Segnaliamo ai lettori la presa di posizione del Coordinamento Universitario Link, a proposito del recentemente concluso esercizio di valutazione nazionale. Segue il testo.

Dall’uscita dei risultati dell’ultima VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca) si è sollevato il solito polverone di commenti, trasversali alle componenti accademiche, tra campanilismi e manifestazioni di orgoglio per gli ottimi risultati ottenuti dal proprio ateneo o dipartimento e azzardate analisi sull’andamento del sistema universitario.

Non ci uniremo al coro, non ci interessa il contenuto delle tabelle pubblicate dall’ANVUR né commentarlo. Ecco perché:

1) La qualità della ricerca non esiste di per sé, né è definibile univocamente: la produzione e la trasmissione dei saperi è un processo complesso, non lineare, non individuale; la ricerca non può essere isolata come il frutto del lavoro di un singolo ricercatore, né può essere identificata con il singolo “prodotto di ricerca”, sia esso un saggio, un articolo o un paper, non può essere sconnessa con la didattica, la condivisione e il confronto interno alla comunità accademica né con le relazioni che intercorrono tra società e sistema produttivo e luoghi del sapere. La ricerca non procede solo attraverso “i prodotti”, ma attraverso infinite sfilze di errori, esperimenti e esperienze “non produttive”, stalli.

2) La ricerca, così come la didattica, non è un procedimento competitivo, un risultato conseguito è sempre frutto di ispirazioni ricevute, ricerche ed esperimenti antecedenti (“nani sulle spalle dei giganti”, ricordate?), ogni tentativo di avanzamento in un campo di ricerca sarà probabilmente la base per risultati futuri da parte di altri ricercatori, la ricerca è un processo cooperativo e collettivo. Valutarla e stilare classifiche, non solo è un esercizio privo di significato, ma rischia di inceppare la cooperazione e la condivisione di informazioni necessaria per il suo sviluppo.

3) Vista la complessità dei processi di ricerca, non solo l’utilizzo di criteri quantitativi per descriverla è discutibile, ma il fine stesso di quantificarla, di misurarne i prodotti, è utopico (o meglio, distopico). La raccolta di dati su larga scala può essere uno strumento utile per individuare i fenomeni e indirizzare le politiche pubbliche, senza la pretesa di poter fotografare l’intero sistema della ricerca universitaria.

4) Non potendo quantificare la qualità della ricerca non ha significato stabilire un ordine tra i diversi prodotti di ricerca o peggio tra ricercatori e ricercatrici o tra strutture di ricerca. Non esistono ricerche o strutture univocamente migliori o peggiori di altre, qualunque tipo di classifica di questo genere è priva di significato oltre che sbagliata.

5) Anche assumendo, e noi non lo faremo, che i dati considerati possano essere utilizzati per confrontare nel corso del tempo la qualità della ricerca della struttura e valutare eventuali miglioramenti e peggioramenti, questa operazione non è possibile per la VQR poiché i criteri e le scale di valutazione per l’attribuzione dei punteggi alle diverse strutture sono cambiate tra la VQR 2004-11 e quella 2011-2014, che per’altro si riferiscono a periodi non confrontabili tra loro per estensione e condizioni del sistema universitario.

6) Anche assumendo, e noi non lo faremo, che si possa approssimare attraverso indicatori quantitativi il concetto di qualità della ricerca, la metodologia seguita dall’ANVUR, che utilizza a piene mani criteri bibliometrici e ranking delle riviste, è ampiamente contestata da gran parte della comunità accademica. Anche all’interno di questa impostazione comunque gli algoritmi utilizzati dall’ANVUR presentano grossolani errori e enormi lacune per quanto riguarda la trasparenza delle procedure.

7) Anche assumendo, e noi non lo faremo, che si possa approssimare attraverso indicatori quantitativi il concetto di qualità della ricerca e che la metodologia utilizzata sia corretta, non si può trascurare l’enorme disparità di risorse e di strumenti tra le varie strutture della ricerca, la differenza dei tessuti sociali ed economici in cui sono inserite. Queste classifiche non solo non tengono conto di questo fattore, ma avranno come risultato proprio quello di ampliare ulteriormente questa disparità.

8) Un tema così spinoso come quello della rilevazione di dati sull’attività di ricerca e didattica degli atenei, sulla restituzione di queste informazioni alla società e sull’utilizzo di queste per la formulazione di politiche pubbliche andrebbe affrontato con il massimo del coinvolgimento possibile, specificando la non assolutezza dei risultati e permettendo alla comunità accademica tutta di confrontarsi a riguardo e controllare lo sviluppo delle metodologie utilizzate. Non ci sembra che nessuno di questi presupposti possa essere garantito da un’Agenzia governativa, interamente nominata dalle istituzioni politiche e con poteri invasivi e lesivi dell’autonomia degli atenei. Trascurare queste premesse di fronte a un documento pubblicato dall’ANVUR è per noi impossibile.

9) Non si possono trascurare le finalità della Valutazione della Qualità della Ricerca, ovvero la messa in competizione dei ricercatori e delle strutture accademiche per la distribuzione delle risorse del sistema accademico. Accettare i risultati della VQR significa legittimare un sistema che sta conducendo verso una lenta agonia moltissimi atenei, concentrando le risorse in pochi centri e creando enormi disparità tra i diversi settori disciplinari.

10) Ancora più difficile è trascurare l’effetto che la decisione di legare la distribuzione delle risorse alla Valutazione ha avuto sugli attori coinvolti: la ricerca diventa il mezzo per ottenere una valutazione positiva, non più il fine dell’attività degli atenei. Più che valutare una presunta qualità della ricerca, queste classifiche misurano la capacità degli atenei e dei singoli docenti di massimizzare alcuni indicatori del tutto arbitrari.

Rimaniamo sconcertati dalla confusione che la pubblicazione di queste tabelle ha generato nel dibattito pubblico più o meno specialistico. I risultati della VQR, relativi a un periodo di tempo ben definito sono diventati “classifiche degli atenei”, “classifiche dei dipartimenti”, “classifiche dei ricercatori” scambiando una valutazione tutt’altro che oggettiva di un aspetto ben preciso dell’attività delle strutture universitarie per un voto complessivo sulla cui qualità metodologica quasi mai è stata posta l’attenzione.

L’effetto che una pubblicazione di questo genere ha sul dibattito pubblico non può essere trascurata, né possono essere trascurati i danni di un dibattito pubblico “inquinato” sul benessere del sistema universitario, sia per quanto riguarda l’orientamento degli studenti, sia per quanto riguarda la percezione dell’utilità e del ruolo sociale dell’università.

Non vogliamo alimentare un dibattito il cui fine è tutt’altro rispetto a quello di migliorare le nostre università.

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5 Commenti

  1. facciamone un documento da sottoscrivere e mandare al predente della repubblica e cc ministra e gentiloni. Altrimenti resterà una posizione interna. Se è stata ottima la repsa di posizione sull’italiano questa lo sarebbe ancora di più. De Nicolao grazie di esistere :)

  2. … si facciamone “un documento da sottoscrivere e mandare al predente della repubblica e cc ministra e gentiloni” … quale modo migliore per “alimentare un dibattito il cui fine è tutt’altro rispetto a quello di migliorare le nostre università.”?

  3. Se ci riconosciamo, e io mi riconosco, perché non proponiamo una sospensiva e modi più equi di distribuire risorse, anche per quanto riguarda la didattica? Non possiamo solo continuare a parlare e lamentarci.
    L’impressione prevalente è di una politica rozza che sa, però, bene quale è il suo fine: accumulare risorse in certe università, provocando esodi di studenti (quelli che possono) e condannando al silenzio figure di studiosi, non meno entusiasti e preparati, che non soddisfano i criteri individuati dall’ANVUR. Ma da sempre c’è chi lavora sorretto da un gruppo, e chi in solitudine, silenziato e dimenticato (alcune volte da chi ne cita le parole, ma senza dargli alcun credito.
    Aggiungo che alcune regioni sono pesantemente penalizzate in questa che non è corsa verso la conoscenza dal loro isolamento, che ci si propone di rendere più grande: i finanziamenti penalizzano la ricerca, prima, poi diminuiscono le iscrizioni, poi le ricadute positive sul territorio.

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