Cantone in qualche modo ce lo aveva promesso. Ricordate la sua esternazione pubblica esattamente un anno fa, che suscitò immediatamente un goloso accodamento adesivo da parte di alcune note e meno note penne del giornalismo italico? Accadde poco prima che fossero svelati i piani con i quali il governo Renzi (attorniato dai suoi consiglieri economici, fra cui il bocconiano Nannicini) versò la sua visione dell’Università in quelle misure che sarebbero entrate nella legge di stabilità 2017 (perdendo per strada, però, le deprecabili Cattedre Natta, sull’onda di una ondata di pubblica indignazione e di uno stop tecnico imposto da parte del Consiglio di Stato, ma riuscendo comunque a regalarci Ludi dipartimentali e Finanziamento “omisso ăthēnaeo” di Ricercatori e PA). Ogni promessa è un debito. ROARS pubblica in quattro separati post a seguire il testo integrale del documento contenente l’Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione (qui il pdf originale) nel cui ambito l’Autorità guidata dal magistrato napoletano ha voluto dedicare una certosina attenzione al sistema nazionale dell’Università e della Ricerca. Poiché il termine che ANAC, che ha rilasciato il documento mentre tutti partivano per le vacanze agostane, concede per prendere visione del documento posto in pubblica consultazione e inserire le proprie osservazioni da parte di chiunque ne abbia interesse con apposito modulo telematico scade il 15 settembre, e considerato che il termine è ormai alle porte, abbiamo scelto di pubblicare il testo corredandolo di finestre di commento che si riferiscono alle affermazioni fatte proprie dal documento nel periodo immediatamente precedente alla porzione di testo in blu ove il commento è inserito. In tal modo queste osservazioni critiche potranno essere utilmente versate nel modulo predisposto per la consultazione pubblica, confidando che possano indurre a qualche riflessione suppletiva l’autorità procedente, assieme ai tavoli di lavoro di cui si è avvalsa. Si tratta di un documento di estrema rilevanza, se si considera lo scacchiere delle riforme che potrebbe essere rimesso in moto in vista della nuova legge di stabilità. E non solo e non tanto per le misure di dettaglio suggerite dal documento. Ma per la visione d’insieme che esso riserva all’autonomia dell’Università. “Ce lo chiede Cantone” potrebbe rivelarsi un prezioso refrain per chi vorrà vedere affermata politicamente una certa visione dell’Università italiana. Entro venerdì prossimo tutti possono far sentire la propria voce a Cantone. Qui.
DOCUMENTO ANAC COMMENTATO – PARTE II
DOCUMENTO ANAC COMMENTATO – PARTE III
DOCUMENTO ANAC COMMENTATO – PARTE IV
Testo originale del documento ANAC
AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE
AGGIORNAMENTO 2017 AL PIANO NAZIONALE ANTICORRUZIONE
DOCUMENTO IN CONSULTAZIONE
Indice generale del documento pubblicato in questo e in altri 3 post a seguire
(omissis)
(DOCUMENTO ANAC COMMENTATO – PARTE I)
III – LE ISTITUZIONI UNIVERSITARIE pag. 34
Premessa pag. 34
- Organizzazione per la prevenzione della corruzione pag. 36
1.1 Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza pag. 36
1.2 Il Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza pag. 37
- La ricerca pag. 38
(DOCUMENTO ANAC COMMENTATO – PARTE II)
2.1 Progettazione della ricerca pag. 39
2.2 Valutazione e finanziamento dei progetti pag. 40
2.3 Svolgimento della ricerca pag. 42
2.4 Esito e diffusione dei risultati pag. 43
- Valutazione della qualità della ricerca degli atenei (e degli Enti pubblici di Ricerca) pag. 43
- Organizzazione della didattica pag. 45
4.1 Processo di accreditamento delle sedi e dei corsi di studio pag. 45
4.2 Svolgimento della didattica pag. 46
(DOCUMENTO ANAC COMMENTATO – PARTE III)
- Il reclutamento dei docenti pag. 47
5.1 La procedura di abilitazione scientifica nazionale pag. 47
5.2 Procedure di reclutamento a livello locale pag. 48
5.2.1 Reclutamento dei professori ai sensi dell’art. 24, co. 6, l. 240/2010 pag. 48
5.2.2 Adeguata programmazione per il reclutamento dei docenti pag. 49
5.2.3 Conflitti di interesse fra partecipanti al reclutamento e personale dell’ateneo pag. 50
5.2.4 Formazione delle commissioni giudicatrici e conflitti di interesse dei componenti pag. 51
5.2.5 Scarsa trasparenza dei criteri e delle procedure di valutazione pag. 53
(DOCUMENTO ANAC COMMENTATO – PARTE IV)
- Presidi per l’imparzialità dei docenti e del personale universitario pag. 53
6.1 Codice di comportamento/codice etico pag. 54
6.2 Incompatibilità e conflitto di interessi pag. 56
6.3 I procedimenti disciplinari pag. 57
- Gli enti partecipati e le attività esternalizzate dalle università pag.58
7.1 Enti partecipati dalle università ed monitoraggio sulle relative attività di interesse pubblico pag. 59
7.1.1. Il processo decisionale di costituzione degli enti partecipati dalle università pag. 59
7.1.2. Lo svolgimento delle attività di pubblico interesse da parte degli enti partecipati pag. 59
7.1.3. Il ruolo del personale docente e dei ricercatori all’interno delle spin-off e la percezione di emolumenti indebiti per lo svolgimento di attività esterne alle università pag. 60
- Le università telematiche pag. 61
III – LE ISTITUZIONI UNIVERSITARIE
Premessa
L’università e la ricerca definiscono un comparto rilevante dell’amministrazione italiana, particolarmente caratterizzato dai principi costituzionali di libertà della scienza, della ricerca e della alta cultura (art. 33, commi 1 e 6, Costituzione). La stessa legge 30 dicembre 2010, n. 240, «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario», di riordino della disciplina (c.d. riforma Gelmini), afferma che «le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica» (art. 1). [Nella ricognizione normativa iniziale evocata per richiamare il principio dell’autonomia accademica, di cui sono depositarie le istituzioni di alta cultura, ovvero le università e le accademie, è singolare che ci si dimentichi di richiamare la legge n.168 del 9 maggio 1989, di cui, per accompagnare la lettura del presente documento, può essere molto utile richiamare l’ancora pienamente vigente testo normativo. Tale normativa viene in realtà menzionata in un secondo momento nel documento in esame, ma, nonostante l’omaggio della citazione, di essa sembra che gli estensori del documento si siano poi completamente dimenticati nell’articolare le molte soluzioni proposte, come si vedrà proseguendo la lettura] Nelle università, si manifesta infatti un sensibile intreccio tra istanze di libertà e obblighi di servizio pubblico sia con riguardo alla ricerca, sia con riguardo all’istruzione superiore, anche se la particolare accentuazione della libertà, nella specifica dimensione organizzativa dell’autogoverno, ha assunto storicamente una rilevanza preponderante [Affermazione discutibile, contraddetta dalla emanazione della legge 240/2010, che ha teso a comprimere sensibilmente l’autonomia goduta dagli atenei nella legislazione previgente], a discapito della verificabilità del corretto perseguimento del servizio, di cui la libertà è necessaria e insostituibile premessa. La garanzia dell’autonomia, infatti, diversamente da ogni altra amministrazione pubblica italiana, ha caratterizzato l’università sotto il profilo del divieto di ingerenza dei pubblici poteri nell’organizzazione, ma nello stesso tempo ha costituito un limite o un freno alla necessaria istanza di vigilanza, che presiede alla efficienza del sistema, anche sotto l’aspetto degli obblighi di promozione della ricerca scientifica e tecnica da parte della Repubblica. [Si tratta di un giudizio discutibile e opinabile, non basato su elementi oggettivi. Di fatto l’autonomia universitaria è stata radicalmente limitata dalla L. 240/2010 e da un profluvio di provvedimenti normativi non coordinati fra loro e gravemente lesivi dell’autonomia costituzionale]
Il sistema si caratterizza per un accentuato policentrismo istituzionale e organizzativo [Il policentrismo istituzionale e organizzativo è la forza dell’Università e non va considerato un fattore negativo, essendo la inevitabile e salutare conseguenza dell’autonomia e della libertà di ricerca e di insegnamento sancita dalla Costituzione]. La citata complessità si manifesta principalmente sotto il profilo normativo, ove si constata una disciplina articolata e oggetto di consistente stratificazione legislativa. Il sistema degli studi superiori è regolato dalla l. 240/2010; tuttavia, per le parti non espressamente abrogate, risulta vigente il d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, recante «Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica»; analogamente, pare tuttora almeno parzialmente vigente il R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, recante «Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore», nonché la l. 9 maggio 1989, n. 168, recante «Istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica».
Dal punto di vista istituzionale, i menzionati principi costituzionali trovano primario esito, da un lato, nella funzione di autogoverno che caratterizza tutte le università, regolata nei limiti stabiliti dalla legge; dall’altro, nell’istanza di indirizzo e controllo [Indirizzo e coordinamento (non controllo) nel rispetto dei princìpi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge] rappresentata principalmente dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica (MIUR), cui fa da supporto tecnico l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). Il Ministero è organo dello Stato nel quale si accentra l’esercizio delle funzioni generali di autorizzazione e accreditamento delle istruzioni superiori, allocazione e perequazione delle risorse, indirizzo e controllo e altro.
La governance del comparto si avvale, a diverso titolo, di competenze di organi, enti e istituti, fra loro differenti quanto a legittimazione, composizione e natura. Tra questi, il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), quale organo elettivo di rappresentanza del sistema universitario, in tutte le sue componenti, disciplinato con l. 16 gennaio 2016, n. 18; il Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca (CNGR), istituito con l’art. 20 della l. 30 dicembre 2010, n. 240; il CNSU, organo consultivo di rappresentanza degli studenti iscritti ai corsi attivati nelle università italiane, di laurea, di laurea
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specialistica e di specializzazione e di dottorato, previsto con l. 15 marzo 1997, n. 59 e istituito con d.P.R. 2 dicembre 1997, n. 491; l’ANVUR, agenzia tecnica del MIUR, istituita con l’art. 2, legge 24 novembre 2006, n. 286; la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), associazione privata delle Università statali e non statali, fondata nel 1963; il Convegno dei direttori generali delle Amministrazioni universitarie (CODAU), associazione dei direttori generali delle amministrazioni universitarie italiane. Il presente lavoro– di cui l’ANAC si assume titolarità e responsabilità – è frutto del contributo di tutti i sopracitati soggetti, convocati dall’Autorità, presso un Tavolo tecnico che ha fornito valide indicazioni per la redazione del presente approfondimento. [La possibilità concessa ad ANAC di istituire tavoli tecnici ad invito, nei quali ascoltare informalmente le parti interessate dalla sua azione amministrativa è una prerogativa che ANAC si è data con proprio regolamento. Ciò ricordato, mette conto osservare che tali tavoli tecnici NON rappresentano un luogo istituzionale che garantisce la necessaria trasparenza ed evidenza pubblica per comprendere chi ha partecipato a quei tavoli e cosa vi si è detto o scambiato, mediante adeguata pubblicazione dei resoconti dei processi verbali e documentali avvenuti nell’ambito di tali occasioni di confronto. L’osservazione è importante perché, come vedremo proseguendo nella lettura del documento in esame, l’ANAC sembra far leva sulla circostanza dell’ascolto informale avvenuto in questo tavolo tecnico per legittimare alcune scelte che il documento in esame fa sue e che, non di meno, appaiono esulare da quelle che sono le prerogative entro le quali dovrebbe esplicarsi il compito istituzionalmente proprio di ANAC, funzionalmente astretto all’esigenza di controllare e reprimere i fenomeni corruttivi nella PA]
L’amministrazione dell’università è destinataria della specifica attenzione del presente Piano nazionale anticorruzione sia per l’esposizione a rischi di influenze e interferenze improprie che caratterizza tutte le amministrazioni pubbliche, sia per le particolari derive legate alle peculiarità dell’università, tra le quali anche l’autogoverno [Ancora una volta si richiama l’autogoverno (riflesso dell’autonomia costituzionalmente e legislativamente riconosciuta) in una connotazione negativa, dando ad intendere e presupponendo (in assenza di elementi di prova emergenti dal documento) che circoscrivendo tale autogoverno si limiterebbe l’esposizione al rischio corruttivo del sistema]. Nello specifico, i destinatari primi delle misure proposte sono il MIUR, l’ANVUR e i singoli atenei.
Un chiarimento preliminare si impone per comprendere l’applicabilità del Piano alle università non statali. Esse sono enti legalmente riconosciuti con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, in presenza dei requisiti di legge. La loro natura di ente pubblico è stata esclusa dalla recente giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 11 luglio 2016, n. 3043), pertanto, esse non sono tenute alla predisposizioni dei Piani triennali di prevenzione della corruzione e della trasparenza. Tuttavia, le misure avanzate da questo documento si estendono anche alle università non statali laddove nello svolgimento delle attività di pubblico interesse siano tenute al rispetto delle stesse regole applicabili alle università statali (ad esempio, per il reclutamento dei professori e ricercatori). Quanto alle misure di trasparenza, stante l’incerta applicazione dell’art. 2-bis, co. 3, del d.lgs. 33/2013, l’Autorità auspica che le università non statali si conformino alle misure di trasparenza contenute nel presente aggiornamento.
Le misure proposte consistono, in linea di continuità con i Piani nazionali precedentemente approvati, principalmente in raccomandazioni volte alla organizzazione o riorganizzazione di singoli settori ovvero di singoli processi, con il fine di ridurre le condizioni che favoriscono la corruzione (intesa, come noto, in senso ampio, quale assunzione di decisioni devianti dalla cura dell’interesse generale a causa di condizionamenti impropri). E’ bene che le misure proposte siano recepite in stretta integrazione con ogni altra politica di miglioramento organizzativo.
Inoltre, preme richiamare che il Piano nazionale anticorruzione non è la sede opportuna ove rinvenire proposte di riforma del sistema di rango legislativo. Terreno suo proprio, ove emergano criticità che evidenziano la possibilità di insinuazione di interferenze improprie nell’ambito dei procedimenti esaminati, è la indicazione nella forma di un atto di indirizzo, di soluzioni meramente organizzative. Il Piano nazionale anticorruzione si propone di evidenziare talune criticità che possono essere affrontate mediante atti idonei non legislativi. Nondimeno, ove il Tavolo abbia riscontrato in modo unanime criticità di sistema che esorbitano dalla competenza del presente Piano, si è ritenuto opportuno segnalare possibili ispirazioni di orientamenti di sistema: tra questi, si segnala, ad esempio, l’opportunità di un codice della disciplina sulla ricerca, al pari di analoghi codici, anch’essi ritenuti opportuni, sull’istruzione scolastica e sull’università. [In questo periodo il documento sembra palesemente contraddirsi: prima si afferma di non essere nella sede opportuna per proporre provvedimenti legislativi, poi “nondimeno” si registra un volere informalmente espresso dai rappresentanti delle istituzioni invitate al tavolo e lo si traduce in una proposta di sistema che nulla ha a che fare con le prerogative di ANAC – lo si osserva non tanto e non solo con riferimento all’idea di por mano a un codice o T.U. del settore (la materia non ha ancora raggiunto il livello di complessità della disciplina degli appalti, per fortuna), quanto con riferimento ad alcune chiare indicazioni di carattere sostanzialmente legislativo che il documento come si vedrà si incarica di proporre a Governo e Parlamento, su cui infra]
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Occorre precisare infine che la presente sezione del Piano, dedicata alle università, non si è occupata direttamente del complesso sistema degli Enti di ricerca, comunque denominati. Ad essi, tuttavia, possono essere applicate le presenti valutazioni soprattutto quelle attinenti le attività di ricerca scientifica, entro i limiti di compatibilità.
- Organizzazione per la prevenzione della corruzione
1.1 Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza
L’art. 1, co. 7, della l. 190/2012, come novellato dal d.lgs. 97/2016, prevede che «l’organo di indirizzo individua, di norma tra i dirigenti di ruolo in servizio il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (…)». Nonostante il superamento della precedente indicazione che considerava in via prioritaria i dirigenti amministrativi di prima fascia quali soggetti idonei all’incarico, l’Autorità ha espresso l’avviso (PNA 2016) che, laddove possibile, è altamente consigliabile mantenere in capo a dirigenti di prima fascia, o equiparati, l’incarico di Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT). [Condivisibile]
Nelle università, pertanto, l’incarico di RPCT può essere affidato al direttore generale, figura scelta tra personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali cui è affidata la complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell’ateneo, nonché le funzioni, in quanto compatibili, previste all’art. 16 del d.lgs. 165/2001 per i dirigenti di uffici dirigenziali generali (art. 2, co. 1, lett. n) e o) della l. 240/2010).
Vi sono atenei che presentano un organico in cui le figure dirigenziali risultano molto ridotte o vi sia la sola presenza del direttore generale come figura apicale. Stante la necessità che i dirigenti svolgano di conseguenza più ruoli ad interim anche in aree potenzialmente esposte a rischio corruttivo, qualora la nomina del RPCT ricada su uno di detti dirigenti o sul direttore generale, è necessario garantire un bilanciamento delle funzioni e dei poteri per evitare quanto più possibile la concentrazione di poteri decisionali in una o poche figure. Se ciò non sia effettivamente attuabile, considerate le ridotte dimensioni, è opportuno prevedere adeguati controlli o suddividere le varie fasi delle medesime procedure attribuendole a più soggetti (c.d. segregazione delle funzioni).
Come precisato nel PNA 2016, occorre valutare con molta attenzione la possibilità che il RPCT sia il medesimo soggetto titolare del potere disciplinare. Tale indicazione, tuttavia, può risultare inapplicabile negli atenei di ridotte dimensioni. Solo in questi casi le università possono considerare una coincidenza delle due funzioni in capo al medesimo soggetto. Sia che il ruolo di RPCT venga svolto dal direttore generale sia che venga svolto da un dirigente, dovrà essere garantita l’indipendenza della funzione dalla sfera politico-gestionale e il suo coinvolgimento in tutti gli ambiti che comportano un riflesso sul sistema dei controlli e delle verifiche interne. In tal senso il RPCT deve potersi riferire e coordinare con le attività interne del Collegio dei revisori dei conti, del Nucleo di valutazione, del sistema di controllo di gestione o audit interno (se presente) e con eventuali altri sistemi di verifica quali il servizio ispettivo di cui all’ art. 1, co. 62 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», o i servizi legali,
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richiedendo, all’occorrenza, il supporto per le attività di accertamento su cui il RPCT può essere chiamato a intervenire su segnalazione oppure per iniziativa propria.
Anche le attività di verifica cui è chiamato il RPCT richiedono la possibilità di accesso alle fonti informative interne quali le banche disponibili che possono supportare l’istruttoria di fatti o le verifiche di situazioni su cui viene interessato. Si consideri, ad esempio, il caso delle verifiche di cause di inconferibilità e incompatibilità sugli incarichi amministrativi di vertice e sugli incarichi dirigenziali anche in società ed enti controllati, che richiedono di spaziare sul piano informativo per il riscontro delle condizioni previste.
La gestione del rischio e tutte le attività di prevenzione, pur coinvolgendo l’intera amministrazione, dovrebbero essere coordinate dal RPCT: responsabilità e poteri di coordinamento, oltre che di interlocuzione e di controllo, non possono essere disgiunti, a prescindere dal modello organizzativo che le amministrazione scelgono e inseriscono nel PTPCT. Di conseguenza è opportuno che il RPCT sia dotato di adeguata struttura tecnica di supporto per la messa a punto e l’esecuzione delle attività di analisi dei processi, rilevazione dei dati, gestione delle segnalazioni, esecuzione delle attività di verifica. Le amministrazioni valutano l’opportunità di includere anche i docenti – professori e ricercatori – tra i referenti del RPCT.
1.2 Il Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza
Le università sono tenute ad adottare il PTPCT in quanto pubbliche amministrazioni rientranti nel novero di quelle menzionate dall’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001, sia pure con le peculiarità che le contraddistinguono. Tutto il personale, compresi docenti e ricercatori, è destinatario del Piano.
Al riguardo, come già indicato anche nel PNA 2016, i PTPCT sono strettamente coordinati con i Piani della performance e con gli altri strumenti di programmazione adottati dalle università. Ciò affinché gli obiettivi di prevenzione del rischio corruttivo siano sostenibili e coerenti con quelli stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale e vengano inclusi negli indicatori di performance individuale e organizzativa. Al Nucleo di valutazione, cui nelle università sono attribuite le funzioni dell’OIV, spetta la verifica della coerenza tra gli obiettivi previsti nel PTPCT e quelli indicati nel Piano della performance, valutando altresì l’adeguatezza dei relativi indicatori (art. 44, d.lgs. 33/2013). Le modifiche che il d.lgs. 97/2016 ha apportato alla l. 190/2012 rafforzano le funzioni già affidate agli OIV in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza dal d.lgs. 33/2013. È fondamentale quindi, per non depotenziare il ruolo e l’efficacia dell’azione dei Nuclei di valutazione, evitare che ci siano aree di sovrapposizione con le attività svolte dai Presidi di Qualità di Ateneo. [Le attività dei Nuclei di Valutazione sono già in larga parte sovrapposte a quelle svolte dai Presidi di Qualità. Sarebbe necessario individuare un unico organo di valutazione]
Nel rilevare la necessità di uno sviluppo coordinato della pianificazione delle attività dell’ateneo in ordine alla performance e all’anticorruzione, anche alla luce della programmazione economico-finanziaria si evidenzia, tuttavia, l’importanza che il PTPCT mantenga una propria autonomia rispetto agli altri strumenti di programmazione. A riguardo, alla luce dell’evoluzione normativa che disciplina i PTPCT, viene segnalata l’esigenza di superare l’impostazione seguita da alcune università di predisporre un unico piano (definito come “Piano integrato”), in quanto al PTPCT sono correlate forme di gestione e
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responsabilità differenti rispetto a ogni altro strumento di programmazione e la necessità di identificare chiaramente misure in funzione anticorruttiva.
Si evidenzia che le attività di individuazione e attuazione delle misure di prevenzione della corruzione devono essere intese non come un mero adempimento ma come un processo costante e sinergico che, anche in una logica di performance, è finalizzato alla ricerca di maggiore funzionalità e – di conseguenza – alla prevenzione di fenomeni di cattiva amministrazione.
Al fine di realizzare il necessario coordinamento fra i diversi strumenti di programmazione è fondamentale che il RPCT, chiamato a predisporre il PTPCT, possa interagire costantemente con il vertice strategico decisionale in fase di programmazione degli obiettivi e delle attività. [Quindi il direttore generale entra nella programmazione. La notazione allarma, perché si permetterebbe al manager amministrativo di condizionare sul nascere il dibattito sulla programmazione degli obiettivi e delle attività didattici e scientifici degli atenei. Si fa confusione fra organi di governo e indirizzo politico (Senato e Consiglio) ai quali spetta la programmazione, in coordinamento con le strutture decentrate (Dipartimenti), e il ruolo del direttore generale che è responsabile della gestione e dell’organizzazione dell’Ateneo secondo le linee di indirizzo definite dagli organi politici. IL PTPCT deve essere uno strumento di prevenzione sul piano gestionale e dell’organizzazione interna, non deve interferire con la fase di formazione della programmazione]
Il PTPCT recepisce gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza definiti dall’organo di indirizzo che nelle università è individuato nel Consiglio di amministrazione. Detto organo adotta il PTPCT su proposta del RPCT entro il 31 gennaio di ogni anno.
- La ricerca
L’area della ricerca universitaria può essere distinta in diverse categorie, secondo la natura dei finanziamenti o le caratteristiche intrinseche dell’attività: la ricerca internazionale, nazionale e regionale e la ricerca interna agli atenei; la ricerca su fondi pubblici e la ricerca su fondi privati; la ricerca di base e la ricerca applicata; la ricerca svolta direttamente dall’università e la ricerca svolta tramite spin off; la ricerca finanziata svolta dal singolo ateneo e la ricerca svolta da aggregazioni di soggetti pubblici e privati. La relativa disciplina di legge è frammentata: l’incertezza e la parcellizzazione della regolamentazione contribuiscono ad accrescere la percezione di un’area non priva di zone di opacità [Giudizio opinabile e discutibile. Le regole di rendicontazione dei fondi di ricerca assicurano nella stragrande maggioranza delle situazioni una gestione virtuosa e trasparente, che non ha eguali in altri settori della PA] e, pertanto, esposta al rischio di corruzione. La parziale disorganicità e l’asistematicità normative determinano un ostacolo per la parità di condizioni nella piena accessibilità ai fondi di finanziamento, nella misura in cui rendono oltremodo incerto il novero dei soggetti finanziatori e il quadro dei finanziamenti pubblici esistenti. [Questo è un punto importante: gli Atenei dovrebbero assicurare misure opportune per assicurare la parità di condizioni nella piena accessibilità ai fondi di finanziamento]
Per la ricerca, si riscontra innanzitutto una notevole pluralità di fondi: si osserva, in proposito, l’avvenuta unificazione dei vari fondi per la ricerca nel Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST), di cui all’art. 1, co. 870, della l. 27 dicembre 2006, n. 296; [L’unificazione dei vari fondi per la ricerca nel FIRST non ha determinato alcuna razionalizzazione, bensì una drastica riduzione dei fondi per la ricerca, l’interruzione nella regolarità dei bandi e, di fatto, ha reso più difficile e meno equa l’accessibilità alle fonti di finanziamento] per quanto concerne il MIUR, gli strumenti per l’attribuzione delle risorse mediante trasferimento diretto agli enti sono essenzialmente il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) e il Fondo ordinario enti e istituzioni di ricerca (FOE) nei quali solo una piccola frazione è utilizzata per bandi interni; il Fondo integrativo speciale per la ricerca (FISR) con versamento delle somme direttamente alle università ed agli enti pubblici di ricerca vigilati, all’interno del quale una piccolissima frazione è utilizzata per i bandi di ateneo; i bandi competitivi, come i Progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) e il Fondi investimenti ricerca di base (FIRB), destinati a università ed enti di ricerca con fondi sempre più ridotti [“Con fondi sempre più ridotti”: questo è il vero problema, altro che la prevenzione della corruzione!] ed i Fondi strutturali nazionali (PON) e i Cluster destinati a partenariati fra università e enti pubblici di ricerca in collaborazione con la ricerca industriale. Nella disamina sono stati omessi i fondi a valere di bandi o di call europee come Horizon 2020 e ERC o altre piattaforme come IMI, LIFE. Alla pluralità di fondi si associa una corrispondente pluralità dei soggetti di governance tale per cui non appare assicurata la piena e trasparente conoscibilità dei finanziamenti esistenti, delle procedure adottate dai soggetti erogatori, dei relativi criteri adottati per la valutazione, dei soggetti destinatari dei
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finanziamenti medesimi, nonché dei valutatori. La frammentazione rende di fatto difficilmente conoscibile il quadro dei finanziamenti. [La frammentazione è la migliore garanzia per la trasparenza, la diversificazione, la piena accessibilità alle fonti di finanziamento. Ogni centralizzazione in questo settore sarebbe deleteria]
Si riscontra, in modo ampiamente condiviso, l’esigenza di programmazione generale dell’intero budget della ricerca, affinché sia possibile evidenziare e distinguere con maggior nettezza le grandi scelte strategiche da quelle di regolazione-organizzazione della valutazione e finanziamento della ricerca [A livello nazionale la programmazione c’è già: nel PNR. Se poi non ne viene dato esito, per assenza o scarsità di finanziamenti, il problema non sta certamente nella programmazione]. Sussiste e si evince, a tal riguardo, l’esigenza condivisa di una più chiara programmazione della destinazione dei fondi sia a livello nazionale, sia a livello di singolo ateneo. Ciò appare tanto più necessario, quanto più il problema si presenti in un periodo di scarsità di risorse economiche. Il punto involge chiaramente scelte di governance che, in quanto tali, esulano dal presente Piano. [Ciò detto, poi il documento in esame entra a piedi uniti in un suggerimento istituzionale di rilevantissima portata, vedi infra]
A legislazione invariata potrebbe essere utile e opportuno ipotizzare una soluzione organizzativa che presieda alla formazione di un indirizzo strategico organico, coordinato centralmente, eventualmente posta all’interno della Presidenza del Consiglio [Qualsiasi centralizzazione, soprattutto a livello governativo, sarebbe deleteria per il settore. La pluralità delle fonti di finanziamento è la migliore garanzia di trasparenza, libera competizione e piena accessibilità. L’unica forma di coordinamento possibile potrebbe essere un soggetto terzo e indipendente, non certo governativo]. Siffatta cabina di regia politica dovrebbe comunque rispettare i capitoli destinati ai singoli Ministeri e le rispettive competenze, ma potrebbe avere compiti di indirizzo strategico sull’attività di ricerca del sistema Paese definendo, ad esempio, le principali destinazioni delle risorse pubbliche di finanziamento della ricerca in parte alla ricerca finalizzata e in parte alla ricerca curiosity driven. Si potrebbe valutare anche l’ipotesi che tale cabina di regia sia assistita, sul piano scientifico, da un board di elevato livello professionale che si avvalga di competenze internazionali. [Una cabina di regia siffatta non esiste in alcuna democrazia occidentale. Esistevano cose simili nei Paesi dell’ex-Unione Sovietica. Oggi permangono forse in Corea del Nord. In ogni caso questa proposta esula completamente dalle finalità del documento, trattandosi di politica della Ricerca e non di prevenzione della corruzione.]
[Non sequitur additivo: chi e cosa legittima questo documento a fornire orientamenti di sistema? Il punto si segnala con grande preoccupazione, poiché appare evidente da questa indicazione contenuta nel documento in esame, che ANAC, facendo sue queste indicazioni in un atto ufficiale, sta qui travalicando le funzioni che le sono proprie in base alla legge istitutiva.
Più in generale sul potere minimo delle autorità indipendenti di suggerire modifiche legislative, con l’avallo e l’autorità del proprio volto “tecnico”, è stato, infatti, appropriatamente osservato:
“Le Autorità, infatti, intervengono in ambiti contrassegnati da grande complessità tecnica con discipline dirette agli operatori del settore e agli utenti di determinati servizi pubblici, senza la copertura di norme di rango primario o secondario e, dunque, senza apparente raccordo con la fonte di legittimazione della sovranità popolare. Sotto questo profilo sembra determinarsi uno iato rispetto al principio di legalità in senso sostanziale che è, addirittura, “doppio” rispetto a quello in passato contestato a proposito dei c.d. “regolamenti indipendenti” del Governo. Non soltanto, infatti, le autorità pongono in essere norme giuridiche di rango secondario in assenza di norme legislative generali sulla materia, ma intervengono nella formazione di complesse e delicate discipline sezionali senza nemmeno una legittimazione popolare indiretta, che, invece, il Governo possiede in forza della relazione fiduciaria con la sua maggioranza parlamentare. Non solo; la normativa regolatoria adottata sulla base della spiccata legittimazione tecnico-specialistica delle autorità – che già sfugge alle maglie del principio di gerarchia, armonizzandosi con l’ordinamento generale attraverso il criterio della competenza – costituisce, al contempo, fonte delle funzioni amministrative delle autorità e parametro di quelle contenziose o paragiurisdizionali. Si delinea, dunque, un circuito che può essere interpretato come elemento di un più complesso sistema giuridico autopoietico e ultimo approdo del pluralismo sociale e istituzionale, oppure – senza adeguate aperture in termini di strumenti partecipativi dei portatori degli interessi regolati (i c.d. Stakeholder) – come una caduta nella autoreferenzialità di taluni ordinamenti sezionali e, in ultima analisi, come una regressione rispetto ai canoni fondamentali degli ordinamenti costituzionali democratici”, così F. Giuffrè, Le autorità indipendenti nel panorama evolutivo dello Stato di diritto: il caso ANAC, in Federalismi, 2016.
Siamo, come si vede, molto oltre la missione istituzionale che vede nell’ANAC un soggetto deputato a suggerire politiche per il contenimento e il contrasto dei fenomeni corruttivi nella PA italiana. Come mai ANAC si spinge a dettare questo tipo di ricette? Forse perché sono idee non nuove, che ROARS non dimentica di aver letto altrove:
Specificatamente per la ricerca italiana, sarebbe altamente auspicabile creare, come in molti paesi avanzati, un organismo permanente di coordinamento nazionale di università e ricerca incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (sul modello del Chief Scientific Advisers Committee inglese) che:
si occupi in modo coerente del Piano Nazionale della ricerca individuando gli obiettivi e le linee strategiche di sviluppo e finanziamento per tutta la ricerca (non solo la frazione di pertinenza MIUR) ottimizzi la distribuzione e l’utilizzo dei fondi per la ricerca erogati da diversi ministeri coordini i numerosissimi enti che svolgono attività di ricerca, oltre a quelli vigilati dal MIUR, e le molte risorse in arrivo attraverso i fondi strutturali europei destinati a ricerca e innovazione e le molte risorse in arrivo attraverso i fondi strutturali europei destinati a ricerca e innovazione [Punto 6 dei 100 punti scanditi nel “Quaderno n. 13” dell’Associazione TreeLLLe, Dopo la riforma: università italiana, università europea. Proposte per il miglioramento del sistema terziario].
Si tratta, a ben vedere, del tentativo di riproporre nella sua essenza la scelta che la riforma costituzionale bocciata dai cittadini italiani, nel definire le competenze Stato-Regioni in materia di istruzione, tentava di immettere di soppiatto in quello che avrebbe potuto diventare il nuovo articolo 117 Cost., con un’addizione che avrebbe permesso di dare una base costituzionale al tentativo di svuotare di significato il valore dell’autonomia universitaria riconosciuta nell’art. 33 Cost. in capo ai singoli atenei, quale corpo intermedio necessario fra il ricercatore o lo studioso e lo Stato, per fungere da stanza di compensazione istituzionale autonoma e a composizione strutturalmente multidisciplinare rispetto ai desiderata della politica. Ricordiamo che la norma bocciata dal Referendum così recitava:
“Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; ISTRUZIONE UNIVERSITARIA E PROGRAMMAZIONE STRATEGICA DELLA RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA”.
Insomma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri come soggetto che, secondo i suggerimenti privi di legittimazione funzionale resi da ANAC, deciderebbe come e dove allocare i fondi per la ricerca, bypassando gli atenei e i meccanismi di finanziamento che fanno sì che lo Stato decida come allocare i fondi di ricerca, ma avendo sempre come destinatari elettivi del finanziamento – ed è questo il punto – i singoli atenei. Del resto, che si sia già imboccata nei fatti questa strada per il tramite della legislazione ordinaria (ancorché “passata”, nel modo che è ben noto, attraverso una legge di stabilità su cui il Parlamento ha potuto dire ben poco) lo dimostrano i Ludi dipartimentali e le Mancette premiali ai ricercatori e ai PA, meccanismi al cospetto dei quali i singoli atenei sono essenzialmente relegati al ruolo di passacarte, per attuare una premialità che fa leva su ANVUR e su scelte rimesse all’esecutivo (per esempio, la nomina della Commissione che è incaricata di individuare i 180 dipartimenti di eccellenza che saranno proclamati vincitori dei Ludi).
Preoccupa non poco che ANAC sfrutti un proprio documento ufficiale per svolgere considerazioni che mostrano di non avere attinenza con la funzionalità del documento e che non recano alcun dato a giustificazione della fondatezza della indicazione proposta.
Del tutto pretermesso è, infatti, da parte di ANAC il necessario assolvimento del preliminare onere di provare il nesso di causa fra il suggerimento proposto e la finalità che è istituzionalmente propria del documento redatto, a meno che non si voglia attribuire all’obiettivo di contrastare la corruzione nella PA la virtù di riuscire a legittimare la prospettazione di qualsiasi azione regolativa, anche quando, come nel caso della soluzione qui criticata, il tema su cui cade il suggerimento appare solo in apparenza “tecnico”, rivelando a un più realistico e accorto esame fondamentali ed essenziali caratteri politici, soggetti peraltro alla necessità di sottostare a delicati bilanciamenti con le indicazioni vincolanti della giurisprudenza costituzionale.
Si ricorda, a tal fine, che la Corte costituzionale, in una recentissima sentenza (n. 104/2017), nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 49/2012 nella parte in cui si prevede che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, individui percentuali del FFO da ripartire in relazione al costo standard, ha ribadito la responsabilità di Parlamento e Governo (nella sua collegialità) di assicurare, in conformità alla Costituzione, «la continuità e l’integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali, indispensabili per l’effettività dei principi e dei diritti consacrati negli artt. 33 e 34 Cost.».
In particolare, pur ritenendo fisiologico nell’ambito dell’ordinamento universitario il rinvio a fonti e atti amministrativi attuativi della normativa primaria, la Corte, data l’esistenza di una riserva di legge in materia di ordinamento universitario, ha censurato il decreto legislativo che ha omesso «la determinazione degli indici di quantificazione e della valorizzazione del costo standard, a causa della concomitanza, sul punto, di disposizioni di delega che non risultano affatto particolareggiate». Il metodo indicato si dovrebbe proiettare sulle numerose costruzioni normative di questi anni, spazzandole via, varate nonostante i tanti avvisi del CUN, della dottrina e della giurisprudenza, in quanto contrarie al basilare ed elementare principio dell’autonomia accademica desunto dalla nostra Carta costituzionale.
Con questo suo intervento la Consulta ha ribadito anche, secondo un consolidato orientamento (v. ad es. anche la sent. n. 338/1998), la rilevanza che, tra i vari e numerosi principi e diritti costituzionali e nel loro bilanciamento, assume la libertà della ricerca.
Anche il Consiglio di Stato, nel parere 2210/2016 sullo schema del decreto legislativo riguardante la Semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca, adottato ai sensi dell’articolo 13 della legge 124/2015, poi tradotto nel d.lgs. n. 218 del 2016, ha ribadito la centralità dei valori costituzionali. La scienza, ha ribadito il Consiglio di Stato, assume un ruolo centrale tra i valori tutelati dalla Costituzione italiana; questa garantisce la libertà dell’arte e della scienza, e dei loro rispettivi insegnamenti, in quanto strumentali alla crescita culturale e al progresso dell’umanità. Nel parere si riconosce che la necessità di fornire adeguate tutele e garanzie alla ricerca scientifica si rafforza in quanto «la libertà di ricerca scientifica risulta spesso strumentale all’esercizio di un diritto fondamentale come quello alla salute (art. 32 Cost.) – intesa sia nella sua dimensione individuale sia in quella collettiva – e al connesso diritto all’autodeterminazione in ambito sanitario. La libertà di ricerca si trova, inoltre, a interagire con la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Infine, lo sviluppo e il sostegno della ricerca scientifica e tecnologica costituiscono certamente fattori che incidono positivamente sul corretto assetto concorrenziale del mercato e sulla competitività del Paese».
Sotto il profilo contenutistico, la libertà di ricerca scientifica si traduce, per il Consiglio di Stato,
«essenzialmente, nel tutelare chiunque vi si dedichi da condizionamenti che possano sorgere per finalità estranee alla ricerca stessa. Occorre dunque assicurare che lo scienziato sia messo nelle condizioni di procurarsi i mezzi per svolgere le proprie ricerche, che l’attività di ricerca si svolga a più largo raggio possibile e all’interno di istituzioni “libere”».
A questo proposito, il Consiglio di Stato, rilevato che l’art. 33, ult. co., Cost. assicura alle istituzioni di alta cultura, università ed accademie il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, assume particolare importanza la potestà statutaria riconosciuta dal legislatore a garanzia dell’autonomia universitaria.
E si veda la convinta difesa del principio dell’Autonomia universitaria operata sempre dal Consiglio di Stato nel parere consultivo (punto 6) che lo scorso autunno costrinse il Governo a dismettere il regolamento proposto per dare ingresso alle c.d. Cattedre Natta.
Non si capisce bene, dunque, con quale specifica legittimazione giuridica ANAC faccia proprio il suggerimento in esame, per esortare il Governo, e più in generale il Parlamento e l’opinione pubblica, a dotare il Paese di una cornice giuridico-istituzionale nel cui alveo istituzionalizzare e rendere in futuro attuabili con sistematica fluidità operazioni suscettibili di modificare in modo notevole l’assetto del finanziamento del mondo della ricerca italiana. Questa non meglio specificata cabina di regia (che, addirittura, si afferma di poter costituire a legislazione invariata) minaccia da vicino il valore dell’Autonomia di Università ed Accademie riconosciuto dall’art. 33. Cost.
Non senza notare, mutando da ANAC un’altissima sensibilità per i conflitti d’interesse, che qualcuno potrebbe ipotizzare che ANAC assuma le vesti di suggeritore, fuoriuscendo dal perimetro funzionale delle proprie attribuzioni, in un contesto nel quale il Governo stesso – in conformità al procedimento di nomina degli organi di ANAC – è stato il principale artefice della designazione di chi oggi suggerisce al Governo di centralizzare su di sé e sulle proprie cangianti determinazioni politiche il ruolo di ponderatore e smistatore delle risorse destinate alla ricerca, con un assetto che modifica in modo preoccupante l’equilibrio dei canali di finanziamento che devono giungere agli atenei attraverso il finanziamento ordinario, quale che sia la componente premiale che si decide di imprimere a tale canale di erogazione delle risorse, la cui funzionalità e centralità è fondamentale garanzia di effettività del principio dell’autonomia.
Sembra quasi che il Governo – e con esso (nelle vesti di suggeritori occulti perché non tracciati) alcuni partecipanti ai tavoli informali che ANAC ha creato per pervenire all’istruttoria da cui scaturisce il documento in esame – abbia ceduto alla tentazione di dotarsi dell’autorevole avallo di ANAC per avere in seguito mano libera per por mano a una ristrutturazione verticistica e pericolosamente “politica” della distribuzione dei fondi di ricerca, non diversa nella sostanza da quella che si tentava di accreditare con la riforma costituzionale sonoramente bocciata in occasione del referendum dello scorso dicembre.]
Nel presente approfondimento l’analisi segue l’articolazione del ciclo di vita della ricerca, dalla progettazione alla pubblicazione degli esiti, evidenziando i passaggi ritenuti più critici perché particolarmente opachi o potenzialmente più esposti a situazioni di conflitto di interesse. Separata attenzione è dedicata all’area di rischio della valutazione dei prodotti della ricerca, nella quale si ravvisano macro processi che coinvolgono i soggetti istituzionali di governance del sistema e presiedono più direttamente alla allocazione dei fondi agli atenei.
Le decisioni pubbliche rilevanti sulle attività di ricerca e gestione della ricerca si articolano in quattro distinte fasi, così ricomposte: progettazione; valutazione dei progetti e loro finanziamento; svolgimento della ricerca; pubblicazione degli esiti.
La fase più sensibile alle interferenze improprie attiene alla valutazione e al finanziamento della ricerca.
“Sembra quasi che il Governo – e con esso (nelle vesti di suggeritori occulti perché non tracciati) alcuni partecipanti ai tavoli informali che ANAC ha creato per pervenire all’istruttoria da cui scaturisce il documento in esame – abbia ceduto alla tentazione di dotarsi dell’autorevole avallo di ANAC per avere in seguito mano libera per por mano a una ristrutturazione verticistica e pericolosamente “politica” della distribuzione dei fondi di ricerca, non diversa nella sostanza da quella che si tentava di accreditare con la riforma costituzionale sonoramente bocciata in occasione del referendum dello scorso dicembre.”
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Visti alcuni dei partecipanti ai tavoli tecnici, è difficile non considerare il “Sembra” come un elegante understatement.
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Operativamente osa si può fare? Cercare di inondare ANAC di osservazioni utilizzando quest’ottimo lavoro di commento?
Nei testi digitalizzati si possono cercare determinate parole, se ritenute importanti. In questo testo non compaiono le parole della famiglia ” democrazia” né “costituzione” (legge fondamentale dello Stato).
Dall’intervista alla Ministra: “Soldi per gli scatti d’anzianità, 400 milioni per la ricerca di base. E poi, che altro per l’università?
“Dobbiamo cambiare il sistema di reclutamento e rilanciare le Cattedre Natta, la chiamata diretta di 500 docenti. Le abbiamo riviste e condivise con il mondo accademico. Per l’università, però, serve un grande dibattito in tutto il Paese.”
E altre amenità.
http://www.repubblica.it/scuola/2017/09/12/news/la_svolta_della_ministra_smartphone_in_aula_dico_si_sono_un_aiuto_-175262917/
Evviva!
[…] a consultazione pubblica e aprite un tavolo tecnico». Gentile: «Duce, voi siete un genio!». Dal Piano Nazione Anti-Corruzione 2017, predisposto e offerto da ANAC in consultazione e commento non oltre il 15 settembre 2017: […]
[…] ANAC: PIANO NAZIONALE ANTICORRUZIONE 2017 – Testo integrale in pubblica consultazione con comm… […]