Da circa trent’anni stiamo assistendo al tentativo, nel mondo occidentale, di cancellare la funzione maieutica della scuola e di metterla al servizio della competitività economica delle imprese.
Nel 1983 la National Commission on Excellence in Education insediata da Ronald Reagan pubblicava il rapporto “A Nation at risk: the imperative for educational reform”. Denunciando l’inadeguatezza del sistema scolastico americano e la scarsa preparazione degli studenti, si attribuiva alla scuola e agli insegnanti tutta la responsabilità circa il futuro del Paese e si chiedevano al Congresso provvedimenti immediati per forgiare nuovi strumenti educativi che valorizzassero il cosiddetto “capitale umano” e rendessero gli Stati Uniti competitivi a livello mondiale, secondo il modello economico neoliberista, che applica anche all’istruzione il principio imprenditoriale dell’analisi costi-benefici a breve termine.
In Inghilterra si perseguì lo stesso obiettivo con l’Education Reform Act, varato nel 1988 dal governo conservatore di Margaret Thatcher, che introdusse il regime dei test come unico strumento di valutazione e di orientamento delle politiche scolastiche.
Nasce così, alla fine degli anni Ottanta, il mercato concorrenziale tra le scuole anglosassoni, alimentato dalla pubblicazione delle league tables (classifiche) sugli organi di stampa e sui media locali e nazionali; proliferano le agenzie centrali e le autorità amministrative locali, pubbliche e private, addette al controllo. Ne consegue la perdita di prestigio, il calo delle iscrizioni, il degrado fino alla chiusura di molte scuole periferiche, frequentate da ceti culturalmente ed economicamente deprivati, in un evidente circolo vizioso, poichè sovvenzioni e finanziamenti sono rapportati al numero di iscritti. Si subordina la contrattazione integrativa (fino al licenziamento degli insegnanti) ai risultati dei test; si impongono metodologie didattiche e scelte culturali omologate, standardizzate ed eterodirette sul principio del ‘customer care’; si diffonde il ‘teaching to test’, ovvero un addestramento di tipo opportunistico, esclusivamente mirato al superamento delle prove. In America, le scuole pubbliche vengono poste sempre più in concorrenza con le “charter school”, a gestione privata e con un consiglio d’amministrazione, che possono essere chiuse da un giorno all’altro in mancanza di risultati efficaci immediatamente misurabili. In Italia, la legge sull’autonomia scolastica inaugura nel 1990 il governo aziendalistico della scuola, anche attraverso l’adozione di un lessico sempre più marcato sul piano economicistico: agli studenti-utenti viene proposta ogni anno una diversa offerta formativa da parte delle scuole, in competizione tra loro a colpi di POF e di Open Day.
Del resto, “le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti”, aveva scritto Milton Friedman nel 1955.
A tanti anni di distanza, una vera e propria profezia.
L’Europa, oggi, ha dunque assimilato anche nel campo dell’istruzione l’ideologia neoliberista; gli obiettivi strategici da perseguire, così come recepiti nel Trattato di Maastricht del 1992, sono tutti incentrati su competitività e profitto. In un mercato del lavoro globalizzato, sottoposto alla costante pressione della speculazione finanziaria e della concorrenza mondiale, che si nutre di manodopera scarsamente qualificata, sempre più numerosa e a basso costo, per la quale il termine flessibilità significa povertà, precarietà e perdita di diritti, e in cui la velocità esponenziale dello sviluppo tecnologico fagocita conoscenze e esperienze professionali (nel caos indistinto dell’imprevedibilità di processi economici oggi davvero spietatamente selettivi) si spinge verso un’accelerazione dell’evoluzione dei sistemi educativi europei e del sistema educativo italiano in chiave aziendalistica, deregolamentati attraverso formule di gestione e di governo via via più flessibili, permeabili agli interventi dei privati e fortemente concorrenziali.
‘Autonomia’, ‘rapporti col territorio’, ‘relazione con le imprese’, ‘informatizzazione’ vengono tradotti in leggi e norme che declinano in Europa e in Italia un paradigma ideologico preciso, alimentato dal pensiero unico che alligna nel mondo industrializzato post-capitalista, ovvero del capitalismo globale, centrato su un unico obiettivo: l’arretramento dello Stato da ogni forma di organizzazione, istituzioni e servizi, in nome delle necessità e dei bisogni dell’economia di mercato. Ciò sta comportando, nella nostra scuola, il progressivo abbandono della formazione del pensiero critico attraverso lo studio disciplinare e interdisciplinare, epistemologicamente fondato, delle materie scientifiche e umanistiche, in nome di una malintesa modernità pedagogica evocata dall’ambiguo concetto di “competenza”, che sottrae ai sistemi d’istruzione la loro fondamentale funzione di educazione e di formazione dell’uomo e del cittadino, ma che garantisce al mercato-monstre un’altissima percentuale di manodopera perfettamente addestrata dalla scuola ai lavori scarsamente qualificati che il capitalismo globale richiede.
E’ arrivato il momento di chiedere un’altra scuola per un’altra Europa. Una scuola pubblica emancipante e altamente formativa per tutti. Una scuola del tempo lungo dell’insegnamento e dell’apprendimento; una scuola che valorizzi i diversi processi di crescita, di maturazione, di comprensione di sé e del mondo e di elaborazione critica dei saperi; una scuola che coltivi la molteplicità delle domande e l’inesauribilità delle risposte, non riconducibili alla misura riduttiva e coercitiva del test; una scuola che educhi alla cittadinanza attiva e garantisca le pari opportunità, realizzando così un dettato costituzionale irrinunciabile. Una scuola che sappia disegnare ai giovani e con i giovani un’altra idea dell’Europa: finalmente solidale, laica, plurale, accogliente, inclusiva, pacifista.
Grazie Anna. Sintesi ineccepibile.
Qualche mese fa sono stato ad un corso di inglese per docenti universitari. L’insegnante del corso, collaboratore linguistico di ateneo (inglese di nascita ed assunta in ruolo nel nostro ateneo dopo battaglia legale), ha passato metà del tempo a dire, in inglese, le stesse cose di questo post.
Ho provato a dire, in inglese, perchè su alcuni punti non ero d’accordo. Il risultato è che l’insegnante voleva cacciarmi da corso.
Sigh.
Avendo avuto un padre (molto)catto-(un po’)comunista ho dovuto sorbirmi questo tipo di ragionamenti (Noam Chomsky, Ivan Illich, e company) per cosi tanti anni che ormai mi vengono a noia.
Sorry.
La scuola pacifista e solidale come alternativa alla scuola aziendalista e globale? Sigh …
Personalmente: aziendalista no, pacifista si, solidale si, globale si.
La cosa più negativa delle scuole che ho frequentato io è stata la seguente:
per imparare la formula della proporzionalità inversa sono dovuto arrivare al terzo anno di scuola media.
Perciò, prima di “distruggere la scuola” come voleva Ivan Illich, incomincerei a cambiare la scuola italiana PRETENDENDO che anche nelle scuole elementari e medie
ad insegnare la MATEMATICA siano SOLO maestri e docenti laureati o in matematica o in fisica o in ingegneria o in statistica. Fategli fare, dopo, tutti i corsi psico-pedagogici che volete, ma PRIMA DEVONO essere laureati (almeno triennali) in una di queste discipline.
Non è ammissibile che al quinto anno di liceo scientifico l’argomento più avanzato di matematica sia l’integrale di Riemman in una variabile. Ed al liceo classico (che non segue il PNI) la trigonometria.
Se ci fossero questi docenti nelle scuole elementari e medie, forse nelle scuole secondarie si potrebbero insegnare degli argomenti più avanzati. Forse allora ci sarebbero più ingegneri e l’Italia sarebbe, forse, più competitiva.
Tanto quando arrivano all’Università devi rifargli la trigonometria da capo, perché non hanno capito niente, neanche quelli dello scientifico. Figurarsi continuità e derivabilità. L’integrale di Riemann lasciamolo stare.
Secondo me sarebbe meglio approfondire le basi a scuola, ma seriamente, come distinguere un’implicazione da un’equivalenza, cosa che molti studenti usciti dal liceo non capiscono. Che arrivino a calcolare i volumi dei prismi è davvero più utile che non capire che se piove ci sono le nuvole, ma se ci sono le nuvole non è detto che piova?
Una paccottiglia di luoghi comuni mal compresi che vengono riciclati per l’ennesima volta.
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Ad esempio, “Ciò sta comportando, nella nostra scuola, il progressivo abbandono della formazione del pensiero critico “.
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L’avessimo mai avuto il pensiero critico nelle nostre scuole. Negli USA, che qui si criticano, le migliori scuole superiori assomigliano ai nostri istituti tecnici (alcuni hanno licenziato più premi nobel delle migliori università italiane) e le università seguono un modello fondato sulle humanities. I dati OCSE mostrano che i nostri laureati (qualsiasi sia la loro generazione) non sanno leggere e far di conto rispetto ai laureati (e in alcuni casi addirittura dei diplomati) di praticamente qualsiasi paese civilizzato. Da ultimo l’ANVUR ha dovuto annacquare abbondantemente un test (ridenominato TECO anziché CLA+) sulla capacità del pensiero critico degli studenti universitari italiani perché i nostri studenti (prevalentemente prodotto dei licei italiani) poverini non sono in grado di leggere e capire quanto gli omologhi studenti “made in USA”. Nonostante ciò i risultati sono stati insufficienti.
Sì, dateci un’altra scuola e subito, possibilmente con l’accento inglese.
A me basta che un laureato qualsiasi mi trovi, senza l’ausilio del computer, qual’è l’integrale indefinito di questa funzione:
f(x) = sqrt(1+b*x)/(x*sqrt(a-x))
e lo assumo.
@Salasnich: credo sia un ottimo test. Ma servono più “competenze” o più “conoscenze”?
Non so. A me serve un postdoc che sappia bene la fisica classica e quantistica, ma anche la matematica, e che sia in grado di fare calcoli analitici e numerici per risolvere equazioni alle derivate parziali e diagonalizzare matrici hermitiane. Meglio se è anche esperto in tecniche perturbative per l’integrazione funzionale.
Se viene da Marte a me va bene comunque.
qual è si scrive senza apostrofo………… ;-)
chiedo perdono :-(
:-)
Su questa fondamentale problematica ecco la risposta ufficiale dell’Accademia della Crusca
http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/lesatta-grafia-qual
ed anche quella ufficiosa
http://www.lercio.it/laccademia-della-crusca-si-arrende-scrivete-qual-lapostrofo-andatevene-affanculo/
Ho diverse parenti cittadine americane. Tutte mi dicono che il livello della scuola superiore è bassissimo. Hanno messo da parte i soldi per mandare le figlie alle scuole private: una ha rinunciato a comprare una casa più grande per questo. Un’altra mi diceva che molti neodiplomati hanno difficoltà di lettura.
Ma forse mentono perché sono pagate da qualche potenza straniera …
Ho diversi parenti italiani (ok, solo 4). Tutti mi dicono che il livello della scuola superiore è bassissimo. Hanno messo da parte i soldi per mandare i figli alle scuole internazionali (ma poi hanno cambiato idea). Uno ha rinunciato a comprare una casa più grande, mentre un altro mi dice che molti neodiplomati hanno difficoltà nella lettura, nella scrittura e anche nel calcolo delle proporzioni. Mi ha detto però “mi cuggino” americano che non devo trarre conclusioni da così pochi casi e di rivedere qualche nozione base di statistica per middle school.
Tralasciando il livello del dibattito, che mi pare piuttosto deludente,agli estimatori dell’accento anglosassone consiglio la lettura di Diane Ravitch, The Death and life of the great american school system. How testing and choise are undermining education
L’ho letto, come pure il piu’ recente Reign of Error. Cosa ha a che fare con quanto detto finora?
E’ interessante leggere di seguito il post e i commenti. Sembra quasi che aver parlato di scuola abbia scatenato una specie di riflesso pavloviano per cui si è iniziato a parlare di tutto un po’, in una specie di libera associazione di idee, dai proprio ricordi scolastici di gioventù allle proprie ricette sui programmi scolastici.
Che c’azzecca (con il post iniziale) ? avrebbe detto Antonio de Curtis.
@ Francesco Lovecchio. Non ho idea di quanti anni abbia. La scuola che ho frequentato io il pensiero critico era in grado di formarlo. Era una scuola in cui un professore di liceo aveva in media un’ ottima preparazione, spesso una libera docenza universitaria, era pagato decentemente e non era massacrato da una montagna di burocrazia degna del peggior dirigismo statalista. Dopo 40 anni di abbandono, di demotivazione dei motivati e di vacue ricette salvifiche del peggior neoliberismo d’accatto, ci si meraviglia se ci sono problemi ? E qual è la soluzione ? Ma sì, ancora un test. Vediamo qual è il livello di pensiero critico degli universitari. Come ? Ma sì, con un test. Se vanno bene per scoprire se un Toro e una Gemelli vanno d’accordo, funzioneranno anche per l’ Università.
Ma chi glielo insegna il pensiero critico ? il prof di liceo che deve cercare di far avere alla sua classe un buon punteggio all’ INVALSI ? O il docente universitario la cui massima aspirazione sulle competenze è la capacità di calcolare un integrale indefinito ?
Oppure il pensiero critico non serve a niente.
Ma allora perché mai leggere un sito come ROARS ?
strano che parla di riflesso pavloviano e “ricordi scolastici di gioventù” e poi ne fa uno lei.
Lei dice “[d]opo 40 anni di abbandono… e di vacue ricette salvifiche del peggior neoliberismo d’accatto, ci si meraviglia se ci sono problemi?”. Se fosse in grado di spiegare le politiche “neoliberali” degli ultimi 40 anni in un paese che negli ultimi 40 anni ha avuto la spesa pubblica più alta in rapporto al PIL rispetto a tutti i paesi industrializzati forse ci capiremo meglio.
Vacue ricette non vuol dire politiche implementate pienamente (per fortuna!). Gia’ quel poco che e’ passato basta e avanza. E’ sufficiente leggere il post di Angelucci. Il parossismo del ranking basato su test da dove trae motrivazione se non dal concetto salvifico del neoliberismo della concorrenza perfetta come soluzione a qualsiasi male ?
Quanto alla spesa pubblica, mi meraviglio che un “economist by training” non conosca la voce di spesa dello stato dove va la maggior parte dei soldi o che non si renda conto che non e’ l’ istruzione che draga risorse, vista la percentuale sul PIL che va in quella voce. E sull’ idea che sia il mancato spazio dato a vere politiche “neoliberali” a impedire un rientro del debito pubblico, e’ un opinione come un’ altra, certamente non un teorema.
@Pastore dice “Vacue ricette non vuol dire politiche implementate pienamente (per fortuna!).”
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Quindi parliamo di controffattuali, di politiche “d’accatto” che non sono state attuate e non si sono verificate ma che hanno prodotto “problemi”. Una specie di magia.
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Sul neoliberismo, quindi le poliche neoliberiste sono solo nell’istruzione? Questa volta sono state attuate? A manica larga su tutto il resto tranne che nell’istruzione non è politica neoliberista. Comunque, si sommi la spesa per l’istruzione e la parte relativa per pensioni e si percepisce che nemmeno nell’istruzione vi è stato “neoliberismo” negli ultimi 40 anni. Ad esempio, quanto ha preso di pensione un insegnante italiano rispetto allo stipendio percepito e quanto ha preso (e prende) uno inglese? La risposta per i più curiosi è in OECD Pensions at a Glance.
Ah si’ certo e la riforma Gelmini l’ha fatta il Comintern. Almeno, dico almeno, riconoscere i meriti agli autori.
@De Nicolao, una più piccola percentuale relativa di una grande spesa assoluta fa neoliberal politik?
@Sylos Labini “Ah si’ certo e la riforma Gelmini l’ha fatta il Comintern.”
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Dei 40 anni di politiche neoliberali ipotizzati da Pastore quindi sono rimasti solo 3 (tre) anni del governo in cui Gelmini è stata ministro (2008-2011), anni caratterizzati peraltro da una delle crisi finanziarie e di bilancio più gravi degli ultimi decenni. Ma il senso della misura e della storia ce l’abbiamo?
No Lovecchio è che deve venircelo ad insegnare lei che evidentemente è andato a scuola da Berlusconi che ha fatto la rivoluzione liberale per togliere il potere ai comunisti che hanno governato il paese per 50 anni.
@ Lovecchio: come esempio circa i “riflessi pavloviani” i suoi commenti sono da manuale.
I 40 anni di abbandono della scuola cui ho accennato ci sono o no? Se risponde no vuol dire che viene da Marte o non sa di che sta parlando intervenendo sulla Scuola italiana.
Neo-liberismo e scuola. Lei potrà pensare che di politica neoliberista ce n’e’ stata poca. Io sono convinto che quello che c’e’ e’ già troppo. Resta il *fatto* che gran parte dell’ impianto teorico su cui si è fondato e si fonda il taglio di fondi all’ istruzione e quello schifo di “riforma epocale” che con l’ attivo aiuto dell’ anvur sta facendo a pezzi l’ Università (ha presente il mantra delle “troppe università”?) sia l’ ideologia del “meno Stato, meno tasse e più libero mercato”, sulla base dell’ ipotesi mai dimostrata che la concorrenza perfetta in tutti i settori della società, ed in particolare nel settore formazione, sia la ricetta per un mondo migliore.
O lo spirito critico si piega di fronte alla citazione di Friedman dell’ articolo ? Ipse dixit ? Non sarebbe da chiedersi dopo quasi 60 anni da quella frase, come facciamo a sapere se ha una base di verità o non è piuttosto la foglia di fico dietro cui si vuole semplicemente far passare il “meno tasse per i ricchi e meno cultura per i poveri che cosi’ obbediscono piu’ facilmente”? Può argomentare su quale sistema educativo ha visto prodigiosi miglioramenti grazie alla concorrenza di tipo aziendale ?
@Pastore, ma i “riflessi pavloviani” lei li aveva associati ai ricordi di gioventù, che finora solo lei ha fatto riemergere nei suoi commenti. Per quanto mi riguarda non ne ho avuti.
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Lei dice “[i] 40 anni di abbandono della scuola cui ho accennato ci sono o no?”. La risposta è che non vi è legame tra abbandono (direi “sbraco”) e le inesistenti politiche neoliberiste da lei paventate nel periodo. L’abbandono, che nessuno nega, c’è stato per incompetenza e per la mancanza di qualsivoglia criterio di selezione a ogni livello.
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Per quanto riguarda la citazione di Friedman di oltre mezzo secolo fa, essa si riferiva alla proposta di introdurre dei buoni scuola nel sistema USA per permettere anche al povero emarginato di accedere a scuole di qualità ai tempi in cui la segregazione razziale e socio-economica nelle scuole era una diffusa realtà (come pare ci sia ancora). Tale proposta di riforma però non ha trovato attuazione quasi da nessuna parte nel mondo se non in via sperimentale, quindi per contesto e frequenza, mi pare la citazione né rilevante, né profetica.
Lei lamenta la “ipotesi mai dimostrata che la concorrenza perfetta…sia la ricetta per un mondo migliore”. L’opposto dell’ideale irraggiungibile di concorrenza perfetta è il monopolio, ideale ahimé più facilmente raggiungibile sia dal pubblico, sia dal privato. In mezzo ci sono varie forme di competizione e collusione. Più competizione in un modello colluso non vuol dire “concorrenza perfetta”. Però visto che l’Italia figura nelle parti basse delle classifiche sul grado di concorrenza in tutti i settori, mi pare difficile immaginare che il sistema scolastico nostrano faccia eccezione. Per cui stia sereno.
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Pastore: “Può argomentare su quale sistema educativo ha visto prodigiosi miglioramenti grazie alla concorrenza di tipo aziendale ?”
Non so su quale criterio intende definire il “miglioramento”, il “prodigioso” e “concorrenza di tipo aziendale”; non mi pare fosse questo il punto di partenza del mio commento. Comunque la domanda si può rigirare: “può argomentare su quale sistema educativo ha visto peggioramenti grazie alla concorrenza di tipo aziendale?”
Sì, sono proprio mie cugine. E hanno fatto esattamento quello che ho scritto.