Testo apparso su dirittifondamentali.it
L’ordinanza cautelare del TAR Abruzzo (sede di Pescara) n. 87 del 2019 che, per l’ennesima volta, riguarda i procedimenti relativi ai concorsi universitari, oggetto ormai di impugnative costanti di fronte al giudice amministrativo, quando non di vere e proprie denunce-querele (che talvolta hanno dato luogo a condanne esemplari delle Commissioni giudicatrici), si segnala per essere il primo provvedimento giurisdizionale che, a un anno dalla sua “emanazione” e diversamente da alcune interpretazioni dottrinali piuttosto “tolleranti”, rendono precettive le disposizioni del Piano Nazionale Anticorruzione (nella parte di aggiornamento che si riferisce all’Università), nonché alle disposizioni contenute nell’Atto d’Indirizzo (emanato ai sensi della Legge 400/1988) del Miur avente il medesimo contenuto.
Il Giudice amministrativo, dunque, ritiene che i contenuti dell’Atto d’Indirizzo, ancorché denominate (in ossequio al principio di autonomia che connota gli Atenei) “raccomandazioni” abbiano portata precettiva e, conseguentemente, alla loro violazione, come accaduto nell’Ateneo resistente, consegua l’illegittimità della procedura. Si tratta di un provvedimento molto coraggioso che è destinato ad avere importanti conseguenze per tutti i futuri concorsi universitari ma, auspicabilmente, anche per quelli in itinere.
Il Piano Nazionale e l’Atto d’indirizzo, infatti, raccomandavano alle Università di modificare i propri regolamenti interni sui concorsi prevedendo che la composizione delle Commissioni giudicatrici avvenisse con criteri più oggettivi e coinvolgendo, in maggioranza, componenti esterni all’Ateneo. A tale raccomandazione (che più correttamente dovrebbe esser definiti prescrizione) non si è adeguata l’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti, che nel concorso oggetto di contenzioso ha inteso applicare le disposizioni non aggiornate dei propri regolamenti (provvedendo, più in particolare, a nominare ben due componenti interni al Dipartimento su tre).
Sulla composizione della Commissione, sia l’Anac, sia il Miur avevano raccomandato (e, in verità continuano a raccomandare), con scarsi o quasi inesistenti esiti, di procedere nel senso indicato; d’altro canto la quasi totalità degli Atenei continuano a ritenere l’Atto d’Indirizzo e il Piano Nazionale Anticorruzione un mero documento amministrativo di difficile collocazione nella gerarchia delle fonti e, conseguentemente, ampiamente derogabile e, soprattutto, non avente contenuti obbligatori. L’ordinanza del TAR che, ovviamente, non ha il carattere della definitività, sembra andare proprio in direzione opposta.
Il testo della sentenza.
Questione davvero di lana caprina a mio avviso. Il problema non è chi è nominato, ma da chi.
Mi sembra interessante che il giudice amministrativo ingiunga la composizione di una commissione di tre membri sorteggiati dal MIUR tra quelli del settore concorsuale che hanno presentato domanda (immagino – e forse era meglio specificare? -, che dopo aver presentato domanda sono risultati sorteggiabili) come membri per la commissione ASN. L’essere sorteggiabili come commissari ASN crea quindi una sorta di albo di commissari per i concorsi. Forse come soluzione pratica non è poi così peregrina. Esclude però la presenza nella commissione di almeno un commissario della sede che bandisce: da troppi “interni” a nessuno? Non so quanto questo sia desiderabile.
Non comprendo tanto entusiasmo per l’Anac e le sue linee guida, di difficile collocazione nelle fonti del diritto, ma sicuramente a tutte sovraordinate. Quanto alla soluzione concreta, direi piuttosto risibile. Chiunque abbia una vaga idea dell’Università sa bene quanto sia difficile trovare tre o cinque commissari esterni, più o meno presentabili, per qualsiasi concorso. Il problema, semmai, è la selezione tutta locale delle commissioni (poco importa se attingendo a esterni o a interni; il risultato non cambia) e la vergogna delle procedure valutative, che hanno sostituito i concorsi. Non trovo più esaltante l’invadenza dei giudici amministrativi, che ormai decidono nel merito chi debba diventare professore, grazie alla auto-delegittimazione del ceto accademico
Come categoria, i professori universitari hanno sicuramente molte colpe. Lascia però perplessi una ordinanza di un TAR che entra in modo così forte anche in aspetti che sarebero di pertinenza esclusiva della commissione. Non ho idea di cosa ci fosse nei verbali. Ma la partecipazione a congressi *è* parte dell’attività di ricerca che non si esaurisce nella pubblicazione su supporto cartaceo o digitale di un articolo o di un libro.
Peraltro il giudice amministrativo opera nel solco di Cantone che, nelle Linee guida sull’ Università, è andato più volte al di là dell’ambito del suo ruolo.
Una nota a margine sul lessico improntato ormai al massimo dell’ ipocrisia politico-burocratica. Per poter fare fuori (de facto) l’ autonomia universitaria (spesso mal gestita), si introducono “Atti di indirizzo” che normano pur dicendo di voler salvaguardare le autonomie specifiche. Ma è una storia già vista. Anche nella Scuola sono scomparsi i “Programmi”, sostituiti da “Indicazioni Nazionali” e “Quadri di Riferimento”.
Nessun atto di indirizzo sulla formazione del CSM da parte dell’ANAC?
…. Diciamo che dopo le tante versioni in cui è stata letta la riserva di legge di cui all’art. 33, comma 6 cost. (assoluta, relativa a favore dei regolamenti del miur, relativa a favore dei regolamenti di ateneo, relativa a favore dei pasticci dell’anvur, aperta a favore di direttive UE) registriamo ora la “riserva a favore di piano anticorruzione”….
… Sono del tutto d’accordo con la tesi di chi sostiene che nei rapporti fra fonti del diritto e Università si stanno facendo grandi pasticci… Tuttavia, non possiamo non considerare che le Università, e in particolare i loro Rettori uniti nella CRUI, ritengono che gli Atenei siano, in buona sostanza, legibus solutis e non debbano rispondere a nulla di normativo… Questo spiega perché il documento della Ministra Fedeli (e quello, di identico contenuto, di Cantone) abbiano la forma dell’Atto d’Indirizzo, nel senso del rispetto dell’autonomia universitaria. Se, però, si ritiene che, ai sensi della legge 168 del 1989, l’organizzazione e il funzionamento delle Università possa e debba avvenire con la sola legge dello Stato, allora se ne facciano una ragione la CRUI, l’ANVUR, ecc. In ogni caso, per entrare più nel merito della questione, ci sarà pure una ragione se il giudice amministrativo, e talvolta quello penale, continuano ad annullare concorsi, selezioni e abilitazioni universitarie segnalando casi emblematici di mancata applicazione delle più elementari disposizioni di legge!
Evidentemente sei più esperto di me in campo giuridico, ma a me sembra che il problema siano proprio le leggi: vaghe, ambigue, di difficile interpretazioe e, soprattutto, che demandano aspetti sostanziali a provvedimenti normativi successivi, i quali poi risultano ancor più vaghi, ambigui e di difficile interpretazione.
volevo dire “provvedimenti attuativi”
Concordo col collega Regasto che disegna un quadro sconfortante in cui ognuno fa la sua parte: i Rettori che si vorrebbero talvolta legibus soluti, il Miur e l’ANAC che anzichè intervenire su singoli episodi gravi e conclamati, sussurrano indicazioni generali tramite atti non vincolanti, sapendo che finiranno per vincolare tutti, ed infine il giudice amministrativo……il quale invero sembra battere tutti, laddove non solo impone l’applicazione diretta del Piano nazionale anticorruzione, ma preferisce dimenticare quella della legge (240), che attribuisce ai regolamenti di ateneo (con scelta a mio avviso improvvida, ma questa è/sarebbe la legge dello stato ad oggi vigente) il compito di disciplinare le procedure concorsuali di ateneo, per riscriversi una norma da sè. Il giudice infatti crea dal nulla una norma ad hoc, secondo cui il sorteggio delle commissioni si fa a livello di Miur e non di ateneo, tra i candidati commissari asn. Peccato che il prossimo concorso nell’università in questione si terrà secondo le norme del regolamento di ateneo, creandosi così una disparità di trattamento e un ulteriore vulnus, anzichè sanare quello in essere. I candidati potranno allora scegliersi la norma da applicare, accettando l’esito concorsuale se gradito, o se non lo gradiscono rivolgendosi al giudice-legislatore per una nuova applicazione della nuova norma di creazione giurisprudenziale che possa eventualmente offrire loro una chance in più….sempre di non capitare davanti ad un altro giudice, che magari creerà norma diversa….. Venghino signori venghino, alla lotteria dei concorsi ….
Ma ora Cantone getta la spugna.
Isolato.
Ci ricorda qualcosa in questi giorni di commemorazioni?
Mi domando se l’art. 33 della Costituzione al comma 6: “Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato” non significhi che l’autonomia può esercitarsi “all’interno” del sistema normativo sovra-ordinato, ovvero le normative statali uguali per tutti, come detto più sopra al comma 2: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”.
L’autonomia insomma non disegna un regime extra-legge per le università, ma semplicemente la libertà di organizzare la missione istituzionale senza trasgredire il quadro normativo nazionale.
A me pare tanto semplice. Ma in effetti non sono giurista.