La Ministra Fedeli ha annunciato con toni quasi trionfalistici l’avvio delle procedure di selezione di 180 Dipartimenti “eccellenti”, che riceveranno un super-premio di oltre 1.000.000 di euro l’anno per cinque anni. Faccio  fatica a considerare aperta una gara nella quale alcuni hanno almeno una bicicletta in discrete condizioni (per trovare l’auto bisogna spostarsi in altri paesi), mentre ad altri, per il fatto di aver concluso in ritardo la prima tappa, non si garantisce neppure la sostituzione della ruota bucata. Il comunicato stampa del MIUR si conclude citando l’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. Alla Ministra Fedeli mi permetto  di ricordare che il goal n. 4 punta ad una istruzione che deve essere non solo di qualità, ma anche equa ed inclusiva. È arrivato il momento di decidere cosa fare di fronte ai flussi a senso unico che portano dal Sud verso il Nord tanti studenti in cerca della qualità promessa dalle classifiche dell’ANVUR. È giusto costringere alla serie B o C chi, semplicemente, non si può permettere il biglietto per le poche città che giocano in serie A, dalla laurea triennale al dottorato di ricerca e oltre? Quella di far crescere la qualità di pochi spingendo gli altri verso il declino è una pericolosa illusione, che ci allontana dallo spirito e dagli obiettivi dell’Agenda 2030. E che rischia a mio avviso, prima di tutto, di allontanarci dallo spirito e dalla lettera della nostra Costituzione.

La Ministra Fedeli ha annunciato con toni quasi trionfalistici l’avvio delle procedure di selezione di 180 Dipartimenti “eccellenti”, che riceveranno un super-premio di oltre 1.000.000 di euro l’anno per cinque anni. La Ministra promette anche che ripartirà l’iter per l’assegnazione delle 500 cattedre Natta ad altrettanti studiosi che, sempre per la loro eccellenza, otterranno un trattamento significativamente diverso, non solo dal punto di vista economico, rispetto a quello dei loro colleghi. Il comunicato stampa (del 12 maggio) si conclude citando l’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile: provvedimenti come questi – secondo la Ministra – corrispondono agli obiettivi di educazione e formazione di qualità “che ci siamo prefissati aderendo all’Agenda”.

È proprio guardando agli obiettivi indicati dalle Nazioni Unite che questa corsa all’eccellenza, almeno in queste modalità, mi sembra invece francamente insostenibile, perché non aiuta lo sviluppo di tutto il paese e mette a rischio l’equità. Il goal n. 9 (Industria, innovazione e infrastrutture) fissa fra i suoi traguardi quello di “incrementare considerevolmente” il numero degli addetti e la spesa nel settore della ricerca, ma non è per questo che vengono stilate le classifiche di università e dipartimenti. Il loro scopo è quello di assegnare premi e concentrare progressivamente le risorse dove si pensa che possano essere spese meglio e il risultato, come è ormai chiaro da tempo, è un processo di progressiva redistribuzione che, con qualche isolata eccezione, toglie al Sud per dare al Centro-Nord. Basta scorrere l’elenco dei 352 dipartimenti ammessi alla tenzone per l’assegnazione del super-premio per rendersene conto. Molti diranno: che male c’è? La regola del merito può essere dura, ma è una garanzia per tutti. Chi perde oggi sarà stimolato a fare meglio per vincere domani.

Gli algoritmi applicati per separare gli eccellenti dai mediocri sono contestati da molti di coloro che sono in grado di comprenderli, senza che ci sia mai stato un confronto pubblico fra addetti ai lavori e con un giudice terzo per dirimere la controversia. E faccio francamente fatica a considerare aperta una gara nella quale alcuni hanno almeno una bicicletta in discrete condizioni (per trovare l’auto bisogna continuare comunque a spostarsi in altri paesi), mentre ad altri, per il fatto di aver concluso in ritardo la prima tappa, non si garantisce neppure la sostituzione della ruota bucata. I primi continueranno a vincere e il distacco aumenterà. Ma perché dovrebbe esserci un problema di sostenibilità? Perché l’Italia non dovrebbe avere solo 5 o 6 vere università, nessuna delle quali nelle regioni del Mezzogiorno? La risposta viene proprio dall’ANVUR. Nel Manuale per la valutazione della terza missione, varato nel 2015, leggiamo quel che ai più appare probabilmente ovvio: la conoscenza produttiva circola “incorporata” nei ricercatori e le ricadute della conoscenza prodotta dalla ricerca sono caratterizzate da una ineliminabile dimensione territoriale. Uno dei compiti fondamentali delle università è quello di aiutare i territori a compiere “salti” per i quali non avrebbero altrimenti le risorse necessarie. Se questo è vero (come è vero), lo Stato ha la responsabilità di garantire che questi motori di sviluppo e anche di cittadinanza rimangano accesi in tutto il paese. Le università non possono essere considerate come le squadre del campionato di calcio, dove vincono quasi sempre Torino e Milano. E la scelta delle priorità e degli eventuali criteri di differenziazione tocca alla politica, che non può nascondersi dietro la magia di un algoritmo. Innovazione e infrastrutture – così io leggo l’Agenda 2030 – sono parte integrante dell’impegno, fissato dal goal n. 10, a ridurre le disuguaglianze all’interno delle nazioni e non soltanto fra esse.

Alla Ministra Fedeli – e vengo così alla seconda ragione per la quale l’università italiana sta diventando a mio avviso sempre più insostenibile – mi permetto poi di ricordare che il goal n. 4 punta ad una istruzione che deve essere non solo di qualità, ma anche equa ed inclusiva. È arrivato il momento di decidere cosa fare di fronte ai flussi a senso unico che portano dal Sud verso il Nord tanti studenti in cerca della qualità promessa dalle classifiche dell’ANVUR. Almeno ai “capaci e meritevoli”, quale che sia la città nella quale è loro toccato di nascere e crescere, deve essere garantita la possibilità di accedere ai più alti livelli del sapere. L’università che vorrei (e prima ancora, ovviamente, la scuola) diffonde questo sapere e lo rende effettivamente disponibile in modo omogeneo in tutto il paese, facilitando proprio in questo modo la selezione delle punte di eccellenza che saranno poi inevitabilmente concentrate in un numero limitato di sedi, sempre senza perdere di vista l’obiettivo di una distribuzione equilibrata e abbandonando l’idea che le classifiche siano il modo più efficace per stimolare l’impegno e combattere l’inefficienza. Chi difende il sistema che si sta realizzando in Italia dovrebbe sentire almeno la responsabilità di non costringere alla serie B o C chi, semplicemente, non si può permettere il biglietto per le poche città che giocano in serie A, dalla laurea triennale al dottorato di ricerca e oltre. Questo problema non si risolve certo aggiungendo qualche altra briciola ai fondi per il diritto allo studio. Forse costerebbe meno far giocare tutti in serie A, almeno – lo ripeto – fino a un certo punto.

Si eviterebbero anche tutte le conseguenze, sul piano dei comportamenti e delle relazioni fra le persone e le istituzioni, della logica per la quale quel che davvero conta è stare davanti agli altri. Bologna ha 28 dei suoi 33 dipartimenti nella lista degli ammessi alla gara per il super-premio, ma solo 15 potranno aspirare ad ottenerlo. Secondo quanto stabilito nella Legge di bilancio 2017, dovrà essere l’università stessa a procedere a questa prima selezione. Non voglio neppure pensare a quel che accadrà fra i colleghi e nei dipartimenti della nostra più antica università e rimango convinto che siano altre le strade che conducono ad una istruzione di qualità, equa ed inclusiva. Quella di far crescere la qualità di pochi spingendo gli altri verso il declino è una pericolosa illusione, che ci allontana dallo spirito e dagli obiettivi dell’Agenda 2030. E che rischia a mio avviso, prima di tutto, di allontanarci dallo spirito e dalla lettera della nostra Costituzione.

 

Pubblicato il 25.05.2017 su Corriere.it: Dipartimenti di eccellenza, gli atenei del Sud corrono con la ruota bucata

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9 Commenti

  1. Siamo persi, siamo in mano a degli infami, questo ministro non capisce niente ed è manovrato. O succede qualcosa di sostanziale o il mondo dell’istruzione finisce dove vogliono loro: nel retrobottega del MacDonald’s.

    • Ci stiamo finendo. Ma molto più per la incapacità di azione di molti di noi e l’ interesse particolare di alcuni di noi che per la cattiveria di politici e ministri.
      .
      Temo che l’ ignavia dell’ accademia italiana nel secondo decennio del XXI secolo sarà ricordata molto di più e farà più danni del giuramento di fedeltà al fascismo del 1931. Lì si rischiava il posto. Qui non si rischierebbe nulla a mettere in piedi una vera protesta contro questo sconcio. Eppure non si va oltre il mugugno.
      .
      Rettori e CRUI non dicono nulla di incisivo. Ma perché mai dovrebbero farlo se non avvertono nessuna pressione dal basso ?

    • @ indrani maitravaruni
      Il nostro sciagurato paese è, né più né meno di tutti quelli europei, nella micidiale morsa dell’ideologia di estrema destra (non a caso inaugurata-strutturata da austriaci americanizzati e poi da americani tout court) che domina da trent’anni e ogni giorno di più raccontando la favoletta che le ideologie sono morte: il neoliberismo. Ma, a differenza di quasi tutti gli altri paesi europei, la nostra situazione si distingue per l’accanimento vessante-umiliante-disgregante delle nostre miserabili sedicenti élites nei confronti del settore di istruzione, ricerca e università (accanimento che non si registra affatto in altri Stati, che anzi mediamente vanno ben al di là del
      mero risparmiare quel settore, ma lo sostengono e appoggiano). Non è privo d’interesse domandarsi il perché di questo, in fondo unico, fattore che distingue, naturalmente in negativo, l’attuale destino dell’italia da quello delle “sorelle” europee. Credo che pesi non poco e contribuisca a spiegarlo il livello medio molto alto di ignoranza e – ciò che ancor più conta – di assenza di rispetto/menefreghismo per la cultura proprio del nostro popolo, E QUINDI del nostro ceto politico, E QUINDI del nostro ceto imprenditoriale, cui quello politico da gran tempo si è incondizionatamente genuflesso ricevendone ukase determinanti le sue scelte in molti àmbiti, fra cui figura in primissima fila appunto quello di istruzione, università e ricerca.
      Che – tanto per cambiare – avesse ragione Pasolini, il quale, ne “La ricotta”, al regista impersonato da Orson Welles (un personaggio per alcuni versi insopportabilmente spocchioso, e nondimeno chiaramente assunto da PPP come proprio alter ego a proposito in non poche delle cose che dice) fa dire dell’italia e degli italiani “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa”?

      @ Giorgio Pastore
      L’italiano in generale, E QUINDI l’intellettuale italiano, E QUINDI l’accademico italiano, è essenzialmente di regime; un po’ per menefreghismo e quieto vivere, un po’ perché ritiene sempre di poter arraffare qualcosa per sé e famigli all’ombra del manganellatore, un po’ (ma è la meno importante e diffusa delle motivazioni) perché idolatra la forza e quindi sta comunque dalla parte di chi ne detiene ed esercita la maggior porzione. Non dà fastidio al qualunque imbecille che sta al manganello. Si adegua. Obbedisce. O, come dicono a Roma, abbozza

    • Correggo:
      ovviamente non “assunto da PPP come proprio alter ego a proposito in non poche delle cose che dice”, ma “assunto da PPP come proprio alter ego a proposito di non poche delle cose che dice”

  2. Rispondo brevemente, caro Ciro. Non lo so. Siamo anche un popolo di ignoranti, ma prima era un po’ meglio. Quello che ho visto in altri paesi europei, poi, è altrettanto disgustoso e forse hanno distrutto in modo persino più efficiente e silente. Ho colleghi nei Paesi Bassi che fanno la fame e mendicano ‘progetti’ a cinquant’anni con famiglia e mutuo da pagare. Probabilmente se vendessero droga starebbero meglio e guadagnerebbero pure un po’ di simpatia sociale.
    Osservo solo che alcune fra le nazioni più ricche della terra e dotati di forti tradizioni universitarie hanno deciso che la gente per studiare, soprattutto nel settore umanistico, deve mendicare, oppure rinuncia e fa altro. Non era così fino a pochi decenni fa. Nella distruzione non siamo affatto soli. Per me un intero continente si sta suicidando. Non servono tabelle e percentuali, basta guardarsi intorno con quel senso della realtà che molti stanno totalmente perdendo.
    Buona serata.

  3. in un ateneo in cui l’ex (da pochi giorni) magnifico aveva impedito di parlare al giudice Ferdinando Imposimato
    (cfr http://www.globalist.it/politics/articolo/208597/romatre-vieta-a-imposimato-una-lezione-sulla-riforma-costituzionale–bufera.html)
    ma dove il medesimo ex – in ROARS giustamente etichettato come
    yes-men per antonomasia
    (cfr https://www.roars.it/blobroars-con-alfabeto-2016-da-assoluzione-a-zingarata-passando-per-la-pernacchia/) –
    aveva fatto cambiare a pochi giorni dall’evento il relativo manifesto per sottolineare che sì, ci sarebbe stato anche lui a ricevere come ‘padrone di casa’ in aula e pompa magna chi? udite udite Carlo Conti, la cosa per me più triste è stata l’esultanza di tanti studenti
    ingenuamente convinti che l’eccellenza del corso di studi scelto veniva
    suffragata da cotanto ospite della TV di stato nell’accademia.
    Corruptio optimi pexima, sentenziavano gli Antichi; io mi limito a far
    eco ad Antonio Albanese nel film Qualunquemente: Avanti avanti
    dam(e)s et messieurs….

    • Per non parlare del cantautore decotto tenuto in gran riguardo per 25 ore di attraente laboratorio spettacolare. Questa e’ la cultura che vogliamo, ragazzi miei. Umiliante.

    • Non so se ho indovinato di chi si tratta. Ma se, come mi è parso di capire, si tratta del cantante di successo più sbracatamente stonato dell’intera storia della musica leggera italiana, non va dimenticato che figura fra i più appassionati “testimonial” del pupazzo; vuoi mettere quanti rettori di regime erano, sono e saranno pronti a srotolargli rosse passatoie?

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