Proviamo a riepilogare rapidamente la situazione in cui ci troviamo.
Il ministero ha da poco annunciato che il meccanismo delle abilitazioni, cuore della Riforma Gelmini, è partito. Negli scorsi giorni si sono moltiplicate le segnalazioni di anomalie, difficoltà interpretative, se non veri e propri errori relativi alla procedura. Si sa anche che è già stato depositato, fra gli altri, il ricorso dell’AIC, mentre il Conpass preannuncia assistenza legale a favore di coloro che, nelle aree bibliometriche (1-9) dovessero essere sfavoriti dalla scelta di ANVUR di optare per il criterio dell’h-contemporaneo (Katsaros) al posto dell’h normalizzato per età accademica. Del resto, che il sistema delle abilitazioni stia partendo con il piede sbagliato è già testimoniato dalla stessa comunicazione del MIUR che ne annuncia l’avvio: si dice che il decreto di indizione é stato firmato il 20, ma non lo si rende pubblico, rimandando per la lettura dell’atto al 27 luglio.
Perché mai? Non voglio ora diffondermi su questa situazione a dir poco caotica e che già lascia presagire un cattivo esito per l’intera procedura. Vorrei invece fare uno sforzo di fantasia e pensare che tutto si concluda nel migliore dei modi.
Il migliore dei modi?
Come ormai tutti sanno le abilitazioni non sono che il primo gradino di una più complessa procedura di reclutamento. Infatti gli abilitati dovranno successivamente concorrere a valutazioni comparative bandite dalle singole sedi. Ma in realtà le stesse abilitazioni sono un processo a due stadi: prima si verifica il possesso dei requisiti quantitativi, poi si procede a una valutazione qualitativa. Infatti il legislatore, con l’intento di porre un freno ai fenomeni di degenerazione che hanno segnato i concorsi del passato ha previsto un filtro per i candidati: per ottenere l’abilitazione è necessario essere almeno altrettanto produttivo del 50% più produttivo della fascia alla quale si vuole accedere. Quindi un aspirante associato deve potersi collocare oltre la mediana degli associati del settore concorsuale di riferimento e lo stesso vale per i professori ordinari. Largo alla meritocrazia e basta con i fannulloni. E’ proprio così? Vediamo.
Partiamo dal calcolo delle mediane. Per le aree 1-9 entrano in gioco anche gli indici citazionali, con tutte le difficoltà teoriche e pratiche del caso. Quindi occorrerà rifarsi a WOS e Scopus, basi dati non esenti da errori, omissioni e un sostanziale ritardo di aggiornamento. La situazione è molto peggiore, però, per le aree delle scienze umane e sociali (10-14) dove si farà ricorso, nel calcolo delle mediane, a liste di riviste redatte in modo più o meno arbitrario e a un computo della produttività fondato sulle pagine personali del CINECA. Ora, chiunque conosca lo stato dei dati CINECA sa che esso dovrebbe essere considerato come del tutto inutilizzabile al fine del calcolo di dati di un qualche rilievo statistico. Infatti completezza e integrità dei dati sono interamente affidati ai singoli docenti i quali mancano delle competenze per inserirli correttamente e potrebbero non aver voglia o tempo di verificarli, correggerli o perfino di inserirli. La manutenzione di un database bibliografico è cosa da specialisti e non può essere affidata alla volontà dei singoli.
Si può dunque essere sicuri che le mediane saranno calcolate senza filtrare duplicazioni, omissioni, errate classificazioni dei prodotti, attribuzioni di prodotti ad autori omonimi e così via. Un sistema indegnamente abborracciato che si tenta di puntellare con due espedienti a dir poco discutibili: in primo luogo l’ANVUR ha dichiarato espressamente di non assumersi alcuna responsabilità circa l’esattezza dei dati usati per il calcolo delle mediane. Affermazione singolare, per non dire irragionevole, da parte di un organismo facente parte della pubblica amministrazione.
E’ pensabile che un’istituzione pubblica accetti di svolgere un certo compito che pure produrrà degli effetti sulla realtà affermando che non si assume responsabilità per la correttezza dei dati sui quali essa fonderà la propria azione?
In secondo luogo, il CINECA è un database opaco, non accessibile dall’esterno. Ciò significa che non vi saranno controlli ex ante, ma neanche ex post: insomma non sarà possibile verificare i dati sulla base di quali ANVUR ha tracciato le mediane. Un vero schiaffo alla trasparenza, tanto più che in alcuni casi potrebbe rendersi necessario il calcolo di mediane per gruppi ristretti di docenti (anche inferiori a 30 ordinari) caratterizzati da particolari abitudini scientifiche che li distinguono all’interno del settore concorsuale (si tratta della cosiddetta multimodalità): in questi casi anche un numero relativamente piccolo di errori potrebbe produrre conseguenze significative.
Ipotizziamo comunque ciò che non è, ossia che i dati sulla base dei quali si sono calcolate le mediane siano corretti. A quel punto, coloro che supereranno la mediana dovranno sottoporsi a una valutazione qualitativa fondata sulle pubblicazioni inviate alla commissione, sul proprio curriculum, sui progetti di ricerca coordinati e così via.
In realtà, è molto probabile che questa seconda fase di valutazione sarà svolta in modo solo formale dalle commissioni, producendo la concessione di abilitazioni a pioggia per tutti coloro che dispongono dei requisiti minimi. Cerco di chiarire il perché.
In molti casi le commissioni di concorso saranno composte da commissari provenienti da diversi settori disciplinari (SSD), e capiterà che vi siano commissioni con un solo commissario per SSD. Perché mai costui dovrebbe assumersi da solo la responsabilità di scontentare i colleghi con un atteggiamento specialmente restrittivo?
Inoltre, un candidato respinto non potrà ripresentarsi per le due abilitazioni successive, il che rende particolarmente severa la scelta della bocciatura.
Ancora: perché assumersi questa responsabilità quando la partita vera si giocherà successivamente, nei concorsi locali dei singoli atenei?
Ma vi sono due punti ancora più importanti sui quali a mio avviso non si è ancora riflettuto abbastanza.
La scelta di respingere un candidato che è in possesso dei requisiti quantitativi sulla base di valutazioni di natura qualitativa non è una scelta facile: espone al rischio di ricorsi in difetto di una motivazione a prova di bomba. I vecchi concorsi prevedevano una valutazione comparativa dei candidati: alla fine si sarebbero dovuti indicare i più bravi e i meno bravi. In questo caso, non ci troviamo davanti a una valutazione comparativa, ma ad un processo di abilitazione, che riconosce agli abilitati il possesso dei requisiti minimi per ricoprire un determinato ruolo. Non riconoscere tali requisiti a un candidato che pure supera le soglie quantitative, significa ritenerlo del tutto indegno del ruolo a cui aspira: non un “meno bravo”, ma un inadatto.
Dimostrare tale indegnità in modo da porsi al riparo da rischi di ricorsi (ed eventualmente di azioni di altro genere) è un compito oneroso, sgradevole, difficile e che richiede molto tempo. Poiché, come già si è detto, la partita vera si giocherà nelle sedi locali, è facile immaginare che le commissioni, salvo casi disperati, preferiranno concedere urbi et orbi le abilitazioni.
Da ultimo, se anche dovessimo immaginare che un settore disciplinare, per serietà e amore della scienza, intendesse procedere a una selezione severa, esso rischierebbe di suicidarsi con le proprie mani. Le voci che girano dalle parti dell’ANVUR e della CRUI stimano fra i 6.000 e i 12.000 abilitati in questa tornata. Se le cifre dovessero essere queste, in un momento di crisi e con il turnover del personale strozzato fino al 2016 (per effetto del DLGS 49/2012 e del DL “spending review” ora in fase di conversione) è evidente che si formerebbe un tappo che potrebbe essere smaltito solo in diversi anni: in Italia conosciamo tutti bene il funzionamento a singhiozzo del reclutamento universitario. Infatti, è probabile che non vi saranno altre tornate di abilitazioni o che mancheranno comunque le risorse per assorbirle, sicché che il settore specialmente selettivo rischierebbe di essere colonizzato dal altri settori meno severi.
Se nel dipartimento x, dove coesistono i settori y e z, il settore z si presentasse con 10 abilitati e il settore y con 1, è evidente che merito o non merito, a essere perdente sarebbe il settore y, che lascerebbe mano libera a z nell’accaparramento delle già scarsissime risorse.
Quando questo aspetto della vicenda sarà pienamente compreso, diverrà chiaro che è interesse di tutti i settori abilitare il più possibile per garantire la propria sopravvivenza e la difesa delle proprie posizioni all’interno degli atenei.
Altro che merito, quindi, la Riforma Gelmini rischia di passare alla storia per aver congegnato uno dei meccanismi di reclutamento meno selettivi di sempre, fondato essenzialmente su basi quantitative, e per aver favorito comportamenti opportunistici che nulla hanno a che vedere con la qualità del personale da reclutare. Del resto il Ministro ne è pienamente consapevole, vista la riluttanza con la quale sono state fatte partire le abilitazioni di prima e seconda fascia e i tentativi falliti (a partire dal cosiddetto decreto per il merito) di farle saltare o comunque di introdurre un limite massimo al numero di abilitati per sessione (un’ipotesi che chi scrive condivide appieno e ha a suo tempo difeso).
Ma i comportamenti non virtuosi frutto di una cattiva regolazione non riguarderanno solo le commissioni. Infatti, i ricercatori più scrupolosi, che avrebbero magari preferito attendere un anno per candidarsi per perfezionare il loro profilo scientifico, pur essendo in possesso dei requisiti quantitativi, davanti al pericolo di essere sopravanzati da un’orda di abilitati pronta a fagocitare in poco tempo tutte le già scarse risorse disponibili saranno spinti a candidarsi essi stessi: è una straordinaria torsione, dagli sbandierati principi meritocratici al più antiquato ma sempre valido motto: chi prima arriva meglio alloggia.
Inoltre, i tempi assurdamente dilatati del bando (120 giorni) e la inedita previsione di considerare le pubblicazioni possedute alla data della domanda faranno sì che, specialmente nelle scienze umane e sociali, i ricercatori meno scrupolosi si lancino a produrre pubblicazioni à go-go, purchessia, tanto basta avere un ISSN o un ISBN e superare la mediana. Le commissioni, peraltro, dovranno valutare dal punto di vista qualitativo solo quanto sarà inviato dai candidati e non la loro intera produzione.
Certi editori (stampatori) con pochi scrupoli si staranno fregando le mani mentre scaldano presse e rotative e aspettano la fila dei clienti. Alla fine saranno loro i veri beneficiari dell’esperimento sociale caldeggiato da ANVUR. Gli abilitati infatti si troveranno per lo più in possesso di una medaglia di cartone, come ha già argomentato Andrea Zannini.
Post scriptum: dall’epoca del dibattito sulla 240 chiunque critichi le scelte del ministero e di ANVUR è accusato di essere nemico del merito e di non proporre alternative. Esistevano alternative percorribili a questo pasticcio? Certamente, ma erano fondate su due principi che da anni sia il ministero che l’ANVUR hanno scelto di non tenere in conto: trasparenza e responsabilità.
Anche nel caso più restrittivo, 6.000 abilitati. Che si vanno ad aggiungere a circa 1.000 idonei, che l’art 29 della L 240 equipara a tutti gli effetti agli abilitati.
Ma se esistono già 1.000 abilitati “a spasso”, che senso ha aggiungerne 60, o 600, o 6.000: ma i tempi non erano “difficili”? Non si poteva spendere diversamente questo denaro pubblico?
Che ragionamento è? Teniamo tutto bloccato finché non abbiamo assunto l’ultimo degli idonei (che magari ha ottenuto l’idoneità grazie a “scambi” fra sedi)? Scopo della procedura è abilitare, il reclutamento è un’altra questione. E chi ha le capacità, ha diritto almeno che ciò gli venga riconosciuto ufficialmente (al netto di tutte le imperfezioni del sistema).
Gli “scambi” sono sempre possibili, anche ora, ad esempio in termini di citazioni. Lasciamoli perdere, pensiamo ad un mondo di persone perbene.
In questo mondo, esistono persone già “abilitate” in numero superiore a quello che il sistema universitario potrà assorbire nei prossimi anni. Quintuplicare o più questo numero, mediante abilitazioni “aperte”, senza limiti numerici, a cosa può servire? Ad illudere alcune migliaia di persone che una volta abilitati entreranno nei ruoli dei professori universitari? Auguroni!
la cosa che mi colpisce della 240 e di tutto il processo riformatore è come – fra i tanti danni – sia riuscita a frantumare il mondo accademico in gruppi interessati alla sopravvivenza di categoria e poco attenti al sistema nel suo complesso: RTI contro RTD, abilitandi contro idonei e così via.
Per quanto riguarda gli scambi, va detto che gli ultimi concorsi si sono svolti con commissioni sorteggiate per i 4/5 e posso testimoniare per esperienza diretta che in molti casi sono stati per questo motivo concorsi “veri” nei quali gli equilibri preordinati sono saltati. A questo proposito vorrei ricordare che il Ministro ha in mente di reintrodurre questo sistema per i concorsi locali post abilitazione.
Si, è proprio così, tutti contro tutti, sistema indebolito nel suo complesso e quindi più facilmente “governabile”.
E’ noto a tutti, poi, che i commissari nominati dalle sedi che bandivano, per i concorsi 2008, si sono trovati, almeno inizialmente, in minoranza nelle rispettive commissioni.
Concordo pienamente con il commento di Banfi. E speriamo davvero si faccia il sorteggio per le commissioni dei concorsi locali post abilitazione (e magari si introduca anche per i concorsi locali RTD, almeno per gli evanescenti RTDb).
lo spero anche io. Se abbinata a una modifica del sistema dei punti organico, la cosa potrebbe consentire una vera mobilità fra atenei.
Banfi ci prospetta uno scenario apocalittico. L’università è morta!
La Gelmini, Profumo e ANVUR hanno le loro colpe, sono dei Maramaldo: hanno ucciso un uomo morto! La commissioni truffa degli ultimi anni avevano dato già il colpo di grazia.
“Trasparenza e responsabilità” dice Banfi, io aggiungo coerenza: si verifchino quanti degli idonei dell’ultima tornata (soprattutto i candidati locali e gli idonei che avevano il loro mentore in commssione) hanno gli indici bibliometrici proposti dall’ANVUR inferiori ad altri candidati non fatti idonei dalle commissioni.
Coerenza vorrebbe che i candidati con giudizi positivi da parte della commissione, ma che sono stati esclusi a favore di candidati (locali e pupilli) con indici inferiori, dovrebbero essere abilitati in automatico. Si risparmierebbero tempo e denaro per fare queste abilitazioni farsa.
Nemmeno con le nuove norme chi supera le soglie bibliometriche viene abilitato in automatico. Ci sono anche altri requisiti qualitativi che devono essere valutati dalla commissione (vedi D.M “Criteri e parametri” http://attiministeriali.miur.it/anno-2012/giugno/dm-07062012.aspx). L’idea che la valutazione della maturità scientifica possa essere ridotta ad un conteggio automatico riceve ben poco credito a livello internazionale quando non è addirittura considerata deleteria. Di seguito, cito un estratto di una recente presa di posizione della European Physical Society e alcuni riferimenti in essa citati.
“Although the use of such quantitative measures may be considered at first glance to introduce objectivity into assessment, the exclusive use of such indicators to measure science “quality” can cause severe bias in the assessment process when applied simplistically and without appropriate benchmarking to the research environment being considered. Funding agencies are aware of this, nevertheless experience shows that the reviewing of both individuals and projects on the national and European level is still relying excessively on the use of these numerical parameters in evaluation. This is a problem of much concern in the scientific community, and there has been extensive debate and discussion worldwide on this topic (see for instance [1]).
Since the very first applications of bibliometric indicators in this way, scientists and science organisations have taken strong positions against such purely numerical assessment. Various organisations in Europe have published studies on their potential adverse consequences on the quality of funded scientific research”
[1] http://www.nature.com/news/specials/metrics/index.html
[2] Institut de France, Académie des Sciences, Du Bon Usage de la Bibliometrie pour l’Évaluation Individuelle des Chercheurs, 17 January 2011 (http://www.academie-sciences.fr/activite/rapport/avis170111gb.pdf – english version)
[3] European Science Foundation, European Peer Review Guide, Integrating Policies and Practices for Coherent Procedures, March 2011 (http://www.esf.org/activities/mo-fora/peer-review.html)
[4] European Science Foundation, Survey Analysis Report on Peer Review Practices, March 2011 (http://www.esf.org/activities/mo-fora/peer-review.html)
[5] Peer review in scientific publications, Science and Technology Committee, House of Commons, UK, 18 July 2011 (http://www.publications.parliament.uk/pa/cm201012/cmselect/cmsctech/856/85602.htm)
[6] Peer review, A guide for researchers, Research Information Network, UK, March 2010 (http://www.rin.ac.uk/our-work/communicating-and-disseminating-research/peer-review-guide- researchers)
[7] Swedish Research Council, Quality Assessment in Peer Review, 5 November 2009 (www.cm.se/webbshop_vr/pdfer/2011_01L.pdf)
ALTRI RIFERIMENTI
R.R. Ernst (premio Nobel): “The Follies of Citation Indices and Academic Ranking Lists A Brief Commentary to ‘Bibliometrics as
Weapons of Mass Citation’ (http://www.chab.ethz.ch/personen/emeritus/rernst/publications/Ernst-Follies-Bibliometrics-Chimia-64-90-2010.pdf)
D,N, Arnold (ex presidente della Society for Industrial and Applied Mathematics), “Nefarious numbers” http://www.ams.org/notices/201103/rtx110300434p.pdf
“No sub-panel will make any use of journal impact factors, rankings, lists or the perceived standing of publishers in assessing the quality of research outputs. An underpinning principle of the REF is that all types of research and all forms of research outputs across all disciplines shall be assessed on a fair and equal basis.” FAQ dell’UK REF2014 (http://www.ref.ac.uk/faq/researchoutputsref2/)
Nessuno credo voglia abilitare la gente in automatico; nemmeno quelli dell’ANVUR. Loro propongono due livelli primo quantitativo, poi qualitativo. Nella mia provocazione sulla coerenza l’ordine era invertito. Negli utlimi concorsi di idoneità e in motli altri, molti si son sentiti dire sei maturo, ma qualcunoi è più maturo di te, soprattutto quando i loro titoli erano nettamente superiori dei candidati locali. Ora spesso “i locali” fatti idonei hanno indici nettamente inferiori ai “maturi ma non al punto giusto”. Coerenza vorrebbe che questi venissero abilitati …. vedremo. Ovviamente la mia è una provocazione.
Secondo me il numero totale degli abilitati alla fascia degli associati sarà maggiore di 15.000. Comunque si calcolino le “mediane” è un fatto che i ricercatori entrati negli ultimi anni per concorso pubblicsno e citano molto di più dei vecchi associati. Più difficili sono le previsioni per l’abilitazione alla prima fascia. Entra in gioco per medicina il numero di “primariati” possibili che è finito, e per le altre materie l’illusione da parte degli ordinari di appartenere ad un gruppo ristretto di “grandi scienziati”. Più ristretto è questo gruppo e più ci si può cullare nella propria mania di grandezza.
A proposito della corsa alle pubblicazioni in questi quattro mesi, a me pare che l’inedita previsione di considerare le pubblicazioni possedute alla data della domanda non dovrebbe significare che le pubblicazioni prodotte fino a tale data entreranno nel calcolo per il superamento la mediana, ma solo che saranno valutabili nel merito. Si profilerebbe cioè una doppia deadline: una per le pubblicazioni buone per essere giudicate e un’altra per le pubblicazioni buone per fare massa.
Il DM n. 76, infatti, dice che tutti gli indicatori per le mediane dei settori non bibliometrici (all. B, numero 3, lettere a e b) e il primo indicatore per le mediane dei settori bibliometrici (all. A, numero 2, lettera a) sono considerati solo in riferimento ai titoli “pubblicati nei dieci anni consecutivi *precedenti la data di pubblicazione del decreto* di cui all’articolo 3, comma 1, del Regolamento”, vale a dire il “decreto del competente Direttore generale del Ministero” (DPR n. 222, art. 3 comma 1) annunciato per il 27. Se è così, al calcolo delle mediane possono concorrere solo le pubblicazioni perfezionate entro venerdì prossimo (e lo stesso vale per il “particolare riferimento” riservato nella valutazione qualitativa alle pubblicazioni dei “cinque anni consecutivi precedenti la data di pubblicazione del decreto”: DM n. 76, art. 4 comma 3 e art. 5 comma 3).
Al netto di nuove sorprese nel bando (e di vecchie mistificazioni editoriali, che dichiarino pubblicate a giugno cose disponibili solo a novembre), le pubblicazioni perfezionate dopo il 27 luglio e prima del 20 novembre potranno quindi essere considerate al pari di quelle meno recenti, ma non potranno concorrere a determinare le “soglie”. Forse allora non dovrebbe esserci ragione per una frenetica produzione di “quantità” ma solo per il completamento di pubblicazioni da presentare al giudizio qualitativo. Tutto ragionevole, quindi? Forse no, perché se così è, ecco emergere un nuovo paradosso: quello di pubblicazioni recentissime, che sono destinate ad essere considerate in sede di valutazione qualitativa (magari determinando un giudizio positivo) ma non in sede di valutazione quantitativa (magari determinando un’esclusione). O mi sfugge qualcosa?
Più in generale, ho l’impressione che la distinzione tra quantità e qualità, che ha senso sul piano del giudizio, venga spinta dai nuovi criteri (se rimarranno così come sono) a materializzarsi nelle pratiche di produzione in una vera e propria distinzione di oggetti. Due tipologie con finalità differenti: pubblicazioni buone per fare massa e pubblicazioni buone per esser lette; le prime vanno poi accuratamente sottratte alla lettura (e le seconde possono essere anche sottratte al conteggio!).
A me pare che il 27 verranno fatte le mediane con i dati inseriti dai professori attualmente in ruolo di I e II fascia. I candidati alla I e alla II fascia, invece, potranno considerare i propri parametri basati sui dati ottenuti fino alla data di presentazione della domanda.
L’unico caso di “sovrapposizione” è quello di un professore di II fascia candidato a professore di I. In quel caso, i dati da lui inseriti fino al 27 luglio serviranno per i candidati alla II fascia, mentre i dati inseriti fino al 20 Novembre saranno validi per valutare se lui supera le mediane della I fascia.
No, non direi così. Secondo il DM 76, a indicare le mediane deve provvedere “entro sessanta giorni” l’Anvur, non il bando atteso per venerdì. In ogni caso “i dati inseriti dai professori attualmente in ruolo di I e II fascia” sono il cosiddetto popolamento del sito CINECA, che si è chiuso ufficialmente il 15 luglio e non ha alcun rapporto con la data di pubblicazione del bando. La data di pubblicazione del bando, invece, è indicata esplicitamente dal DM come termine a partire dal quale si contano a ritroso i dieci anni utili per il calcolo degli indicatori dei candidati, e non solo dei commissari (riferimenti nel precedente commento). Non so se, anche volendo, il bando (cioè un decreto direttoriale) può correggere le disposizioni del regolamento (cioè un decreto ministeriale, che peraltro contiene errori molto più gravi di questo).
Più in generale resta da chiedersi quale logica abbia spinto ad abborracciare compiti delicatissimi in fretta e furia ed emanare poi un bando con scadenza lunghissima, invece di prendersi il tempo per studiare meglio e poi emanare un bando con scadenze e regole normali. Ma l’articolo di Banfi mostra proprio come – per quanto è dato vedere finora – più che con un disegno unitario qui abbiamo a che fare con un’accozzaglia di motivi diversi malamente mediati tra loro.
[…] che è venuto fuori genererà probabilmente disastri. Poco fa, infatti, Antonio Banfi ha prodotto una delle sue lucide analisi sulla questione, che consiglio caldamente per chi voglia saperne di più. Qui mi limito a riassumere un paio di […]