La condizione che caratterizza oggi le politiche del governo e gli atteggiamenti delle istituzioni universitarie si potrebbe rappresentare come un’oscillazione tra bulimia di provvedimenti inutili o addirittura controproducenti, che stanno appesantendo l’università con una burocrazia fuori controllo (vedi AVA), e anoressia, cioè esile e fragile complesso di azioni veramente utili. E i rimedi proposti sono addirittura peggiori rispetto ai mali. Il presidente del CUN, Andrea Lenzi, ha dichiarato: “Basta con i concorsi per docenti: valutiamo piuttosto i risultati degli atenei” e su una valutazione ex post  si esprime favorevolmente anche il ministro Giannini. La modesta proposta che mi sento di avanzare è quella di tornare a concorsi pubblici, fondati su procedure comparative, su commissari eletti dalla comunità scientifica e, solo in secondo momento, sorteggiati dal Ministero.

I professori universitari e, più in generale, la vita dei nostri atenei non godono certo di un occhio di riguardo da parte dell’informazione. L’opinione pubblica è quotidianamente sollecitata da cronache di concorsi truccati, di parentopoli e familismo amorale, di abituale assenteismo. Ci vuole una buona dose di ottimismo della volontà per immaginare che i docenti non siano tutti come li dipingono giornali, radiotelevisione e altri mezzi di comunicazione.

E la politica fa assai poco per fermare questa vera e propria deriva di una rappresentazione catastrofica del nostro sistema universitario. Anzi dire “fa assai poco” è impreciso. Più rispondente alla realtà è piuttosto osservare la condizione che caratterizza oggi sia gli orientamenti e le politiche del governo sia gli atteggiamenti delle istituzioni rappresentative universitarie, CRUI (Conferenza dei Rettori) e CUN (Consiglio Universitario Nazionale) in particolare. Si potrebbe rappresentare quella condizione come un’oscillazione tra bulimia di provvedimenti inutili o addirittura controproducenti, che stanno appesantendo l’università con una burocrazia fuori controllo, e anoressia, cioè esile e fragile complesso di azioni veramente utili.

Il Ministero dell’Istruzione e dell’Università ha creato un’agenzia di valutazione, l’ANVUR, che doveva svolgere solo funzioni di servizio e di consulenza nel segno della terzietà e ha finito invece per costituire una specie di Corte d’Assise della valutazione di docenti e strutture, sostituendosi di fatto agli organismi istituzionali. Oggi la valutazione è diventata una sbornia di acronimi. Eccone alcuni esempi: AVA (Autovalutazione, Valutazione Periodica, Accreditamento), AQ (Assicurazione di Qualità), SUA (Scheda Unica Annuale), AP (Accreditamento Periodico), CEV (Commissioni di Esperti per la Valutazione), TECO (Test sulle Competenze effettive di carattere generalista dei laureandi italiani).

Ma la valutazione è anche sinonimo di burocrazia fuori controllo. Il 24 aprile scorso l’Anvur ha fatto conoscere le “Linee guida per l’accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio”. Scorrendole, si è colpiti dall’ovvietà e dalla banalità che le caratterizza. Anche in questo caso il pendolo oscilla fra bulimia e anoressia. La prima appare in piena evidenza quando si sprecano parole per valutare il mezzo: documenti prodotti dalle istituzioni universitarie, aule, programmi, corpo docente. L’anoressia si manifesta nell’assenza di qualsiasi riferimento ai fini veri del sistema universitario: la formazione dei laureati, il rapporto tra ricerca e didattica, tra la qualificazione e gli sbocchi professionali. Insomma, tra bulimia e anoressia l’Anvur ha messo in piedi un organismo di valutazione autoreferenziale, che non serve a nulla.

Dopo la prima tornata dell’ASN (un altro acronimo, sta per Abilitazione Scientifica Nazionale), che pure ha suscitato tanto clamore nei media per le distorsioni e le tante contraddizioni dei risultati, oggetto di circa mille ricorsi al TAR, Ministero e CUN corrono ai ripari. Ma, tanto per non cambiare, i rimedi che propongono sono addirittura peggiori rispetto ai disastri provocati dall’ASN. Il presidente del CUN, Andrea Lenzi, ha dichiarato nei giorni scorsi: “Basta con i concorsi per docenti: valutiamo piuttosto i risultati degli atenei”. Su una valutazione ex post dell’operato dei docenti reclutati si esprime favorevolmente anche il ministro Giannini. Insomma la logica è: poiché in Italia i concorsi a volte non funzionano bene, aboliamoli. E’ stato osservato che si tratta di una posizione analoga a chi dice: poiché qualcuno copia agli esami, eliminiamoli. In un articolo pubblicato dalla redazione di ROARS (www.roars.it/online) dal titolo “L’abolizione dei concorsi universitari: un dono avvelenato?”, sono mossi rilievi critici condivisibili a tale impostazione: in particolare è sottolineato il rischio che la valutazione ex post, affidata a indicatori quantitativi elaborati dall’ANVUR, possa peggiorare il livello della docenza italiana.

La modesta proposta che mi sento di avanzare è quella di tornare a concorsi pubblici, fondati su procedure comparative, su commissari eletti dalla comunità scientifica e, solo in secondo momento, sorteggiati dal Ministero. E, per favore, aboliamo il componente straniero, che spesso non conosce nemmeno la lingua italiana e non sa quindi leggere le pubblicazioni di coloro che dovrebbe valutare: un segno di provincialismo, ancor più grave se si considera il fatto che per alcuni settori scientifico-disciplinari ha avanzato la sua candidatura un solo docente straniero. Insomma l’abilitazione scientifica nazionale italiana, nella sua prima – e si spera penultima tornata (quella del 2013 è in corso) – è stata snobbata dai docenti universitari di altri paesi.

Naturalmente le brevi riflessioni su esposte sono solo spunti tratti dalla cronaca. A chi volesse saperne di più e inquadrare l’attualità nella storia recente, consiglio il bel libro di Paolo Prodi, “Università dentro e fuori” (Bologna, Il Mulino 2013). Si tratta, posso assicurarvelo, di una lettura assai istruttiva.

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25 Commenti

  1. assolutamente daccordo. la soluzione è semplice,
    inoltre con la trasparenza che internet ha già garantito con la ASN tutti gli atti possono essere on line.
    la valutazione comparativa non impedisce bocciature vincolanti per 2 anni, non dà idoneità che scadono, premia i migliori, MA non penalizza i secondi che possono partecipare ad altri concorsi.

  2. L’abilitazione doveva servire, in Italia, a verificare il “minimo” di requisiti scientifici per accedere al ruolo docente, svincolandosi da criteri e nomine locali, attraverso i famosi parametri e il sorteggio.
    Non era quindi nata come un concorso, ma per l’acquisizione di un titolo abilitante a far parte di un listone dal quale le università avrebbero potuto attingere candidati, ma soltanto in un secondo momento.
    Quindi:
    – intanto il “progetto” è nato male, diciamo così, perché si è basato sulla malafede che tutti i concorsi locali fossero pilotati e marci, non soltanto una parte di essi: in fin dei conti ad esempio l’abilitazione tedesca è un processo locale e non nazionale e la successiva chiamata è diretta da parte delle facoltà;
    – l’intento era quello di dare un titolo e invece l’abilitazione è diventata un concorsone nazionale, del tutto simile a quelli “vecchi” locali con la differenza che: 1) i commissari sono sorteggiati (le commissioni a livello locale erano già formate da membri non solo interni); 2) si sono introdotte false soglie minime che hanno fornito strumenti per fare il bello e il cattivo tempo anche peggio di prima, in certi casi.
    Morale? Per non fare un concorso locale “marcio”, se n’è fatto uno a livello nazionale spesso non migliore al quale se n’è aggiunto in pratica un secondo locale, dalle regole non sempre chiare (per quanto riguarda nomine di commissari e criteri) che poi dura solo 6 anni perché dopo 6 anni dal 2010 sarebbe proprio previsto un concorso a tutti gli effetti, con lo stanziamento di tutti i punti organico ogni volta.
    In sostanza, con questo sistema per diventare docente bisogna fare non uno, ma due concorsi.
    Nei fatti, una cosa complessivamente folle e perversa.
    Vediamo quale sarà la riforma dell’ASN, ma se con essa non sarà possibile fare un filtro sensato (e la vedo dura), mi chiedo che senso abbia, appunto, non ripristinare i semplici concorsi pubblici, promuovendo l’etica in altri modi.
    Credo comunque che l’istituzione permanente della chiamata diretta susseguente all’ASN voglia rendere a tutti gli effetti l’ASN un concorsone nazionale ed eliminare il fatto di volerne fare due.

  3. Ultime notizie, dal CUN: il MIUR, nella persona del capo dipartimento, ha dichiararo che la ministra presenterà entro la fine di luglio, in accordo con la presidenza del consiglio, un decreto sia sulla scuola sia sull’università, nel quale si modificherà l’art.16 della legge 240/2010 per rendere possibili la revisione delle procedure previste nel DPR 222/2011 e nel DM 76/2011 (che sono i decreti attuativi coi regolamenti). Il MIUR vuole lavorare serratamente per rendere possibile l’avvio della prossima tornata entro il 2014.

  4. Sono molto d’accordo…. a patto che i “concorsi” siano locali e che a nessuno venga in mente di proporre alcunché di “nazionale”. Dimenticavo. Ad essere “locale” deve essere anche la “procedura” concorsuale.

  5. Quando venne data per la prima volta indicazione riguardo l’uso delle mediane come strumento per una preliminare valutazione dell’attività scientifica restai sorpreso, ma favorevole: una misura che permettesse sulla base di indicazioni oggettive, seppur grossolane, di prender visione delle attività scientifiche dei candidati.
    Certo, poi l’analisi critica del metodo, le indicazioni internazionali hanno evidenziato i limiti ed i rischi di questa procedura e cosa grave è risultato evidente quanto ampia sia stata la forbice relativamente la discrezionalità adottata dalle varie Commissioni di ASN, resa possibile da una improvvida nota del Ministro Profumo.Capisco anche che per le scienze umanistiche e più in generale per le scienze cosiddette non bibliometriche sia stato un vulnus grave.Ma tornare al concorso nazionale con idonei no per cortesia! Certo molte Commissioni nazionali hanno lavorato correttamente, ma quante altre sono state, diciamo eufemisticamente, influenzate da pressioni interne od esterne alla commissione ed al settore scientifico disciplinare che hanno portato ad una selezione scorretta dei vincitori? Tanti, tanti, questo va assolutamente ricordato; non possiamo dimenticarci di quante volte il merito non sia stato riconosciuto come avrebbe dovuto, di quante volte gli asini siano passati davanti ai purosangue!
    Il sistema di reclutamento attuale è, se possibile, peggiore di quelli che l’hanno preceduto.
    Come è già stato affermato nel blog il concorso vero, al di là di quelle commissioni ASN che hanno nei fatti già fatto il concorso finale, sarà locale e su chiamate del Dipartimento che, comprensibilmente, sarà portato a considerare con maggiore attenzione i candidati interni, che spesso,risulteranno i migliori.
    Sono favorevole a considerare procedure di reclutamento che diano maggiore libertà e flessibilità agli Atenei, ma che, nel contempo, siano basati su norme che responsabilizzino “economicamente” chi faccia chiamate, che si rivelassero, ovviamente “ex post”, sbagliate e quanto dico responsabilizzati economicamente non penso all’Ateneo nel suo insieme ma al Dipartimento che abbia chiamato, e che naturalmente ha, di norma, la responsabilità maggiore nella composizione della commissione.

  6. Davvero sconcertante l’analisi e la proposta regressiva e conservativa dell’autore dell’articolo. Ma secondo voi perché la Gelmini inseri’ il membro straniero e volle il sorteggio, oltre a non affossare l’ASN pensata da Mussi? Se fossi ministro ne metterei tre su cinque stranieri, altro che abolire il membro straniero. Se poi si è verificato qualche caso in cui il membro straniero non conosceva la lingua italiana, beh… si può ovviare alla cosa imponendogli di firmare una dichiarazione che attesti la conoscenza della lingua italiana.

    • “si può ovviare alla cosa imponendogli di firmare una dichiarazione che attesti la conoscenza della lingua italiana”
      E se poi non la sa e ha dichiarato cosa non vera, cosa facciamo, lo processiamo?
      Abbiamo avuto decine di dimissioni di commissari “ocse”. Decine di commissari “ocse” che erano italiani expats. E per carità, anche tanti ottimi commissari stranieri. Però francamente, possiamo anche fare da soli. L’etica pubblica non si conquista con i commissari stranieri, a mio avviso.

  7. Invece di porvi il problema se il membro straniero conosca o no l’italiano, perchè non fate una battaglia affinchè almeno le 12 pubblicazioni sottoposte alla commissione non siano italiano-inglese? Dobbiamo andare avanti o è più comodo regredire per conservare piccoli interessi di bottega?

    • spero che il mio pensiero sia chiaro: almeno le 12 pubblicazioni dovrebbero essere bilingue.

    • No, non è chiaro. Neppure la grammatica lo è. Si intende con il testo a fronte? Con traduzione giurata? I francesisti dovranno scrivere in inglese? Anche i germanisti? Mah. Sembra poi di capire che la questione valga solo per gli aspiranti associati (12 pubblicazioni) e non per gli altri.

    • Non capisco. Stiamo dicendo che tutte le pubblicazioni sottoposte alla commissione dovrebbero essere scritte un una lingua diversa dell’italiano? Quale?

    • “12 pubblicazioni da sottoporre alla commissione”?

      Alla commissione va il CV (in formato rigorosamente NON Europass) e lo “Statement of Research” (in Italiano o Inglese).

      Fine.

      A presto

      Marco Antoniotti

    • Anche le pubblicazioni di chi studia letteratura francese? O tedesca? O storia del Sud America?

  8. Davvero si può pensare che il sorteggio e lo straniero abbiano fatto la differenza in meglio rispetto a prima?
    Il sorteggio ha generato commissioni senza a volte un solo componente di un SSD del settore e con il potere di decidere non per una sede ma per tutte.
    Lo straniero intanto era uno e quindi la maggior parte delle volte ha contato quanto il due di picche. E in tanti casi mi viene da dire per fortuna.
    Nell’applicativo del sito docente per far domanda ASN non era richiesto neanche di produrre la doppia versione del CV in italiano e inglese: si doveva considerare scontato?
    Poi io sarei curiosa di sapere come e se è stata spiegata la questione del SSD. “You know in Italy we have the scientific-disciplinary sectors” “The what?” “Yes, we can’t write interdisciplinary research papers for example, it’s forbidden” “You’re kidding me” “No, now I translate the declaration for you, which is the Bible, the rest is heretic so discard it”. E’ andata cosi?
    Io so che da me lo straniero ha guardato i numeri e ha visto se erano sopra. Gli hanno evitato anche il tour del loginmiur per vedere il folklore locale.

  9. 10 punti in merito ai membri OCSE:
    n 1: chi li ha scelti? misteriosa procedura di cooptazione
    n. 2: alcuni erano italiani ma in servizio presso atenei all’estero
    n. 3: alcuni del punto 2 erano sia commissari stranieri sorteggiabili sia candidati alle abilitazioni nello stesso settore per il quale si erano candidati come commissari
    n. 4: mica i commissari OCSE vengono da Marte… anche per loro è stata importante la rete di relazioni in Italia (i prof. italiani hanno molte più relazioni internazionali di quanto si pensi)
    n. 5: mica le pubblicazioni in lingua straniera sono per definizione più internazionali… un articolo in francese o in spagnolo è internazionale per definizione?
    n. 6: quante mediane superano i commissari OCSE? posto che le mediane abbiano significato… e come si calcolano per loro i “periodi di congedo” che in Italia hanno consentito normalizzazioni e risultati record anche con una sola pubblicazione?
    n. 7: i prof. Ocse in servizio presso centri di formazione superiore privati di tipo non universitario perchè “valgono di più” di prof. ordinari italiani che hanno superato un concorso e lavorano da anni in un ateneo pubblico?
    n. 8: perchè gli OCSE sono pagati e gli italiani no?
    n. 9: pensare che all’estero è tutto diverso e serio significa non sapere che anche all’estero ci sono “maestri” e “allievi”, solo che i maestri fanno assumere gli allievi direttamente e in alcuni casi rispondono dei loro risultati
    n. 10: un aspirante prof. ordinario italiano bocciato ai concorsi pre legge gelmini, va all’estero e ottiene senza concorso un posto di prof. equiparabile alla prima fascia (anche se magari a tempo), ritorna come commissario OCSE e …

    penso che il problema “conoscenza della lingua italiana” sia forse addirittura marginale

    • N.6 i valori dei commissari non sono normalizzati, quindi almeno questo dubbio può eliminarlo dalla lista.

    • Oh, perbacco… questo post mi lascia un po’ sorpreso… Mi pare una cieca crociata contro i commissari Ocse. A quanto ne so:

      No. 1: si sono semplicemente autocandidati… E’ ovvio pero’ che:
      1a – qualcuno gli ha segnalato l’opportunita’ gli ha suggerito di farlo
      1b – nessuno ha valutato la competenza effettiva di questi “autocandidati”

      No. 2: so what ?

      No. 3: Questo era da evitare (se vero — non ho verificato), ma questo la dice lunga sulla latitanza dei controlli nei loro riguardi

      No. 4: Confermo (per mia parte), ma non ci vedo certo alcunche’ di deteriore…

      No. 5: Qui la cosa va declinata sui settori/aree di ricerca. Si e’ voluto uniformare, ma in questo si e’ fatto un danno ai settori umanistici (molti dei quali non internazionalizzati per ragioni del tutto inerenti alla loro ricerca).

      No. 6: Vedi 1b di sopra.

      No. 7: Questa non mi e’ chiara.

      No. 8: Ohibo, perche’ senno’ non si candidavano.

      No. 9: La mia interpretazione e’ che la presenza dei commissari Ocse sia in parte dovuta ad una certa “diffidenza” del legislatore verso gli universitari italiani, ma in larga parte alla volonta’ di internazionalizzare i processi di reclutamento spingendo l’accademia italiana verso i famosi criteri e buone pratiche internazionali che evitino autoreferenzialita’ e localismi. Purtroppo il risultato di questo primo esperimento ASN e’ stato in generale piuttosto scadente:
      9a – sia perche’ i commissari stranieri valevano come il due di briscola (il piu’ delle volte bisognava loro spiegare il senso delle cose);
      9b – sia perche’ in alcuni settori l’uso della lingua italiana era comunque necessaria;
      9c – sia perche’ nessuno ha valutato a fondo il loro cv (di nuovo punto 1b di sopra).

      No. 10: ??

      In sintesi, la mia opinione e’ che i commissari stranieri non vadano aboliti, io sono favorevole ad una progressiva internazionalizzazione dei meccanismi di reclutamento, ma solo nei settori/ambiti di ricerca in cui cio’ ha effettivamente senso.

    • @eec, chiarisco forse meglio.
      la mia conclusione è che i commissari OCSE non sono imparziali per definizione, e non possono di per sè essere per portatori di “buone pratiche internazionali” in quanto: “qualcuno” li ha convinti a partecipare, non sono stati valutati, spesso sono animati da voglia di rivincita o appartengono a cordate italiane, spesso ambiscono a posti da ordinario in Italia in quanto sono “emigranti” con contratti a termine, spesso hanno i loro allievi o gli allievi di “amici” tra i candidati.
      Inoltre, le buone pratiche internazionali cambiamo da paese a paese e spesso, all’estero, anche da ateneo ad ateneo (provati e pubblici, ad esempio, business school o università, ecc. ecc.).
      Inoltre, spesso quanto i commissari OCSE sono veramente stranieri poco capiscono di procedure amministrative e sono scioccati dal sapere che qualcuno può fare ricorso al TAR.
      Dare loro il ruolo di censori o vestali è ingenuo, demagogico, pericoloso.

  10. Questa storia dell’inglese è la solita dittatura dell’inchino al potente. Ricordo il diritto inalienabile dell’essere umano ad esprimersi nella propria lingua madre, oltretutto accademica, illustrissima e letta in tutta Europa, almeno a livello universitario. La tragedia è stata che nel mio settore il commissario OCSE non capiva il 90% delle tematiche trattate, essendo incompetente in quasi tutte le lingue antiche e moderne su cui doveva giudicare. Su questa base ha espresso pareri positivi o negativi con il copia e incolla.
    Anche questo è un modo di umiliare la classe docente.

  11. Sono d’accordo con i commenti che avete fatto. Poi io parlo di più dei settori bibliometrici, specie del mio, perché naturalmente parlo con più cognizione di causa.
    Nel mio settore ha senso, anzi è molto importante, confrontarsi con colleghi stranieri e lo facciamo di continuo. Però il contesto chiaramente conta e per usare lo straniero nel contesto italiano non basta prelevarlo dal contesto internazionale e metterlo in commissione.
    Questo è fumo negli occhi per i non addetti ai lavori e invece spesso un guaio per gli addetti ai lavori.
    I punti critici sollevati sopra non erano fuori dal mondo ma facilmente prevedibili in sede di elaborazione dell’ASN, eppure questo non è stato fatto o è stato fatto male.
    Se parliamo di valutazione della qualità, allora, quest’azione è scarsa, perché non corrisponde ad alcuna buona procedura elaborata con cura.

  12. non arrovelliamoci più di tanto, la richiesta di pubblicazioni, almeno le dodici, in italiano e pure in inglese avrebbe risolto molti problemi e non dare il destro a chi pensa che ogni argomento è buono per affossare l’ASN. se poi esistono settori specifici in cui la conoscenza dell’italiano è imprescindibile allora si potrebbe chiedere una semplice dichiarazione al commissario di conoscenza della lingua italiana. Questo basta.

    • L’idea di inserire il membro OCSE nelle Commissioni, già demagogica e inutile nelle premesse, nei fatti si è rivelata pure dannosa.

      Direi che la cosa migliore sia accantonarla del tutto.

      I giuristi italiani saranno allora giudicati da giuristi italiani, che del nostro Paese, oltre alla lingua, conoscono bene anche il diritto.

  13. Ma non è stato fatto.
    Ci sono critiche circostanziate in una risoluzione della Commissione Cultura alla Camera, in tanti post e commenti, ma soprattutto nelle storie di tanti che si sono visti calpestati nei propri diritti e non rispettati nel proprio lavoro.
    Intanto che si prolunga l’agonia della “vecchia” ASN con la tornata 2013 e coi tanti ricorsi in atto, ci auguriamo che la nuova sia migliore.

  14. @eec che me l’avevi chiesto e per chi è interessato: riporto qui di seguito il documento della conferenza dei presidi di ingegneria sulla riforma dell’ASN:

    “Alla luce dell’esperienza della prima tornata dell’Abilitazione Scientifica Nazionale ed in considerazione dell’annunciata volontà, da parte del Ministro, di modificare l’attuale sistema, la Conferenza per l’Ingegneria ha ragionato sui risultati finora ottenuti, sulle difficoltà che si sono presentate e sugli effetti che si stanno manifestando.
    In questo documento sono raccolte le considerazioni ed i possibili interventi migliorativi dell’ASN che sono emersi nella recente Assemblea di giugno della Conferenza.
    Prima di ogni altra considerazione, la CopI intende esprimere la propria profonda convinzione sull’efficacia di un processo di valutazione, basato su criteri oggettivi e trasparenti, per lo sviluppo scientifico delle università italiane.
    Tuttavia, come accade per qualsiasi sistema innovativo, che per la prima volta sia messo alla prova sul campo, appaiono necessari interventi correttivi sulle procedure dell’ASN, per risolvere alcune difficoltà ed incongruenze che si sono manifestate in questa prima tornata ed, al tempo stesso, per rendere giuridicamente più robusto il sistema.
    Questi i temi sui cui la CopI ha ragionato.
    Procedure di valutazione “a sportello”
    È opinione della CopI, peraltro diffusamente condivisa da molte componenti del mondo accademico, che sia preferibile una procedura di abilitazione basata sul cosiddetto sistema “a sportello” rispetto al sistema dei bandi ricorrenti, le cui scadenze quasi mai sono rispettose delle programmazioni.
    L’esperienza ha insegnato che la mancanza di regolarità nel tempo dei concorsi ha causato inevitabili ingiustizie di trattamento nello sviluppo delle carriere degli universitari e, al tempo stesso, ha creato notevoli difficoltà di programmazione per gli atenei.
    La CopI ritiene che sia vantaggioso organizzare il processo di valutazione in un flusso continuo, mantenendo stabile la commissione per un periodo di due-tre anni e lasciando ai candidati la possibilità di sottoporsi alla valutazione quando ritengano di aver raggiunto i requisiti richiesti.
    Ci sarebbe una maggiore regolarità nel ritmo di lavoro delle commissioni, che eviterebbero livelli insostenibili di impegno connessi alla concentrazione delle domande in un tempo ristretto. Inoltre, i candidati avrebbero maggiori possibilità di accedere alla valutazione con il giusto curriculum, rendendo, anche da questo punto di vista, più agevole il compito alla commissione, a tutto vantaggio della qualità del delicato e complesso lavoro di valutazione.
    Il sistema “a sportello”, dunque, a giudizio della CopI, appare come la soluzione adatta per mantenere alto il livello qualitativo degli abilitati, consentire alle commissioni di operare nelle migliori condizioni possibili, agevolare i candidati nella gestione della propria carriera e favorire la programmazione del personale negli atenei. Il sistema a sportello avrebbe anche il pregio di promuovere una maggiore uniformità nei criteri di valutazione tra i diversi settori concorsuali, in relazione alle percentuali di idonei, e di risultare più coerente alla logica dell’abilitazione nazionale quale condizione necessaria, ma ovviamente non sufficiente, per la progressione di carriera.
    Formazione delle commissioni
    Quali che siano le procedure o le regole o gli indicatori, è sul buon lavoro delle commissioni che il sistema si fonda. La CopI ritiene che i commissari, oltre alla competenza scientifica, garantita dal possesso dei requisiti minimi, debbano anche conoscere profondamente il contesto scientifico nel quale i candidati hanno svolto e svolgeranno in futuro la propria attività di ricerca.
    Per questo è importante che i commissari, la cui totale autonomia ovviamente non è in discussione, siano in sintonia con la comunità scientifica del settore concorsuale e, anzi, che ne siano, in qualche modo, l’espressione.
    La CopI ritiene, quindi, che sia opportuno introdurre nella procedura di selezione dei commissari un passaggio che consenta alla comunità scientifica di esprimere il proprio gradimento sui possibili commissari, tramite un meccanismo elettivo. In particolare, il passaggio elettivo potrebbe essere inserito a valle della selezione dei candidati commissari operata dall’ANVUR, per creare una rosa di docenti sorteggiabili.
    Ciò non deve assolutamente essere inteso come un ritorno a vecchi schemi, ma come un elemento importante di armonizzazione tra commissione e comunità scientifica, perfettamente integrato nello spirito del moderno sistema di selezione dei commissari.
    Commissario straniero
    L’idea che la presenza di uno straniero potesse rendere più equo, meritocratico e trasparente il giudizio della commissione si è dimostrata molto lontana dalla realtà; e ciò sia perché il nostro sistema, basato sui settori concorsuali, è spesso molto diverso dalla situazione esistente in molti paesi esteri, al punto che si è dimostrato difficile, e talvolta impossibile, trovare studiosi che si inquadrassero in modo accettabile nei nostri ambiti disciplinari; sia perché gli stranieri, a meno che non siano docenti italiani stabilitisi all’estero da non troppo tempo, fanno molta fatica a comprendere un sistema organizzativo complesso come quello delle università italiane.
    Ne deriva, generalmente, una sorta di estraniamento del commissario estero che, spesso disorientato anche dalla enorme mole di lavoro da svolgere in poco tempo, finisce per adattarsi passivamente all’iniziativa dei colleghi italiani, vanificando quella funzione di controllo e di equilibrio che il legislatore si attendeva.
    A questo deve aggiungersi il costo, non certo trascurabile, che la presenza degli stranieri comporta; costi che, per quanto si è detto, non appaiono giustificati.
    Importanza del settore concorsuale
    La sintonia tra commissione e comunità scientifica, di cui si diceva poc’anzi, può avere almeno due aspetti positivi: favorire un approccio omogeneo alla valutazione tra commissioni successive, in modo che nel tempo sia minima, o addirittura nulla, la disparità di trattamento tra candidati valutati in tempi diversi; avere un riferimento chiaro, ben riconoscibile, stabile nel tempo e, soprattutto, largamente condiviso dalla comunità scientifica, sul quale i più giovani possano orientare la propria produzione scientifica.
    Non si deve dunque trascurare il ruolo che le moderne comunità di studiosi che appartengono al medesimo settore scientifico possono avere nelle procedure di valutazione.
    La presenza nelle commissioni di studiosi con formazione scientifica non sufficientemente omogenea, che provengano da esperienze troppo diverse, per l’approccio scientifico, per le modalità di ricerca, per la sensibilità alle tematiche del settore nel quale i candidati hanno svolto la propria attività di ricerca, rende difficile, incostante ed inaffidabile la valutazione, finendo per creare disparità anche forti di trattamento tra candidati.
    La CopI ritiene, pertanto, che le procedure concorsuali debbano continuare ad essere riferite agli odierni settori concorsuali, che appaiono adeguatamente omogenei, per i temi trattati, per l’approccio all’attività di ricerca e per le modalità di pubblicizzazione dei risultati della ricerca.
    Settori bibliometrici e non bibliometrici
    La CopI ritiene che si debba fare una separazione netta tra i settori bibliometrici e quelli non bibliometrici.
    Per i primi, gli indicatori attualmente in uso sembrano aver funzionato abbastanza bene e la logica che ne è alla base è condivisibile, anche se hanno la necessità di essere meglio tarati per quel che riguarda le banche dati di riferimento. Una riflessione appare inoltre opportuna in merito alla numerosità degli Autori delle pubblicazioni, dal momento che il sistema attuale sfavorisce i gruppi di ricerca più ristretti. E’ importante inoltre far rilevare che il numero medio di autori di una pubblicazione varia in modo significativo tra i diversi settori, creando situazioni di incertezza nelle comunità scientifiche che operano al confine tra settori diversi.
    Per i settori non bibliometrici la situazione è invece molto diversa, per l’assenza di parametri oggettivi di valutazione, internazionalmente riconosciuti, che può lasciare spazio a valutazioni troppo soggettive e, soprattutto, molto variabili tra diversi commissari.
    La soluzione potrebbe essere il cambiamento del tipo di indicatori, per adattarli ad esigenze diverse, utilizzandoli però nello stesso modo dei settori bibliometrici.
    La comunità scientifica in questi casi può svolgere una importante funzione di riferimento, indicando sia le categorie di prodotti scientificamente rilevanti, sia eventuali più opportuni indicatori, sia il metro di valutazione. Ciò consentirebbe ai commissari di agire in modo analogo a quanto accade nei settori bibliometrici, individuando, al pari di questi, soglie di riferimento oggettive della produzione scientifica.
    Ruolo delle commissioni ed effetti della valutazione
    Qualunque siano gli indicatori, il ruolo delle commissioni non dovrebbe mai essere di tipo notarile.
    Questo concetto, che è stato espresso in alcune circolari ministeriali, deve essere riaffermato con forza.
    Il raggiungimento delle mediane deve essere inteso come un mero requisito minimo, un elemento di confronto, da considerare sicuramente, che deve però essere integrato da valutazioni ben più complesse ed articolate, che tengano conto dell’intero curriculum vitae del candidato, che soltanto una commissione di esperti ben integrati nel settore scientifico di riferimento può fare.
    È apparso evidente da questa prima esperienza dell’ASN, che i criteri di valutazione stiano influenzando le modalità di produzione scientifica dei più giovani. Questa influenza può essere molto positiva, quando spinge a pubblicare lavori di qualità su riviste di ottimo livello, con ampia diffusione internazionale.
    Ma può essere anche negativa, quando induce alla moltiplicazione artificiosa degli articoli, con minime variazioni sul tema, quando provoca l’aumento vertiginoso del numero degli autori, in un gioco di squadra che nulla ha a che fare con la collaborazione scientifica, quando rende fruttuoso giocare con la propria età accademica, quando rende utili tecniche di incrocio forzato delle citazioni, quando è motivo per disertare i congressi scientifici, anche internazionali, quando induce ad evitare le riviste tecniche, che in molti casi sono l’unico elemento di connessione con quella sana pratica professionale che un buon ingegnere, per quanto universitario, non dovrebbe mai trascurare di conoscere.
    Le commissioni possono evitare questa deriva pericolosa ed esercitare una sana opera di orientamento sui più giovani, assicurando i candidati che la qualità scientifica sarà sempre ben valutata, in qualsiasi forma essa si presenti, dal brevetto veramente innovativo, al progetto che faccia avanzare lo stato dell’arte, dalla partecipazione ad importanti congressi internazionali, all’articolo tecnico di qualità. Del resto anche la logica adottata dall’ANVUR nella VQR, per quanto perfettibile e non direttamente applicabile ai singoli candidati, si muove in questa direzione, ammettendo la diversificazione della produzione scientifica con l’unica bussola della qualità ed evitando la duplicazione della valutazione per articoli a più autori.
    Con le considerazioni che precedono la Conferenza per l’Ingegneria ritiene di aver fornito un contributo utile e costruttivo alla revisione del sistema dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, volto all’ottimizzazione del sistema medesimo. La conferenza intende esprimere, in conclusione, la propria contrarietà alla sospensione della prossima tornata dell’Abilitazione, ritenendo, in ogni caso, che il significativo numero di docenti e ricercatori già abilitati non possa costituire motivo per il rallentamento del meccanismo delle Abilitazioni. Al contrario sollecita una pronta revisione delle regole, possibilmente nella direzione prima esposta che permetta di rispondere alle aspettative di tanti giovani di sicuro valore.

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