I dati 2008-15 sul finanziamento consentono di ricostruire e documentare una grande scelta politica, presa in assenza di una discussione aperta, mentre l’opinione pubblica viene bombardata con “armi di distrazione di massa”. L’Italia, caratterizzata da un minore investimento sull’università e da un minore numero di laureati rispetto agli altri paesi UE, abbandona il precedente tentativo di recupero, anzi taglia più degli altri. Gli effetti vanno nella direzione di una maggiore disuguaglianza, risultando molto diversificati sia territorialmente che socialmente, come nel caso della riduzione degli immatricolati. Siamo di fronte a una “compressione selettiva e cumulativa” che rispecchia un’idea di paese in cui il Mezzogiorno è destinato a pagare il prezzo più alto nella riconfigurazione in corso.
Terzo Convegno ROARS
I materiali audio-video del convegno tenuto a Roma il 19 giugno 2015
presso la Sala del Rettorio, Camera dei Deputati
Parte III: intervento di Gianfranco Viesti, Università degli Studi di Bari
“Il finanziamento del sistema universitario: alla ricerca di un equilibrio
ovvero
La compressione selettiva e cumulativa dell’università italiana”
Seguono video e slide
Non ho capito quando la pseudo-classe dirigente del SUD si alzera’ in piedi per dire: che cosa state facendo? Ma siete matti ? Probabilmente mai perche’ appunto e’ una pseudo-classe dirigente
Mi é tornato in mente questo passo del libro “Il Gattopardo” di Giuseppe Tommasi di Lampedusa”:
«Lei è un gentiluomo, Chevalley, e stimo una fortuna averlo conosciuto; Lei ha ragione in tutto; si è sbagliato soltanto quando ha detto: ’I Siciliani vorranno migliorare’….i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una diecina di popoli differenti essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi. Crede davvero Lei, Chevalley, di essere il primo a sperare di incanalare la Sicilia nel flusso della storia universale? Chissà quanti imani mussulmani, quanti cavalieri di re Ruggero, quanti scribi degli Svevi, quanti baroni angioini, quanti legisti del Cattolico hanno concepito la stessa bella follia; e quanti viceré spagnoli, quanti funzionari riformatori di Carlo III; e chi sa più chi siano stati? La Sicilia ha voluto dormire, a dispetto delle loro invocazioni; perché avrebbe dovuto ascoltarli se è ricca, se è saggia, se è onesta, se è da tutti ammirata e invidiata, se è perfetta in una parola? Adesso anche da noi si va dicendo, in ossequio a quanto hanno descritto Proudhon e un ebreuccio tedesco del quale non ricordo il nome, che la colpa del cattivo stato delle cose, qui ed altrove, è del feudalismo; mia cioè, per così dire. Sarà. Ma il feudalismo c’è stato dappertutto, le invasioni straniere pure. Non credo che i suoi antenati, Chevalley, o gli squires inglesi o i signori francesi governassero meglio dei Salina. I risultati intanto sono diversi. La ragione della diversità deve trovarsi in quel senso di superiorità che barbaglia in ogni occhio siciliano, che noi stessi chiamiamo fierezza, che in realtà è cecità. Per ora, per molto tempo, non c’è niente da fare»”.