Personalmente non ho mai considerato “Il Gattopardo” un romanzo epocale, ma è chiaro che la sua popolarità in Italia è dovuta al fatto che la propensione nazionale a cambiar tutto perché non cambi nulla si ripresenta con ripetitività estenuante. L’ultimo caso è quello della riforma universitaria. Sono stato uno dei non molti che hanno creduto nel proposito di introdurre con la riforma il principio del merito, smantellando il prepotere delle baronie, e che firmarono un appello per difenderla. Oggi non lo firmerei neppure sotto tortura, vista l’incredibile porcheria che, passo dopo passo, si è riusciti a confezionare, tradendo in toto i propositi iniziali.

Fu ingenuità? Forse sì, se è un errore credere alle promesse e ai propositi dichiarati. Nel fuoco del dibattito sulla riforma si tenne un convegno a Bologna, con una rappresentanza politico-parlamentare di alto livello, in cui furono affermati con vigore due propositi: (a) creare una struttura agile e dotata della massima autonomia compatibile con il carattere statale dell’istituzione; (b) introdurre una valutazione che operi a valle e non a monte. I due propositi erano coerenti e correlati.

Oggi abbiamo una riforma che ha ridotto l’università a una macchina burocratica soffocante – come se non lo fosse già prima – e ha introdotto una valutazione tutta a monte.

Consideriamo quest’ultimo aspetto. La neonata Anvur (Agenzia per la valutazione dell’università e della ricerca) doveva espletare la funzione (b) e pareva che volesse agire in tal modo, valutando la qualità della ricerca, secondo il principio all’americana “assumete chi vi pare, controlleremo quel che avrà fatto, e chi ha sbagliato ne renderà conto”.

Già il modo in cui l’Anvur aveva impostato la valutazione della ricerca svolta negli anni passati, troppo basato su tecniche automatiche, aveva destato sospetti. Puntualmente si è verificato il peggio. L’Anvur si è “allargata”, dettando i requisiti per far parte delle commissioni per l’abilitazione nazionale e per presentarsi al concorso, usando quei criteri bibliometrici che sono sempre più messi sotto accusa all’estero, aggiungendovi un inedito criterio della “mediana statistica”: chi sta sotto la mediana non può essere commissario e non può presentarsi al concorso. Di fronte alla valanga di assurdità e incoerenze che sono emerse nell’applicazione di questi criteri, l’Anvur ha moltiplicato le mediane e gli algoritmi di calcolo in un balletto farsesco che sembra più che altro rispondere al fine di evitare ricorsi, e che soprattutto ha ridicolizzato la pretesa “oggettività” dei metodi introdotti.

Inoltre, ha spaccato in due il mondo universitario, riservando al settore umanistico una valutazione non bibliometrica, che consente di entrare in gioco pur di aver pubblicato un articolo in una rivista di serie A, secondo una classifica di merito stilata dall’Anvur stesso, che pure ha provocato un diluvio di contestazioni. Senza dire che questo meccanismo cristallizzerà la ricerca entro forme inamovibili, e cancellerà l’interdisciplinarità.

Sta di fatto che questo bailamme inizia a piacere a qualcuno che si è chiesto: ma se facessimo classificare come riviste di serie A quelle che interessano a noi o comunque a impadronirci delle riviste di serie A, non sarebbe questo un modo ben più efficace e meno esposto alla critica di arbitrio per esercitare un controllo totale sulla ricerca e sul reclutamento? Nel settore bibliometrico è ancor più semplice: basta farsi calcolare la mediana nel modo “giusto”. L’Anvur ora balbetta di agire contro le “baronie”, mostrando una gigantesca coda di paglia.

In nessun paese al mondo esiste una simile sorta di Presidium del Soviet Supremo della ricerca e dell’università. Ci voleva un paese con un ventennio e poi altri decenni di culture totalitarie alle spalle per creare un simile mostro di dirigismo statalista. E solo nella patria del gattopardismo era possibile assistere allo spettacolo delle inossidabili congreghe che, al grido di “abbasso i baroni, evviva le mediane”, sgomitano per ottenere un posto nel Soviet Supremo.

 (apparso anche su Il Foglio del 13 settembre 2012)

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67 Commenti

  1. Avevo promesso di non intervenire più, ma a questo punto un chiarimento “finale” si rende necessario.
    Ci si rende conto, oppure no, che c’è qualcuno che sta riuscendo a trasformare la discussione dalle questioni di merito a una discussione su di me? Ma davvero si crede che non sarebbe possibile fare altrettanto per tutti quelli che qui intervengono, andando a esaminare il loro operato, le loro idee, a sindacare e giudicare (magari spesso senza sapere o sapendo poco)? Perché mai c’è qualcuno che pensa che lui solo ha il diritto di dare giudizi sugli altri, anziché sulle loro idee, di parlare di buona fede e malafede altrui, dando per scontato che egli è certamente persona onesta, in buona fede e insindacabile, altrimenti non sarebbe tanto arrogante da scagliare la prima pietra? Cui non seguiranno “contro-pietre”, se ne può star certi, non scenderò mai a questo livello.
    Ebbene, tutto questo accade perché si pensa che sia automatico che la verità sta da una parte e dall’altra c’è l’infamia. Altro che venire a rimproverare a me di dividere il mondo in bianco e nero! Ho collaborato col ministero Fioroni, per portare avanti le cose che penso sull’insegnamento della matematica. Poi, quando mi è stato chiesto: “Che ne pensa delle SSIS? Vanno abolite? Sarebbe capace di delineare un nuovo processo di formazione degli insegnanti?”, ho colto l’opportunità, assieme a un gruppo di altri autorevoli colleghi (tutt’altro che “neo-liberali”). Abbiamo fatto un ottimo lavoro, lo difendo. Ce l’hanno distrutto? Lo ha fatto non solo il personale politico falsamente neo-liberale al potere, ma autorevoli esponenti della sinistra: basta andare a rileggersi il dibattito che si trova in rete… Comunque, pazienza, si fa quel che si può, restando coerenti con le proprie idee. Mi è stato chiesto di collaborare per le Indicazioni nazionali? Perché non farlo? Quelle fatte sono infinitamente meglio di quelle indecenti contenute nella legge Moratti, e mi fa onore che un alto dirigente ministeriale nostalgico di quelle Moratti, le abbia definite una porcheria. Avevo scritto delle indicazioni per la matematica delle elementari: le hanno bocciate per farne altre vergognose, prodotte da una commissione che certo non è “berlusconiana”. Le mie stanno in rete: si faccia un confronto e si giudichi.
    Lasciamo perdere la competenza in filosofia politica: anche qui emerge un giudizio senza fondamento. Non ho mai creduto alle istanze liberali, ecc. Ho creduto, o sperato, di poter realizzare “la cosa giusta” (come cortesemente è stato detto) in un pertugio che si era aperto. Lo rifarei in qualsiasi contesto, secondo il principio che la politica è l’arte del possibile. Lo rifarei molto volentieri in un futuro governo di sinistra che fosse aperto a non mettersi in mano alle solite cricche pedagogistiche e alle solite cordate confindustriali. Ma vi pare proprio che Treelle o la fondazione Agnelli, che sono stati i principali sponsor della riforma universitaria e che sono i principali sostenitori dell’Anvur (chissà mai chi è il presidente del Comitato consultivo dell’Anvur…) siano espressione del berlusconismo? Di certo sono i più vicini all’idea della scuola delle tre “i”, una formula che ha attaccato e ridicolizzato più volte sulla stampa proprio il sottoscritto, ovvero il succube, l’incompetente di filosofia politica.,
    Non entro sul resto, non raccolgo la richiesta di fare nomi. Ne avrei, eccome, di persone con venti o trenta anni di anzianità e un numero di lavori da contare con le dita di una mano che urlavano sui tetti. Ma non mi sembra davvero una discussione da fare. Non ho mai sentito in quel periodo un discorso chiaro sui rischi della valutazione biblioiatrica. L’ho fatto io, in piena discussione sulla riforma, nella Sala del Mappamondo della Camera, attaccando i possibili rischi della bibliometria e facendo infuriare il rappresentante del ministro Gelmini. Ma a me l’idea dell’abilitazione nazionale stava bene, non lo nascondo affatto. Non entro neppure sulla questione “ope legis”, che non è di certo una bufala. Metà degli attuali professori universitari sono entrati ope legis. Se non avessi fatto un regolare concorso di assistente, mi vergognerei: migliaia di persone sono entrate direttamente in ruolo di ricercatori soltanto perché avevano avuto una borsa negli anni settanta e migliaia sono diventati di ruolo per “stabilizzazione” degli incarichi. La struttura dell’università di oggi è ancora segnata da quella scelta, incluse altre, come i passaggi praticamente automatici ad associato.
    Non vedo il mondo con un paio di occhiali dividendolo in due. Al contrario. Proprio per questo riesco a vedere il dirigismo da Lubianka in gente che si pretende liberale, e mi guardo bene dal mitizzare il liberalismo, come è provato dalla difesa che ho fatto pubblicamente dell’università statale, per esempio l’anno scorso sulla stampa proprio contro una dichiarazione di Berlusconi.
    Il problema è all’opposto. C’è gente che vede il mondo diviso in due: da un lato vi sono i “buoni” i “progressisti”, dall’altro i “reazionari”, il male, per lo più rappresentato dai berlusconiani. In mezzo non si può stare, cioè non si possono avere idee autonome, vieni subito ributtato dalla parte del “nemico”.
    È quel che sta accadendo qui, trasformando una discussione dalle questioni di merito in un dibattito sulla mia persona, nel tentativo di screditare quel che dico con l’argomento che sarei in malafede. Gli altri invece sono meritevoli di discussione perché automaticamente in buona fede…
    Complimenti. Come al solito, chi agisce così riesce ad averla vinta. Difatti, siccome ho abbastanza buon senso e buon gusto da non voler perturbare il funzionamento di Roars con una rissa sulla mia persona, mi ritiro in buon ordine. Auguri per il proseguimento della discussione.

    • Condivido con Giorgio Israel la convinzione che non si debbano fare risse sulle persone. Le discussioni, anche aspre, devono riguardare i fatti e la loro interpretazione. I processi alle intenzioni non ci portano lontano. Rispetto a quanto scritto da Israel, condivido alcune affermazioni (in particolare che l’abilitazione scientifica sia un importante passo avanti rispetto ai concorsi locali) e posso dissentire su altre, ma entrando nel merito. C’è una frase di Israel che ha sollevato diversi commenti anche aspramente negativi:

      “Però i passaggi ope legis per favore no, basta. E chi saliva sui tetti voleva proprio questo, perché alla fine il posto di ricercatore non è un posto precario.”

      Per quanto mi riguarda, cercherei di essere scientifico anche nella ricostruzione storica. Prima di tutto, non tratterei tutti i ricercatori come un blocco unico, perché esistevano (ed esistono) posizioni differenziate. In secondo, luogo cercherei di documentare le posizioni ufficiali delle organizzazioni. Per quanto riguarda la Rete 29 Aprile che, in virtù del consenso che aveva raccolto era quella più visibile sulla scena pubblica, ricordo che aveva smentito di essere a favore dell’ope legis in una lettera aperta scritta all’On. Frassinetti e al Dr. Oscar Giannino (vedi sotto). C’è stato e c’è un deficit di informazione. Il primo passo è far circolare informazioni complete ed accurate. Naturalmente, potrebbero esistere documenti di altre organizzazioni che erano a favore di promozioni “ope legis” più o meno mascherate. Se qualcuno fosse in grado di metterle a disposizione avremmo un quadro più articolato delle opinioni dei ricercatori mobilitati. Tuttavia, che R29A fosse fautrice dell’ope legis appare contraddetto da questo documento (e non solo dalla memoria dei ricercatori che potrebbe non essere sufficientemente imparziale).

      Il mio modo di procedere è questo. Se dissento da un’opinione spiego il perché e cerco di portare documenti, numeri o fatti a supporto della mia obiezione. La storia personale e le intenzioni del mio interlocutore, che preferisco ritenere in buona fede, mi sembrano meno rilevanti del raggiungimento della verità. Mi piacerebbe che questo fosse lo stile non solo degli articoli di Roars, ma anche dei commenti dei lettori. Mi scuso con Giorgio Israel per la deriva presa dalla discussione ed inviterei tutti a stare più sugli argomenti che sulle persone.

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      Gent.mi On. Frassinetti e Dr. Giannino,

      Sono uno dei componenti della giunta nazionale della Rete29Aprile (gli altri ci leggono in copia insieme a giornalisti di diverse testate nazionali), l’associazione di ricercatori che è largamente maggioritaria nelle università e che coinvolge molte migliaia di ricercatori. Sono rimasto assolutamente sconcertato dall’aver sentito che nella trasmissione odierna di “nove in punto” su Radio24 si affermi ancora, senza vero contraddittorio e in diretta nazionale, che i ricercatori chiedano solo ope legis. Sottolineo che trovo alquanto curioso che in un momento nel quale la protesta lanciata dai ricercatori è sicuramente parte in causa nelle recenti vicissitudini del disegno di legge “Gelmini”, si parli delle loro proposte senza un loro rappresentante.

      Già in un’altra occasione, Dr. Giannino, quando sono stato invitato a partecipare ad una trasmissione di Radio24 con il Rettore della Sapienza Prof. Frati, non mi è stato dato il diritto di replica che è stato invece dato a tutti gli altri, sacrificando tra l’altro il mio tempo per permettere un suo intervento, non previsto, nella trasmissione. Si direbbe quindi che ascoltare la voce delle associazioni dei ricercatori che sono alla base della protesta non sia proprio nelle vostre corde e che preferiate che siano altri a parlare di quanto i ricercatori vogliono.

      Nello specifico della trasmissione odierna, vorrei intanto ricordare all’On. Frassinetti che il sottoscritto, insieme ad Alessandro Ferretti, è uno dei componenti della Rete29Aprile (http://www.rete29aprile.it) che il 28 settembre scorso è andato all’audizione alla Commissione VII della Camera dei Deputati. In tale occasione l’On. Frassinetti era presente quale relatrice del disegno di legge.

      Nell’audizione, ai componenti della commissione presenti e all’On. Frassinetti è stato detto, in modo esplicito e non ambiguo dal sottoscritto e dal collega Alessandro Ferretti, che i ricercatori NON vogliono ope legis, e in particolare che certamente non lo vogliono le migliaia che si riconoscono nei valori e nelle proposte della Rete29Aprile. L’On. Frassinetti non può quindi ignorare quanto le è stato detto in quell’occasione. Trasformare le richieste dei ricercatori in mere richieste di ope legis è un messaggio fuorviante teso a delegittimare le nostre richieste attribuendoci un atteggiamento lontanissimo da quello reale.

      Quello che i ricercatori chiedono è l’apertura di un confronto reale sulla riforma, apertura che non c’è mai stata se non a parole. I ricercatori della Rete29Aprile hanno costruito, sulla base di un ampio confronto, una piattaforma per una università rinnovata, libera, competitiva, forte e meritocratica. Gli assi portanti della proposta sono contenuti, per esempio, nel documento della Rete29Aprile che potete trovare all’indirizzo:

      http://www.rete29aprile.it/FILES_UPPATI/Documento%20R29A%20no%20sinopsi%20finale_def.pdf

      e che è stato consegnato insieme ad altri documenti della Rete29Aprile anche all’On. Frassinetti in occasione dell’Audizione in Commissione VII. Invito il Dr. Giannino a leggere quel documento per conoscere le nostre proposte e vedere che lo spirito che ci anima è quello di una riforma di ampio respiro e non quello di rattoppare appena il sistema attuale nelle parti che ci riguardano.

      Vorrei aggiungere poi un commento al fatto che l’On. Frassinetti parla delle opinioni della CRUI come fossero quelle dell’Università italiana, pur sapendo che le posizioni della CRUI sono in netto contrasto con le posizioni di una larghissima parte dell’Università (ricercatori, professori di prima e seconda fascia, personale ATA): affermare che il dialogo con le università è stato fatto perché si è ascoltata la posizione della CRUI è alquanto riduttivo. Si possono citare a supporto di questa affermazione, a mero titolo di esempio, il documento dei 100 docenti “In difesa dell’università” (http://demartin.polito.it/indifesauniversita) e il documento “Uniti per la Ricerca ed in sostegno dei Ricercatori Universitari” (http://w3.disg.uniroma1.it/unira/index.php?option=com_docman&task=doc_download&gid=58&Itemid=) con quasi 2000 firme.

      E’ curioso, inoltre, utilizzare l’argomento dell’ope legis contro i ricercatori quando poi ci si fregia del supporto della CRUI, categoria, questa sì, premiata con ben due provvedimenti ope legis: il primo ne prolunga, per legge, di due anni la durata dell’incarico, il secondo consente ai rettori attuali, e solo a costoro, la possibilità di essere rieletti anche al di là dell’età della pensione.

      I ricercatori sono le forze più giovani delle Università, sono coloro che in larga parte hanno avuto anni di esperienze di ricerca all’estero in contesti fortemente competitivi, dove i giovani hanno voce in capitolo e responsabilità anche rilevanti. Sono persone che hanno energie e idee sulla riforma in generale molto lontane dalle idee della CRUI, e sono coloro che costituiranno l’università di domani e che hanno formato e formeranno le generazioni di domani. Non ascoltarli o eludere le loro proposte sulla base di argomenti aprioristici e non di vero confronto mi pare quindi un atteggiamento falsamente equilibrato che diventa invece disinformativo.

      Cordiali saluti,

      Guido Mula
      Ricercatore – Università di Cagliari
      Componente della Giunta Nazionale della Rete29Aprile
      http://www.rete29aprile.it/notizie-flash/lettera-aperta-allon.-frassinetti-e-al-dott.-giannino-2.html
      (altro link: http://ricercatoriunisannio.blogspot.it/2010_10_01_archive.html)
      ========================
      POSTILLA AGGIUNTA IL 23 SETTEMBRE 2012.
      A conferma della posizione di Rete 29 Aprile sull’ope legis, mi è stato gentilmente segnalato il link (http://www.rete29aprile.it/FILES_UPPATI/diversamente-associato.gif) al banner che per lungo tempo appariva sul sito di R29A e che riproduco qui sotto per comodità:


    • Ben detto, De Nicolao. A “salire sui tetti” siamo stati in molti, e personalmente, lo creda o meno il Prof. Israel, non ho mai sentito nemmeno uno di loro esprimersi a favore di un ope legis.

    • Gentile Prof. Israel,

      le chiedo scusa se si è ritenuto attaccato personalmente da quanto ho scritto; non era mia intenzione farlo.

      Quanto alle istanze liberiste che le attribuisco qui sopra, confesso di basarmi su alcuni sopradici passaggi da lei pubblicati in sedi giornalistiche, passaggi come il seguente, tratto da un commento qui sopra:
      “la mia “presa di distanza” è semplicemente la presa di distanza dal riaffacciarsi della solita cordata che impone alla scuola e all’università ideologie costruttiviste e manageriali che ho sempre combattuto e combatterò sempre.”
      Come certamente sa, il rappresentante archetipico della tesi critica nei confronti delle ‘ideologie costruttiviste’ è Friedrich von Hayek, grande pensatore, ma il cui estremismo liberista è fuori discussione. Può darsi però che io abbia unito indebitamente passi sparsi di questa natura in un quadro interpretativo che accosta erroneamente lei ad altri consiglieri del Ministero che fu, come Francesco Giavazzi. Se mi sono sbagliato me ne scuso e ritiro l’accusa di ideologismo liberista di cui sopra (resto ovviamente convinto del contenuto di ciò che ho detto, ma non con riferimento a lei).

  2. Caro Prof. Israel, a me personalmente dispice assai non vederla più comparire sulle pagine di ROARS. Confermo il mio grazie al suo intervento, per quel che puàò valere. Insisto anche nellp’affermare che, da questa come da altre discussioni, apapre evidente, a parer mio, il solito prevalere degli interessi di parte – se non addirittura individuali – su quelli della collettività. La quale collettività è rappresentata non dai docenti, ma dagli STUDENTI. La, sembrerebbe, dimenticata L 382 dell’80, che istituiva il ruolo dei ricercatori (io vinsi il concorso nel 1983) non prevedeva affatto, per essi, compiti di ricerca. Noi eravamo tenuti, per legge (!), allo svolgimento di un certo numero di ore di didattica. Poi però, per accedere al ruolo superiore, dovevamo presentare una mezza tonenllata di lavori. E allora di cosa stiamo parlando? Questa cosiddetta riforma ripropone ESATTAMENTE lo stesso modus operandi e cogitanti. Mi viene di pensare che nella patria della Cultura, non ci sia più spazio per la cultura. Esattamente quello che afferma Israel: sempre i soliti gruppi di pressione. Per chi avesse la memoria corta: fu l’onorevole Dalla Chiesa, al tempo, ad organizzare il movimento che fece naufragare il progetto di riconoscimento dello stato giuridico dei ricercatori. Ho smesso di andare a votare da allora. Vorrei poterlo fare di nuovo.

  3. Cari tutti, noto con dispiacere la piega che ha preso la discussione. Su Roars si discute in modo anche animato, ma le invettive e gli attacchi ad personam non ci sono mai piaciuti. Tanto meno sono accettabili richieste di abiura e patenti di riabilitazione. Si discuta vivacemente, ma sugli argomenti contenuti nel pezzo scritto dall’autore. Diversamente, si perde di vista ciò di cui intendiamo discutere, si fa un gran polverone e si infastidiscono i lettori interessati agli argomenti e non alla boxe virtuale che infesta tanti forum. Per questo motivo modereremo più rigorosamente i commenti.

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