Dunque l’Anvur si corregge. Si sa che ne va persino fiera. Un po’ come quelli che rivendicano di esser capaci di chiedere scusa (magari per televisione). Meglio sarebbe non sbagliare, ma non si può avere tutto. L’Anvur si corregge, le mediane si rimettono in movimento, i semafori lampeggiano e a tutti è consigliata una guida prudente… L’Anvur corregge i valori delle mediane per aderire perfettamente al dettato del DM 76, come dice, e pazienza che per i non bibliometrici quel DM prevedesse due mediane e non tre o che ancora porti scritto che per i candidati alla seconda fascia la soglia da superare è quella della prima (ma questa correzione la faranno mai? e come?). E allora approfittiamone per suggerire almeno un’altra correzione, urgentissima.
Nel documento di accompagnamento alle mediane per i settori non bibliometrici si legge che per le riviste
– il giudizio di scientificità ha valore all’interno dell’area CUN
– il giudizio di fascia A ha valore all’interno del settore concorsuale
Sono annunciate poi alcune modalità di riconoscimento delle riviste di altri settori, ma apparentemente solo per quanto riguarda la fascia A. Questo significa che, come si legge nello stesso documento, “ad esempio una rivista può essere considerata scientifica in sociologia ma non in economia o viceversa”. E queste decisioni le prende l’Anvur, il Gruppo riviste e libri nominato dall’Anvur, e logicamente in riferimento alla testata, non all’articolo. L’articolo non lo leggerà nessuno.
Ora, una classificazione di riviste per settori concorsuali è una pura invenzione, che non ha nulla a che fare col significato culturale e scientifico di una rivista: se qualcuno avesse proposto un’associazione del genere dieci anni fa, probabilmente sarebbe stato preso per folle. Ma l’effetto di questa invenzione può avere conseguenze assai più folli.
Io mi occupo di filosofia: se scrivo un articolo su Weber in una rivista di sociologia o uno su Nietzsche in una rivista di germanistica ma anche uno su Vico in una rivista di italianistica o uno su Jung in una rivista di psicologia o uno su Grozio in una rivista di diritto, uno su Machiavelli in una rivista di studi politici, uno su Marx in una rivista di storia economica, uno su Adorno in una rivista di musicologia, uno sul paesaggio in una rivista di architettura, uno sulla filosofia dell’attore in una rivista di studi teatrali, uno sulla città in una rivista di urbanistica, uno sul calcolo infinitesimale in una rivista di storia della matematica, e potrei continuare molto a lungo, ma proprio molto, con ogni probabilità mi sarà impossibile farmelo giudicare come articolo scientifico. Tanto valeva che avessi scritto le ricette di nonna Papera (ma se le avessi scritte sulla rivista giusta, vale a dire di fascia A, ecco che avrei di certo superato la mediana!). Questa esclusione non riguarda la qualità dell’articolo, che certo può essere più o meno congruente con un SSD (ma questa è faccenda che si può giudicare solo leggendolo). L’esclusione riguarda la semplice collocazione dell’articolo.
La questione, si dirà, non ha enorme importanza, perché gli articoli che si pubblicano “fuori” dalle “riviste del settore” (?) sono pochi, come avranno mostrato (chissà) gli elenchi CINECA (popolati si sa come). Ma quando la selezione per essere ammessi al giudizio si gioca su un numero e un articolo in più o in meno può decidere tutto, la cosa ha un’importanza assai pratica. Ancora di più se parliamo, invece che della sola “scientificità”, della presunta scientificità “eccellente”, cioè della fascia A, nella quale, come si è visto (e chissà che dalla meraviglia non nasca di nuovo il pensiero), non pubblica praticamente nessuno. Qui un articolo o due pesa come decine di altri articoli e come numerosi libri. E se io ho scritto il mio articolo su Weber o su Nietzsche o su Vico, ecc., proprio nella “più eccellente” delle riviste di sociologia o germanistica o italianistica? Se ho avuto cura di pubblicare al meglio, come oggi piace dire, cercando spazio per il mio contributo filosofico proprio nella miglior sede di pubblicazione per il discorso che ho voluto fare? Niente. Si vede che è una di quelle “ingiustizie inevitabili” annunciate con preveggente lungimiranza da un noto membro del Gruppo “riviste e libri”.
Da parte dei sostenitori dell’Anvur si avanzano da qualche tempo obiezioni sulla fondatezza del ricorso dei costituzionalisti (d’altronde si sa, tutti siamo giuristi, come tutti siamo CT della Nazionale). Il riferimento alla retroattività, ossia il fatto che si viene giudicati oggi su dieci anni di pubblicazioni in base a criteri prima inesistenti e affatto imprevedibili, appare ad alcuni “un ricorso pretestuoso portato avanti dai vecchi baroni per difendere il loro potere dal nuovo che avanza” (cfr l’articolo di Sylos Labini sulla scienza di regime): la retroattività, si dice, è implicita nei criteri di giudizio, che sono sempre ex post; in qualunque concorso i criteri si stilano dopo che sono state fatte le domande; e d’altra parte tutti sanno quali sono le riviste migliori ed è normale che un ricercatore debba puntare a pubblicare nelle riviste migliori… Ora, lasciamo pure andare il fatto che in alcuni campi non era detto neppure che fosse preferibile pubblicare in rivista piuttosto che come contributi in volume (che non prevedono una classe A), e lasciamo andare che in molti campi ricercatori molto seri non ritenevano loro compito darsi da fare più di tanto per “piazzare” i propri articoli. (Gli scrittori oggi si affidano alle agenzie letterarie, ma sono appunto scrittori e non scienziati e si dirà che si sapeva anche dieci anni fa che l’habitus dell’uomo di scienza, nella sua versione aggiornata e internazionale dello “scienziato imprenditore”, comporta doti di pubbliche relazioni e abilità nel “vendersi” – cfr. M.Torka-A. Borcherding, 2008) Ma come la mettiamo con il filosofo che ha pubblicato un articolo di filosofia in una “eccellente” rivista di germanistica o sociologia – e logicamente anche con il germanista o il sociologo che abbia ritenuto opportuno presentare il suo contributo in una “eccellente” rivista di filosofia? Costui si è dato da fare, ha puntato al meglio, e ora scopre che quel che ha fatto non è neppure “scientifico”, anzi – è stravagante.
Tra la VQR – che per prima in qualche modo ha introdotto il nuovo corso nelle nostre pratiche di ricerca – e le abilitazioni non sono passati che pochi mesi. Ma anche chi si fosse affidato ai criteri dichiarati della VQR si troverebbe oggi in questa assurda condizione. Nel documento di lavoro del GEV 11, che presentava le classificazioni di riviste (fatte si sa come, ma qui non importa), si leggeva che il principio della classificazione era “quello che una rivista posta in fascia A dagli specialisti del Settore debba essere considerata tale per chiunque vi pubblichi, anche se appartenente a un settore o a un’area diversa”. Oggi, il “legittimo affidamento” di uno studioso di filosofia che si fosse basato su questo per piazzare, con nuova grinta imprenditoriale, il proprio articolo sull’ideologia della “rivoluzione conservatrice” in una rivista di storia lì giudicata “eccellente” rischia concretamente di andare deluso; non parliamo del mio ipotetico articolo su Croce in una rivista di italianistica o su Goethe in una di germanistica.
A fronte di tutto questo, gira la notizia che un gruppo di classificatori eccellenti, seriamente preoccupati della qualità della scienza, si stia mobilitando in queste ore a sostegno della terza mediana, in pericolo di vita per via dei costituzionalisti in tutti i settori, non solo quello giuridico. Contro il morbo che minaccia di infettare anche le altre mediane (anche la più generale classificazione delle riviste scientifiche, cioè), si chiama a raccolta chi ha a cuore la promozione dei “giovani più bravi”: vale a dire quelli che, per un motivo o per l’altro (cfr l’articolo di Eugenio Mazzarella su L’Unità), hanno avuto accesso alle riviste di fascia A sulle quali non scrive quasi nessuno (infatti la mediana qui va da 0 a 3) e che con un articolo o due possono presentarsi dove non ha accesso chi ha scritto decine di articoli pubblicati altrove (non nel bollettino della parrocchia, semplicemente in una rivista che non è stata messa in classe A) e magari qualche libro. In difesa di questa “eccellenza” si chiede di stendere un disperato cordone sanitario, consistente in un documento sottoscritto dalle società scientifiche da inviare al TAR (e pazienza che, come ha osservato qualcuno, il TAR non sia la posta del cuore cui si scrive tanto per fare: la cultura giuridica qui, si è visto, non è che abbondi). C’è da chiedersi ora chi, da studioso serio, in scienza e coscienza, potrà sottoscrivere un documento in difesa di una cosa del genere.
Vorrei aggiungere una considerazione. Personalmente sono assolutamente convinta che un articolo possa valere venti articoli, che due articoli possano valere cinque monografie. Ma se in un concorso, un anno fa, una commissione altamente autorevole, dopo aver letto i titoli e con un giudizio motivato nel merito (cioè non come adesso a priori, senza aver letto e in funzione di filtro per il giudizio), avesse sostenuto qualcosa del genere sarebbe stato attaccata nel modo più sanguinoso; e sui risultati si sarebbe giocata la faccia (cfr. l’articolo di Luca Illetterati). Di certo, contro lo sfacciato arbitrio baronale contenuto nella convinzione che un articolo ne possa valere venti si sarebbero scagliati tutti i difensori dell’oggettività, della produttività, dell’imprenditorialità. Oggi invece il vecchio arbitrio soggettivo assume la veste fredda dell’oggettività tecnocratica e la baronia è resa asetticamente scienza: che un articolo ne valga venti, prima ancora di leggerlo, è un’evidenza scientometrica. Inizia l’era della tecno-baronia?
Eccellente esposizione!
BRAVA BENE BIS!
TRE MEDIANE PER DUE INDICATORI questo è scritto del DM 76 (allegato B settori non bibliometrici), non che basta superare una mediana su tre.
Se recuperassimo questa verità normativa sarebbe già un passo enorme verso una dignitosa meritocrazia
Complimenti! Come ho già scritto in un altro post, il problema della scientificità o meno delle riviste si pone soprattutto per coloro i quali hanno lavorato e fatto ricerca insieme ad altri colleghi di altri settori. Se,dunque, la ricerca multidisciplinare (!) in taluni casi può essere premiata (ad esempio per la presentazione di progetti europei), in altri (il caso dell’abilitazione “italiana”) è penalizzante!!!
@ ci_credevo:
Temo che lei abbia frainteso il contenuto del contributo di Valeria Pinto.
Dato per accertato che quali e quante mediane siano da considerare è uno dei pochi punti definitivamente chiariti dall’Anvur (e mi sembra singolarmente sterile tornarci sopra), comunque ci tengo a notare che se l’interpretazione invalsa fosse stata quella di considerare il superamento di una delle due mediane rappresentate rispettivamente da numero totale dei lavori e articoli di serie A avremmo ottenuto il paradossale risultato di cancellare il valore delle monografie, che in una parte consistente dei settori non bibliometrici rappresentano la forma di pubblicazione più rappresentativa ed ambita.
Detto questo, credo che il ricorso dei costituzionalisti abbia fondamento, sia giuridico che di senso comune. Parlando egoisticamente, ciò mi disturba perché, passando plausibilmente tutte le mediane (anche se non c’è ancora la lista delle riviste A) non mi sorride l’idea che ci siano ulteriori ritardi e passi indietro. Tuttavia la questione della retroattività è molto seria e non era affatto ovvio (non lo è tutt’ora) quali riviste siano considerabili di serie A e quali no. Non è neppure chiaro allo stato se saranno considerate riviste quelle con un numero unico annuale! L’idea di delineare una serie di riviste (e di editori per le monografie) come particolarmente qualificanti è un’ottima idea, ma deve fungere da indirizzo per l’attività a venire, non da criterio a posteriori.
@Andrea Zhok:
” comunque ci tengo a notare che se l’interpretazione invalsa fosse stata quella di considerare il superamento di una delle due mediane rappresentate rispettivamente da numero totale dei lavori e articoli di serie A avremmo ottenuto il paradossale risultato di cancellare il valore delle monografie, che in una parte consistente dei settori non bibliometrici rappresentano la forma di pubblicazione più rappresentativa ed ambita. ”
Nessun tentativo di cancellare le monografie, validissime modalità di trasferimento della conoscenza, semplicemente il DM76 diceva che un indicatore era formato dalle DUE MEDIANE rappresentate da monografie ASSIEME a capitoli di libri e articoli su riviste mentre il secondo, e ultimo indicatore, sarebbe stato rappresentato dalla riviste in cosiddetta fascia A.
No, non ci capiamo.
Se l’unico modo di valutare le monografie è quello di metterle nella stessa lista della spesa con articoli di sei pagine sulla rivista degli amici, ne segue che non ha alcun senso, puramente quantitativo, di lavorare due, tre anni ad una monografia quando nello stesso tempo si potrebbero produrre venti articoletti. Questo, ovviamente, equivale a cancellare il ruolo delle monografie.
P.S.: Concepire le monografie come “validissime modalità di trasferimento della conoscenza” è già di per sé piuttosto deprimente. In un lavoro di valore il punto non è di imbarcare conoscenze e traghettarle nelle menti altrui. Questo lo fa già Piero Angela.
@Andrea Zhok:
forse non le è noto che ci sono monografie in corso di scrittura ora e che saranno belle e pronte per il 19 novembre senza alcun referaggio in primarie case editrici italiane (basta pagare i costi di produzione).
Inoltre, essendo una mediana a parte, come scritta nel DM76, non viene messa nella stessa lista della spesa ma compone l’indicatore (che è cosa diversa) e quindi non svilisce monografie scritte in “due/tre anni di lavoro”
Sul P.S. non entro, speravo fosse chiaro il senso.
Scusate se mi intrometto dicendo una baggianata: ma nei settori non bibliometrici occorre superare una sola mediana su 3 pareggiando le altre, oppure basta superarne una su 3 con valori inferiori nelle altre (mettiamo 0 – 0)?
La seconda che hai detto.
Quindi: tana libera tutti?
esatto.
Tutti hanno gli indicatori segnalati.
Se è così, nel mio ambito di pertinenza (mediana 1 – 12 – 0) basta avere 0 – 0 – 1? Allora si possono abilitare tutti!
E’ così. Peraltro, considerando che non si sa ancora quali siano le riviste di serie A non vedo come tu possa sapere che si potranno abilitare tutti (cioè che tutti avranno almeno un articolo del gruppo A).
Ma l’elenco pubblicato tempo fa delle riviste di classe A non fa fede? Comunque, se non 0 – 0 – 1, basta 2 – 0 – 0. (mi sento un po’ ridicolo con questi numeri!)
Dipende se quell’uno (su rivista dio serie A) ce l’hanno o no. Visto che non si sa quali riviste siano di serie A, la suspence è totale. Mi pare più facile che nel tuo settore il giochino si faccia con 2 (libri, considerati tali se hanno un isbn)-0-0, semmai.
“Inoltre, essendo una mediana a parte, come scritta nel DM76, non viene messa nella stessa lista della spesa ma compone l’indicatore (che è cosa diversa) e quindi non svilisce monografie scritte in “due/tre anni di lavoro””
Non capisco. Ciò che fa testo sono le mediane e queste, nell’interpretazione di cui sopra, sono due. Com’è che una monografia non risulterebbe avere il medesimo valore di un articolo? E a parità di controlli di qualità (= zero) comunque richiede più lavoro una monografia su carta di formaggio che un articolo sul medesimo nobile supporto. O no?
“E a parità di controlli di qualità (= zero) comunque richiede più lavoro una monografia su carta di formaggio che un articolo sul medesimo nobile supporto. O no?”
Se il presupposto è la malafede del candidato, non direi. Sicuramente è più difficile crearsi una rivista ad hoc per pubblicarci in due mesi 10-11 articoli, che “scrivere” una monografia di 30 pagine con isbn, per la quale basta pagare uno dei tanti editori attrezzati a pubblicarla à la carte.
Ad esempio, le recensioni come sapete non valgono come pubblicazioni. Conosco un professore che ha raccolto e pubblicato in volume (con isbn, naturalmente) le proprie recensioni degli ultimi dieci anni.
Può darsi che tu abbia ragione. In effetti io continuo a ragionare in termini sia pure minimamente qualitativi. Se le cose stanno come dici tu, perché 30 pagine? Posso pubblicare come monografia la mia lista della spesa con ISBN: in due mesi faccio una sessantina di monografie, mica balle! Mi chiedo se trucchi del genere non possano essere portati alla luce e stigmatizzati dalle commissioni nel giudizio di merito. Se nella lista delle pubblicazioni che perviene alla commissione risulta che un candidato passa le mediana solo grazie ad una pubblicazione per la casa editrice Barabba & Co tempestivamente giunta a destinazione nel novembre 2012, la commissione deve accettare passivamente di essere presa in giro? Francamente, considerando che almeno ufficialmente il giudizio della commissione sarà sovrano (può, di fronte a lavori di particolare qualità persino esimersi dal chiedere il superamento delle mediane) non vedo perché dobbiamo supporre che le commissioni saranno là soltanto a fare i passacarte.
Hai ragione, naturalmente, le commissioni, che secondo me saranno formate perlopiù da gente seria, faranno questo, così come useranno il criterio delle mediane “cum grano salis” (come si dice chiaramente nelle ultime faq pubblicate dall’anvur, infatti, la domanda potranno presentarla tutti, anche se non superano nessuna mediana).
Il problema vero è quell’unico prof infingardo che userà quel sistema disonesto per superare la mediana ed entrare, se sorteggiato, in commissione. E se poi gli infingardi “baciati” dal sorteggio fossero due, poveri noi (come sai, le commissioni dovranno giudicare a maggioranza dei quattro quinti dei componenti)…
Se il presupposto è la malafede, nulla va bene.
Avere il numerino non significa avere la qualità della pubblicazione; tuttavia, parametri laschi creano un numero di candidati più ampio e meno selettivo.
Visti i vari parametri zero in riviste di fascia, è facilmente comprensibile notare come sia parecchio difficile pubblicare lì.
E comunque ci sono pipeline per riviste serie, non in fascia A, di 1-2 anni.
“Se il presupposto è la malafede, nulla va bene”
Se il presupposto è la buonafede, viceversa, va bene tutto.
Il problema è che – come diceva qualcuno – a pensare male …
eccellente articolo.
ps. resta che una monografia targata 2012 non è necessariamente scritta da luglio a novembre. io sono in attesa dell’uscita di due miei scritti (la traduzione di una monografia del 2010 e un testo ultimato ad aprile). spero davvero che vengano pubblicati in tempo utile.
Seguo, sempre con molto interesse i vostri commenti. Concordo con il completo chaos, ma faccio alcune considerazioni. Perchè si parla di abilitazione se si supera 1 mediana su 3? Prendiamo un settore con 0-10-1, mi sembra di capire che con 1-0-0, si viene “esaminati” dai commissari che devono valutare le pubblicazioni (al max 12/18). Ma scusate cosa valutano se ci sono 0 pubblicazioni? Ma anche 1-4-0, potrebbe portare ugualmente al non supearmento del concorso, perchè i commissari ritengono che ci siano 4 liste della spesa, pubblicate nell’ isbn della parrocchia .
Ha ragione: il passaggio delle mediane è cosa diversa dal conseguire l’abilitazione. ANVUR ha chiarito che per i settori non bibliomtrici basta una mediana su tre per superare il filtro delle mediane, ma a quel punto subentra il giudizio della commissione.
Esatto! Sceglierà la commissione, come avveniva prima. Non si capisce allora perché si è deciso di mettere in piedi questo assurdo meccanismo. Forse chi l’ha pensato non si è assolutamente premurato di verificarne la consistenza.
L’idea era la seguente: siccome le commissioni di concorso sono corrotte, dobbiamo inserire dei filtri a monte, poco importa che siano aberranti dal punto di vista scientometrico. Poi si è capito che esisteva il rischio ricorsi e pian piano stiamo scivolando verso la meritocrazia diafana, come una medusa che si scioglie al sole, la stessa anvur punta a rilassare il più possibile i criteri per evitare il blocco del sistema, di questo passo mi aspetto che l’Agenzia suggerisca alle commissioni di abilitare tutti pur di evitare il rischio di contenzioso, tanto poi saranno problemi altrui, risolvere il porcaio che si è creato.
Io ho un’impressione un pò diversa. Sono d’accordo sulla premessa ma francamente non mi pare che l’Anvur “punta a rilassare il più possibile i criteri”. Non conosco le aree non bibliometriche dove pare effettivamente stiano facendo un papocchio. Per la aree bibliometriche però gli indicatori non sono affatto bassi, raggiungere due mediane anzichè una non è banale e, gli indicatori sono fino ad ora stati ritoccati per ben due volte “al rialzo” aumentando decisamente il numero di persone sotto la soglia. Pur imperfetti, nelle aree bibliometriche, gli indicatori riescono a lasciare fuori gran parte di quelli che sono inattivi con l’effetto collaterale di escludere anche qualcuno abbastanza bravo sulla soglia e di lasciar passare quelli che hanno indicatori bibliometrici sopravvalutati rispetto al valore scientifico. Detto questo, a mio parere il sistema avrebbe bisogno di correttivi nelle seguenti aree:
1) serve un correttivo rispetto al reale contributo che l’autore ha dato al prodotto. Un pò complicato mettere una regola valida per tutti a causa delle differenze tra settori. Forse sarebbe sufficiente dare indicazioni precise alla commissione in tal senso.
2) serve un sistema migliore e più flessibile per il calcolo dell’età accademica. Il metodo attuale penalizza chi ha pubblicato precocemente ed è palesemente ingiusto. Inoltre, con il mecanismo dei congedi, favorisce chi è strutturato e sfavorisce chi è precario.
3) mi sorprende che nessuno lo dica, Io sono uno di quelli dedicati principalmente alla ricerca; sono però consapevole che alcuni colleghi dedicano moltissime ore alla didattica. Questo dovrebbe essere in qualche modo riconosciuto mentre non mi pare venga assolutamente preso in considerazione.
4) I libri esistono anche nelle aree bibliometriche. Capisco la difficoltà nel categorizzarli ed indicizzarli ma un meccanismo serve. Non è possibile escludere dal computo quelli che nella maggioranza dei casi sono “life achievements”.
Un saluto,
V.
Ammesso e concesso che il meccanismo di selezione implementato da Anvur sia equo e corretto, mi chiedo il perchè non siano state pubblicate ancora le liste delle riviste fascia A e degli editori. Non dovrebbero essere già pronte queste liste? Altrimenti, come avrebbero calcolato le mediane? Non è che, accortisi del papocchio nel settore non bibliometrico, vogliono stringere i cordoni attraverso le liste fantasma?
Se cosi’ fosse, le mediane sarebbero invalide perchè calcolate su campioni diversi. Inoltre, dopo l’accensione dei semafori, le liste varrebbero anche per i commissari?
stando al passaparola (per quel che può valere) vi sarebbero commissari con articoli in fascia A (relativamente a quella definita per la VQR) che avrebbero il semaforo rosso…
CONFERMO! Un ordinario di mia conoscenza si è visto il semaforo rosso in un settore non bibliometrico con numero di pubblicazioni ampiamente superiore alle mediane sia per la seconda colonna che per le riviste di fascia A (ha più di 10 articoli su riviste internazionali al top con IF).
Vorrei segnalare che ci sono stati gravi errori anche nell’attribuzione dei semafori rossi e verdi. Vi sono ordinari con articoli in fascia A (o perlomeno articoli in riviste internazionali con IF al top del settore) e con articoli totali superiori alle mediane che hanno il semaforo rosso. Viceversa vi sono ordinari con curriculum veramente al minimo che hanno semaforo verde. Dovranno ricalcolare tutto ma difficilmente un semaforo verde potrà diventare rosso. E questo fatto è di una gravità inaudita.
Diciamocelo: hanno voluto implementare un meccanismo straordinariamente complesso in assenza di esperienza e strumenti. Mancava una anagrafe nazionale della ricerca, che fosse affidabile e testata. Mancava una vera fotografia dell’attività di ricerca nei vari settori SD che potesse dar torto o ragione di taluni criteri di valutazione bibliometrici e non. Mancavano software testati per l’esame della banca dati, la sua pulizia e l’analisi e il calcolo delle mediane. A quanto pare mancano anche matematici (si vedano le procedure articolate di calcolo dell’età accademica) e statistici (si vedano le diverse definizioni di mediana!). Insomma sarà un vero miracolo se non salterà tutto l’impianto. E se proprio non dovesse saltare sarà nuovamente un molto rumore per nulla perchè tutto questo non è meritocrazia. Esistono ordinari che hanno semaforo verde perchè hanno tradotto un libro per la didattica dall’inglese all’italiano riconosciuto come monografia, ma non hanno mai partecipato ad un convegno. Caro Prof. Profumo: TUTTO QUESTO NON E’ MERITOCRAZIA.
!!! Infatti hanno chiamato meritocrazia una redistribuzione di potere accademico. Da alcuni baroni ad altri scelti da ministro e anvur.
errata: commissari
corrige: ordinari
Riguardo i settori non bibliometrici, la mediana più accessibile è proprio quella famigerata degli articoli in fascia A: nel mio settore per associato bisogna avere 2 libri, 15 pubblicazioni o 2 articoli in fascia A. Questo vuol dire che se uno si ritrova 2 articoli in una rivista alla quale aveva accesso passa, come uno che ha scritto due libri (cosa in genere più laboriosa). Le altre due mediane svolgono una minima funzione di filtro, ma si potevano individuare facilmente con un po’ di buon senso, senza tutta questa perdita di tempo e lavoro. Come ho già detto, tutto dipenderà dall’arbitrio della commissione (proprio come accadeva prima).
Roberto, nel mio settore è molto piu’ complicato pubblicare in fascia A (almeno cosi’ come la intendo io!) rispetto al libro. Forse ti sfugge, ma la pubblicazione in fascia A richiede che l’articolo passi 3 (in alcusi casi 2) referaggi, nonchè quello dell’Editor. Le riviste in fascia A sono generalmente internazionali con elevato IF ed h-index. Inolre, per noi poveri ricercatori italiani, spesso, è difficile pubblicare su quelle riviste perchè vengono privilegiate le grandi scuole internazionali (soprattutto anglosassoni). Per pubblicare in fascia A, considerato l’elevato numero di submission, occorrono in media 1.5 anni, a motivo dei vari passaggi dai referee. Non mi sembra ci siano tutte queste complicazioni per la pubblicazione di un libro. Credo che ciascuno di noi, in questi giorni, abbia sentito parlare di colleghi che si stanno muovendo per pubblicare un libro in un mese perche’ utile al superamento della mediana. Questo, per i motivi di cui sopra, è impossibile per gli articoli in Fascia A.
A me sembra che, oltre alla evidente sperequazione tra bibliometrico e non, il meccanismo stia creando evidenti disparità anche tra settori che appartengono allo stesso insieme. Nel mio settore, ad esempio, la pubblicazione di un libro non è stata mai giudicata particolarmente meritoria (non a caso, la mediana è zero) e nessuno mai, in passato, avrebbe potuto immaginare di superare lo sbarramento solo con un libro pubblicato in 10 anni. Evidentemente, cio’ fa sì che ordinari inattivi che negli ultimi 10 anni abbiano pubblicato un libro di didattica possano avere accesso alle commissioni (sic et simpliciter).
Concordo con Diana. I libri nel settore 13A1 (forse quello di Diana) hanno sempre avuto poca importanza (è un dato di fatto non dico di essere d’accordo). Scrivere un buon libro è sicuramente impegnativo ma la nozione di buon libro non viene presa in considerazione dalle mediane. Vi possono essere numerose situazioni “patologiche” che penalizzino chi abbia pubblicato su buone riviste rispetto a chi abbia pubblicato un solo pessimo libro. Non è ancora nota la lista delle riviste di fascia A ma presumibilmente non potrà essere molto diversa dal rating del GEV13. Possiamo quindi considerare, a titolo di esempio, il caso di due candidati commissari con il seguente profilo: un candidato ha pubblicato un solo libro di pessima qualità a sue spese, un altro ha pubblicato 5 articoli nel Journal of Mathematcal Economics (rivista relativimante ortodossa presumibilmente di fascia B) e 5 in Metroeconomica (rivista relativamente eterodossa presumibilemte in fascia B). Risultato: semaforo verde per il primo candidato, semaforo rosso per il secondo. Penso che tutti i colleghi in buona fede del settore 13A1, ortodossi o eterodossi che siano, converrano che non c’è confronto come mole di lavoro e impegno scientifico tra il pubblicare un libercolo e il pubblicare 10 articoli in buone riviste, ancorché non di fascia A. Nessun criterio automatico, nessuna macchina, potrà mai sostituire il giudizio motivato dei ricercatori nei confronti dei loro pari. Mi risulta che in nessuna paese al mondo esista un filtro “robotico” che seleziona i candidatati ai posti accademici o chi debba giudicarli. Se non si eliminano tali filtri, modificando la legge che li ha introdotti, si commetteranno sempre gravi ingiustizie e si attenterà gravemente alla libertà accademica.
Concordo perfettamente, anche se il mio settore è 13D/4. Che dire? Se i criteri e i livelli delle mediane rimmanessero tali per 4 anni, nessuno tenterebbe di pubblicare su “The Journal of Finance”. Sarebbe preferibile scrivere un certo numero di libri.
In prospettiva, tutto cio’ condurrebbe ad un ulteriore peggioramento della qualità perchè nessuno sarà disposto a rischiare anni di lavoro per non raggiungere i target. L’investitore razionale, a parità di rendimento, seleziona l’asset che garantisce il rischio minimo.
Cara Diana,
capisco bene la tua situazione, mi riferivo al mio settore (e ad altri simili al mio), dove si è discusso molto sul criterio relativo alle riviste in fascia A ed invece, almeno “retroattivamente”, si è rivelato quello più accessibile. Naturalmente ogni settore fa storia a sé.
Hai ragione riguardo la possibilità di pubblicare un libro fasullo in un paio di mesi per accedere all’abilitazione, ma poi difficilmente questo stesso libro potrà essere sottoposto alla commissione (o almeno mi auguro che sia così).
Ottimo articolo. Soprattutto perché riesce a spiegare due cose che, in filosofia perlomeno, dovrebbero essere ovvie: la scelta della rivista su cui pubblicare 1) è indipendente dalla qualità dell’articolo pubblicato e 2) è finalizzata alla circolazione delle idee, non a un riconoscimento fine a se stesso. Almeno, così è stato prima della famigerata fascia A. Può darsi che d’ora innanzi le cose cambieranno, perché naturalmente le persone modificheranno le proprie abitudini alla luce delle nuove regole e può essere che in futuro le riviste di fascia A diventino il luogo privilegiato per relizzare 1 e 2. Ma è falso affermare che gli studiosi puntassero a pubblicare sulle riviste oggi fascia A, perché tanto sapevano che erano di fascia A. Pensare dunque che le nuove regole possano avere valore retroattivo è tipico di chi non conosce affatto come ha sin qui operato il meccanismo delle pubblicazioni (in filosofia perlomeno).
“Soprattutto perché riesce a spiegare due cose che, in filosofia perlomeno, dovrebbero essere ovvie”
Non saprei….redo che il “perlomeno” sia un pò eccessivo. Nella mia area (sono un economista), molto più grigia e meno intellettivamente stimolante della filosofia (opinione personale priva di ironia), pur ignorando anni fa se una rivista avrebbe goduto oggi della Fascia A dell’Agenzia era, ed è tuttora, noto a tutti il grado di severità di accesso molte riviste, alcune delle quali compagne di viaggio di molti sogni e ambizioni di colleghi (anche io desidererei tanto una mia pubblicazione sul Journal of financial economics, e confesso di lavorare continuamente a questo obiettivo). Sono a favore del riconoscimento di un maggior prestigio ad alcune riviste. E’ chiaro che però nel momento in cui si sceglie questa strada si commettono degli errori poichè si lascia ai numeri (anzi, al dataset) la soluzione finale: A o B o C (trascurando gli A- e i B+).
Auspico che nei settori diversi dal mio i comportamenti opportunistici concorsuali costituiscano un fenomeno raro o inesistente. Se così non è, non capisco perchè ci si sia affannati a condannare la logica della mediana prima delle loro pubblicazione, per poi condannarne le modalità di calcolo ora. A me è stato insegnato che ogni critica ad un paper può essere sollevata con forza se e solo se si offre una soluzione alternativa all’issue che si sta criticando. Altrimenti più che avanzare la frontiera della conoscenza si rischia di indietreggiarla ottenendo un effetto opposto al proprio ruolo di ricercatore. Sarò stato certamente distratto, ma a me pare che in tutti questi commenti non si sia in alcun modo fatta una proposta competitiva al framework dell’Anvur se non l’indicazione di principi generici. Please, astenersi da richiami alla valutazione qualitativa, “perlomeno” nell’area di economia: non funziona! Posto questo, io sarei stato più contento se nella mia area le mediane fossero più alte ed in alcuni casi raddoppiate, sopratutto per i commissari.
Il “perlomeno” era cautelativo: parlerò solo dell’area che conosco :-) Ecco, in quest’area, precisamente quella della filosofia pratica, da quando ho iniziato a pubblicare (10 anni, se non consideriamo le recensioni) c’era un indistinto mare magnum di riviste (italiane) su cui era una buona idea pubblicare, per varie ragioni. Di questo insieme (molto vasto) è stato oggi ricavato un sottoinsieme di riviste di fascia A che non rispecchia affatto la gerarchia che esisteva 10, 5 o 2 anni fa. Perché quella gerarchia non esisteva, nemmeno informalmente. Anche perché c’era (c’è) un una questione di “scuole filosofiche”: io non sono mai stato interessato a pubblicare su certe riviste e altri non sono mai stati interessati a pubblicare su quelle su cui ho interesse a pubblicare io. Per questo la gerarchia non può valere per il passato e per questo Onida ha ragione.
“me è stato insegnato che ogni critica ad un paper può essere sollevata con forza se e solo se si offre una soluzione alternativa all’issue che si sta criticando”
Se un ingegnere ha sbagliato i calcoli per un ponte, si può e si deve denunciare l’errore prima della catastrofe anche senza presentare un intero progetto alternativo. Se l’ingegnere è pagato (lautamente) per progettare il ponte, per quale ragione chi trova i suoi errori dovrebbe riprogettarlo interamente al posto suo, per di più gratis? Tra l’altro, i ponti si costruiscono da millenni e lo si può semplicemente consigliare di tornare sui libri. Allo stesso modo, il sistema proposto da ANVUR non esiste altrove perché è privo di basi scientifiche. L’alternativa è assai semplice: studiare un po’ di letteratura scientometrica e ispirarsi ai sistemi di altre nazioni.
“a me pare che in tutti questi commenti non si sia in alcun modo fatta una proposta competitiva al framework dell’Anvur se non l’indicazione di principi generici.”
Per per una proposta alternativa delineata da Alberto Baccini si veda:
https://www.roars.it/?p=1946
“Please, astenersi da richiami alla valutazione qualitativa, “perlomeno” nell’area di economia: non funziona!”
Quella che non funziona di certo è la valutazione automatica basata su dati quantitativi di tipo bibliometrico. Su questo c’è un vasto consenso internazionale: si veda per esempio la recente presa di posizione della European Physical Society che riporto insieme ai riferimenti in essa citati.
“Although the use of such quantitative measures may be considered at first glance to introduce objectivity into assessment, the exclusive use of such indicators to measure science “quality” can cause severe bias in the assessment process when applied simplistically and without appropriate benchmarking to the research environment being considered. Funding agencies are aware of this, nevertheless experience shows that the reviewing of both individuals and projects on the national and European level is still relying excessively on the use of these numerical parameters in evaluation. This is a problem of much concern in the scientific community, and there has been extensive debate and discussion worldwide on this topic (see for instance [1]).
Since the very first applications of bibliometric indicators in this way, scientists and science organisations have taken strong positions against such purely numerical assessment. Various organisations in Europe have published studies on their potential adverse consequences on the quality of funded scientific research”
[1] http://www.nature.com/news/specials/metrics/index.html
[2] Institut de France, Académie des Sciences, Du Bon Usage de la Bibliometrie pour l’Évaluation Individuelle des Chercheurs, 17 January 2011 (http://www.academie-sciences.fr/activite/rapport/avis170111gb.pdf – english version)
[3] European Science Foundation, European Peer Review Guide, Integrating Policies and Practices for Coherent Procedures, March 2011 (http://www.esf.org/activities/mo-fora/peer-review.html)
[4] European Science Foundation, Survey Analysis Report on Peer Review Practices, March 2011 (http://www.esf.org/activities/mo-fora/peer-review.html)
[5] Peer review in scientific publications, Science and Technology Committee, House of Commons, UK, 18 July 2011 (http://www.publications.parliament.uk/pa/cm201012/cmselect/cmsctech/856/85602.htm)
[6] Peer review, A guide for researchers, Research Information Network, UK, March 2010 (http://www.rin.ac.uk/our-work/communicating-and-disseminating-research/peer-review-guide- researchers)
[7] Swedish Research Council, Quality Assessment in Peer Review, 5 November 2009 (www.cm.se/webbshop_vr/pdfer/2011_01L.pdf)
Un effetto collaterale, forse desiderato, con queste mediane è la certificazione che esistono almeno due mondi universitari con comportamenti “scientifici” (ma probabilmente anche didattici) completamente diversi ottenendo il risultato di aver distrutto il concetto di Università che si basa sulla universalità dei saperi e la loro unica collocazione nella istituzione universitaria. Penso che sia un danno.
Prima o poi avremo Università (se si chiameranno ancora Università) che privilegeranno solo le aree più produttive in senso quantitativo.
Non faccio parte dei settori cosiddetti non bibliometrici, ma troverei inaccettabile che il oltre il 50% dei colleghi ordinari non hanno mai sviluppato nella loro carriere un prodotto la cui mediana è attualmente individuata in Zero. Stesso discorso per le mediane 1 o similia. Queste sono le possibili interpretazioni: a) i siti non sono stati popolati correttamente; b) il prodotto individuato non è pertinente al settore; c) la gran parte dei professori ordinari non fanno e non hanno mai fatto attività di tipo scientifico.
Personalmente non credo alla ipotesi c), ma sono sicuro che quei numeri, se accettati, saranno usati contro quei settori e non è una cosa buona, se vogliano che l’Università (nel senso della universalità delle conoscenze) continui.
Breve riflessione sulla questione ricorsi.
Sembra che tutti diano per scontato che sarà facile e vincente utilizzare l’arma del ricorso contro i giudizi delle commissioni, e che per ciò le commissioni si guarderanno bene dall’essere troppo fiscali.
Ora, sul piano strettamente di diritto (pur non essendo del campo) mi permetterei di osservare che, posto che le commissioni desiderino svolgere in maniera formalmente pulita (cioè motivata) il loro compito, le possibilità che il giudizio sovrano di una commissione venga rovesciato dal TAR o simili sono pressoché nulle. Ci possono essere ragioni ‘politiche’ che potrebbero suggerire ai commissari (o ad alcuni commissari) di non calcare la mano, ma non credo ci si possa (né debba) illudere che la via dei ricorsi, a causa degli errori Anvur, sarà spianata. Niente affatto. Proprio in quanto la commissione ha il diritto/dovere di assumersi le proprie responsabilità al di là delle valutazioni preliminari tipo mediane, ne segue che tutti gli errori ed improprietà antecedenti verranno azzerate dal giudizio della commissione (a meno che la commissione non commetta il fatale errore di appoggiarsi esplicitamente per il suo giudizio sui dati forniti dall’Anvur).