Il dibattito su come si calcolano ai fini delle valutazioni abilitative le “mediane” (su quale database, con quale specifico indice, come normalizzato per età, ecc. ecc.) sta facendo passare in secondo piano la riflessione sul  fondamento stesso della bibliometria: sono le citazioni ricevute a determinare chi è vero scienziato e chi non lo è.

Ecco alcuni consigli per la sopravvivenza…

In tempi di bibliometria e di metodi quantitativi per valutare cose e persone, e deciderne il futuro, la salvezza dei militanti della ricerca verrà dalle citazioni.

Per salvare il soldato – pardon, il collega – dalla morte accademica bisogna citarlo o farlo citare. “Be cited or perish”, piuttosto che “Publish or Perish”, come dice uno dei più usati programmi di calcolo degli indici bibliometrici.

La cosa non è semplice perché il citation worldwide market è ancora agli esordi e le agenzie di rating non sono ancora ben stabilizzate come in altri tristemente noti settori.

Conviene consigliare ai giovani desiderosi di carriera:

– non caricatevi di didattica, che fa perdere tempo, anzi se possibile liberatevi del tutto da questa inutile zavorra, per navigare alto facendo solo ricerca; la didattica la faccia chi non ha altro di meglio da fare…

– lasciate perdere i propri personali interessi di ricerca, magari  creativi, originali e perciò “devianti” rispetto ai trend correnti, altrimenti rischiate che nessuno vi legga e tanto meno vi citi; volete fare la fine di quegli scienziati troppo “difficili” o controcorrente che nessuno cita perché nessuno li capisce?

– girate il mondo arruolandovi in cordate forti di ricerca, in modo da ottenere non solo l’inserimento del nome nelle pubblicazioni, ma anche l’ingresso in un giro di citazioni reciproche che alzano le quotazioni scientifiche; insieme a queste forti cordate impegnatevi in una joint venture mirata alla “citazione di scambio” che nessuna norma vieta: se tu citi me, io cito te, evitando le autocitazioni, tutti alziamo i nostri indici e viviamo felici e contenti;

– se nonostante ciò gli indici di citazione rischiano di restare sotto la fatidica mediana, vi resta la strategia estrema di lanciarsi come kamikaze in pubblicazioni che sostengono ipotesi astruse e azzardate, vere e proprie molotov della ricerca purché mascherate di scientificità e corredate da tabelle e statistiche sofisticate: molti citeranno queste sparate se non altro per contestarle, ma tanto il calcolo automatico delle citazioni non distingue quelle positive da quelle negative. Ne parlino male, purché ne parlino!

Riusciranno questi accorgimenti a salvare i soldati nella guerra bibliometrica?

Come nel film di Spielberg, la missione è la persona umana…

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16 Commenti

  1. Vorrei citare integralmente il seguente commento del professor Roberto Celi (University of Maryland), con il permesso dell’Autore.

    “Come primissimo passo per cercare di migliorare l’attendibilita’
    dell’H-index bisognerebbe almeno distinguere il tipo di citazione,
    anche solo fra:

    Tipo A – Citazione di massa – “Lo studio dei primi piatti si e’
    intensificato nell’ultimo decennio ([1]-[50])”

    Tipo B – Citazione a causa di errore – “Beretta [34, 35] ha proposto una
    ricetta per spaghetti cacio e pepe, ma mettendo nella pentola di acqua
    bollente lo zucchero invece del sale”

    Tipo C – Citazione solo vagamente collegata – “Hildgartner [12] ha creato
    ottime ricette di spaghetti con la marmellata, ma il presente lavoro si
    occupa degli spaghetti al sugo”

    Tipo D – Citazione pertinente – “Esposito [13] ha per primo proposto l’uso
    del pomodoro nel sugo, poi perfezionato da De Pasquale con l’aggiunta
    della carne [14]. In questa ricerca proponiamo l’ulteriore aggiunta della
    salsiccia”

    Tipo E – Citazione mancante – Venturi che non
    cita Montanari, perche’ non sa che anche lei da
    anni si occupa di spaghetti al sugo, o peggio,
    lo sa, e si rifiuta di citarla (magari
    cordialmente ricambiato).

    Mi sembra chiaro che questi siano tipi di citazione di valore notevolmente
    diverso fra loro. Un umano competente nel campo, e con un minimo di
    onesta’ intellettuale ci mette un minuto a fare questo tipo di
    attribuzione. Una macchina non e’ capace, ne’ lo sono i database usati
    dal MIUR.”

  2. Non dimentichiamoci che l’h-index e altri parametri bibliometrici sono stati introdotti dopo anni di assoluta libertà per la comunità scientifica italiana. Il risultato della precedente modalità concorsuale, come dimostrato dai tanti verbali di concorso o intercettazioni, è il discredito totale della stessa comunità scientifica. Se nei decenni precedenti la nostra classe docente avesse dimostrato migliore capacità di giudizio, oggi non saremmo a questo punto (in altre nazioni, la selezione richiede altro che una presentazione di 20 minuti). Casi estremi di mogli divenute ordinarie in un settore scientifico con una pubblicazione fatta in casa o altre cose simili saranno certamente evitati dal nuovo meccanismo concorsuale. Chiaramente, il problema rimane un altro. E’ quello di una comunità scientifica incapace di scegliere i migliori. Questo problema si risolverà tra 20 anni se gli anni a venire porteranno una tendenza al rigore e all’oggettività. Se oggi affidassero tutta la commissione a professori stranieri (che so, tedeschi o inglesi o americani, etc) le procedure concorsuali sarebbero perfette.

    Io credo che i parametri bibliometrici, come parametri di minimo, vadano benissimo. A questo ne aggiungerei altri. Se si ipotizzasse di dare l’abilitazione ad ordinario (almeno nei settori scientifici) solo a coloro che hanno coordinato almeno un FP7? Arrivare a coordinare un FP7 non è assolutamente semplice e la correttezza della procedura di valutazione è alta.

    Similmente, non tutte le riviste sono uguali. Allora perchè i settori scientifici coraggiosamente non definiscono una lista di riviste facili escludendole dai concorsi? Vi invito a riflettere su quanto sta accadendo con le riviste “open access”. Un vero mercato mascherato dalla facciata delle buone intenzioni. Che valore ha una pubblicazione in queste riviste?

    • liberamente: “il problema rimane un altro. E’ quello di una comunità scientifica incapace di scegliere i migliori. Questo problema si risolverà tra 20 anni se gli anni a venire porteranno una tendenza al rigore e all’oggettività. Se oggi affidassero tutta la commissione a professori stranieri (che so, tedeschi o inglesi o americani, etc) le procedure concorsuali sarebbero perfette.”

      Le generalizzazioni sono pericolose. Senza voler negare casi scandalosi, da perseguire senza pietà, se la comunità accademica italiana fosse stata *tutta* “incapace di scegliere i migliori” non si spiegherebbe il buon posizionamento internazionale della ricerca universitaria italiana, testimoniato proprio dagli indicatori bibliometrici che si vogliono prendere come misura di valore e garanzia di oggettività (“Quanta ricerca produce l’università italiana? Risposta a Bisin”, https://www.roars.it/?p=8305). Lo schema è sempre lo stesso: dipingere l’Italia come un’eccezione mondiale evitando la fatica di un’analisi dettagliata, anche quantitativa, per poi proporre “soluzioni semplici di problemi complessi”. Spesso queste scorciatoie non hanno basi scientifiche e nemmeno precedenti internazionali, ma lo stato di eccezionalità dovrebbe giustificare interventi radicali ed estemporanei proposti da guaritori improvvisati. Un modo di procedere (sfruttamento di vere o presunte emergenze) già visto in altri ambiti della storia italiana recente e che non può che destare preoccupazione.

      Anche la mitizzazione generalizzata di tutto ciò che è straniero è eccessiva. La commissione di stranieri (scelti bene, però) potrebbe aiutare a ridurre i conflitti di interesse dei commissari. Tuttavia, in certi settori, una commissione tutta straniera ma con un chiaro orientamento a favore di una certa scuola scientifica (anche internazionale), causerebbe ugualmente dei problemi di “fairness”. Insomma, non ci sono bacchette magiche, ma soluzioni con pregi e difetti. Comunque, in molti settori il membro straniero è un’esperimento del tutto sensato e io mi aspetto una buona riuscita.

      Aggiungo che anche all’estero le procedure di reclutamento sono oggetto di dibattito e di aggiustamenti legislativi ripetuti. A tale proposito, raccomando la lettura di “Malata e Denigrata” (a cura di M. Regini, Donzelli 2009). Il capitolo dedicato al confronto dei sistemi di reclutamento delle principali nazioni europee è istruttivo perché mostra che il problema non ha soluzioni ovvie nemmeno all’estero.

      liberamente: “Io credo che i parametri bibliometrici, come parametri di minimo, vadano benissimo. A questo ne aggiungerei altri. Se si ipotizzasse di dare l’abilitazione ad ordinario (almeno nei settori scientifici) solo a coloro che hanno coordinato almeno un FP7? Arrivare a coordinare un FP7 non è assolutamente semplice e la correttezza della procedura di valutazione è alta.”

      Esiste già la possibilità di effettuare chiamate dirette (senza abilitazione e senza concorso) di chi ha coordinato progetti di ricerca di particolare rilevanza. Usare questo come unico criterio sarebbe palesemente inadeguato sia perché ci sono interi settori per cui non avrebbe senso, sia perché finirebbe per penalizzare interi campi di ricerca. Il fund-raising, per quanto da non sottovalutare, non può diventare il criterio principale o esclusivo.

      Concordo invece sull’idea che l’uso accorto di parametri bibliometrici come criteri di minimo, potrebbe funzionare. Come ho scritto altre volte, userei indici facilmente verificabili (anche per scongiurare il pericolo di ricorsi) come il numero di articoli e monografie che rispettano certi requisiti (per es. articoli su riviste a diffusione internazionale per le aree cosiddette bibliometriche). Il CUN si era già mosso in questa direzione prima che l’ANVUR si intestardisse con le mediane, i cui esiti ingloriosi sono sotto gli occhi di tutti: caricamento dei dati affidato alla buona volontà dei docenti senza adeguati controlli (Abilitazioni: grandi speranze o grandi illusioni?, https://www.roars.it/?p=10471), note ANVUR apparse e poi scomparse che sembrano legittimare le manipolazioni dell’età accademica (Abilitazioni e ANVUR: mamma, mi sono perso la FAQ sulla manipolazione dell’età accademica!, https://www.roars.it/?p=10072), regole assurde (Abilitazioni: le mediane di Mr. Bean, https://www.roars.it/?p=10504). Da parte mia, continuo a rimanere scettico sull’uso normativo di criteri basati sulle citazioni, troppo fragili da tutti i punti di vista, scientifico e legale.

  3. Liberamente, liberamente dice cose vere e giuste, ma anche qualcosa non condivisibile. La storia del tedesco, americano etc non mi sembra una buona idea. Nella nostra accademia ci sono fior fior di professori che possono fare bene il commissario, ma è anche vero che ci sono professori che sono stati intercettati mentre dicevano “di far spezzare le gambe al tal candidato se non si sarebbe ritirato”. Peggio dei metodi mafiosi.E’ anche verosimile che un solo membro straniero (come previsto dalla procedura di abilitazione), difronte a metodi mafiosi potrà fare ben poco.
    Gli indici bibliometrici dovrebbere essere solo un ausulio e quelli previsti dal CUN forse erano meglio di quelli messi su dall’ANVUR, ma purtroppo siamo costretti a dire (e lo dicono soprattutto i più giovani), meglio così che con i metodi riina.

  4. Dopo aver lasciato il commento precedente, per rilassarmi ho preso in mano l’ultimo Espresso e mi sono letto l’articolo “Scandalo Libor? Una lotta di potere”. Quando ho provato a sostituire alla parola Libor il concetto “H-index nomalizzato per età accademica”, mi sono fortemente preoccupato.
    La conclusione dell’articolo è: “Questa corruzzione non si risolve sopprimendo il mercato (peer review/accademia), ma rendendo il mercato (accademia) più trasparente, più competitivo, più vero mercato (più vera accademia).

  5. Il consiglio numero 3 è “scientific fraud”. Sarebbe il caso che chiunque lavori nell’Università Italiana ne fosse pienamente consapevole. Questo è il vero tallone d’Achille di tutta la procedura.
    Un saluto,
    Vladimir

  6. Cerco di chiarire meglio il concetto che ho tentato di esprimere nel post precedente. Le commissioni giudicatrici hanno avuto mano libera nella precedente versione dei concorsi. In nome dell’originalità, dell’impatto hanno potuto bocciare candidati con 100 lavori per lo più in riviste qualificate promuovendone chi di lavori ne aveva 10 in riviste dubbie. E’ un altro piccolo esempio per testimoniare che la libertà e l’autorevolezza della comunità scientifica italiana (salvo ovvie eccezioni) è andata perduta a causa dell’uso sconsiderato della libertà avuta.

    Ora è chiaro che non tutto può essere giudicato tramite indicatori bibliometrici ma questi, presi come indicatori di minimo, qualcosa dicono.

    Io sono sempre più convinto che l’attuale procedura è migliorabile con qualche correzione. Basterebbe, come detto prima, che si inserissero delle condizioni vincolanti.

    Es. Tu diventi ordinario se hai coordinato un progetto internazionale, se hai pubblicato almeno X lavori nelle seguenti riviste riconosciute dal tuo gruppo come di primo livello, etc. etc.

    Poche clausole che avrebbero questo senso: se un docente ha ricevuto un finanziamento da un ente prestigioso (es. Unione Europea), significa che ha già superato una selezione importante e affidabile. Se ha pubblicato lavori in riviste importanti significa pure che il suo lavoro ha dovuto passare una peer-review seria.

    Questi elementi sono implicitamente inseriti nell’attuale procedura che lascia facoltà alla commissione di valutare questi aspetti. Tutto torna alla commissione che potrà ritenere che una rivista “open access” è autorevolissima oppure che è spazzatura. In base a queste scelte si indirizzerà il comportamento dei singoli ricercatori per nei prossimi anni.

    Viceversa, tutto sarà barzelletta e barzelletta ancora maggiore quando si passerà ai concorsi locali.

    Buona fortuna a tutti!

  7. Cardiologia, 27 accusati: è la prima inchiesta di Parentopoli
    Fonte: la Repubblica
    di Gabriella De Matteis e Giuliano Foschini
    E´ l´inchiesta madre degli scandali universitari. L´indagine che ha aperto il vaso del malaffare dei baroni. Ci sono voluti quasi sei anni ma alla fine si è conclusa: i sostituti procuratori Emanuele De Maria e Ciro Angelillis hanno notificato 27 avvisi di conclusione delle indagini ad alcuni tra i più importanti cardiologi italiani e si apprestano a chiedere il rinvio a giudizio. La tesi è la stessa sostenuta già il 24 giugno del 2004 quando Paolo Rizzon, insieme con altri quattro baroni italiani, fu arrestato dalla procura di Bari: in Italia esisteva una cupola di professori che decideva commissioni e vincitori dei concorsi della disciplina. Quello che viene però fuori, oggi, al deposito dei 55 faldoni del fascicoli, è uno spaccato devastante del sistema universitario che vede l´ateneo barese come l´epicentro del sistema.

    … I giudizi – sostengono i magistrati – erano meramente apparenti, in quanto volti non alla valutazione effettiva dei candidati, bensì a farne apparire l´assoluta inidoneità». In sostanza la commissione ha sotto valutato, coscientemente, i titoli dei due candidati in modo tale «da far sembrare spontanea e meramente consequenziale la rinuncia dei candidati alla prova scritta». «In realtà – sostiene l´accusa – erano stato espressamente sollecitati da Rizzon» che aveva un secondo fine: … il figlo Peter, e il figlio di … Luigi».
    Agli atti dell´inchiesta, oltre a decine e decine di concorsi truccati e nomine di commissioni pilotate, ci sono anche le minacce di xxx al professor yyyyy, il cardiologo che lo ha denunciato: «Avevano fatto sapere a yyyy che xxx era molto irritato e risentito nei suoi confronti, perché il professore aveva presentato ricorso al Tar per l´annullamento di un bando». Dopo però si era andati più nello specifico: «Dissero a yyyy che l´avrebbero fatto bastonare da due malavitosi qualora non avesse desistito dall´esercizio della sua azione giudiziaria» e, comunque, che qualora il giudice avesse realmente annullato il bando gli avrebbero reso la vita completamente impossibile. C´è poi tutta una parte delle indagini che riguarda gli “scambi”: XXXX assicurava copertura ai protetti di alcuni colleghi in un concorso, e i colleghi facevano lo stesso con gli uomini di xxxx.
    «Una vera organizzazione – sostengono i magistrati – che vedeva xxxx tra i capi e organizzatori, con una ripartizione di ruoli, regole interne e sanzioni per la loro eventuale inosservanza che consentiva ai baroni, attraverso il controllo dei diversi organismi associativi, di acquisire in ambito accademico il controllo esecutivo e di predeterminare la composizione delle commissioni giudicatrici e prestabilire quindi anche l´esito della procedura». D´altronde, già nel 2004, aveva parlato di una struttura simile a quella mafiosa lo stesso gip, Giuseppe De Benedictis che emise le ordinanze di custodia cautelare. Da allora i magistrati e gli uomini della polizia giudiziaria hanno lavorato minuziosamente per ricostruire il sistema, ma la maggior parte delle persone che componevano «l´associazione a delinquere» hanno continuato a lavorare nelle università italiane.”
    Che tristezza, continuano a lavorare … e la cardiologia non è l’unico settore ….

    • Nessuna indulgenza per questi personaggi. È nell’interesse di tutti che si faccia pulizia.

      Una nota a margine: le nuove regole, da sole, non sarebbero in grado di sradicare questo tipo di malaffare. Una volta superate le mediane, la commissione ha ancora un margine di discrezionalità che consentirebbe manovre poco chiare. E dato che nel calcolo degli indicatori bibliometrici non si tiene conto del numero di coautori, chi dispone di potere accademico può organizzarsi per imporre il nome suo e dei suoi protetti nelle pubblicazioni del gruppo di ricerca che controlla.

      Il ripristino o la difesa della legalità sono più complessi dell’imposizione di regole burocratiche. Anzi, certe regole possono mettere la coscienza a posto mentre in realtà lasciano tutto come prima.

      Piuttosto, si spera che il sorteggio sia più efficace nell’evitare accordi più o meno delittuosi. Va anche detto che, se ci saranno delle abilitazioni di massa, il fronte della legalità si sposterà sui concorsi locali, una trincea di non facile difesa. A meno che il ministro non imponga il sorteggio anche per le commissioni dei concorsi locali. Questo sarebbe un provvedimento persino più incisivo di tutte le mediane ANVUR.

  8. Concordo su quasi tutto con “Liberamente”.

    Non concordo pero’ sul “ordinario solo chi ha coordinato almeno un FP7”. Principalmente perche’ non sono nella lista.

    Togliendo la parola “solo” potrei essere d’accordo. Ma solo per chi ha avuto un IDEAS Advanced.

  9. Qualcuno sa se è ancora valida la seguente norma: “… le modalita’ per definire il numero massimo di soggetti che possono conseguire l’idoneita’ scientifica per ciascuna fascia e per settori disciplinari pari al fabbisogno, indicato dalle universita’, incrementato di una quota non superiore al 40 per cento, per cui e’ garantita la relativa copertura finanziaria e fermo restando che l’idoneita’ non comporta diritto all’accesso alla docenza, nonche’ le procedure e i termini per l’indizione,
    l’espletamento e la conclusione dei giudizi idoneativi, da
    svolgere presso le universita’, assicurando la pubblicita’
    degli atti e dei giudizi formulati dalle commissioni
    giudicatrici; per ciascun settore disciplinare deve
    comunque essere bandito almeno un posto di idoneo per
    quinquennio per ciascuna fascia.”

  10. Per quanto riguarda il post delle 11:18 penso che sia un requisito senz’altro da valutare nell’identificazione dell’Abilitato a prima fascia parte da parte Commissione,ma non penso sia necessario ed indispensabile. In ogni caso la Commissione, almeno su questo, penso sia autonoma.

    Per quanto riguarda il post delle ore 10:06 posso dire assolutamente no, hai citato l’art. 1 comma 5 della Legge 4 novembre 2005, n. 230 (legge Moratti) “Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 5 novembre 2005. L’articolo prevedeva, allo scopo di procedere al riordino della disciplina concernente il reclutamento dei professori universitari, che il Governo adottasse uno o più decreti legislativi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge per riformare il modello di reclutamento previsto dalle precedenti riforme (Berlinguer e successive modificazioni). In effetti il successore della Moratti (Ministro Mussi – Governo Prodi) non volle adottare quei decreti legislativi, decretando la morte della riforma per l’aspetto relativo al reclutamento, volendo a sua volta riformare il modello di reclutamento. Il Governo Prodi visse una breve stagione, non si attuò la riforma Moratti e non si fece la riforma Mussi. Successivamente entrò “in servizio “ il Ministro Gelmini che dopo due/tre anni di dibattiti in parlamento e fuoi riuscì a varare la sua riforma di cui stiamo godendo (auspice il Ministro Profumo + ANVUR + Rettori) gli splendidi risultati specialmente in termini di trasparenza, qualità, meritocrazia, offert formativa, mediane, autonomia e semplificazione burocratica, efficienza ed … efficacia.

    Posso dire la verità? I have a dream…. Come vorrei un Ministro dell’Università che non desideri fare …. le riforme.

  11. Vedo con piacere che il breve post paradossale di Santo Di Nuovo ha generato in due giorni una pioggia di commenti interessanti. Se mai qualcun altro li leggesse…
    Perché mai la reazione all’arbitrio delle scuole deve essere cercare di nascondersi dietro il dito dei numeri “oggettivi”? Perché i numeri (indicatori/indici et similia) non possono essere solo “la base per un giudizio informato…” come ho letto già nel secolo scorso (citazione disponibile, è che sono pigro per cercarla ora…)?
    Perché non basta dare dei giudizi sapendo che si sarà valutati dagli altri anche sulla credibilità dei giudizi dati?
    Ah, forse perché il giudizio degli altri non ha strumenti, se non accodarsi alla scuola più forte, o cercare di farne un’altra più forte?
    Qual è la similitudine migliore per il nostro italico stile? Forse guelfi e ghibellini? O il calcio, non importa come vince la mia squadra, basta che vinca?

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