«Punti organico: in 4 anni il Nord si è preso 700 ricercatori dal Centro Sud» era il titolo – assai efficace – di un articolo di Cappelletti Montano. Nello stesso post era spiegato che quei “700 ricercatori” erano l’equivalente di 341 punti organico: le università non hanno certo usato tutti quei punti né per trasferire ricercatori da sud a nord né, tantomeno, per assumere 700 nuove unità di personale. Ma come sono stati effettivamente usati questi punti organico? In questo articolo, cerchiamo di rispondere, analizzando il saldo totale per ciascuna fascia nelle tre aree geografiche del nord, centro e sud.

 

Italia_punti_organico_2015

Il titolo di un articolo di ROARS di non troppo tempo fa

Punti organico: in 4 anni il Nord si è preso 700 ricercatori dal Centro Sud

è molto efficace, ma come si spiega bene nell’articolo stesso, quel “700 ricercatori” non è che l’equivalente di 341 punti organico. Sappiamo bene che le università non hanno certo usato tutti quei punti né per trasferire ricercatori da sud a nord né, tantomeno, per assumere 700 nuove unità di personale.

Mi sono quindi proposto di vedere come le università hanno usato quei punti organico. Ho considerato solo le università pubbliche, ripartite territorialmente come nell’articolo (Toscana, Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo incluse nel centro), nel periodo 2012-2015. Ho considerato gli elenchi del sito CercaUniversità del Cineca, aggiornato al 9 settembre per il 2015, e al 31-12-2011 per il 2012.

Per comparazione, ho inoltre considerato il saldo rispetto al 2009 (elenco del 31-12-2008), anno in cui l’organico delle università pubbliche ha raggiunto il valore massimo di oltre 60.000 docenti strutturati, nonché la ripartizione in fasce nel 2006 (elenco del 31-12-2005), anno in cui entra in vigore la riforma del ministro Moratti (L. 230/05).

Naturalmente il saldo per ogni fascia docente è dato sia dalle cessazioni che dai passaggi di ruolo in entrata e uscita, oltre che dai trasferimenti e dalle assunzioni dirette nel ruolo stesso. La disaggregazione di queste componenti, piuttosto impegnativa, sarà oggetto di un post successivo, e in questo ambito si considera quindi il saldo totale per ciascuna fascia nelle tre aree geografiche del nord, centro e sud.

Il saldo totale 2012-2015 è ovviamente negativo, con le poche forze fresche costituite dai 374 Ricercatori a Tempo Determinato di tipo b (TD-b), ammesso che tutti abbiano ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), e resta negativo anche se si considerano i 1480 non tenure (TD-a e TD pre-240) aggiuntivi del quadriennio. I TD-b non erano presenti nel 2012 e per questo non sono riportati nei calcoli del saldo percentuale.

Il calo è comunque minore al nord (-6,9%) rispetto al centrosud (entrambi -9,2%) (Figura 1 a-b).

Francalazzi1Figura 1

Come atteso, il saldo negativo è molto più evidente se calcolato relativamente al massimo storico del 2009, raggiungendo la doppia cifra in tutti i raggruppamenti geografici, ma con un valore più basso al nord di circa 5 punti percentuali (-14.7 rispetto al -19.5 del centro e al -19.6 del sud) (Figura 1 c-d).

Francalacci2Figura 2

La differenza più significativa è data dal notevole incremento dei Professori Associati (PA) al nord. La distribuzione percentuale delle fasce, che nel 2012 era simile nelle tre aree geografiche (figura 2a-b), nel 2015 si differenzia molto al nord, dove i PA diventano maggioranza relativa, mentre si accentua la piramide al centrosud (figura 2c-d). I professori Ordinari (PO) calano ovunque, ma soprattutto al centro. Rispetto al 2009, si nota che al centro e al sud tutte le fasce, incluso quindi quella dei PA, subiscono un importante decremento.

Francalacci3Figura 3

Lo storico della distribuzione fasce docenti degli ultimi 10 anni (figura 3) mostra nel 2006 una struttura “a cilindro”, sebbene si osservi una certa prevalenza di Ricercatori Universitari (RU), ovvero del tutto in linea quindi con l’impianto della legge 382 del 1980 che aveva istituito le tre fasce prevedendo un organico identico per PO e PA e poco più numeroso per i RU.

Prevalenza che diventa evidente nel 2009, anno in cui i RU superano le altre due fasce di circa 10 punti percentuali. È interessante notare che in questo periodo agisce la riforma Moratti, che aveva posto in esaurimento il ruolo di RU pur prorogandone la permanenza di alcuni anni e anzi incentivando le università alla loro chiamata. Pertanto in questo periodo le università si ritrovano ad assumere una grande quantità di personale in un ruolo che, a torto o a ragione (a parere mio decisamente a torto), la legge aveva posto in esaurimento.

Nel periodo 2009-12 le cessazioni, tanto maggiori nelle fasce con età media più alta, e il contestuale blocco del turnover, conferiscono una struttura “a piramide”, seppure con una base molto ampia costituita dai RU.

Nel 2015 i PA equivalgono ai RU, pur tuttavia non superandone il numero, grazie sostanzialmente al notevole incremento di personale inquadrato in questo ruolo al nord. Il piano straordinario associati, che in teoria doveva far transitare i RU nel ruolo di PA, ha funzionato un po’ di più al nord, ma decisamente poco al centro sud. Le assunzioni di ricercatori giovani nel periodo post-Moratti e l’esiguità del piano straordinario della Gelmini manterranno per molti anni a venire notevolmente alta la presenza di RU, ufficialmente in esaurimento.

Si può concludere quindi che i 341 punti organico supplementari siano stati utilizzati solo marginalmente per l’assunzione o il trasferimento di nuovo personale (dato che si evincerà più chiaramente con l’analisi dei flussi), ma sembrano essere stati impiegati prevalentemente per favorire gli scorrimenti da RU a PA nelle università del nord e, in misura minore, sempre rispetto al centrosud, per limitare la perdita di PO e per inquadrare qualche TD-b in più.

Senza dare giudizi di merito ma limitandoci alla lettura dei dati, si può osservare che, considerando che le università virtuose si trovano prevalentemente (ma non tutte) al nord e vista la scarsissima mobilità interuniversitaria, un ricercatore in possesso di ASN, indipendentemente dal proprio merito, ha più probabilità di fare carriera se ha la fortuna di lavorare in una università settentrionale.

Print Friendly, PDF & Email

21 Commenti

  1. Bene, tutte brillantissime analisi da cui si evince che le università del nord sono buone come quelle del sud. peccato che l’esperienza empirica quotidiana ci dimostri esattamente il contrario (tanto è vero che gli studenti che lo possono fare scappano dalle università del sud a gambe levate). Come la mettiamo?

  2. è vero che gli studenti che lo possono fare scappano dalle università del sud a gambe levate come afferma Leonardo40,
    ma la ragione principale sta nel fatto che questi studenti ritengono più vantaggioso andare a studiare in Università che si trovano in regioni e territori che offrono in prospettiva maggiori opportunità di lavoro, non tanto perché ritengono le Università del Sud più scadenti.

  3. Non sarà che gli studenti scappano dalle università del sud per la stessa ragione per cui i loro nonni e genitori scappano dagli ospedali del sud? O Roars è intenzionata a dimostrarci, dati alla mano, che gli ospedali del sud sono tanto buoni quanto quelli del nord? Per aiutare il sud non bisogna mettere la polvere sotto il tappeto, come si è fatto per decenni. La verità è sotto gli occhi di tutti. Riartiamo da lì.

    • Penso di aver gia’ risposto qui: “Più che altro una situazione che ricorda sempre più quello che accadeva nel film “1997 fuga da New York”, dove quella che fu la città di New York era diventata il carcere di massima sicurezza per l’intero paese. Solo che non è Jena Plissken, prigioniero condannato alla pena capitale, a tentare di fuggire, ma un esercito di studenti, laureati e dottorati che scappano da una terra che non sembra offrire più nulla.” http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/14/universita-2015-fuga-dal-sud/2032769/

    • Ma leggere il materiale suggerito, prima di pigiare i tasti, è un sacrificio così grande? Il commmento è decisamente fuori bersaglio e noi della redazione non possiamo fare corsi di sostegno personalizzati. Gli articoli pubblicati servono proprio per dare a tutti la possibilità di documentarsi sui dati e sullo stato del dibattito. Che chi frequenta un blog accademico non riesca a leggere/capire degli articoli divulgativi, perché prigioniero di una visione di politica scolastica/universitaria fondata sul “modello battipanni sulle natiche” mi sembra emblematico di una regressione collettiva a schemi mentali primordiali.

  4. Il “materiale suggerito” insiste sostanzialmente su due linee:

    1) Le università del sud, se si valutano i dati appropriati, sono tanto buone quanto quelle del nord. Purtroppo non siamo in grado di verificare che i dati forniti dalle università e dagli altri istituti (e certo in buona fede impiegati da Roars) siano affidabili. Personalmente credo di no.
    2) Gli istituti di valutazione pregiudizialmente vogliono fare fuori il sud e favorire il nord. Di questo si può discutere. Personalmente credo di no.

    Propongo ai colleghi Sylos Labini ie De Nicolao di compiere una breve e facile ricerca, partendo dall’esperienza empirica personaleM gli esiti di quella ricerca mi convincerebbero molto più di dati di dubbia affidabilità.
    Prendano dal Miur l’elenco dei professori ordinari, associati e ricercatori del loro settore scientifico-disciplinare; scrivano la lettera B a fianco dei nomi dei colleghi che considerano bravi. Poi conteggino le B apposte a fianco dei nomi e le distribuiscano in due gruppi: il primo costituito dalle B attribuite a docenti e ricercatori di università a nord di Roma; il secondo costituito dalle B attribuite a docenti e ricercatori di università a sud di Roma. Se ci tengono, normalizzino i due numeri ottenuti tenendo conto del numero complessivo di docenti incardinati in università del nord e del sud. Attendo la pubblicazione dei risultati.

    • leonardo.40 non è in grado di farla franca con me: non ha fatto i compiti e continua a tirare a indovinare riguardo ai contenuti degli articoli che avrebbe dovuto leggere (e capire). Se dovessi decidere se scrivere una lettera B di fianco al suo nome, temo proprio che salterei la riga.
      Dove mai su Roars leonardo.40 ha letto che “le università del sud, se si valutano i dati appropriati, sono tanto buone quanto quelle del nord”?
      Conosco molti colleghi a sud di Roma che darebbero molti punti di distacco a leonardo.40 i termini di serietà e accuratezza. Ma forse ho capito l’arcano: leonardo.40 sta a sud di Roma e sta generalizzando il suo caso particolare.

  5. Giuseppe De Nicolao – 9 agosto 2015 at 13:27:
    “I voti medi degli esami e quelli di laurea sono molto più uniformi tra nord, centro e sud di quanto si è soliti immaginare. E il record spetta al San Raffaele”.

    Beniamino Cappelletti Montano – 18 agosto 2015 at 00:15:
    “Vedremo in un prossimo articolo che, dati alla mano, spesso gli atenei “premiati” sono invece proprio quelli con le peggiori politiche di reclutamento”.

    • Ancora non ci siamo: io non ho scritto “le università del sud, se si valutano i dati appropriati, sono tanto buone quanto quelle del nord”. Io ho fatto un’osservazione fenomenologica (e verificabile) sulla distribuzione dei voti degli studenti senza nulla dire sulla bontà degli atenei.
      A sua volta, Cappelletti Montano ha osservato che le strane formule del Ministro Carrozza hanno premiato chi aveva indicatori peggiori. Di nuovo, una cosa del tutto diversa rispetto a “le università del sud, se si valutano i dati appropriati, sono tanto buone quanto quelle del nord”. Tanto e vero che Cappelletti Montano pubblica una lista dove la magggior parte degli atenei con indicatori più bassi si trova al sud (vedi seconda colonna di https://www.roars.it/wp-content/uploads/2015/09/Reclutamento_Tabella_1.png).
      A me sembra che leonardo.40 stia facendo una disperata ricerca della frase giusta a sostegno della sua tesi. Ma non è così che si studia (e sarebbe grave se fosse un collega a non averlo capito). Bisogna leggere e capire. Altrimenti si fa come quegli studenti che non studiano la teoria ma prendono le domande dei temi d’esame e sfogliano le dispense per trovare la risposta senza mai leggerle da cima a fondo.
      Provaci ancora leonardo.40, ma ci vuole più impegno.

    • In realtà sto aggiungendo un commento personale al fatto che le Università del Sud hanno indicatori più bassi relativamente alle politiche di reclutamento. E’, a mio avviso, in buona parte ancora un ulteriore effetto cumulativo. Quindi non approvo quel che dice Leonardo.40. Avendo meno risorse e tanti licenziamenti e dovendo tenere aperti i corsi di laurea la scelta è andata sulle promozioni degli interni e spesso con regole non propriamente meritocratiche ma basate su anzianità di servizio. Tali regole sono servite a tenere “buoni” ricercatori che si sobbarcavano tanto lavoro pur non essendo obbligati a farlo. Inoltre le punizioni sul reclutamento carente non sono state “gravi”. Forse in alto ci si era accorti di questo fatto.

  6. Caro leonardo.40,
    se non vuole approfondire la questione della distribuzione dei punti organici leggendo gli articoli che hanno caratterizzato il dibattito su ROARS, Le consiglio di leggere attentamente il decreto legislativo 49 del 2012 (Governo Monti). Attraverso la lettura attenta di quel decreto e delle successive modificazioni che ne hanno caratterizzato l’applicazione fino ad oggi, capirà che la metodologia alla base della distribuzione agli atenei dei punti organici che derivano dai pensionamenti anno per anno non ha nulla a che fare con la bravura dei docenti, sulle loro capacità didattico-scientifiche o con i sondaggi che lei propone. In sintesi, alla base della distribuzione dei punti organici, vi è semplicemente un singolo indicatore chiamato ISEF (indicatore di sostenibilità economico-finanziaria). Tale indicatore è estremamente sensibile ad alcuni parametri (economico-finanziari) che potremo definire di contesto: a) le tasse pagate dagli studenti; b) i finanziamenti pubblici e privati derivanti dal territorio. Le tasse pagate dagli studenti (che dovrebbero rimanere per legge all’interno di un venti per cento del finanziamento totale degli atenei, legge che molti atenei non rispettano) sono direttamente in relazione con l’ ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) delle famiglie a cui gli studenti appartengono (è noto che le capacità economiche delle famiglie del Sud sono inferiori di quelle delle famiglie del nord). Inoltre anche i finanziamenti pubblici e privati sono nettamente in relazione alle capacità complessive economiche del territorio (banche, industrie, enti locali, etc.) e di fatto favoriscono, nella applicazione dell’ISEF, le università che vivono in territori più ricchi. Quindi cosa succede: il Ministero, immaginando un Sistema Universitario Nazionale, centralizza i punti organici derivanti dai pensionamenti (cosa di dubbia costituzionalità data la autonomia universitaria prevista dall’art. 33 della Costituzione e dalle leggi sulla autonomia derivanti da quell’articolo) e successivamente li distribuisce in base all’ISEF spostando complessivamente punti organici, liberati dai pensionamenti, dalle università del Sud a quelle del Nord. In questo senso l’immagine del “inverse” Robin Hood mi sembra perfetta e dimostra plasticamente come lo Stato abbia rinunciato alla funzione di riequilibrio dei territori a vantaggio della logica del “chi è ricco sarà sempre più ricco chi è povero sarà sempre più povero”. Come vede non c’entra nulla il sud piagnone, ma, in un quadro di riduzione delle risorse per le università pubbliche e del ridimensionamento sistema pubblico di istruzione terziaria (negli ultimi tre anni il sistema ha perso punti organici equivalenti al personale docente e tecnico-amministrativo di due grossi atenei come Padova e Napoli “Federico II” ), bisogna avere l’onestà intellettuale di ammettere che è stato creato dalla legge Gelmini in poi (ma forse anche prima) un sistema che impoverisce i territori più svantaggi del nostro Paese.

    • Il problema è ridurre una questione politica a una questione tecnica regolata da pseudo-parametri. La politica universitaria e più in generale della ricerca e dello sviluppo è appunto una politica e non un ambito in cui intervenire facendosi guidare da pseudo-parametri determinati da pseudo-scienziati.

  7. E chi lo sa? Ma poi ci sono nella legge di stabilità i fondi per un piano strardinario per PO??
    E’ vero quanto segue???
    “Incremento del FFO su quota premiale (comma 172). Il FFO viene incrementato
    di 150 milioni ma questa somma viene indirizzata sulla quota premiale producendo
    un’ulteriore divaricazione tra gli atenei. Per di più, e questo è gravissimo, non si
    annulla il taglio di 170 milioni già previsto dalla precedente normativa Tremonti.
    Abbiamo quindi un saldo negativo di 20 milioni a cui si aggiungono quelli previsti dal
    successivo articolo comma 339.
    Il quadro complessivo dell’università certo non cambia.”
    http://www.flcgil.it/files/pdf/20150121/scheda-flc-cgil-commento-al-disegno-di-legge-di-stabilita-2015-testo-definitivo-universita-enti-di-ricerca-afam.pdf

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.