Parte seconda: contributo di Andrea Graziosi

(Link  alla  prima parte)

De Nicolao mi ha chiesto se mi era possibile provare a fare una storia della Terza mediana e per quel che posso — una storia completa è ovviamente impossibile — rispondo volentieri alla sua richiesta, perché permette di discutere temi interessanti.

Premetto che il dibattito sulla natura e l’efficienza degli indicatori in sistema amministrato (che tale è il nostro “Sistema universitario nazionale”), un dibattito che in Italia non ha una lunga storia, è stato sempre per me di grande interesse perché, da studioso dell’URSS, sistema amministrato per eccellenza, ho a lungo fatto i conti con spesso acute discussioni sui pregi e le virtù degli indicatori in un sistema pianificato. L’esempio più noto è quello del  grande dibattito sovietico tra riformatori e conservatori degli anni Sessanta sulle riforme economiche, ma in realtà fin dal 1919 le peculiarità e le conseguenze spesso impreviste, e in genere negative, dell’uso di indicatori stabiliti da un centro dirigente per guidare il sistema ad esso sottoposto generarono notazioni di grande rilievo. In particolare emergevano con nettezza sia i difetti degli indicatori quantitativi che i limiti di quelli qualitativi, per quanto migliori dei primi.

Questi studi mi hanno convinto che i sistemi amministrati sono intrinsecamente inferiori ai sistemi aperti, che sono quindi preferibili, ma anche che vi sono sistemi amministrati migliori e sistemi amministrati peggiori, la cui posizione sulla scala dell’efficienza è determinata dalla qualità intellettuale e morale dei loro gruppi dirigenti (i sistemi amministrati sono insomma sistemi soggettivi) e dalla sofisticazione degli indicatori che essi usano, nonché dalla loro capacità di aggiornarli per rispondere alle sempre più complesse manipolazioni cui sono sottoposti da chi dovrebbe essere guidato e li usa invece, e naturalmente, a proprio vantaggio.

Almeno dal punto di vista degli indicatori, il nostro Sistema universitario nazionale è stato invece in passato particolarmente sfortunato. Basti ricordare i soldi distribuiti per numero di studenti (che ha aperto la corsa a iscrivere chicchessia e a gonfiare i fuori corso) o alla qualità determinata in base agli studenti in corso o ai voti di laurea, con effetti disastrosi sulla serietà degli esami e quella delle lauree.

Di ciò ho discusso in un libro uscito prima della nascita dell’ANVUR (L’Università per tutti, Mulino 2010), in cui proponevo perciò indicatori qualitativi di tipo diverso, pur sapendo che essi non avrebbero mai potuto essere risolutivi. Il fatto però è che noi abbiamo un Sistema universitario nazionale, e non abbiamo la ricchezza e la diversità necessaria a produrre spontaneamente un sistema libero e aperto con migliaia di università e college pubblici e privati, disposti naturalmente su una scala infinita a comporre un sistema vitale e autonomo. Piaccia o non piaccia (e io avrei preferito un’altra realtà, ma le realtà non si scelgono), mi sono quindi convinto col tempo che l’unica via realistica era quella di una migliore gestione del nostro sistema amministrato.

Perciò, quando mi fu chiesto un parere—immagino tra i tanti—su che indicatori usare, raccomandai, come avevo fatto nel mio libro, che le mediane (cui non avevo pensato, ma il cui concetto mi conquistò per la sua tendenza al costante miglioramento se il meccanismo che lo mette in opera è costruito correttamente) per i settori umanistici contenessero almeno anche una mediana qualitativa che mitigasse gli effetti—che subito immaginai perversi—di quelle quantitative. Mi spiego: gli indicatori delle aree scientifiche, che infatti hanno in larga parte accettato il sistema, contengono naturalmente un forte elemento qualitativo, per quanto criticabile e migliorabile. Dire invece “più libri, capitoli di libro e articoli su riviste qualunque pubblicate meglio è per voi” apre la porta ad una corsa senza freni alla pubblicazione di n’importe quoi, simile alla caccia allo studente e al fuoricorso delle Università di 10 anni fa.

Proposi quindi di costruire almeno una mediana che contenesse un freno a questa corsa e desse un orientamento qualitativo. Non credo essa sia stata poi inserita per mio merito (ma sarei lieto se sapessi di aver contribuito): altri pareri saranno stati ascoltati, e altre voci autorevoli saranno state sentite. Ma accolsi con piacere la presenza di una mediana sugli articoli pubblicati sulle riviste ritenute migliori dalle rispettive comunità scientifiche nazionali.

Vedevo naturalmente anche il limite di questa mediana, legato appunto al soggettivismo dei sistemi amministrati. E’ ovvio che in comunità dominate per ipotesi da gruppi dirigenti provinciali e di cattiva qualità, le riviste “eccellenti” sarebbero state quelle sbagliate. Tuttavia, il messaggio sarebbe stato comunque quello giusto: non pubblicate tanti scritti di occasione in sedi prive anche formalmente di filtro (la realtà rivelata dalla sproporzionata grandezza della seconda mediana in molti settori non bibliometrici  è a questo proposito istruttiva); concentratevi piuttosto su articoli scientifici da proporre alle migliori riviste nazionali e internazionali.

Aggiungo che benché io sia spesso stato critico nei confronti della nostra Accademia, ero e sono convinto che vi sono in essa tantissimi studiosi seri e responsabili, che avrebbero reagito bene ad incentivi migliori. E so che per fortuna vi sono, e da sempre, anche in Italia riviste più e meno importanti, riviste dove è più difficile e dove è più facile pubblicare, e mi pareva una buona idea favorire il rafforzamento delle prime anche per aiutarle a proiettarsi in campo internazionale, dove—tranne che in alcuni settori—la nostra cultura umanistica e le nostre riviste di questa area fanno fatica ad affermarsi. Molti dei gruppi dirigenti delle varie discipline sono inoltre sensibili al bisogno di una maggiore apertura internazionale, e si poteva quindi sperare che le fasce A avrebbero incluso buona parte delle grandi riviste internazionali, indirizzando verso una maggiore internazionalizzazione studiosi giovani e meno giovani.

Alla fine del 2011 mi fu proposto dall’Anvur di presiedere il Gev dell’area 11, incarico che accettai perché avendo e spesso mosso critiche in passato sentivo che non avrei più potuto farlo in futuro se avessi rifiutato di contribuire a risanare il sistema in cui vivevo e che mi nutriva, anche letteralmente. Da presidente del Gev ho spinto alla più rigorosa possibile formazione di rating di riviste di fascia A, in un processo molto partecipato cui diedero il loro contributo tutte le società dell’area e decine di referee scelti tra studiosi nazionali e internazionali di chiara fama.

Il risultato fu superiore alle attese, come ha confermato la scelta di moltissime e importanti Società dell’area di ribadire sostanzialmente, o con piccole modifiche, a giugno per le abilitazioni le liste di riviste italiane preparate per la Vqr. E’ importante aggiungere (ai fini di quello che dirò tra poco) che, come risulta con chiarezza dalla premessa alle liste pubblicate a febbraio sul sito Anvur, l’area 11 scelse—e secondo me giustamente per tener conto di interdisciplinarietà e decisioni anche individuali di varcare confini e rompere barriere—di presentare liste il più possibile unificate per macro-aree (storia, filosofia, pedagogia, antropologia, geografia ecc.) nonché di riconoscere che le riviste di fascia A di aree diverse dalla 11 valessero per noi così come esse erano state valutate dagli specialisti del settore.

A giugno sull’Anvur, il Cineca, la Vqr, i Gev e quindi anche su di me si è abbattuta la tempesta delle abilitazioni, un compito gigantesco che si veniva ad aggiungere a quello già notevole della Vqr senza che vi fosse un ragionevole incremento di risorse, umane ed economiche (le condizioni del paese sono quelle che sono, ma i compiti divennero a quel punto davvero gravosi).

Ricordo solo che pregammo tutti per avere almeno più tempo, ma le pressioni politiche, accademiche, corporative (in senso legittimo) e sindacali di chi comprensibilmente voleva che le abilitazioni fossero fatte al più presto per permettere poi lo svolgimento celere dei concorsi e non perdere le decine di milioni di euro già stanziati per chiamare gli abilitati—pressioni di cui ben capisco le ragioni ma che hanno avuto effetti perversi—hanno prevalso.

Il regolamento sulla Terza mediana prevedeva, credo giustamente, la costruzione di nuove liste di riviste di fascia A, affidata a Gruppi di lavoro (GdL) diversi dai Gev, Gev che sarebbero poi stati chiamati a esprimere un parere sulle proposte di questi gruppi. In base al principio dell’equilibrio dei poteri, e alla convinzione che due voci sono meglio di una, fui subito d’accordo, e in qualità di “alto esperto valutatore” (titolo pomposo e ridicolo, dettato però da vincoli burocratici e non scelto dall’Anvur, e carica retribuita con 15 k sì, ma su 18 mesi, e quindi con 10 k lordi l’anno) proposi una rosa di componenti credo scelti tra quanto di meglio la nostra accademia avesse da offrire nelle aree della 11. L’Anvur poi operò una felice scelta finale e il nostro gruppo di lavoro ha lavorato in modo che ritengo eccellente. Come qualunque suo membro può testimoniare, mi sono limitato a suggerire—direi inutilmente vista la qualità dei componenti—la massima serietà, rigore, apertura alle migliori esigenze della nostra comunità scientifica e internazionalizzazione possibili.

Gli elenchi del GdL mi furono poi inviati e io li sottoposi nei tempi previsti (fine luglio) al parere del Gev, che ne criticò pochi aspetti, concentrati soprattutto in un paio di settori e propose quindi al Direttivo Anvur poche modifiche, in genere con mio piacere accettate (i motivi della gran parte di esse sono stati poi compresi dai membri del GdL).

Sono così nate le liste di riviste di fascia A dell’area 11, su cui sono state calcolate le mediane a fine agosto. Tali liste NON sono mai più state cambiate, nel senso che non vi è stata aggiunta o sottratta alcuna delle riviste decise dal GdL, se non a fine luglio quelle legittimamente indicate dal Gev in un rapporto ufficiale, e recepite dal Direttivo. Della cosa possono testimoniare tutte le persone coinvolte (membri del Gev e del GdL, nonché presidenti delle Società, vale a dire decine e decine di persone, il che da solo ha reso ogni alterazione impossibile).

Perché dunque i ritardi, che anch’io non ho amato e ho fatto di tutto per ridurre, nella loro pubblicazione (che spero avvenuta al momento in cui pubblicherete questo scritto)?

Io posso naturalmente parlare solo dell’area 11, e quindi ad essa mi limito. Ma credo che in generale i ritardi siano da attribuirsi al sommarsi di compiti da cui sono state investite due strutture (Anvur e Cineca), per di più in un periodo in cui molti colleghi e funzionari vanno, come molti altri, in ferie. Ciò ha costretto a stabilire priorità stringenti e a concentrare le risorse su di esse, e immagino che tra queste priorità la pubblicazione delle liste non abbia occupato un posto molto alto (c’erano per esempio le mediane delle aree 1-9, la necessità di decidere quali SSD ‘estrarre’ dai settori concorsuali perché avrebbero altrimenti avuto troppo poco peso ecc.).

Ciò non toglie che vi siano state anche cause particolari. Premetto che credo di essere un ossessivo-compulsivo di livello abbastanza elevato, e quindi di aver fatto controlli maniacali in tempo quasi reale, il che non ha impedito i ritardi in questione, anche se li ha limitati.

Tra queste cause particolari sta al primo posto il fatto che la correzione di ogni piccolo errore trovato nelle liste preparate per la pubblicazione richiedeva diversi passaggi –occorreva per esempio sentire il GdL, o almeno il suo membro del campo specifico, e la stessa cosa andava fatta col Gev, o il membro del Gev, competente, fargli notare l’errore, farglielo riconoscere come tale, e quindi provvedere alla correzione, e questo a fine agosto. I colleghi sono stati bravissimi e hanno risposto da Svizzera, Germania ecc., e così i funzionari Anvur che ho visto lavorare di sabato e domenica ad agosto. Ma 2-3 giorni se ne andavano comunque.

Un problema di questo tipo c’è stato per esempio con le liste da pubblicare di Pedagogia, da cui malgrado infiniti e ripetuti controlli, era finita con lo scomparire una delle riviste richieste dal GdL e approvate dal Gev e di cui era stato tenuto conto nel calcolo delle mediane. Di ciò ci siamo letteralmente accorti all’ultimo momento grazie al perfezionismo di un collega di grande valore. E un problema simile è nato per l’inspiegabile confusione all’ultimo momento tra due Settori concorsuali, le cui riviste risultavano fuse nelle liste da pubblicare, ma erano da sempre stati correttamente distinti.

Vi è stato poi un problema di grande rilevanza culturale e scientifica nelle riviste di filosofia. Come ho già osservato, e come chiunque può controllare, le liste della Vqr erano unificate anche per la filosofia, e secondo me giustamente per i motivi già discussi. All’ultimo momento ci si è accorti che, malgrado il parere del GdL e del Gev, le liste di filosofia pronte per la pubblicazione erano state di nuovo rigidamente separate per settore concorsuale, con risultati culturalmente e scientificamente assurdi. Anche qui grazie alla sagacia di chi mi ha fatto notare ciò che ci era sfuggito (ci eravamo abituati a guardare l’albero—vale a dire la presenza o assenza di una singola rivista—e non la foresta), abbiamo corretto all’ultimo minuto un grave errore che avremmo comunque dovuto poi correggere ma che avrebbe sollevato una marea di giustificate proteste. Ciò è stato fatto riallargando le liste, vale a dire abbattendo i confini di settore concorsuale reinseriti in perfetta buona fede. Per le riviste di storia ciò non era successo perché si era ripetuto per ogni Settore concorsuale (con qualche variazione) lo stesso elenco. La stessa cosa era stata fatta per Pedagogia, Geografia ecc. Immagino che molti all’inizio si stupiranno che nella lista di storia medievale figuri una rivista più propriamente di storia contemporanea (e viceversa), ma la ragione è precisamente la scelta—che ritengo giusta—di allargare e non costringere, almeno all’intero delle singole macro-aree.

Questo è quanto è successo da noi. Per quanto riguarda le altre aree non posso dir nulla, se non che io ho avuto i miei guai con circa 25 SSD (gli otto di Psicologia vanno in bibliometria, e anche qui i problemi—di altro tipo e che spero in larga parte risolti—non sono mancati). La 10 ne ha più di 70 e non è difficile immaginare le difficoltà che ha dovuto affrontare.

Qualche parola, per finire, sulla realtà rivelata dalle mediane e sul significato della Terza. La grandezza della seconda per i settori non bibliometrici mostra come ho detto che buona parte delle discipline umanistiche  ha imboccato una strada, secondo me sbagliata, che porta a pubblicare spesso occasionalmente e senza filtri esterni. Se la Terza mediana fosse abolita e rimanessero solo le prime due la quantità pura prenderebbe il sopravvento con conseguenze facilmente immaginabili (io penso sempre alle inutili valanghe di acciaio sovietico).

La Terza invece ci permette di mandare un segnale chiaro: pubblicate anche “poco” ma bene, e possibilmente anche su riviste internazionali (invito tutti a leggere gli elenchi dell’area 11), sottoponendovi a controlli e giudizi dei pari. Fatelo e sarete remunerati. Tra l’altro così facendo acquisterete anche la tranquillità necessaria per scrivere buone e serie monografie, ciascuna delle quali richiede almeno 5-6 anni di lavoro (chi le scrive sarebbe perciò spesso automaticamente tagliato fuori dalla prima mediana).

Questo per me è il motivo più serio per difendere questa mediana. Ve ne è poi uno, credo lecito, di natura ‘corporativa’, da me richiamato nel mio messaggio alla lista Sissco che vi autorizzo a pubblicare: essa ci permette di allargare la platea di commissari e abilitabili, e di farlo inserendo persone che hanno seguito pratiche a mio parere corrette, ed è questo per me un risultato importante vista la pressione sopportata negli ultimi anni dalle discipline umanistiche.

Detto questo e spiegata così la mia storia della Terza mediana, aggiungo che penso che sia giusto criticare l’Anvur, che fa anche errori, e segnalarli anche con franca crudezza. Posso però testimoniare che vi regna uno spirito di serietà e apertura. E in ogni caso raccomanderei a tutti di non fare mai paragoni tra quanto si prova a fare e l’ ideale cui aspiriamo. L’ideale è una bussola indispensabile per andare avanti, ma i paragoni occorre farli col passato e il presente, con l’ope legis dei primi anni Ottanta, i giudizi di idoneità locali dei primi anni Duemila e con l’ope legis che si profilava solo un anno fa. Da questo punto di vista i progressi ci sono eccome, anche se temo che un ricorso potrebbe spazzarne via una buona parte.

 

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119 Commenti

  1. Caro De Nicolao,
    al di la di quanto dice il documento di acc Anvur, ciò che rileva sono le liste che tale documento vuole accompagnare. E la analisi della lista Riviste fascia A relativa all’Area 13 Settori Concorsuali 13/B1‐B2‐B3‐B4‐B5 consente di rilevare che essa include 444 delle 446 riviste selezionate dal GEV 13 (oltre a 26 riviste, evidentemente aggiunte perché ci avrà pubblicato almeno un professore o ricercatore del SSD e considerate di fascia A in base ad un qualche criterio- non banale da intuire in quanto trattasi di riviste oggettivamente “non pertinenti” con i temi oggetto dei Settori Concorsuali sopra citati-).
    Ne consegue che anche se il doc di acc a pag. 5 recita
    “È importante ribadire che la classificazione delle riviste ai fini della abilitazione scientifica nazionale costituisce una procedura indipendente rispetto a quella operata ai fini della VQR”
    i fatti, almeno per quanto concerne l’Area 13 Settori Concorsuali 13/B1‐B2‐B3‐B4‐B5, dicono il contrario: l’ANVUR ha integralmente recepito (salvo minimi aggiustamenti) la lista delle riviste selezionate dal GEV 13 e, con tale comportamento, ha in tutta evidenza fatto propri i criteri di selezione a suo tempo utilizzati dallo stesso GEV 13, tra i quali l’Impact Factor a 5 anni tratto da WoS.
    Anche se il doc di accompagnamento Anvur alle mediane per i settori non bibliometrici non contiene alcun riferimento a riviste ISI o Scopus, nei fatti, almeno per quanto concerne l’Area 13, la lista è stata elaborata sulla base dei valori dell’Impact Factor a 5 anni tratto da WoS.
    Confermo quindi che:
    – considerando che le liste per l’abilitazione scientifica serviranno a valutare lavori pubblicati anche nel 2012 e che la release 2011 del Journal Citation Reports (JCR) è disponibile dal 28 giugno 2012 (cfr. http://thomsonreuters.com/content/press_room/science/688332),

    – l’aver utilizzato la vecchia release 2010, ormai superata, rende a mio avviso non legittimo l’operato dell’Anvur (almeno con riferimento ai sett conc sopra citati).

    • E’ evidente che il gruppo di lavoro dell’area 13 ha lavorato a partire dalla lista messa a punto dai GEV, e che ciò contraddice quanto dichiarato dall’ANVUR nel documento di accompagnamento delle mediane dei settori non bibliometrici in particolare con riferimento ai rapporti tra settori concorsuali, come notavo in un post precedente.
      Sarebbe così gentile da pubblicare l’elenco delle 26 riviste aggiunte, la cui responsabilità è dunque interamente del Gruppo di Lavoro e del Direttivo dell’ANVUR?
      Grazie.

    • Paolo, ecco la lista delle 26 riviste aggiunte

      1. AMERICAN ECONOMIC JOURNAL. APPLIED ECONOMICS
      2. AMERICAN ECONOMIC JOURNAL. ECONOMIC POLICY
      3. AMERICAN ECONOMIC JOURNAL: MACROECONOMICS
      4. AMERICAN ECONOMIC JOURNAL: MICROECONOMICS
      5. ANALYTICA CHIMICA ACTA
      6. ANALYTICAL AND BIOANALYTICAL CHEMISTRY
      7. ANALYTICAL CHEMISTRY
      8. CHEMOSPHERE
      9. CLINICA CHIMICA ACTA
      10. DRUG DISCOVERY TODAY
      11. EUROPEAN JOURNAL OF PHARMACEUTICAL SCIENCES
      12. JOURNAL OF CHROMATOGRAPHY A
      13. JOURNAL OF COMBINATORIAL CHEMISTRY
      14. JOURNAL OF ETHNOPHARMACOLOGY
      15. JOURNAL OF MASS SPECTROMETRY
      16. JOURNAL OF MEDICINAL CHEMISTRY
      17. JOURNAL OF MEMBRANE SCIENCE
      18. LANCET
      19. MARINE CHEMISTRY
      20. NATURE
      21. PROCEEDINGS OF THE NATIONAL ACADEMY OF SCIENCES
      OF THE UNITED STATES OF AMERICA (ISSN: 0027‐
      22. PROCEEDINGS OF THE NATIONAL ACADEMY OF SCIENCES
      OF THE UNITED STATES OF AMERICA (ISSN: 1091‐
      23. SCIENCE (ISSN: 0036‐8075)
      24. SCIENCE (ISSN: 1095‐9203)
      25. THE JOURNAL OF BIOLOGICAL CHEMISTRY
      26. THEORETICAL ECONOMICS

      A parte le prime 4, cosa c’entrano queste riviste con l’AREA – 13 (SCIENZE ECONOMICHE E STATISTICHE)?

    • “Alcune potrebbero essere legate a contributi in Sett. Conc. 13/B5 – SCIENZE MERCEOLOGICHE.”
      Forse una o due!
      Per il resto siamo fuori oggettivamente fuori dall’Area 13.
      Dagli specchi si scivola…

    • Interessante il caso di Theoretical Economics, promossa dalla classe C della VQR alla classe A dell’Abilitazione.
      E’ l’unico caso che conosco per l’area 13:
      chissà perché …..

    • @Sole. Senza alcun spirito polemico e condividendo la lontananza da temi di ricerca tipicamente “aziendali”, ritengo siano almeno una decina le riviste che potrebbero essere sbocco di studi di Scienze Merceologiche. Aprendo a caso un po’ di CV di aspiranti commissari di 13/B5 ne ho trovate 4:
      ANALYTICA CHIMICA ACTA
      JOURNAL OF CHROMATOGRAPHIC
      ANALYTICAL AND BIOANALYTICAL CHEMISTRY
      ANALYTICAL CHEMISTRY

      Mi incuriosiva nella lista la rivista “DRUG DISCOVERY TODAY” e ho visitato la relativa home page. E’ prettamente una rivista ad invito.
      Dal sito: “In general, contributions to Drug Discovery Today are commissioned by the Editors.
      If you would like to submit an article to Drug Discovery Today, please first send us a proposal of your article. Completed articles are not acceptable as proposals. After assessment of the proposal, we will let you know whether we can consider the full article for publication, based on its suitability for inclusion in the journal and scheduling commitments.
      The proposal should be a brief description of the main theme of the article (approx. 100 – 200 words), listing the article type (see below) and possibly some key references. You should also let us know approximately when you would be able to submit the full paper. We will get back to you as soon as possible (normally within 1 week) to let you know if we will be able to consider the full paper.”

    • Caro Lmoschera
      e il EUROPEAN JOURNAL OF PHARMACEUTICAL SCIENCES? e il . JOURNAL OF MEDICINAL CHEMISTRY? e NATURE?

      Ma al di la delle 26 aggiunte da Anvur il vero problema della lista 13 è a mio avviso quello già sopra evidenziato:
      1)l’ANVUR ha integralmente recepito (salvo minimi aggiustamenti) la lista delle riviste selezionate dal GEV 13 e, con tale comportamento, ha fatto propri i criteri di selezione a suo tempo utilizzati dal GEV, tra i quali l’Impact Factor a 5 anni tratto da WoS;
      2)l’ANVUR ha utilizzato una release (la 2010) del Journal Citation Reports (JCR) superata (la release 2011 è disponibile dal 28 giugno 2012: cfr. http://thomsonreuters.com/content/press_room/science/688332);
      3) l’operato dell’Anvur è quindi oggettivamente non legittimo da questo punto di vista.
      Tra l’altro, a quanto mi risulta, sono in fase presentazione almeno altri 3 ricorsi al tar in tema di abilitazioni, dei quali so per certo ch almeno uno solleva, tra gli altri, anche l’aspetto di illegittimità qui evidenziato.

  2. A guardare le liste del macrosettore 10/L1 (anglistica e americanistica) mi viene da ipotizzare che uno dei problemi sia che, avendo fatto riferimento alle riviste su cui risultava che avessero pubblicato i docenti del settore, non è stata presa la decisione presa dall’area 11: che ogni macrosettore inseriva solo le riviste di sua pertinenza, accettando che le pubblicazioni su riviste valutate di classe A per altri macrosettori o aree ‘contassero’ egualmente. Ci si è, così, trovati a inserire anche molte riviste (specie italiane) in cui gli anglisti e americanisti possono avere eccezionalmente pubblicato un articolo (chissà, magari qualcuno ha scritto un articolo su ‘Viaggiatori inglesi in Romania’, che è stato pubblicato su Romània Orientale; o un articolo sugli anglicismi nel francese canadese, che è stato pubblicato su Francofonia). E questo alla fine è andato a discapito di riviste inglesi e americane, anche delle più importanti. Infatti, da quel che ho capito, le riviste di classe A devono essere circa un 20% del totale, le riviste di classe B un 30%, e le riviste di classe C il restante 50% (vi risulta che sia così?). Avevo provveduto a segnalare alcune omissioni rispetto alla lista GEV-10 all’Associazione Italiana Anglistica, a luglio, e mi avevano assicurato che avrebbero segnalato al gruppo di lavoro le riviste mancanti (solo quelle sulle quali avevano pubblicato studiosi italiani inclusi nel database ministeriale, però). Il risultato è stato che una o due riviste da me segnalate sono comparse come classe A, ma altre no (forse hanno scelto quelle su cui avevano pubblicato più spesso ordinari italiani?). Però, rispetto alla lista divulgata dal GEV 10, sono aumentate esponenzialmente le riviste italiane, il che evidentemente avrà costretto gli esperti del Gruppo di Lavoro (si sa chi sono?) a far retrocedere alcune riviste inglesi o americane. Ora, siccome la classe B e C non l’abbiamo ancora, non si può nemmeno esser certi che alcune riviste non siano state semplicemente dimenticate. Inoltre, non abbiamo informazioni circa i criteri con i quali si è fatta la valutazione delle riviste e stilata la ‘graduatoria’ (non sappiamo, appunto, secondo quale criterio Romània orientale e Francofonia sono riviste di classe A per anglistica, mentre non lo sono Textual Practice, http://www.tandfonline.com/toc/rtpr20/current, o English Language and Linguistics: http://journals.cambridge.org/action/displayJournal?jid=ELL). Anche stilare documenti da inviare all’ANVUR — come mi è stato suggerito — è difficile in questa situazione. Che scoramento!

  3. Le copiose e radicali critiche ai principi della normativa sulle abilitazioni ed ai processi della sua attuazione, e la contestuale assenza di proposte alternative, offre una lettura secondo me distorta di quanto avvenuto. È onestamente ed intellettualmente scorretto cimentarsi in un giudizio unico sull’intero lavoro svolto considerando la profonda eterogeneità “in” e “tra” aree. Più circostanziati e per me condivisibili sono le critiche sollevate invece per i singoli aspetti, anche se comportano dei tecnicismi affrontabili solo da esperti di area e sotto-area. Un esempio calzante è quello relativo alle scandalose esclusioni di riviste richiamati in alcuni settori.
    Non condivido che si continui a criticare con scetticismo radicale richiamando, seppur indirettamente, trame e complotti ad opera dell’Anvur per spiegare alcune circostanze (e.g.: la modifica delle mediane) quando in realtà l’inesperienza di alcuni (Gev e Gdl) e l’inefficienza di altri (Cineca) può essere una facile, anche se poco digeribile, spiegazione. Leggo ancora di: critiche al sistema dei ranking dei journal; inefficienza dell’h-index (noto a tutti, anche a chi lo utilizza); distorsioni praticate dalla terza mediana; accuse di analfabetismo scientometrico; interrogazioni sull’esistenza di un altro paese con regole simil-Anvur. A me pare che queste critiche siano fuori tempo massimo e direi quasi off-topic. Il motivo? Le modalità con cui negli ultimi 10 anni, si sono svolti i concorsi in questo paese. Poiché questa accusa potrebbe risultare troppo generica, mi limito a circostanziarla (si fa per dire) ai settori non-bibliometrici di area economica aziendale, ma con facili richiami anche per le aree giuridiche. Poiché Roars è scritto e letto da colleghi, non è il caso di fare troppi esempi. Non mi posso però trattenermi dal raccontare una celebre storiella. Anni fa, con un concorso ai limiti delle legalità, si trasformò ordinario un mio collega. Il concorso fu vinto grazie ad una monografia su cui però cominciarono a circolare le storie più bizzarre in merito alla reputazione ed alla qualità della casa editrice. Si parlò di una tipolitografia di un comune montano dal nome curioso, senza però avere conferma di tutto ciò poiché il collega era un po’, diciamolo, restio alla disclosure del suo cv, ed i commissari piuttosto imbarazzati nel richiamare quell’esperienza. Ora, avendo questo collega fatto domanda per commissario (proprio così), si è potuti risalire a due considerazioni: la tipolitografia risiede in una frazione di un comune pedemontano, e non montano; il collega da allora è rimasto fermo con i lavori (a parte una serie di atti di convegno sempre sullo stesso tema, scritto a 6 mani) ma si sentiva in diritto di GIUDICARE i candidati.
    Sarà un esempio limite ma, se così non è, mi chiedo come sia possibile sollevare ancora delle critiche (peraltro notissime in letteratura, ai limiti del desueto) ai sistemi di journal ranking, h-index etc., al caso Italiano (la cui distanza geo-culturale dall’Australia credo sia notevole)? Con un po’ di sano pragmatismo, credo che il journal ranking, per l’Italia, sia una buona “pratica”….; poi è chiaro che anche a me piacerebbe essere “misurato” per il contenuto e non per il contenitore, peccato che questa sia però una proposta fantasiosa e risibile nell’ambito di un programma di abilitazione nazionale (quanti commissari ci vorrebbero? Quanto denaro? Quante decadi?). Cosa più giusta è invece criticare, anche duramente, l’esclusione o l’inclusione scandalose di riviste in fascia A. Si potrebbe suggerire un post specifico con taglio cinefilo: Alla ricerca della rivista perduta.
    Nell’area non bibliometrica l’adozione per la prima volta, di un metodo puntellato di qualche elemento di oggettività (si, ho scritto proprio così: oggettività), veniva vista come una ventata (per alcuni) o spiffero (per altri) di buona pratica amministrativa. Personalmente sono rimasto deluso dalla bassezza dei valori mediani. Mi sono chiesto cosa si sarebbe dovuto fare per correggere verso l’alto questi valori. Al di la dell’invio dell’Arma dei Carabinieri negli uffici e nelle residenze delle decine di migliaia di strutturati con un mandato di perquisizione sulle pubblicazioni, non credo ci fosse altro modo per capire quante pubblicazioni ha all’attivo un docente oltre a cineca e altre banche (la popolazione dei siti Cineca non poteva quindi che essere volontaristica, ogni critica è pretestuosa). Cosa migliore sarebbe invece stata quella di preferire la media alla mediana. Quella si che sarebbe stata selettiva (certamente in area 13).

    • Siamo sempre in attesa di un esempio sul pianeta Terra di un sistema di reclutamento simile a quello qui implementato. Sarà un caso che nessuno lo abbia mai fatto? Per quanto riguarda la “contestuale assenza di alternative” si può rimandare a qualiasi altro sistema adottato.

    • “Non condivido che si continui a criticare con scetticismo radicale richiamando, seppur indirettamente, trame e complotti ad opera dell’Anvur per spiegare alcune circostanze (e.g.: la modifica delle mediane) quando in realtà l’inesperienza di alcuni (Gev e Gdl) e l’inefficienza di altri (Cineca) può essere una facile, anche se poco digeribile, spiegazione. ”

      Non prendiamoci in giro. Le mediane devono essere calcolate con una formula matematica applicata a dati estratti dal CINECA. Non esiste nessuna formula che può far salire solo i settori bibliometrici mentre gli altri vanno nella direzione opposta. Non potete raccontarlo ad un ingegnere elettronico che insegna analisi dei dati. È successo qualcos’altro. È stata cambiata la base dei dati oppure sono state usate due (o più) formule oppure qualcosa che non sappiamo. La giustificazione ufficiale è un’offesa all’intelligenza degli accademici italiani. Evocare complotti e trame per non rispondere a domande precise è un espediente ancora più offensivo. La si può far bere all’uomo della strada, ma non a migliaia di ricercatori delle scienze dure. La matematica non è un’opinione.

      “A me pare che queste critiche siano fuori tempo massimo e direi quasi off-topic. Il motivo? Le modalità con cui negli ultimi 10 anni, si sono svolti i concorsi in questo paese.”

      Questo è il cosiddetto argomento emergenziale. Quando non si hanno più argomenti per difendere scelte prive di basi scientifiche e riscontri internazionali, si invoca l’eccezionalità del caso italiano che richiederebbe cure mai applicate altrove ed anzi ritenute pericolose se non chiaramente dannose. Un po’ come se un paziente venisse sottratto ai medici e curato con le pozioni dei guaritori. Meglio la pozione che niente, si dirà. Ma per un malato non è meglio affidarsi ad un medico che prescriva farmaci scientificamente testati? Chi sarebbe così sprovveduto da ingurgitare, primo al mondo, degli intrugli miracolosi preparati da guaritori che se ne infischiano degli avvertimenti della scienza medica e farmacologica? Senza voler negare i problemi dei concorsi italiani, se la visione del tutto catastrofica di alcuni fosse vera, non si spiegherebbe il fatto che nei settori bibliometrici, la produttività italiana è superiore a quella di Germania, Francia e Giappone, come illustrato sotto. Una ragione in più per adottare un approccio scientifico e non affidarsi alle pozioni miracolose.


    • da medico, posso confermare che esistono situazioni in cui i procedimenti conosciuti o “evidence based” non hanno nessuna speranza di successo e l’unica possibilità è provare ad inventare qualcosa di nuovo o tentare qualche procedura disperata, tipo il precordial thump. Da un lato, questo non ha nulla a che fare con pozioni magiche e guaritori, dall’altro sfido chiunque a smentire che l’Università Italiana non si trovasse in una situazione ben più che disperata.
      V.

    • “sfido chiunque a smentire che l’Università Italiana non si trovasse in una situazione ben più che disperata.”

      I dati smentiscono. A livello aggregato (un ambito in cui, a differenza del livello individuale, le misure bibliometriche sono statisticamente valide) i dati mostrano che *non* esiste un’anomalia italiana Basta leggere le statistiche di SCImago (http://www.scimagojr.com/countryrank.php?area=0&category=0&region=all&year=all&order=ci&min=0&min_type=it) o i grafici che ho riportato più sopra. Dal punto di vista della produzione/produttività bibliometrica, la situazione è tutt’altro che disperata (Quanta ricerca produce l’Italia: risposta a Bisin, https://www.roars.it/?p=8305). Piuttosto, è disperata la situazione del finanziamento, del rapporto docenti/studenti e della percentuale di laureati (Università: cosa dice l’OCSE dell’Italia? https://www.roars.it/?p=536)

    • da questo punto di vista mi sembra che vi mettete le mani davanti gli occhi per non vedere. Non contesto assolutamente il contenuto dei riferimenti citati nel commento. C’è nell’Università italiana una quantità di corruzione, malaffare, nepotismo, baronaggio che va al di là dei prodotti di ricerca. Questo è il vero ed unico motivo che rende dal mio punto di vista accettabile (rospo ingoiabile!) un sistema automatico come quello in essere.
      Un saluto,
      V.

    • “nell’Università italiana una quantità di corruzione, malaffare, nepotismo, baronaggio che va al di là dei prodotti di ricerca”

      Se ciò non trova riscontro nei dati bibliometrici di produzione e produttività scientifica, potrebbe essere necessario elaborare una visione più equilibrata della situazione. Senza voler idealizzare niente, dipingere il mio dipartimento (ma anche molti altri) come un regno di corruzione, malaffare, nepotismo, baronaggio sarebbe caricaturale. L’università italiana non è l’impero del male e nemmeno (come ovvio) un regno di specchiata virtù e dedizione. Estremizzare aiuta ad eludere la fatica di capire, quantificare e interpretare. Abbiamo bisogno di analisi basate sull’evidenza sia nazionale che internazionale. A fronte di un quadro di produttività scientifica in linea o meglio di altre grandi nazioni (Francia, Germania, USA, Giappone), non sembra proprio il caso di ingoiare rospi cucinati da cuochi dilettanti. Nessuno curerebbe la propria salute con la stessa superficialità con cui si difendono riforme universitarie prive di basi scientifiche e precedenti internazionali. Quando facciamo ricerca siamo abituati a documentare le nostre affermazioni. Per risolvere una questione complessa come quella del reclutamento, invece, siamo pronti a prescrivere rimedi rifiutati dal resto del mondo affidandoci a chi non maneggia con disinvoltura i dati diagnostici (per fare un esempio, Sergio Benedetto, coordinatore della VQR era convinto che la qualità della produzione scientifica delle università italiane fosse distribuita come quella mondiale, mentre in realtà la quasi totalità dei nostri atenei ha un “Normalized Impact” sopra la media mondiale, https://www.roars.it/?p=4391). Per un paziente che ci è caro, di solito esigiamo analisi accurate, medici competenti e rimedi collaudati.

    • Non ho dubbi che ci siano casi come quello che lei descrive. Ma credo che sia un po’ avventato generalizzare a partire da una storiella, per giunta raccontata da uno che non si firma. Per il resto che vuole che le dica? Non capisco che nesso ci sia tra la distanza geo-culturale tra Italia e l’Australia e gli argomenti di De Nicolao. La questione non è che dobbiamo fare come in Australia. La questione è che gli australiani hanno adottato una modalità di valutazione della ricerca che nessuno usava e poi hanno capito che si erano sbagliati. In quanto all’oggettività, se le fa piacere usi pure questa parola. Si figuri se qualcuno glielo vuole impedire. Ciascuno è responsabile delle parole che usa.

    • «…poi è chiaro che anche a me piacerebbe essere “misurato” per il contenuto e non per il contenitore, peccato che questa sia però una proposta fantasiosa e risibile nell’ambito di un programma di abilitazione nazionale (quanti commissari ci vorrebbero? Quanto denaro? Quante decadi?)». Dunque si sta ammettendo implicitamente che di fatto le commissioni che giudicheranno i candidati che hanno passato le mediane (il cui numero sarà comunque altissimo) in poco più di un mese (il tempo che resta loro – sono sei mesi dal bando) non avranno il tempo di leggere e giudicare nel merito i candidati. Che faranno allora queste commissioni? Abiliteranno in base alle ‘segnalazioni’? Abiliteranno tutti indiscriminatamente? Useranno i bussolotti?

    • Non cado nella trappola. E’ purtroppo probabile che sia così e questo mi duole. Chiediamoci però se esiste un metodo migliore di abilitazione nazionale, praticabile ed applicabile anche alle scienze non dure. Ho già scritto sulla impraticabilità di una peer review di massa. Escludiamo il metodo della chiamata libera e responsabile degli atenei (perchè la condivido).

  4. De Nicolao, Baccini, Sylos Labini, siete persone che stimo davvero.
    Qualcuno di voi potrebbe dirmi in modo semplice e sintetico come si potrebbero scegliere i commissari per l’abilitazione nazionale? O meglio: che proposte migliorative ci potrebbero essere una volta che la procedura attuale verrà massacrata dai ricorsi? Facciamo una lista unica di ordinari, ricercatori, associati e precari e sorteggiamo?

    • Ecco una proposta by A. Baccini

      1. Introdurre una soglia minima di produttività (lasciando da parte le citazioni) come condizione per far parte delle commissioni. [Alcuni esercizi svolti per gli economisti mostrano che l’adozione delle soglie indicate dal CUN (calcolate su una database bibliografico internazionale) sono molto più restrittive del criterio della mediana. http://mpra.ub.uni-muenchen.de/38872/ ]
      2. Le commissioni sono informate delle performance citazionali dei candidati (numero di pubblicazioni, IF, H-index o qualsiasi cosa si ritenesse opportuna); i dati citazionali dei candidati sono resi pubblici;
      3. le commissioni fanno il loro lavoro, usando come ritengono tutte le informazioni a loro disposizione, e decidono gli abilitati.
      Trasparenza e responsabilità.

      Siamo invece al balletto delle mediane ed ai giochi di prestigio (l’età accademica che diventa h-contemporaneo etc.etc.). Dall’arbitrio baronale all’arbitrio di chi definisce soglie, indicatori e quant’altro. Senza nessuna trasparenza e senza nessuna responsabilità.

      (Alberto Baccini, https://www.roars.it/?p=10504#comment-1586)

    • sottoscrivo ed aggiungo che il “modello francese” a me sembra ragionevole. Abilitazione ragionevole (che si chiama qualification) per mettere un filtro minimo: ogni candidato invia il suo CV e 5 pubblicazioni a due referees scelti centralmente e questi leggono e scremano per togliere il non ragionevole. il passo successivo è una decisione più o meno colleggiale del laboratorio che ha bandito un posto che ha l’interesse di (1) assumere qualcuno per una determinata posizione che è utile in quel momento (2) migliorare le sue performaces e (3) non prendere uno del proprio lab (non è vietato a volte succede ma quando succede la cosa non passa inosservata). In altre parole, come dice De Nicolao, associare le scelte alla responsabilità di averle fatte, ovvero tutto il contrario di un sistema in cui un entità astratta mette un bollino blu e poi ognuno fa quello che gli pare. Comunque bisogna studiare bene quello che avviene in altri paesi (europei) e non inventare metodi di valutazione che ci renderanno lo zimbello del mondo.

    • Senza alcuna fastidiosa polemica. Del resto sono un povero ed anonimo ospite di questo sito. Facciamo un patto: io le dico qual è il paese dove esistono regole come quelle stabilite da Anvur quando lei mi definisce in modo sintentico un sistema praticabile con queste caratteristiche:
      1. deve abilitare (o meno) l’oceano di strutturati e aspirtanti tali, di tutti i settori duri e molli di tutti gli atenei italici (65 se ricordo bene).
      2. deve essere esente da critiche ed ingiustizie.
      3. deve essere praticabile entro il 2012.
      4. non deve prevedere l’intervento di corpi di forza armata nazionali o esteri ne per la perquisizione di pubblicazioni ne per la fucilazione degli improduttivi.

      Le anticipo che quel Paese non esiste, e che i processi dell’Anvur potevano essere gestiti meglio.

    • Ma che bel ragionamento ! poiché in nessun paese c’è una situazione emergenziale come in Italia (creata dalla stessa politica che ha creato Anvur) allora introduciamo dei criteri di valutazione mai visti sulla faccia della terra e screditati in ogni altro sistema e chissà che bel risultato ne verrà fuori (entro il 2012 s’intende).

    • “Non deve prevedere l`intervento di corpi di forza armata nazionali o esteri ne per perquisizione di pubblicazioni ne per la fucilazione degli improduttivi”

      Questo si può scrivere solo in un regime dittatoriale, in una democrazia non sarebbe nemmeno possibile pensarlo!

    • Aggiungo che questo è anche il sistema polacco. Non vi sono concorsi periodici. Quando il candidato si sente pronto per la promozione manda il proprio curriculum e la propria monografia sulla quale vuole essere giudicato alla Commissione nazionale per i titoli (formata da esperti in tutte le discipline e che dura un carica mi pare 5 anni). Questa nomina tre ‘recensori’ esperti dello specifico campo di indagine (non genericamente un settore disciplinare) i quali stilano un giudizio articolato ed estremamente analitico (ne ho visti parecchi e a volte si tratta di veri e propri saggi di 25-30 pagine). Se il candidato ha due giudizi positivi su tre passa l’abilitazione; se ne ha solo uno, sarà nominato un altro recensore, il cui giudizio sarà dirimente. Tutta la procedura è trasparente, ciascuno può leggere i giudizi che si danno e se un recensore dice che una monografia che fa schifo è un lavoro geniale si sputtana con tutta la comunità scientifica e non avrà affidata alcuna altra recensione. Non mi pare che sia male.

    • No…non credo di aver perso la scommessa. Se posso: come nominiamo i commissari? come la mettiamo se io scrivo su un tema X non noto o gradito (capita anche questo) a nessuno dei commissari benchè abbia superato il vaglio di agguerriti referees e editors di una rivista Top con quell’argomento?
      In realtà siamo tutti mossi da uno stesso obiettivo, la qualificazione della ricerca e l’innesto di pratiche meritocratiche strutturali. Il mio limite è di essere a volte però troppo realista. Questo non significa che il metodo non esista, mi chiedo solo quale sia il migliore.

    • E cosa dire poi della punizione dei 2 anni di interdizione dalle abilitazioni per chi viene bocciato? Se uno viene escluso perchè non raggiunge una mediana potrebbe farlo forse entro i prossimi 2 anni. Sembra fatto apposta per mettere paura per evitare che qualche candidato che si sente di potersi sottoporre ad una valutazione si scoraggi e si ritiri. E cosa potrebbe accadere ai bocciati se l’anno prossimo ci saranno nuove regole? Si riammettono o stanno in castigo. Perchè con la scusa di lasciare fuori gli improduttivi si cacciano i ricercatori indipendenti?

    • “i1. Introdurre una soglia minima di produttività ”
      Ok. Per i non bibliometrici è stata scelta le mediana. Deduco quindi che si sarebbe preferito un sistema più selettivo. Occorreva scegliere la media? il primo quartile? Siamo sicuri che sarebbe stata una scelta più oggettiva?

      “. Le commissioni sono informate delle performance citazionali dei candidati (numero di pubblicazioni, IF, H-index o qualsiasi cosa si ritenesse opportuna); i dati citazionali dei candidati sono resi pubblici”
      Beh! allora mi ricredo. Sarò stato poco attento, ma avevo capito che per molti, quelli delle scienze non dure, l’h di H-index stava per Hellish.

      Riguardo al punto 3, mi pare un principio in linea con quello che avviene adesso e fino ad adesso, almeno sotto il profilo formale.

      Riguardo alla trasparenza sono d’accordo con il suo inaccettabile livello. Purtroppo, soffrendo di una inguaribile inclinazione a fare i confronti con il passato, mi pare che la trasparenza non sia peggiorata (perchè prima era bassa)…anzi, quasi quasi è migliorata (il caso dei cv in rete).

    • Scusate, ma a parte il primo punto che ormai è fatto – e non credo che ci siano delle gravi ingiustizie nel permettere o meno a dei PO di far parte di una commissione – gli altri due punti possono essere ancora messi in pratica con il sistema attuale.
      L’ANVUR ha detto che non superare i parametri non preclude la possibilità di partecipare all’abilitazione. Giusto? Quindi è come se “Le commissioni sono informate delle performance citazionali dei candidati”.
      Il decreto prevede che le commissioni possono discostarsi dai parametri ANVUR. Giusto? Quindi “le commissioni fanno il loro lavoro, usando come ritengono tutte le informazioni a loro disposizione, e decidono gli abilitati.”
      Ovviamente tutto dipende se le commssioni avranno il coraggio di fare ciò. Oppure se semplicemente senza guardare nessuno in faccia abilitano tutti, senza nemmeno guardare l’ordine dei nomi nei lavori presentati per la valutazione (per i SSD dove questo è importante).

    • “Il decreto prevede che le commissioni possono discostarsi dai parametri ANVUR. Giusto?”

      Non è chiaro. C’è una richiesta di interpretazione autentica rivolta dal CUN al ministro. E in ogni caso è a discrezione delle commissioni. In un settore in cui ci sono gruppi che pubblicano molto in collaborazione i commissari saranno i “capi” di questi gruppi ed avranno la possibilità di liquidare rapidamente i battitori liberi che pubblicano da soli o in piccoli gruppi. Basterà non discostarsi dai parametri ANVUR. Asettico e indolore.

      Il problema dei commissari sfugge ai più. Non è il problema di commiserare il povero barone trombato (sono d’accordo che può vivere lo stesso). È il problema di commissioni sbilanciate a favore di certe scuole scientifiche. Se in una sede ci sono ricercatori di più scuole scientifiche, entrare nella commissione nazionale e non abilitare i concorrenti è un buon modo di portarsi avanti nella successiva lotta per conquistare le risorse locali.

      I semafori rossi sparati a vanvera hanno liquidato un bel po’ di potenziali commissari. Per non farsi impressionare da un semaforo rosso solo temporaneo (e qui mi riferisco essenzialmente ai settori non bibliometrici dove tra liste di riviste mancanti e database CINECA che “grida vendetta al cielo” per dirla con Graziosi c’è stata una pioggia di rossi fasulli) bisognava avere qualche rassicurazione da chi sta capendo meglio che diavolo sta accadendo. Di nuovo, i cani sciolti hanno gettato la spugna e sono rimasti in giro quelli più organizzati.

    • sono assolutamente d’accordo sul problema “commissari” e “scuole/correnti”. e, da non strutturata, mi pare davvero il pericolo (ormai certezza) più grave.

    • Il punto 1, per i non bibliometrici, è messo in pratica con la mediana. Si poteva decidere per la media e per il primo quartile se vogliamo, bene; ma in questo caso le critiche sarebbero esplose a dismisura.
      Riguardo al punto 2, devo allora ricredermi. Avevo capito che per i non bibliometrici l’H dell’H-index signifcasse Hell e non Hirsh (del resto li si è voluti considerare non bibliometrici).
      Riguardo al punto 3, mi pare un criterio rispettato ora ed anche prima, sotto il profilo formale.
      In tema di trasparenza ammetto che sia molto deludente, se si ragiona in termini assoluti. Soffrendo però di una inguaribile propensione a fare i confronti con il passato, mi pare che la trasparenza sia addirittura migliorata considerando la sindacabilità a cui è esposta Anvur e altri piccoli aspetti (e.g. i cv in rete).
      Forse, il problema, qui mai toccato, sta nell’ eccessiva (e sana) eterogeneità tra settori e nell’impossibilità di implementare un sistema di abilitazione nazionale perfetto e privo di ingiustizie (certo, occorrerebbe minimizzarle) e da processare in tempi umani.

    • “Il punto 1, per i non bibliometrici, è messo in pratica con la mediana. Si poteva decidere per la media e per il primo quartile se vogliamo, bene”

      La mediana o qualsiasi quartile di una misura inadeguata rimane un criterio inadeguato. Qui siamo alle ali di pipistrello. Se uno ha la polmonite va dal medico. Se invece deve riformare il reclutamento universitario si dedica al fai-da-te bibliometrico. Per qualche strana ragione su questi argomenti pare che valga una deroga rispetto ai criteri scientifici e ai confronti internazionali.

  5. Ho letto i vostri commenti di cui vi ringrazio.
    Per quanto riguarda la scelta dei commissari (ripeto COMMISSARI e non abilitati), alla luce dei commenti di cui sopra, mi sembra che il modello ANVUR sia al momento l’approssimazione migliore disponibile per la realtà italiana, almeno per alcuni settori.
    Secondo De Nicolao-Baccini, l’unico che ha provato a dare una risposta alla domanda su come SCEGLIERE I COMMISSARI, bisognerebbe mettere dei criteri minimi (bibliometrici allora??) che non tengano conto delle citazioni. Almeno nei settori Fisica-Chimica le citazioni sono fondamentali per distinguere la cartaccia da ricerca che abbia un minimo di impatto. Certo: le autocitazioni sono un problema. Su Scopus è facile eliminarle in modo automatico per ciascun articolo, su ISI no. Introdurre dei criteri minimi senza le citazioni vorrebbe dire in pratica “todos commissarios”. La scelta dei commissari con criteri il più possibile rigorosi è fondamentale per avere un minimo di credibilità nel processo di abilitazione, al netto di probabili ricorsi. Invito ciascuno a valutare chi sono i possibili commissari del proprio settore, e valutare chi sarà escluso e chi entrerà nel sorteggio tramite Scopus. Ovviamente, questa può essere solo una stima, ma chi passa i criteri con Scopus è per definizione dentro. Per la realtà che posso vedere io e quindi limitata, a me non sembra che vengano esclusi luminari. Francesco Sylos Labini, rispondendo con la massima onestà intellettuale, vedi inclusioni o esclusioni scandalose tra i commissari di Fisica?? La zona grigia, non è poi così estesa come sembra. Piuttosto mi sembra che I criteri potrebbero essere più restrittivi. Questa almeno è la mia visione.
    Per quanto riguarda la mancanza di trasparenza dap arte dell’ANVUR, concordo in pieno con ROARS.

    • A parte le questioni tecniche, pur importanti, non credo che esistano procedure di reclutamento basate sulla sfiducia totale che abbia qualche possibilità concreta di rendere virtuoso il sistema mediante indicatori numerici. Anche l’idea che chi ha numeri migliori (h-index e simili) sia per questo sempre eticamente affidabile non è scontata. In alcuni commentatori si intravvede l’idea (l’illusione dovrei dire) di poter “risanare” ambienti “corrotti” mediante un intervento normativo esterno. E per superare il problema della mancanza di competenza del decisore esterno (che non sa nulla, per es., di fisica nucleare) ci si affida alla bacchetta magica della bibliometria che permetterebbe di riconoscere i migliori in base a pochi numeri magici. Una specie di “pensiero magico” conforme al desiderio di trovare una soluzione semplice ad un problema complesso.

      Costruire il contesto atto a preservare, costruire o ricostruire delle comunità scientifiche capaci di elaborare e trasmettere conoscenza non è opera che si riduca ad alchimie bibliometriche. Una cultura della trasparenza e della democrazia a ogni livello vale mille volte di più di tutte le mediane ANVUR. L’incentivazione all’aggiramento delle regole numeriche aggrava la corruzione del sistema. Se ci vogliono citazioni, i soliti furbi troveranno il modo di procurarsele e promuoveranno i loro allievi furbetti. A pagarla sarà chi si ostina a lavorare da solo e senza scambiare citazioni reciproche con gli amichetti di cordata. Se ci vogliono articoli in classe A, si troverà il modo di garantirli a se stessi e ai propri pupilli.

      Non sarà un numero a salvarci, ma il coraggio di dire di no mettendoci la faccia e rischiando la carriera, se necessario.
      Conservo il ricordo di colleghi che, da professori associati, nelle commissioni di concorso votavano secondo coscienza senza curarsi delle pressioni e delle conseguenze. Se la situazione dell’accademia italiana non è quel cumulo di rovine che si vuol far credere lo dobbiamo anche a colleghi come loro. Troppi si lamentano in privato, ma si prostrano in pubblico.

      Inutile chiedere agli h-index il coraggio e la dignità che non sappiamo darci da soli. Cosa aveva scritto Baccini? Trasparenza e responsabilità. Non esistono scorciatoie. Senza il coraggio e la pratica della libertà non andremo da nessuna parte.

    • Il però problema è architettonico: tutto l’impianto dell’Anvur è sbagliato e da un impianto sbagliato non può che derivare, nel migliore dei casi, un pasticcio senza eguali e nel peggiore (come sembra a me il caso) una pericolosa intromissione sulla libertà di ricerca – anche in fisica e figuriamoci, ad esempio, in economia in cui i Gev sono quasi tutti coautori.

      Il punto è semplice: in nessun paese al mondo un sistema tanto assurdo quanto ridicolo è stato adottato ed i motivi per cui questo non è successo non sono casuali.

  6. Cari De Nicolao e Sylos Labini,
    Penso che abbiate a cuore le sorti dell’università Italiana e ritengo che ROARS sia uno strumento meraviglioso di dibattito e confronto.
    Chiariamo subito una cosa: l’architettura della cosidetta “riforma dell’università” non la condivido affatto, e ho cercato in tutti i modi di contrastarla. A differenza di Giorgio Israel, ero sul tetto di Architettura cercando di evitare che questa legge fosse approvata con danni enormi per l’accademia italiana.

    Detto questo, penso che in questo impianto qualcosa di buono, da salvare e correggibile ci sia.

    Che ci siano bravi scienziati in Italia è innegabile e motivo di esserne tutti orgogliosi, ma le regole del reclutamento prima, con concorsi locali nei quali vinceva sistematicamente il candidato locale, e commissioni da ricercatore nelle quali il vincitore era sistematicamente un allievo del presidente avevano qualcosa di sbagliato. Come verifica, se prendiamo dal sito del MIUR I nomi dei presidenti di commissione e I vincitori, e eseguiamo una ricerca Scopus, troviamo una serie di articoli in comune, prima e sopratutto DOPO il concorso. Questo è un comportamento eticamente inaccettabile, che stiamo pagando a caro prezzo. Nel ERC-StG, (www.erc.europa.eu) che è uno dei finanziamenti europei più prestigiosi, l’accademia Italiana è sempre stata massacrata e quest’anno non è un’eccezione. Se vediamo le statistiche, quest’anno. Fa davvero male vedere che le istituzioni italiane abbiano preso solo 24 grant, contro i 23 di Israele (7 milioni di abilitanti), i 51 dell’Olanda (15 milioni), i 13 della Danimarca (5 milioni), I 22 della Svezia (7 milioni) e I 131 grant del regno unito. Fa anche male, e tanto sapere che i vincitori di nazionalità italiana sono 42, e solo 24 da istituzioni italiane… (http://erc.europa.eu/sites/default/files/document/file/erc_2012_stg_statistics.pdf)
    Complessivamente, per il sistema ERC L’italia mette circa un miliardo di fondi pubblici e ne porta a casa circa il 45%.
    Insomma, regaliamo 500 milioni di soldi per la ricerca a paesi che di soldi ne hanno tantissimi!!!

    Con la massima onestà intellettuale, il sistema di reclutamento accademico italiano negli ultimi 15 anni qualche problema lo ha avuto. Il sistema proposto adesso, ora che lo stiamo vedendo, ha sicuramente falle enormi, ma anche aspetti migliorativi rispetto al passato. In mia opinione, il sistema di certificazione/conteggio delle pubblicazioni, la selezione dei commissari sono tra le cose che salverei.

    Ho refereato personalmente qualche centinaio di articoli scientifici, La cosa più difficile è stata rigettare articoli di amici che stimo e accettare articoli scritti bene di persone che non stimo. In conscenza, penso di aver sempre giudicato sui contenuti e mai sulle persone. Questo però, è il lavoro di uno scienziato, che non è facile. Con lo stesso spirito cerco di leggere e vedere come il sistema ANVUR abbia effettivamente migliorie rispetto al passato. E questo dovremmo fare tutti, al netto delle critiche….

    • “le regole del reclutamento prima, con concorsi locali nei quali vinceva sistematicamente il candidato locale, e commissioni da ricercatore nelle quali il vincitore era sistematicamente un allievo del presidente avevano qualcosa di sbagliato.”

      Sono perfettamente d’accordo al punto da aver condotto battaglie all’interno del mio SSD per cercare di contenere i danni di una legge deleteria. L’abilitazione nazionale è molto meglio, ma non va realizzata con criteri “vogoniani” e deresponsabilizzanti.

      “Nel ERC-StG, (www.erc.europa.eu) che è uno dei finanziamenti europei più prestigiosi, l’accademia Italiana è sempre stata massacrata e quest’anno non è un’eccezione. Se vediamo le statistiche, quest’anno. Fa davvero male vedere che le istituzioni italiane abbiano preso solo 24 grant, contro i 23 di Israele (7 milioni di abilitanti), i 51 dell’Olanda (15 milioni), i 13 della Danimarca (5 milioni), I 22 della Svezia (7 milioni) e I 131 grant del regno unito.”

      È vero: fa male ed è bene capire le ragioni. Senza pretese di risposte definitive, questo grafico fa vedere che ci manca persino la truppa (cliccare per ingrandire):


      E questo che alla truppa mancano i mezzi:


      Verrebbe da dire che lo schema è quello della campagna di Russia, con le truppe prive di equipaggiamento invernale, oppure quello di Caporetto con la truppa decimata per coprire le colpe dei generali. Se non fosse che in questo caso sarebbe del tutto ingeneroso parlare di una Caporetto. Basta guardare i confronti internazionali (% di produzione scientifica mondiale, in marrone, e % nel proprio continente, in verde – dati Scopus elaborati da SCImago):


    • Analisi condivisibilissima.
      L’ultimo ERC è stata una caporetto anche personale.
      in almeno 5 italiani nel nostro panel ERC siamo finiti nel miglior 30%, che non è poco..) ma nessuno alla fine ce la ha fatta. Sigh

    • Non ho capito ne’ cosa sarebbe il qualcosa di buono nell’impianto della legge Gelmini e ne’ in che senso il sistema Anvur sia migliore rispetto al passato. Il punto non e’ SE essere favorevoli o contrari alla valutazione quanto piuttosto COME si valuta e soprattutto come responsabilizzare le scelte. Noto che anche prima di Anvur si veniva valutati e ad esempio nel mio campo degli scandali eclatanti non si ricordano (ma in altri si’ e non mi sembra che questo sia corretto da mediane che rasentano lo zero).

  7. Almeno due aspetti condivisibili nella riforma Gelmini ci sono.

    1) età di pensionamento di tutti I docenti massimo 70 anni. Se fosse stata 65, come da emendamento presentato dal PD, fatto proprio dal ministro Gelmini e quindi “ovviamente” bocciato, sarebbe stato meglio, ma accontentiamoci. Età di pensionamento di 72 anni indiscriminatamente per tutti era qualcosa senza euguali nel mondo.

    2) Mi ripeto: il sitema di reclutamento dei commissari meglio di quello precedente. Inoltre, dato che le commissioni sembra avranno la possibilità di derogare agli indicatori, non è un aspetto piccolo.

    Ma lo ricordiamo come erano selezionati i commissari ad esempio nel 2007?? Quello era un sistema che non aveva euguali nel mondo, e altro che ali di pipistrello e guaritori improvvisati…
    Il Dipartimento sceglieva un membro interno, che di fatto in seguito ad accordi del settore aveva già deciso il vincitore del concorso. Poi, si procedeva ad elezioni ridicole, nelle quali giravano le liste di commissari autocandidatisi dopo un giro di telefonate, e I risultati erano del tipo Marini Federico 60 voti, Marino Franco 2 voti (qualcuno aveva confuso I cognomi!!) e tutti gli altri zero…
    Poi, la ciliegina sulla torta. Uno o due idonei… l’idoneità di fatto era una promozione ope legis…questo ad esempio è il meccanismo per cui Michel Martone idoneo a Siena a 29 anni è stato chiamato come professore ordinario a Teramo…
    Dal 2008 si è passato per gli scarsissimi concorsi ad una elezione farlocca (bastava che un commissario si autovotasse e veniva eletto) e sorteggio dei soli ordinari…

    La modifica che adesso è implementata (al netto dei ricorsi) è che vi sarà una scrematura dei commissari sulla base dei dati bibliometrici, non normalizzati per fortuna, evitando almeno in questo caso l’assurdità dell’età accademica.
    Dopodichè non vi sarà una graduatoria, ma un sorteggio… il sistema dei semafori serve ad eliminare in fondo solo i candidati commissari davvero impresentabili DAL SORTEGGIO. Si tratta in fondo solo di passare delle soglie che un significato lo hanno davvero.

    Una commissione Nazionale potrà decidere se abilitare I candidate o meno e poi si ritornerà al concorso locale, con tutti I suoi difetti, ma almeno I candidati abilitandi impresentabili saranno esclusi (speriamo!!).
    E’ un sistema perfetto? Assolutamente no
    E’ Un sistema migliorabilie: Assolutamente si
    E’ una miglioria rispetto al passato? Per me si, voi cosa ne dite? Possiamo raggiungere un accordo almeno su questo punto?? Anche Marco Travaglio Riconosce al governo Berlusconi ilmerito di aver introdotto la legge antifumo nel 2003… Francesco Sylos Labini, possiamo considerare I due punti esposti sopra la “legge antifumo” della Legge Gelmini??

    • “il sitema di reclutamento dei commissari meglio di quello precedente.”

      Beh, peggio del sistema elettorale ai tempi dei concorsi locali c’era ben poco. Però questo nuovo sistema spazza via dalle commissioni interi ex-SSD (per questioni di disuniformità bibliometrica) e introduce distorsioni durevoli nei comportamenti di cui pagheremo il prezzo per lungo tempo. Il coautoraggio “di cortesia” e gli scambi di citazioni per iniziare, incentivati dagli stessi PO che hanno bisogno di un’equipaggio che remi per loro. Le mediane di certi settori non sono umanamente raggiungibili senza una squadra che lavori per te. E se vuoi una squadra devi anche ricompensarne i membri. I coautoraggi di cortesia portano in alto il PO (che entra nel club dei sorteggiabili) ed anche tutti i giovani in carriera. Le “strane” normalizzazioni per l’età accademica permettono ai rematori di equipaggi numerosi di scavalcare cani sciolti e battitori liberi che pubblicano a primo nome e che hanno uno po’ di carriera sulle spalle: per loro la corsa è ormai finita per sempre. Si apre la nuova era dei “bibliometricamente furbi”. Con il vantaggio che i numerini permettono di consumare delitti perfetti. Elimino il ricercatore autonomo che scrive come primo o unico autore e promuovo il ragazzo di bottega il cui nome è infilato, insieme a quello di tanti altri rematori (o non rematori). Ma non ci sarà nessuno scandalo perchè l’eliminazione del battitore libero era addirittura “bibliometricamente dovuta”. In alcuni settori, l’impressione iniziale sarà persino buona. Se c’è una correlazione tra indici bibliometrici e statura scientifica la qualità dei sorteggiabili sarà indubbiamente migliore di certe commissioni del passato. E tuttavia, nei laboratori di ricerca sono già iniziate le strategie opportunistiche per carrozzare di papers e citazioni i futuri aspiranti commissari e candidati. Stiamo insegnando ai futuri professori che la ricerca è una collezione di figurine (papers, citazioni, indici h più o meno esotici) e che l’unica cosa che conta è averne di più, con ogni mezzo.

      E inoltre, come osservato acutamente, rimane intatto il problema dei concorsi locali.

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