Andrea Graziosi, Presidente del GEV 11, risponde alla lettera dei tre direttori di riviste storiche Orazio Cancila, Eugenio Di Rienzo e Giuliano Pinto
Rispondo con piacere al pezzo (Sulle classifiche delle riviste di storia) in cui tre Direttori di rivista pongono quesiti che mi danno modo di chiarire questioni importanti. Prima di cominciare ricordo a tutti che vi sono a questo punto nelle scienze umane e sociali tre liste:
- Di riviste A e B per la VQR, costruite tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012;
- Di riviste A per la valutazione, costruite nell’estate 2012 tenendo anche, ma non solo, conto delle 1. e coinvolgendo persone e organi diversi. Il loro diverso fine spiega la loro parziale diversità e perché per esempio l’interdisciplinarietà (amplissima nelle 1) vi abbia meno spazio –qui si tratta di aiutare a individuare chi può insegnare una determinata disciplina e quindi lo specialismo ha naturalmente maggior peso;
- Di riviste scientifiche e non scientifiche, costruita sempre nell’estate 2012 sottoponendo a un doppio vaglio quanto presente nelle liste Cineca per SSD, in base a quanto immessovi dai docenti e ricercatori italiani.
Vorrei richiamare l’attenzione sui punti seguenti:
- Quanto scritto dai tre Direttori conferma quel che l’Anvur, e il GEV 11 che presiedo, hanno sempre detto in tutti i documenti ufficiali via via pubblicati: la selezione delle riviste NON è stata fatta applicando a posteriori e meccanicamente criteri formali (sono stato tra i primi a sostenere che sarebbe stato sbagliato), ma cercando di appurare con un metodo che credo solido la reputazione delle riviste nelle comunità scientifiche di riferimento, una reputazione costruita nel tempo.
Per quel che riguarda le liste 1 (VQR) tale metodo, illustrato nei documenti disponibili sul sito Anvur, era basato su diversi stadi:
- Richiesta alle Società scientifiche di Settore di quelle che consideravano le riviste migliori, in due fasce (A e B);
- Esame degli elenchi proposti dalle Società da parte di referee indipendenti;
- Discussione con le Società delle modifiche proposte dai referee;
- Esame, eventuale modifica e approvazione delle liste così create da parte del GEV;
- Loro approvazione finale da parte del Direttivo Anvur e loro pubblicazione.
- Queste liste per la VQR sono state poi pubblicate e sulla base delle osservazioni ricevute abbiamo aperto una finestra per eventuali richieste di revisione. Due delle tre riviste i cui Direttori hanno scritto a Roars hanno presentato domanda di revisione. Il processo di revisione, basato su un doppio lavoro (commissione GEV e referee esterni) si è appena concluso, nei tempi stabiliti, e il 25/9 consegnerò all’Anvur i suoi risultati, che dovrebbero quindi essere presto noti (immagino—ma la scelta finale spetta all’Anvur di cui sono solo un consulente—che saranno pubblicati sul sito i verbali della commissione GEV, e che saranno inviati ai Direttori anche i rapporti anonimi sulle riviste da loro dirette).
- Le liste 2. (Riviste A per le abilitazioni) sono state invece costruite chiedendo di nuovo il parere alle Società e sottoponendolo al vaglio di un Gruppo di Lavoro che ha anche tenuto conto delle liste 1. della VQR. Sui risultati del suo lavoro è stato poi chiesto un parere al GEV. Anche qui, quindi, nessuna applicazione meccanica a posteriori di criteri formali, ma ricerca della reputazione delle riviste.
- Le liste 3. (Riviste scientifiche-non scientifiche) sono state costruite con la stessa procedura esposta in C. (ma senza chiedere il parere del GEV) in base a quanto presente nelle liste Cineca e Ugov per SSD. Ciò spiega la lamentata assenza di questa o quella rivista, che manca sia nelle liste 2. che 3. semplicemente perché nessun docente italiano vi ha scritto o nessun docente italiano ha immesso in Cineca il dato.
- Proprio a questo fine è stato stabilito che prima della scadenza del bando vengano esaminate le eventuali nuove riviste contenute nelle domande dei NON strutturati, che non potevano immettere le loro pubblicazioni nel sito Cineca. Le liste conosceranno allora probabilmente un doveroso allargamento.
Colgo l’occasione per fare tre ultime precisazioni, che spero utili:
- Le liste Erih, che sono state più volte contestate (e con veemenza da chi si è opposto alla classificazione delle riviste), sono uno strumento utile di riferimento, cui è giusto guardare (e che non vanno quindi affatto demonizzate), ma non sono e non possono essere l’unica, o anche la più importante, base della valutazione delle riviste italiane. A mio avviso esse sono state costruite con un processo meno sofisticato di quello adottato per le liste della VQR, anche perché era forse obiettivamente impossibile fare a livello europeo ciò che abbiamo fatto in Italia, vale a dire coinvolgere direttamente le comunità scientifiche;
- Almeno in Area 11 gli errori segnalati da Roars e da altri colleghi nella lista 3. (scientifiche-non scientifiche) sono allo stato meno di 5 su 3000 titoli. Potrei ricordare che la scienza moderna vive accettando per buoni esperimenti con margini di errore superiori. Preferisco ringraziare sinceramente chi ci ha segnalato questi errori, che provvederemo a sanare;
- Delle due riviste italiane in cui sono coinvolto (Il mestiere di storico come direttore responsabile, una carica che sopravvive alla fine delle mia presidenza della SISSCo, e Storica, come membro della redazione) la prima è stata messa in B dai contemporaneisti, il mio SSD, con una scelta che mi rattristato ma che ho accettato. La seconda è invece in A, ma non per indicazione dei contemporaneisti. Essa era stata segnalata come rivista A per la VQR da medievisti e modernisti, e poiché era stato deciso (vedi criteri pubblicati a suo tempo) che sarebbero finite in una lista A generale delle storie le riviste segnalate da 2 su 3 dei grandi raggruppamenti disciplinari degli storici, essa è andata in A.
Questo è quanto –per ulteriori informazioni specifiche sulle tre riviste rimando ai risultati del già ricordato processo di revisione appena conclusosi.
Scrive Andrea Graziosi che la lista delle riviste di classe a “[è stata costruita] chiedendo di nuovo il parere alle Società e sottoponendolo al vaglio di un Gruppo di Lavoro che ha anche tenuto conto delle liste della VQR. Sui risultati del suo lavoro è stato poi chiesto un parere al GEV.”
Come sappiamo https://www.roars.it/?p=12978 l’ANVUR ha modificato il documento di precisazione sulle liste eliminando la seguente frase: “Le liste prodotte sono state preventivamente sottoposte al parere dei Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV) della VQR. ”
Ma allora in Area 11 come sono andate le cose: come dice ANVUR nel documento corretto o come dice Andrea Graziosi?
Immagino che il collega Graziosi nella sua ricostruzione delle procedure seguite dall’ANVUR si riferisca sempre all’area 11, anche quando non la richiama esplicitamente (è evidente che, per esempio, nell’area 13 le cose sono andate in modo diverso).
Qui mi interessa però la seguente dichiariazione: “Proprio a questo fine è stato stabilito che prima della scadenza del bando vengano esaminate le eventuali nuove riviste contenute nelle domande dei NON strutturati, che non potevano immettere le loro pubblicazioni nel sito Cineca. Le liste conosceranno allora probabilmente un doveroso allargamento.”
Dobbiamo intenderla nel senso che le relative mediane saranno (probabilmente) “doverosamente” ricalcolate?
Se interpreto bene, le mediane sono calcolate in relazione a una determinata popolazione – quella dei docenti di ruolo dell’Università italiana. Se i non strutturati hanno pubblicato su riviste di eccellenza, e queste vengono inserite tra le riviste scientifiche o addirittura tra quelle di fascia A, il candidato non strutturato che abbia lì pubblicato vedrebbe riconsociuto il valore del proprio indicatore, ma ciò non influirebbe affatto sulle mediane in quanto tali. Certo, a patto che non sia accaduto che docenti strutturati abbiano pubblicato su quelle stesse riviste, inserendo le proprie pubblicazioni su loginmiur, e quelle riviste ciononostante non siano state in un primo tempo prese in considerazione dall’ANVUR; questo dovrebbe essere escluso in partenza, però, altrimenti sarebbe un ulteriore gigantesco pasticcio
Una delle assurdità del criterio delle mediane è proprio questo: stabilire dei valori che sono relativi a una certa popolazione (i.e. i docenti di ruolo) da applicare poi a soggetti potenzialmente non appartenenti a quella categoria.
Ciò deto, sarebbe stato più sensato non prendere proprio in considerazione le riviste non presenti su loginmiur: assurdo in assoluto, ma sensato in relazione agli assurdi criteri scelti ex ante dall’ANVUR. Ma ormai è evidente che si cerca con pezze continue di sistemare in corsa un treno che forse va verso il baratro (inteso come blocco della procedura), ma di sicuro sta perdendo pezzi per strada.
giusto, grazie del chiarimento.
Alla luce delle continue marce indietro, precisazioni, correzioni, sparizioni, francamente comincio a pensare che si voglia andare avanti, nonostante tutto e nonostante gli evidenti vizi giuridici sollevati da più parti. Il silenzio di Profumo è, come si dice in questi casi, assordante. La teoria dell’Artefice comincia ad avere un riscontro sperimentale. Mi costa scriverlo ma magari ha ragione l’Artefice ed è meglio che il treno deragli per sgomberare il campo da chi ha inquinato le abilitazioni nazionali.
Insomma va tutto splendidamente. Un processo oliato come un orologio che ha prodotto errori del tutto marginali e di molto difficile individuazione.
Ora, io ho sollevato la questione in varie sedi con riferimento alle liste di classe A relative a filosofia, tale lista è semplicemente indecente. Un poco meglio, ma con errori comunque clamorosi, va per l’elenco delle liste di riviste semplicemente scientifiche.
I criteri formulati dall’Anvur per classificare qualcosa come di classe A erano, in sunto, diffusione internazionale e rigore nelle procedure di revisione. QUesti criteri sono stati ripetutamente e chiaramente violati. Nessuno, dico nessuno cui io abbia sottoposto la lista ci ha messo più di cinque minuti per rilevare discrasie insostenibili tra presenze ed assenze.
I criteri formulati dall’Anvur per dichiarare una rivista scientifica includevano come requisiti indispensabili cose come la presenza di un comitato scientifico. Anche questo criterio è stato ampiamente e ripetutamente violato, e tali violazioni sono percepibili da un occhio mediamente esperto in pochi minuti.
Ora, francamente, per quanto riguarda la comunità scientifica, il fatto che la procedura per generare le liste sia stata impeccabile non è di alcuna consolazione, anzi, diciamo pure che è proprio irrilevante.
Se non si ammette che l’esito è scadente, ed in tali settori come 11/C inaccettabile, non c’è proprio più alcun terreno di condivisione razionale. Non resta che passare la palla in prima istanza ai media ed in seconda ai ricorsi.
Aggiungo un’osservazione sull’argomento per cui il numero degli errori sarebbe in fondo in fondo marginale e rientrerebbe negli ordinari margini di errore di ogni operazione scientifica.
Se devo costruire un ascensore, e so che vi possono essere difformità rispetto alle previsioni nella resistenza dei materiali, ciò che faccio è di aumentare le tolleranze in modo da essere certo che l’errore sia irrilevante: metto, per dire, un cavo che tiene il doppio rispetto al massimo peso che è prevedibile debba sollevare. Così si procede nei confronti degli ‘errori’ scientifici nel momento in cui si voglia darne applicazione pratica (ingegneristica).
Ora però il sistema di valutazione attraverso il superamento delle mediane non è pensato per avere questa natura. Se c’è qualche errore di inclusione e qualche errore di esclusione ciò è più che sufficiente per far crollare l’ascensore (cioè per dare l’abilitazione a chi non la merita e non darla a chi la merita). Il sistema qui non ha aree di tolleranza perché è stato concepito per essere un discrimine rigido.
Perciò il discorso che minimizza il ruolo degli ‘errori’ (assunti come percentualmente marginali) con considerazioni tratte dalla teoria scientifica degli errori qui non è pertinente.
Caro Andrea,
temo che tu ti sbagli. L’argomento degli errori trascurabili – che viene invocato da molti difensori dei criteri stabiliti dall’Anvur – assume che l’impatto della procedura per le idoneità sia da giudicare tenendo conto del saldo di utilità che essa produce. L’idea di fondo è che si può tollerare una certa dose di insoddisfazione, se gli effetti sono nel complesso benefici. Almeno questa mi pare una lettura sensata, visto che lo scopo della procedura non è generare una descrizione o spiegazione di qualcosa ma distribuire un titolo (in questo caso il titolo a essere ammessi ai livelli ulteriori di valutazione).
Per capire cosa c’è di sbagliato in questo modo di ragionare basta un piccolo esperimento mentale: prova a immaginare che l’argomento degli errori tollerabili ti venga offerto da un giudice per giustificare le regole del processo penale….
…ah dimenticavo di dire che nell’esperimento sei l’imputato.
@ Mario Ricciardi
In sostanza, mi dici, l’idea è che si ritiene tollerabile che vi siano persone abilitate con articoli su Yacht Capital e bocciate con articoli su Mind perché un certo numero di caduti è il prezzo di ogni guerra? Beh, ad Andrea Graziosi non manca il coraggio di esporsi, dunque vorrei sentirlo affermare per iscritto che il sistema razionalmente assume che in un numero minore di casi si producano ingiustizie, perché il valore esemplare dell’operazione richiede le sue vittime. Qualcosa però mi dice che, se lo affermasse a chiare lettere, verrebbe (giustamente) travolto da un bombardamento di contestazioni. Già, perché quando le percentuali si misurano su quanti inelastici come le unità/uomo non abbiamo a che fare con, per dire, un antibiotico che, in una persona, guarisce il 95% di una malattia, ma con una condanna che giustizia 5 persone ogni 100.
Faccio peraltro notare che anche il sistema tradizionale di reclutamento, per quanto affetto da aree di nepotismo, non è che, in percentuale, producesse poi tante ingiustizie, dunque tanto rumore per nulla?
Se non sbaglio qualcuno – anche in posizione di responsabilità – l’ha detto esplicitamente.
Giusto, ma come ricorderai la reazione non è stata precisamente contenuta e garbata.
Non saprei. A giudicare dalle cose che leggo in alcuni commenti direi che l’idea di sacrificare alcuni per il benessere collettivo non sia proprio sgradita a tutti. Magari perché non riflettono fino in fondo su cosa vuol dire accettare un principio consequenzialista in questo caso. Comunque, mi pare evidente che l’uso di argomenti come quello degli errori tollerabili dovrebbe spingerci ad articolare in modo più chiaro cosa c’è di sbagliato – dal punto di vista dell’etica pubblica – in questo modo di concepire le politiche.
Cfr. quanto rileva giustamente Alberto Baccini a proposito della lettera di Andrea Graziosi e della frase soppressa nel documento Anvur. Sapete come la penso sulle liste di riviste e sulla necessità che i Gev si dimettano da candidati commissari. Devo comunque riconoscere a Graziosi il merito di esporsi in prima persona a differenza degli altri presidenti che preferiscono tacere o nascondersi dietro lettere anodine che comunque circolano sul web, a loro insaputa. Stiamo volando molto basso!
Dall’odierno decreto per il concorso per posti da insegnante nelle scuole (ultima pagina, a proposito dei titoli che danno punteggio):
“Sono ammessi a valutazione gli articoli pubblicati su
riviste scientifiche con riferimento alla classificazione
ANVUR, nonché riviste professionali.”
Grazie del commento che è di grande interesse. Sarebbe così gentile da fornire il link?
http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/fdce7231-bdf6-49fc-a8f9-e954fb883cce/DDG82_12.pdf
Il passo in questione è a p. 90. Se gli insiemi delle riviste da valutare per concorsi universitari e scolastici siano sovrapponibili o solo intersecanti è probabilmente un pensiero inattuale.
Pazzesco! Non solo non lasciano, ma raddoppiano addirittura!
Com’era ovvio, una volta licenziate liste con timbro ministeriale di cosa conta come di qualità e cosa no, queste andranno per la propria strada e produrranno danni a cascata, non solo per le abilitazioni (sarebbe forse il meno). Questo è solo l’inizio. Se queste liste non vengono o eliminate o rese impeccabili ce le ritroveremo tra i piedi per anni a tutti i livelli come una fonte infinita di travisamenti, che condizioneranno l’attività di ricerca e la politica culturale in forme molteplici.
Apprezzo anch’io, e lo dico seriamente, il fatto che Graziosi si esponga e prenda pubblicamente posizione, a differenza di altri. Apprezzo meno, e lo dico con molto rammarico, il rispetto per gli interlocutori che mostra nelle sue risposte e nelle argomentazioni. Oggi scrive che gli errori sono “meno di cinque”. Quanti? 4,7? era difficile precisare almeno questo? In realtà in una email di oggi al GeV 11 Graziosi scrive che sarebbero due. Dunque “meno di tre”?
Risposte di questo tipo non sono risposte, perché già solo quanto segnalato dai lettori di ROARS supera questi numeri. Provo a ricordare qualche dato, non senza concordare con Zhok sul fatto che l’’appello ai margini di errore delle scienze sperimentali è del tutto fuori luogo qui. Si tratta di una lista di dati da controllare, non di esperimenti. Nessuno scienziato ritiene che l’omesso controllo sui dati di partenza sia frutto dell’incertezza sperimentale. Forse per questo le chiamano scienze esatte.
Torniamo ai numeri. Ricordo di nuovo quanto contenuto nel “documento di accompagnamento alle mediane non bibliometriche“:
“la descrizione della rivista o la politica editoriale prevedono esplicitamente il riferimento alla natura scientifica e alla pubblicazione di risultati originali / esiste un comitato scientifico della rivista / il comitato editoriale ha una composizione in cui la componente accademica è rilevante e/o il direttore della rivista ha affiliazione accademica […]
[e in ogni caso]
sono stati in linea di massima esclusi:
– quotidiani
– settimanali
– periodici di cultura, politica, attualità, costume
– periodici di recensioni
– riviste di divulgazione scientifica
– riviste di taglio esclusivamente professionale e di aggiornamento
– riviste di associazioni di categoria, ordini e associazioni professionali, enti pubblici nazionali e locali, istituzioni pubbliche non scientifiche di varia natura
– riviste espressione di formazioni politiche, sindacali, religiose
– “house organ” aziendali
– bollettini, newsletter
– riviste promozionali
Ecco una veloce ricognizione, non esaustiva. Sono cose già segnalate in parte su queso blog. Magari c’è qualche errore, visto che non ho ricevuto l’incarico di svolgere questi controlli.
– riviste di taglio esclusivamente professionale e di aggiornamento
– riviste di associazioni di categoria, ordini e associazioni professionali, enti pubblici nazionali e locali …
A&D -AUTONOMIA E DIRIGENZA (Anp – Associazione nazionale presidi e direttori didattici)
Animazione sociale. Mensile per gli operatori sociali
ATENEI. Bimestrale del MIUR
CN Comune Notizie. Rivista trimestrale del Comune di Livorno
Insegnare religione (“Strumento di lavoro per l’insegnamento della Religione Cattolica nella Secondaria di primo e secondo grado”)
Leadership medica
– riviste espressione di formazioni politiche, sindacali, religiose
AGGIORNAMENTI SOCIALI (mensile dei gesuiti)
FORMA SORORUM (rivista realizzata dalle Clarisse).
– periodici di recensioni
2R – RIVISTA DI RECENSIONI FILOSOFICHE
– bollettini, newsletter
AIB NOTIZIE (“notiziario dell’Associazione italiana biblioteche”)
– periodici di cultura, politica, attualità, costume
Der Schlern (Monatszeitschrift für Südtiroler Landeskunde)
– riviste di divulgazione scientifica
Dislivelli. Newsmagazine (“informazioni su notizie d’attualità, pubblicazioni, ricerche e tutto quello che “si muove” in ambito montano”)
E poi:
– [riviste di area 11??]
Acta herpetologica (rettili, anfibi)
(ma qui gli esempi sono tanti)
– [militi ignoti]
Annali del dipartimento di filosofia
Annali del dipartimento di storia
Annali della facoltà di lettere e filosofia
– [altro]
Cittadini dappertutto
– [siti, non riviste]
http://www.europressresearch.eu (sito del Centro studi progetto europeo)
Si può continuare. Però già ora non siamo a meno di cinque. Qualcosa in più.
Quod Demonstrandum Erat
A proposito del decreto per il concorso per posti da insegnante nelle scuole: la versione “storica” utilizzata normalmente in questi concorsi (per es. si veda qui http://www.tecnicadellascuola.it/allegati/varie/Tabella_titoli.pdf) non parla dell’ANVUR ma solo di “riviste scientifiche ufficialmente riconosciute”, il bando recente invece aggiunge “con riferimento alla classificazione ANVUR, nonché riviste professionali” (http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/fdce7231-bdf6-49fc-a8f9-e954fb883cce/DDG82_12.pdf).
L’intervento di Graziosi sembra voler chiudere l’errore dentro una sorta di marginalità che non andrebbe ad inficiare l’efficacia del risultato. Un risultato che avrebbe effetti sia sul piano concretamente selettivo sia sul piano genericamente pedagogico in relazione alle politiche della ricerca – aspetto, questo, che costituisce il tratto a mio parere più preoccupante dell’azione dell’ANVUR e dei suoi collaboratori.
L’intervento di Claudio La Rocca già mostra che il marginale non è propriamente tale.
Io vorrei richiamare l’attenzione però su alcune caratteristiche del modello che non vorrei la discussione relativa all’errore (in ogni caso gravissimo, come ben esemplificato da Ricciardi) rischia di occultare.
Quello che qui emerge è, ancora una volta, a) l’iniquità sottesa a una valutazione di tipo quantitativo nei confronti non di strutture ma di singoli individui o di singoli prodotti (pratica di cui non conosco confronti possibile a livello internazionale) e ancora di più b) l’iniquità di quello che Graziosi ritiene invece l’elemento più significativo del sistema messo in atto e cioè la terza mediana.
Ho sempre sostenuto pubblicamente la mia perplessità nei confronti dei rating e ranking delle riviste, ritenendo che spesso siano più i danni che essi rischiano di produrre (e producono) rispetto agli effettivi risultati positivi che essi determinano. Ma anche mettendo da parte questa mia perplessità credo che un rating che si basa su una reputazione stabilita attraverso la contrattazione tra GEV e vertici delle Società che riflettono legittimamente interessi specifici del SSD di cui sono espressione sia ben più problematico di quanto qui Graziosi voglia far credere.
In relazione alla questione dell’iniquità provo a spiegarmi esemplificando le storture radicali che il sistema produce. Con le liste licenziate (sia quelle delle riviste di fascia A sia quella delle riviste “scientifiche” – spero Graziosi perdonerà le virgolette) si possono verificare, come noto, casi per cui candidati commissari o candidati all’abilitazione superano la mediana in quanto hanno pubblicato 1 o 2 articoli su qualcuna delle riviste italiane collocate in fascia A (faccio l’esempio delle italiane non perché le ritenga peggiori delle straniere, ma solo perché viene più facile e immediato il confronto che sto proponendo) e non a quelli che ne hanno pubblicato magari una decina in riviste – cito riviste di filosofia perché mi muovo qui con qualche agio – come Aut-Aut (a proposito di reputazione, http://autaut.saggiatore.it/storia/) Il Giornale di Metafisica (http://www.ledijournals.com/ojs/index.php/metafisica), Studi Kantiani (http://www.libraweb.net/riviste.php?chiave=29&h=432&w=300) insieme magari a qualche contributo in volumi di grande caratura internazionale editi ad esempio da Springer o da Meiner o da altri editori scientifici dove spesso il processo di revisione è esattamente come quello di importanti riviste internazionali. Ma di più, e su questo vorrei davvero che anche Graziosi riflettesse bene, chi avesse malauguratamente scritto in sedi come quelle che ho citato (Aut-Aut, Il Giornale di Metafisica, Studi kantiani), vede qui parificato il suo lavoro a chi abbia scritto un qualche contributo su L’Aldilà, su Forma Sororum, su Dislivelli, su La Gazzada o su Il Platano. Magari contributi significativi, non lo discuto. Il problema è che noi qui non stiamo purtroppo parlando dei contributi nella loro specificità, ma dei contenitori che determinano il valore dei contributi.
A me sembra davvero molto difficile far passare questa doppia iniquità come marginale effetto collaterale.
Scrive Andrea Graziosi, comparando le liste di riviste 1 (VQR) e 2 (abilitazione, fascia A) : “Il loro diverso fine spiega la loro parziale diversità e perché per esempio l’interdisciplinarietà (amplissima nelle 1) vi abbia meno spazio – qui si tratta di aiutare a individuare chi può insegnare una determinata disciplina e quindi lo specialismo ha naturalmente maggior peso”.
Grido del cuore di una “piccola” storica di un “piccolo” SSD di provincia 11.
Il “sacrificio” (totale almeno per il mio SSD) dell’interdisciplinarietà non credo sia dovuto alla necessità di valorizzare lo specialismo ai fini didattici (ci sarebbe da discutere), ma piuttosto a quella di facilitare, parcellizzandolo, il lavoro di redazione delle liste. Devo dire subito, per onestà, che sono contraria a una ripartizione delle riviste in diverse fasce, se per farlo si adottano criteri non omogenei: ad esempio, se riviste internazionali classificate B a livello europeo, sono classificate B anche in Italia, mentre una rivista italiana classificata C a livello europeo, da noi si ritrova in A per amor di patria. Non credo sia questa la strada per innalzare il livello delle nostre riviste, né della nostra ricerca. Ma è un altro il punto che vorrei qui sottolineare, e riguarda le serie ricadute che le scelte compiute in questi mesi rischiano di avere soprattutto nel campo di quelle discipline umanistiche che sono per vocazione più interdisciplinari. Una di queste è la mia: religioni del mondo classico, a cavallo tra storia delle religioni (area 11) e diversi SSD di area 10. Ma chi si occupa di religioni orientali, africane e amerindiane, non è combinato meglio. Come è possibile non aver pensato, in fase di redazione delle liste, a creare dei ponti tra tutti i SSD dell’area 11, nonché tra l’area 10 e l’area 11? Ma non solo, anche con le altre aree! Una rivista seria e prestigiosa dovrebbe essere valutata come tale, indipendentemente dalla casella di area o di SSD. Un giovane studioso deve poter pubblicare il suo lavoro, se meritevole, su una qualunque di queste riviste, e vedersi valutato poi, in primo luogo, per quello che ha scritto e, in secondo luogo, per la sede editoriale scelta (che sarebbe meglio non fosse il bollettino della parocchia, anche se pure quello oggi rischia di ritrovarsi tra le riviste “scientifiche”). Nella situazione attuale, quel giovane studioso non sarà più veramente libero di pubblicare su riviste che appartengono certo alla fascia A, ma per altri settori o altre aree, e la sua scelta sarà limitata. Cosa ancora più grave, sarà spinto a orientare le sue tematiche di ricerca non in base ai suoi interessi e alle sue competenze, ma alla necessità di adeguarsi alle posizioni e alle tematiche privilegiate dalle residue riviste di fascia A del suo SSD, e solo di quello. Finita la libertà di fare ricerca! Per dissipare equivoci, sono “strutturata” e le supererei queste benedette mediane. Non parlo in mio favore, ma vi concedo che parlo per difendere il mio piccolo orticello, che mi piacerebbe saper coltivato anche in futuro. Anche questo è il compito di un docente no? Conosco giovani studiosi italiani brillantissimi che si stanno formando, anche all’estero, ma il cui futuro nell’accademia italiana sarà inevitabilmente precluso dall’adozione di queste liste e da questi rigidi paletti tra discipline. Non ci perderanno solo loro, credetemi, ci perderemo tutti. E allora che si fa?
Gabriella Pironti
Tutto si può imputare al Prof. Graziosi meno che il sense of humour, quando si dispiace perché la rivista da lui diretta (“Il Mestiere di storico”, Viella Editore, nata nel 2008!!!) sia finita in fascia B nella lista VQR. Siamo lieti, per lui, invece che la rivista “Storica” (Viella Editore ), della quale è membro del Comitato editoriale, sia stata classificata in fascia A nella lista VQR e in quella per le Abilitazioni. Ad un insigne studioso dell’Ucraina e dell’Europa Orientale farà egualmente piacere di vedere in fascia A le riviste Ukrajnskij Istoriceskij Zhurnal e Otecestvennaja Istorija,nelle quali nessuno studioso italiano (salvo forse il Prof. Graziosi) ha mai scritto. Che disgrazia che io invece diriga solo una rivista italiana nata nel 1917.
A proposito del mio commento precedente sull’analogia tra procedura di abilitazione e processo penale, e alla questione degli “errori tollerabili” di cui parla Graziosi, vorrei chiarire un punto, anche a risposta di commenti che ho ricevuto via e-mail. Mi sembra che ciò che avviene quando si giudica uno studioso sia più simile a un giudizio penale che alla ipotesi di spiegazione di un evento o di una serie di eventi. Compito dell’Anvur non è costruire modelli – anche se deve far uso di modelli – ma dare valutazioni. Che nel caso che a noi interessa serviranno come base per ulteriori giudizi di valore formulati dalle commissioni. Ciò rende centrali questioni di fairness come quella cui alludevo nella mia risposta a Zhok.
Aggiungo che il piccolo esperimento mentale che proponevo sarebbe opportuno da parte di chi usa l’argomento degli “errori tollerabili” basandosi sull’analogia con il ragionamento sulla spiegazione di fatti invece che su quella relativa alle valutazioni. La domanda è: vorreste essere giudicati da un giudice che vi dice, prima di formulare la sentenza, che per lui la possibilità di condannare un innocente non è un problema perché una piccola percentuale di errori è tollerabile in quanto necessaria per il bene comune?
Non credo.
Ciò detto, è chiaro che anche nel processo penale l’errore è possibile, e si verifica con una certa frequenza. Un giudice in buona fede può condannare un innocente. Tuttavia, nei sistemi di giustizia penale delle “nazioni civili” (come dicevano una volta) ci sono dei rimedi istituzionali che consentono di porre rimedio agli errori. Ciò rende la possibilità di errore tollerabile, anche in presenza del rischio teorico di errore. Ma si tratta pur sempre di una situazione che, in condizioni ideali, non sarebbe giustificabile. Alla fine il problema delle mediane è questo. L’idea che una procedura possa incorporare un processo di selezione meccanico quando in gioco c’è la distribuzione di diritti: l’ammissione al giudizio da parte della commissione.
Si capisce bene quale sia lo stato d’animo che alimenta il consenso nei confronti di questo modo di ragionare. L’esperienza delle distorsioni che hanno avuto luogo in passato (reali o presunte, perché anche su questo ci sarebbe da ragionare in modo pacato) e la convinzione che l’unico modo per eliminare l’arbitrio è sostituire al giudizio dei pari un criterio certo. Comprendere, tuttavia, non vuol dire perdonare. Io sono convinto che accettare questo modo di ragionare sia pericoloso perché erode la nostra – già scarsa, lo ammetto – fiducia nella possibilità di procedure ragionevolmente fair.
Vi solleciterei anche a riflettere sul fatto che tendenze analoghe sono all’opera anche nel settore dell’amministrazione della giustizia. Pensate all’uso sempre più discutibile che temo si stia facendo delle c.d. “prove scientifiche” nel processo penale. Sempre più spesso leggiamo di persone che sono accusate di un reato perché il risultato di un test le mette in relazione con la vittima o con il luogo del delitto. Ciò in assenza di una qualsivoglia plausibile ricostruzione di come potrebbero essere andate le cose.
Buonissime osservazioni.
Ti invito allora a fare un passo in più, ed a prendere in carico le conseguenze di quello che dici.
Se la funzione valutativa/giudiziaria si distingue per genere da quella epistemologica/conoscitiva:
(1) come non dare ragione a tutti coloro che vogliono sempre più le tutele tipiche di un ordinamento giudiziario nelle more di una procedura valutativa? I.e. vanno rigettate quelle posizioni impazienti e infastidite di chi “critica i critici”, e in particolare critica chi cerca quelle TUTELE dove naturaliter vengono riconosciute, e cioè dal giudice, anzichè rimanere “nel chiuso delle stanze accademiche”?
(2) non trovi un problema serio nel confronto fra diverse società, e cioè fra quelle a diritto comune e quelle a diritto civile/amministrativo [ci interessa più quest’ultimo, ovviamente], laddove la divaricazione nelle concezioni di fondo del diritto e nelle relative istituzioni lascia trasparire un diverso modo di guardare a ruoli e responsabilità di questo o quell’Ente, Agenzia, Ministero, “Autorità”, ecc.
Caro Renzo,
sul punto (1) la mia è un’analogia. Non dico che la procedura valutativa deve essere assorbita dal processo o riprodurne tutte le caratteristiche procedurali, voglio soltanto richiamare l’attenzione sul fatto che un certo modo di concepire gli interventi di riforma è in questo caso ispirato da un atteggiamento mentale che esclude che la possibilità di errore sia un problema etico. Perché il principio che giustifica la procedura incorpora l’errore – la condanna dell’innocente – come un costo che viene annullato se il saldo netto dell’utilità è comunque positivo (e, bisognerebbe aggiungere, più alto rispetto a quello che si otterrebbe nelle ipotesi alternative). Detto questo, non cerco di eludere la tua domanda. Personalmente credo che il ricorso alla magistratura nel campo di cui ci occupiamo non sia affatto fisiologico, e anzi probabilmente sintomo di una patologia, e che ciò cui dovremmo tendere sono procedure di valutazione e di selezione del personale che siano autonome (per ragioni che non è il caso di illustrare in uno spazio ristretto, ma su cui potremmo tornare) e tuttavia fair.
Per questo l’analogia è importante. Perché, se fondata, e io credo che lo sia, ci aiuta a ragionare avendo in mente un esempio in cui la questione della fairness è maggiormente in evidenza, e quindi più agevole da considerare in tutte le sue dimensioni.
D’altro canto è chiaro che, se la tutela giudiziaria è disponibile, e qualcuno ritiene di aver subito un torto, ricorre al magistrato.
sul punto (2) la questione è complessa. Non sono sicuro di avere un’opinione netta a riguardo. Un tempo pensavo che i sistemi di common law garantissero una maggiore tutela dei diritti dei cittadini. Sulla base di riflessioni ulteriori non sono più tanto convinto che il problema sia in senso stretto riconducibile alla “famiglia” cui appartiene un sistema giuridico.
Ci sono paesi di common law dove il rispetto dei diritti individuali non è affatto soddisfacente.
Ma anche questa è una questione complessa.
OK. Uno dei punti che io mi sento di rilevare è la tensione dovuta al fatto che, se all’ANVUR è demandata, direttamente o indirettamente, la produzione di norme, vi è una frizione del suo ruolo con tutto l'”apparato istituzionale” che in un Paese a diritto comune/amministrativo si ricollega a tale funzione (e alla tutela di diritti correlati).
In un Paese a diritto comune, l’Ente che similmente ha un riconoscimento pubblico come “esperto” incaricato alla produzione di norme si inserisce “esso stesso” nel circuito normativo/giudiziario (come “Autorità indipendente”, se vogliamo) e quindi non crea frizioni nè giuridiche nè sociali, perche (a) tutti riconoscono tale ruolo, (b) l’Ente stesso agisce responsabilmente al meglio “immedesimandosi” in ogni aspetto del ruolo (ad esempio nominando anche “comitati d’appello” indipendenti per rispondere a complaints, per dire).
Capisco il punto. Non sono sicuro che si possa generalizzare per qualsiasi paese di common law, ma quello che dici mi sembra sensato per quel che riguarda il Regno Unito. Tra l’altro questo punto si lega strettamente alla questione della trasparenza. Se il valutatore si “immedesima” nel ruolo giudiziario deve fare tutto il possibile perché le sue decisioni appaiano fair, mettendo a disposizione tutti materiali rilevanti per chi voglia controllare.
Mi viene segnalata questa perla, in fascia A per i pedagogisti:
Nuova Secondaria.
La rivista si presenta così:
l’unico mensile “referinato” a livello nazionale ed internazionale dedicato specificamente ai problemi dell’insegnamento nelle Scuole del Secondo ciclo di istruzione e formazione.
Nuova Secondaria, tuttavia, non è solo uno strumento di aggiornamento e formazione per i docenti in servizio. È anche un formidabile aiuto culturale e tecnico-professionale per tutti gli studenti universitari che vogliono diventare insegnanti e che, in attesa dell’avvio delle lauree specifiche per l’insegnamento, intendono indirizzare la loro formazione verso la scuola.
e guarda Antonio che NS è tra le meno peggio del mazzo