a discutere che danno e’ stato marginalizzare Federigo Enriques e lasciare carta bianca a chi ha messo la scienza all’ultimo posto. Provate a rileggere “Problemi della scienza” e un testo qualsiasi di Giovanni Gentile e ditemi quale di queste due visioni, oggi, ha ancora valore culturale.
E giusto per chiarire non sto parlando di soldi o di posti: sto parlando di impostazioni di fondo da rivedere.
Paradossale che sia un ex-missino a citare (in parafrasi) una frase di Volterra che era stata scritta proprio quando il regime fascista assumeva l'”Impero” (cfr. la biografia di Volterra di Judith Goldstein).
Non risulta un’adesione all’MSI nella storia politica di Valditara, almeno da quanto riferisce Wikipedia
______
https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Valditara
______
dove si fa riferimento a Lega Nord e Alleanza Nazionale.
Caro Lucio, nel 1906 lo scempio non si era ancora consumato. Filosofi e scienziati e cittadini si parlavano ancora, nella migliore tradizione risorgimentale, c’era ancora speranza. Guarda in che modo si esprimeva Volterra nella prolusione inaugurale della Società italiana per il progresso delle Scienze:
https://it.wikisource.org/wiki/Rivista_di_Scienza_-_Vol._II/Il_momento_scientifico_presente
da cui traggo solo una frase per riferimento
“Due fatti ho voluto mettervi contemporaneamente dinanzi agli occhi: l’avvicinamento tra il pubblico e gli uomini di scienza, dovuto allo stato d’animo che nell’uno e negli altri ingenera il sentimento scientifico dominante nel mondo odierno; e la grande crisi che agita oggi tanti rami del sapere. All’uno ed all’altro di essi corrispondono nuovi bisogni della umana società, bisogni cui ogni paese civile deve soddisfare se non vuole che si arresti o languisca la propria vita intellettuale e che si inaridiscano le fonti della propria prosperità.”
Purtroppo, si stavano preparando tempi peggiori. Di li a poco, i filosofi neo-idealisti avrebbero conquistato l’egemonia culturale nel paese, scavando un profondo fossato tra filosofia e scienza, tra cultura e tecnica, tra cittadini e scienziati, come ci racconta il bellissimo libro di Lucio Russo e Emanuela Santoni.
Davvero impressionante la quantità di risorse assunzionali drenate verso le università milanesi nella distribuzione, appena pubblicata, dei punti organico 2017: http://www.miur.gov.it/documents/20182/226557/D.M.+873-2018+TABELLA+1+-+PUNTI+ORGANICO+2018/236305b1-2c58-400f-9a51-e07b7b5d7a75?version=1.0
Punti organico, ovviamente, 2018 (relativi alle cessazioni 2017).
bene tenere a mente che “risorse assunzionali” significa possibilità di assumere, ma non significa soldi per assumere. In ogni caso, questi “travasi” meritano sicuramente un’analisi. In passato, ne avevamo scritto più volte:
https://www.roars.it/punti-organico-chi-ha-avuto-e-chi-ha-dato/
https://www.roars.it/un-doveroso-chiarimento-sullassegnazione-dei-punti-organico-agli-atenei/
https://www.roars.it/punti-organico-in-4-anni-il-nord-si-e-preso-700-ricercatori-dal-centro-sud/
https://www.roars.it/punti-organico-2014-robin-hood-alla-rovescia-parte-seconda/
https://www.roars.it/al-cambia-valute-del-miur-a-rimetterci-sono-le-universita/
https://www.roars.it/punti-organico-una-proposta-che-si-puo-rifiutare/
https://www.roars.it/un-calcio-di-rigore-al-90-minuto-una-proposta-per-il-ministro-carrozza/
https://www.roars.it/il-robin-hood-al-contrario-del-d-m-punti-organico-2013/
[…] sarebbe devastante. Un vero e proprio ritorno all’automia irresponsabile, osteggiata, ma solo a parole, dallo stesso […]
A Valditara io vorrei chiedere per quale motivo i docenti universitari devono essere schiacciati tra l’incudine dell’autonomia e il martello del centralismo, con un continuo scaricabarile tra l’una e l’altro, oggetto di promesse e impegni non mantenuti dalle università (vedi una tantum), oberati di burocrazia assurda (autorizzazioni anche per andare a fare un seminario in altra sede), ostacolati nello spendere fondi (5 mesi per un acquisto ancora non concluso), costretti a spendere di più per comprare peggio dall’assurda Consip, caricati di obblighi e adempimenti sia ministeriali sia imposti dagli atenei, lasciati alla mercé di atenei che impongono tempi definiti con lo stesso carico orario didattico dei tempi pieni alla faccia della legge, imprigionati in meccanismi decisionali incontrollabili, dai quali non possono difendersi e senza possibilità di individuazione e assunzioni di responsabilità, trasformati in dipendenti di azienda senza tutele, costretti – se pendolari a medio-lungo raggio – a svenarsi di costi di trasporto e soggiorno, impediti nel chiedere e ottenere trasferimenti in sedi della città di residenza, quindi di fatto “confinati” a distanza dalla famiglia, con una grave violazione dei diritti alla propria vita familiare e privata. Risponda a questo Valditara. Ma che università ha conosciuto, conosce e vede?
Importante riportare l’Università al centro dell’attenzione pubblica quale elemento cardine per lo sviluppo ed il futuro di un sistema Paese.
Gli Atenei produttivi devono essere messi tutti in grado di competere ad armi pari perequando le risorse private nei territori delle aree poco industrializzate.
I passi in avanti compiuti dal sistema Universitario Italiano in termini di efficienza sono dovuti all’applicazione di un sistema di verifica di risultati sia in termini di premialità ASN che di attribuzione di risorse: affinché tale andamento virtuoso si consolidi è necessario estendere tali verifiche prima di tutto ai vertici e non solo alla base (come avviene in tutti i paesi avanzati).
Un sistema con verifica di risultati per la base escludendo i vertici è il paradigma del mobbing perfetto capace di generare solo inefficienza e degenerazione.
Per quanto concerne l’ASN è importante includere oltre alla la docenza svolta anche una effettiva premialità evitando il blocco posto da commissioni “negazioniste” su basi “politiche” ai candidati in possesso dei requisiti risultati non idonei con valutazioni discutibili: chi ha conseguito tre mediane ed ha 4 titoli deve essere abilitato. La discrezionalità della commissione si potrà applicare solo per particolari meriti di chi ha conseguito due mediane su tre.
Valutazione dei ricercatori in base alle risorse disponibili e non solo per i risultati assoluti conseguiti.