Più volte nelle ultime settimane diversi esponenti del Governo Renzi, incluso lo stesso presidente del consiglio ed il Ministro dell’Istruzione, hanno annunciato provvedimenti per diminuire il potere della burocrazia ministeriale e semplificare il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, fino a giungere al decreto-legge “Semplifica Italia” annunciato in questi giorni. Eppure nulla ancora é stato fatto per eliminare uno dei più bizantini marchingegni burocratici che imperversa sui nostri atenei: il “punto organico”. Introdotto proprio da quel “governo per circolari” che si dice di voler combattere, il sistema dei punti organico, ha comportato l’evaporazione di almeno 300 ml di euro per il sistema universitario italiano, danneggiando soprattutto i giovani ricercatori. Eppure ben tre ministri (Gelmini, Profumo, Carrozza) hanno assecondato un sistema vessatorio tutt’altro che trasparente e con, anzi, diversi dubbi di legittimità.

Al ristorante …

Supponiamo che il vostro datore di lavoro un bel giorno vi proponga di pagarvi non più in euro ma in rubli o in corone slovacche o in qualunque altra valuta che conoscete molto poco. Accettereste? Quasi certamente no.

Supponiamo che, ricevuto il conto al ristorante, anziché pagare in euro paghiate in scellini tanzaniani. È molto probabile che il ristoratore piuttosto che accettare il pagamento vi costringa a lavare i piatti …

In entrambi i casi è evidentemente valutato troppo alto il rischio di instabilità della nuova valuta e quindi di perdita di valore dei vostri soldi rispetto alla valuta corrente (l’euro).

Eppure questo è quanto è successo – ed incredibilmente ancor oggi succede – nelle università italiane riguardo alle procedure che regolano il reclutamento di nuovi docenti.

A partire dal 2009 il MIUR ha infatti introdotto una nuova valuta: il “punto organico” (a cui ha anche associato una sigla: P.O.), definito come la retribuzione media dei professori ordinari in servizio in Italia. Ma, come vedremo, l’introduzione di questa nuova “moneta” non è stato indolore per il sistema universitario italiano.

Piano Straordinario Associati: i conti non tornano

Per iniziare a comprendere come opera la valuta del “punto organico”, partiamo da un esempio concreto.

Proprio in queste settimane gli atenei italiani sono alle prese con i bandi per professore associato derivanti dal “Piano Straordinario Associati”, un piano pluriennale di 173 ml di euro (a regime) stanziati dalla legge di stabilità 2011 e dalla legge Gelmini per la chiamata di professori associati nelle università italiane. Questi 173 ml di euro sono stati in precedenza suddivisi dal MIUR tra i vari atenei … ma – ed eccoci a noi – la suddivisione non è avvenuta propriamente in euro … Il MIUR ha preferito adottare la nuova valuta del “punto organico”. Ha quindi proceduto alla conversione dall’euro a questa nuova “moneta”, secondo un certo tasso di cambio, ed ha infine versato lo stanziamento (in punti organico) alle università.

Tutto questo è avvenuto in due tranche: Dicembre 2011 e Dicembre 2012. Successivamente gli atenei hanno mantenuto in cassa questi punti organico in attesa di poterli spendere dopo la pubblicazione degli esiti delle abilitazioni.

Tutti contenti quindi? Purtroppo è successo quello che era prevedibile. Il tasso di cambio “punto organico” – “euro” non è fisso e nella “borsa valori” del MIUR la valuta “punto organico” si è rivelata molto debole negli ultimi anni. Il blocco degli stipendi da un lato ed i massicci pensionamenti dall’altro hanno infatti fatto diminuire il valore delle retribuzioni medie dei professori ordinari e di conseguenza il valore punto organico nei confronti dell’euro è cominciato a diminuire drasticamente, come mostrato nel seguente grafico:

1

Cosa è successo quindi in concreto? Prendiamo ad esempio la prima tranche del Piano Straordinario Associati, distribuita nel Dicembre 2011. Si tratta di 78 ml di euro, che il MIUR converte in 615,5 punti organico. Nell’effettuare tale conversione il MIUR, non senza lasciare molte perplessità, considera il “tasso di cambio” 1 P.O. = 126.720 € valevole al 31/12/2010, cioè ben un anno prima dello stanziamento. Sennonché, già a fine 2012, quando il tasso di cambio precipita a 118.489 €, nelle casse delle università quei 615,5 P.O. valgono solo 72,8 ml €. In un anno, in pratica, per un puro gioco contabile dalle casse delle università sono evaporati 5,2 ml di euro, circa il 7% dell’intera prima tranche del Piano Straordinario Associati. Ma la perdita è ancor più forte, perché il confronto andrebbe più correttamente fatto con il tasso di cambio al momento dell’assunzione dei professori associati, quindi al 2014, anno del quale non abbiamo a disposizione il valore del tasso di cambio “punto organico”-“euro”, ma che presumibilmente, stando al trend degli ultimi anni, dovrebbe essere molto più basso dell’ultimo valore noto.

Un fenomeno analogo è accaduto anche con lo stanziamento della II e III tranche.

Nel totale la perdita secca per il sistema universitario può essere stimata in circa 7-10 ml di euro, pari, per esempio, a circa 350-400 promozioni a professore associato.

Si tratta, come vedremo, solo della punta di un iceberg, in quanto a conti fatti il danno per le università risulta assai superiore.

Ma il MIUR era autorizzato ad effettuare una tale conversione “euro”-“punti organico”? e quale legge o regolamento disciplina quale “tasso di cambio” utilizzare?

Ecco quanto prescritto dalla legge (legge 240/2010, articolo 29, comma 9):

A valere sulle risorse previste dalla legge di stabilità per il 2011 per il fondo per il finanziamento ordinario delle università, è riservata una quota non superiore a 13 milioni di euro per l’anno 2011, 93 milioni di euro per l’anno 2012 e 173 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2013, per la chiamata di professori di seconda fascia, secondo le procedure di cui agli articoli 18 e 24, comma 6, della presente legge. L’utilizzo delle predette risorse è disposto con decreto del Ministro, adottato di concerto con il Ministrodell’economia e delle finanze, previo parere conforme delle Commissioni parlamentari competenti.

La legge chiaramente assegna alle università delle risorse nella valuta “euro”. Non si parla di “punti organico” né di altre valute. Né, a maggior ragione, è specificato il tasso di cambio da applicare. Ma anche se si avesse voluto utilizzare a tutti i costi i punti organico, sarebbe sembrato più ragionevole effettuare la conversione da “euro” in “punti organico” al momento dell’assunzione del professore, e non a tassi di cambio arbitrari, peraltro molto sfavorevoli per le università (e, di converso, favorevoli per le casse dello Stato).

È nato prima il turn-over o il punto organico?

“Chi” ha introdotto il “punto organico” in Italia? Il tentativo di rispondere a questa domanda ci ha lasciato alquanto imbarazzati. È infatti difficile trovare il provvedimento che ha ufficialmente coniato questa valuta per essere utilizzata nelle procedure di reclutamento.

Quel che è certo è che nel Nono Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, a cura del CNSVU, una nota a piè pagina (pag. 74) spiega che: “La procedura PROPER (gestita dal Cineca) è stata resa disponibile dal 2005 quale supporto per la programmazione del reclutamento del personale da parte degli atenei con un costante monitoraggio ministeriale. Per le previsioni vengono considerate le variazioni sulla base di bilanci di punti organico il cui valore, per ciascuna qualifica, è stimato sulla base dei rapporti di costo medio”.

Tuttavia, a conoscenza dello scrivente, in nessuna legge o decreto attuativo riguardanti la programmazione del personale pare essere mai stato menzionato esplicitamente il “punto organico”.

Sembra quindi che il primo provvedimento che rende obbligatorio l’uso dei “punti organico” per la gestione del reclutamento del personale universitario sia una circolare ministeriale a firma dell’allora Direttore Generale del MIUR Dott. A. Masia, riguardante l’applicazione della legge 1/2009 sul turn-over, il cui impianto viene confermato, l’anno successivo, da un’altra circolare, da parte del nuovo Direttore Dott. M. Tomasi.

Pertanto, l’uso dei punti organico per regolare il reclutamento del personale universitario sembra essere regolato da una circolare ministeriale. … Ma a questo punto c’è un colpo di scena. La legge 168/1989 (la famosa “Legge Ruberti” sull’applicazione del principio di autonomia delle università) all’articolo 6 stabilisce:

Nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. È esclusa l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare.

Ricapitoliamo: l’uso dei punti organico non sembra essere stato introdotto esplicitamente da alcuna legge, ma solo da una circolare ministeriale, che però – per usare le parole usate durante l’audizione del CUN alla Camera – appare in un certo senso «abusiva» in quanto la sua applicabilità verrebbe tassativamente esclusa dalla legge sull’autonomia degli atenei.

Se tutto questo è vero, allora da un lato c’è da rimanere sorpresi di come ben tre ministri – Gelmini, Profumo, Carrozza (sospendiamo ancora il giudizio sul Ministro Giannini) – abbiano pedissequamente applicato una procedura burocratica mai esplicitamente introdotta da alcuna legge dello Stato, e di come gli atenei l’abbiano accettata senza alcuna reazione. Dall’altro lato però questa situazione surreale rende più agevole, ora, trovare una via di uscita. Per abbandonare l’utilizzo dei punti organico, infatti, non è necessario alcun intervento normativo ma solo un indirizzo di natura politica da parte del MIUR (oltre che un ricorso giudiziario da parte delle università).

Tuttavia seppure ci fosse ora un superamento dei punti organico, a distanza di 4 anni dalla sua introduzione, questo non restituirà quanto ingiustamente sottratto al sistema universitario italiano. Un conteggio esatto può essere realizzato solo in presenza di dati precisi su pensionamenti ed assunzioni e “tassi di cambio” P.O. / €, dati che purtroppo non sono pubblici (un po’ di trasparenza non sarebbe male su dati talmente importanti!). In questa occasione ci limitiamo quindi ad una stima forfetaria, che può essere utile per capire gli ordini di grandezza del danno subito dagli atenei.

Quanto ci è costato il punto organico? Danni per 300 ml di euro…

Danni da turn-over: evaporati almeno 125 ml di euro

La legge sul turn-over vigente al momento dell’emanazione della “circolare Masia” sui punti organico, la legge 1/2009, stabiliva che:

Per il triennio 2009-2011, le università statali, […], possono procedere, per ciascun anno, ad assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al cinquanta per cento di quella relativa al personale a tempo indeterminato complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente […]

Tale legge è stata modificata nel corso del tempo, ma con un principio che è rimasto costante: la legge prescrive di calcolare l’ammontare delle risorse totali liberate dalle cessazioni nell’anno precedente e di tali risorse considerare una data percentuale a seconda del limite di turn-over di volta in volta stabilito dalla normativa: il 50% nel triennio 2009-2011, il 20% nel biennio 2012-2013, il 50% nel 2014, ecc. Quel che conta rilevare è che la legge non parla mai di “punti organico”, ma di risorse rivenienti dai pensionamenti.

Ora però il MIUR calcola tali risorse utilizzando come valuta il punto organico, anziché il loro valore reale (in euro). Ciò comporta un notevole scostamento – circa il 25-30% – tra risorse reali liberate dai pensionamenti e risorse virtuali calcolate dal Ministero, in quanto i punti organico misurano i costi medi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi il personale pensionando ha retribuzioni molto alte, molto spesso corrispondenti all’ultima classe stipendiale.

Cerchiamo di calcolare l’ordine di grandezza di tale scostamento. Non disponendo di dati precisi sui pensionamenti anno per anno, facciamo riferimento alla Tabella I.2.3.10 del “Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca 2013”, a cura dell’ANVUR. Ricaviamo la seguente stima (molto per difetto, soprattutto riguardo al personale tecnico-amministrativo) sulle cessazioni medie annue nel periodo 2008-2013:

 

# pensionamenti annui (stima)

# P.O. annui (stima)

Ordinari

1130

1130

Associati

675

472,5

Ricercatori

564

282

Amministrativi**

914

274,2

Totale

3283

2158,7

 

Stimando forfettariamente una perdita del 25% (stima per difetto) dato dall’utilizzo dei punti organico rispetto alle retribuzioni in uscita del personale universitario ed un valore medio del punto organico di 122.000 €, si ottiene una stima delle risorse “volatilizzate” in ciascun anno:

 

Anno

Turn-over

Risorse bruciate (stima)

2009

50%

32.920.175

2010

50%

32.920.175

2011

50%

32.920.175

2012

20%

13.168.070

2013

20%

13.168.070

Totale

125.096.665

 

In pratica, per la sola utilizzazione burocratico-contabile del “punto organico” – che peraltro non sembra essere consentita da alcuna legge – gli atenei si sono visti sottrarre oltre 125 ml di euro in 5 anni, pari a circa 500 nuovi posti da ricercatore oppure a circa 700 promozioni a professore ordinario od oltre 1000 promozioni a professore associato. Si tratta di stime largamente per difetto in quanto nella maggioranza dei casi tali promozioni hanno un costo reale per l’ateneo molto minore dei differenziali indicati nella “circolare Masia” (per tale aspetto rinviamo all’articolo “La personale spending-review del Ministero per vessare le università”). La stima del danno economico che comporta la contabilizzazione dei “costi medi” al posto dei “costi reali” necessita di dati difficilmente reperibili nelle banche dati ufficiali, e quindi preferiamo non occuparcene in questa occasione. Tuttavia è chiaro per chi vive tutti i giorni la realtà della vita universitaria che stiamo parlando di una cifra assolutamente non trascurabile.

Danni per gli aspiranti ricercatori: bruciati 165 ml di euro

Ma ad aver subito i danni maggiori dall’introduzione del “punto organico” sono stati coloro i quali aspiravano ad intraprendere la carriera universitaria, proprio quei giovani ricercatori che, stando alle dichiarazioni, la riforma Gelmini si presupponeva di agevolare.

La prima “fregatura” per i ricercatori precari arriva dall’attribuzione – sempre ad opera della “circolare Masia” – di 0,50 P.O. per contabilizzare ogni nuova assunzione di un ricercatore.

Valore che appare alquanto arbitrario se si considera che dalle rilevazioni rendicontate dal CNSVU (si veda la tabella in basso) non è MAI capitato che il rapporto tra i costi medi dei ricercatori di ruolo e quelli dei professori ordinari fosse pari a 0,50. Anzi, nell’anno dell’emanazione della “circolare Masia” esso era al suo valore minimo (0,45).

 2

Un semplice calcolo mostra che, se fosse stato attribuito il valore (corretto) di 0,45 P.O. per ciascun nuovo posto di ricercatore di ruolo, si sarebbero potuti bandire circa l’11% di concorsi in più (a parità di risorse), pari ad oltre 320 nuovi posti da ricercatore a tempo indeterminato, con una perdita per le università pari a quasi 20 ml di euro annui.

Ma la vera stangata per le aspirazioni dei giovani ricercatori è arrivata dall’applicazione dei meccanismi dei punti organico, pensati originariamente per la gestione di personale a tempo indeterminato, ad una figura per la quale i punti organico non erano assolutamente adatti, quella del ricercatore a tempo determinato. Tale meccanismo infernale ha costretto gli atenei a impegnare 0,50 P.O. per ogni nuovo concorso da ricercatore a tempo determinato1. Cifra già di per sé ragguardevole, dal momento che la retribuzione di un ricercatore a tempo determinato è parametrata alla classe stipendiale iniziale di un ricercatore di ruolo (e addirittura durante il 2009 vi era totale deregulation sulle retribuzioni). Tanto che, ancora con una nuova circolare, a firma del Direttore Generale Livon, recentemente tale costo è stato portato a 0,40 P.O., il 20% in meno!

Come ulteriore vessazione la “circolare Tomasi” introduceva il bizzarro principio per cui il costo di un’assunzione di un ricercatore a tempo determinato su fondi esterni (costo reale per gli atenei = 0 €) era pari a 0.15 P.O. (!) … (tanto bizzarro che successivamente tale costo è stato portato, come giusto che sia, a 0 P.O.).

Il problema vero però sorge al momento della scadenza del contratto, quando dei 0,50 P.O. impegnati 3 anni prima torna indietro solo una minima parte: 0,10 o 0,25 a seconda del regime di turn-over (al 20% o al 50%) vigente l’anno successivo alla scadenza del contratto. Una situazione talmente surreale che il CODAU (l’organizzazione dei Dirigente Generali degli atenei), in una richiesta di chiarimenti al MIUR, scrive che in questo modo «si ha solo una perdita netta nel reclutamento». Ed è infatti proprio quello che è accaduto, una perdita secca di risorse e di opportunità per i giovani ricercatori. Ma ancor più surreale è stato il metodo che l’allora Ministro Profumo, durante una audizione al CUN, avrebbe suggerito per risolvere il problema, come riporta un resoconto:

Poiché i contratti per RTD rientrano nei vincoli del turn-over, il Ministro ha suggerito di finanziarli con fondi diversi dall’FFO (per es. fondi regionali) e usare l’FFO per gli strutturati

Insomma, ci si rende conto che un problema c’è, ma anziché risolverlo si suggerisce di non bandire concorsi. È come se in una città ci fosse una carenza di acqua a causa di danni nelle tubature degli acquedotti, ma il sindaco anziché riparare le tubature chieda ai cittadini di non usare l’acqua.

Il problema, però, è che questo è ciò che poi effettivamente è accaduto: il reclutamento dei ricercatori è proceduto con il contagocce.

Proviamo a calcolare una stima del danno arrecato al sistema universitario dall’applicazione del sistema dei punti organico alla figura del ricercatore a tempo determinato. Non vi sono purtroppo banche dati col numero preciso dei posti messi a concorso e la specificazione se tali posti sono finanziati da fondi esterni o da fondi di ateneo. Incrociando la Tabella I.2.3.17 del “Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario 2013” e la banca dati “Bandi” sul sito del MIUR2, si arriva ad una stima largamente per difetto di circa 1500 posti di “RTD-Moratti”3 e 2300 posti di “RTD-a”4. Supponiamo forfetariamente che metà di tali posti siano finanziati su fondi esterni. Otteniamo dunque le seguenti perdite nette ai danni delle università:

 

Perdite per gli atenei

RTD-Moratti

RTD-a

Totale

0,15 P.O. per contratti su fondi esterni

12.846.600,00

12.846.600,00

0,50 anziché 0,40 P.O. per contratti su fondi di ateneo

8.564.400,00

27.413.400,00

35.977.800,00

mancato rientro a scadenza contratto (si considera turn-over al 50%)

27.834.300,00

68.533.500,00

96.367.800,00

Totale

49.245.300,00

95.946.900,00

145.192.200,00

 

Si può dunque stimare una perdita netta strutturale per gli atenei di almeno 145 ml di euro in 5 anni, sufficienti per bandire almeno 800 nuovi posti da ricercatore.

Ricapitolando, l’insieme delle perdite su base annua causate dall’introduzione nel 2009 dei punti organico sono stimabili in 85 ml di euro così suddivisi

 

Perdite su base annua

Perdite nel Piano Straordinario Associati

10 ml

Perdite da turn-over

25 ml

Perdite assunzioni ricercatori di ruolo

20 ml

Perdite ricercatori a tempo determinato

30 ml

Totale

85 ml

 

Ricordiamo che in tali calcoli non abbiamo incluso le perdite economiche derivanti dal contabilizzare i differenziali dei costi medi, anziché dei costi reali, nelle promozioni di carriera. Quindi si tratta di una stima dei danni largamente per difetto.

Recentemente il CUN, in un dossier sulla situazione del reclutamento, ha chiesto formalmente l’abolizione dei punti organico, tanto più che non occorre alcun atto di legge per farlo, ma solo la buona volontà di Ministro e Governo.

C’è da chiedersi se, dopo Gelmini, Profumo e Carrozza, ministri (due dei quali per giunta anche “tecnici”) che hanno assecondato una sistema tanto bizantino quanto nocivo per l’università italiana, anche il Ministro Giannini continuerà sulla stessa linea, quella di lasciare il passo al «governo per circolari», per usare ancora le parole del CUN, ed accettare la supremazia della “burocratia” sulla politica.

D’altro canto in questa vicenda anche gli atenei non sono esenti da critiche. Se nel nostro esempio di partenza, chiunque avrebbe rifiutato di farsi pagare in scellini tanzaniani, purtroppo le università italiane hanno accettato passivamente l’imposizione di un cervellotico marchingegno burocratico-valutario, peraltro con diversi dubbi di illegittimità, che si è rivelato letale.


1Di tipo Moratti(cioè ex comma 14 legge 230/2005), oppure RTD-a

2 Purtroppo tale banca dati conteggia il numero di bandi, non il numero di posti banditi

3La figura del ricercatore a tempo determinato introdotta dalla legge 230/2005 (legge Moratti)

4La figura del ricercatore a tempo determinato ancora vigente, introdotta dalla legge 240/2010 (legge Gelmini)

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8 Commenti

  1. Ovviamente gli atenei sono stati complici nell’accettare la dittatura del PO, dando un po’ di respiro ai propri bilanci sofferenti per via del differenziale tra spese reali e spese forfettarie, che ha portato ad un turn-over più restrittivo di quanto previsto dalla spending review (come descritto nell’articolo sopra citato “La personale spending review del ministero”).
    Come ben dimostrato in questo articolo però il costo reale per il nostro sistema e le conseguenze per l’ingresso delle nuove leve è stato drammatico.
    Complimenti, davvero una bella analisi, e…
    speriamo che i tempi siano maturi per passare all’Euro!

  2. complimenti per quest’analisi precisa . purtroppo sono evidenti le responsabilita’ di una classe docente che supinamente ha accettato di farsi regolare dalle circolari dei direttori generali. d’altra parte i rettori , lungi dal contentarsi del ruolo tradizionale di custodi della liberta’ didattica e di ricerca nelle universita’, hanno ceduto alle lusinghe della politica, trasformandosi in superiori gerarchici

  3. L’analisi mi sembra interssante nel suggerire una via d’uscita a questo delirio, che però mi sembra abbia due componenti separate. Da una parte c’è l’utilizzo del punto organico come strumento di programmazione dei costi, dall’altra il valore effettivo assegnato al punto organico.

    Nel concentrarsi sugli effetti distorti introdotti da una valore irrealistico assegnato al punto organico, e sugli effetti ancora più aberranti del loro uso per il turn-over, mi sembra che sia sottovalutata l’utilità dell’imputazione agli Atenei di un costo che consideri l’intera carriera. In momenti di risorse sostanzialmente costanti e di dinamica stipendiale sbloccata, il loro utilizzo costringeva gli Atenei ad assumere personale solo nel caso potessero sostenere gli oneri stipendiali durante tutta la carriera (pervista).

    Le previsioni sui costi si possono modificare e migliorare, ed anche svincolare da un costo standard, ma mi sembra rischioso permettere alle università di farne a meno.

  4. Segnalo che nella bozza di riforma della PA è presente una modifica fondamentale che risolverebbe la situazione: il turnover verrebbe infatti calcolato sullo stipendio finale di chi va in pensione e non sui punti organico.
    L’uso del condizionale è purtroppo obbligatorio perché bisogna attendere il testo ufficiale e nell’ultimo mese la bozza ha già subito rilevanti modifiche.
    Paolo T.

    • Nella bozza del decreto sulla PA che circola in rete

      http://www.lettera43.it/upload/files/bozza%20decreto%2011.6.pdf

      c’è qualcosa sul turn-over degli enti di ricerca, ma non trovo nulla sul turn-over nelle università.
      D’altra parte mi stupirebbe una norma di tale tenore, perché, come ho spiegato nel post, già a legge vigente vanno calcolate le risorse derivanti dagli stipendi del personale che va in pensione e non, come fa il ministero, i costi medi. Insomma, non c’è bisogno di alcuna nuova norma per superare i punti organico.

  5. c’è una cosa che non ho capito:
    i punti organico si utilizzano per definire i bandi.
    All’atto delle assunzioni poi si utilizzano i “soldi veri”.
    (si pensi ad un ricercatore anziano che passa associato che necessità 0.2PO per il bando di chiamata diretta ma poi i soldi effettivamente spesi per l’incremento stipediale sono pochissimi)
    la differenza che fine fa?
    sono avanzi di amministrazione dell’ateneo?
    o se li riprende il ministero?

    • Per quanto ne so, il MIUR riconosce l’equivalente in denaro del punto organico (costo medio) all’interno del FFO.

      Per cui nelle fasi iniziali della carriera di una persona (quando il costo effettivo è minore del valore del corrispondente punto organico) l’Ateneo si trova più soldi di quelli che deve spendere, mentre nelle classi stipendiali più elevate (se la persona ci arriva) avviene il contrario.

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