I governi che si sono succeduti in questi anni hanno dimostrato una determinazione implacabile nel perseguire l’obiettivo di una ristrutturazione del sistema universitario che porterà alla concentrazione delle risorse in pochi atenei, fatalmente collocati nel Nord del paese, alla riduzione ai minimi termini della cultura umanistica e alla mortificazione dell’insegnamento. È proprio impossibile cominciare a FARE e non semplicemente dire qualcosa? Mi vengono in mente un paio di esempi. Tutti i colleghi che si sono candidati per entrare nelle Commissioni ASN potrebbero ritirare la loro disponibilità, costringendo così il Ministero ad applicare quanto previsto al comma 6 dell’art. 4 del “Bando commissari”. Intorno alle liste delle riviste di “fascia A” si è aperto un confronto che non riguarda i singoli dettagli, ma l’idea stessa che la creazione di tali liste sia un bene per la promozione di un lavoro scientifico aperto, innovativo e pronto ad essere valutato sui contenuti anziché sul contenitore. A tutte le società scientifiche credo si debba chiedere di esprimere una posizione, così come ha fatto la Società Italiana di Filosofia Teoretica. La priorità, anche per i filosofi, è oggi quella di parole chiare e distinte.

 Filosofia_2008_2016

Ai miei colleghi professori di filosofia

L’avvio della nuova procedura per l’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN) ha riaperto anche fra i professori di filosofia la riflessione non solo sul metodo, ma anche sui risultati di quello che è stato presentato fin dall’inizio come un cambio di paradigma. Si va (si promette di andare) verso un sistema che darà finalmente ai nostri giovani studiosi la certezza del primato del principio del merito. È vero che ci sono meno soldi da spendere per loro, ma saranno spesi bene e non sciupati per soddisfare gli appetiti dei baroni. In questa riflessione si sovrappongono considerazioni di carattere generale e altre che sono più strettamente collegate alla situazione delle nostre discipline. È in questa prospettiva, anche guardando al dibattito su criteri, parametri e fasce di riviste che tanto ha coinvolto e diviso le nostre comunità accademiche, che vorrei condividere con i miei colleghi alcune considerazioni e un paio di proposte, cercando di sintetizzare in pochi, essenziali punti quanto è già stato ampiamente argomentato nel linguaggio degli addetti ai lavori.

Le novità che sono state introdotte non scalfiscono i macroscopici limiti evidenziati dall’esperienza delle prime due tornate del 2012 e del 2013. La baruffa su soglie e mediane e il giubilo per la “liberazione dallo straniero” occultano il vero problema. La procedura si inserisce in un contesto che trasformerà quasi inevitabilmente e con rare eccezioni i suoi risultati in un fattore di frustrazione e umiliazione, anziché di riconoscimento dell’impegno e delle capacità di tanti giovani ricercatori, in particolare nelle discipline umanistiche e filosofiche. Sono centinaia, nei nostri settori, gli studiosi abilitati per i quali questo riconoscimento non ha prodotto alcun effetto. Altre speranze (illusioni) saranno generate e bruciate.

I criteri, parametri e indicatori progressivamente “affinati” dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) costituiscono, nonostante le buone intenzioni dai quali nascono e la realtà di molte delle patologie sulle quali dovrebbero intervenire, un elemento di forte distorsione della logica e della pratica della ricerca e impongono crescenti e sempre più macchinosi oneri burocratici. Quella per le classifiche da scalare con ogni mezzo sta diventando una vera e propria ossessione, che distrugge l’idea del sapere come condivisione e della stessa eccellenza come fattore di inclusione e non fiore nel deserto, coltivato al prezzo della morte di tutti gli altri. La “fascia A” delle riviste, come spiega il documento della Società Italiana di Filosofia Teoretica sul nuovo Regolamento per le ASN, è l’esempio di un meccanismo immaginato per premiare la qualità e che produce al contrario «grave pregiudizio» per la libertà della ricerca e ulteriore consolidamento degli orientamenti metodologici, degli stili di pensiero e delle scuole dominanti.

Filosofia_variazione_2008_2016

Non può più essere eluso il problema del dissanguamento differenziato dei diversi settori dell’insegnamento e della ricerca universitari. Questa osservazione, che vale in generale per l’intera area umanistica, trova nei settori filosofici una delle sue evidenze più macroscopiche. Filosofia e teoria dei linguaggi, rispetto ad alcuni anni fa, è addirittura in crescita, ma si trattava di un settore di dimensioni contenute rispetto al totale. Dal 31 dicembre 2008 ad oggi (16 settembre 2016), il numero dei docenti ordinari e associati e dei ricercatori di Filosofia Teoretica, Filosofia Morale e Storia della Filosofia è passato (dati MIUR) da 757 a 520 (ai quali si aggiungono due straordinari a tempo determinato). Ed è drammatica la contrazione del numero dei ricercatori, nonostante il passaggio per i nuovi assunti da un ruolo a tempo indeterminato alle diverse tipologie di rapporto a tempo determinato previste dalla nuova normativa: sempre nei tre settori indicati, si è passati da 282 a 149 ricercatori. La soddisfazione per i pochi fortunati che “ce l’hanno fatta” non può cancellare la brutale evidenza di questi dati. Per avere un metro di paragone, basti pensare che nel solo settore di Economia e gestione delle imprese sono attualmente in servizio 74 ricercatori a tempo determinato (sono 75 nel settore contiguo di Economia aziendale), a fronte dei 37 che hanno trovato posto in Filosofia Teoretica, Filosofia Morale e Storia della Filosofia. Otto anni fa, considerando il numero complessivo dei ricercatori, il rapporto era ben diverso: 233 (298 per Economia aziendale) a 282 …

Tabella_variazione_filosofia_2008_2016Gli esiti aggregati del dissanguamento differenziato sono una ulteriore dimostrazione della insostenibilità di una politica universitaria che ha abdicato alla sua responsabilità per una visione complessiva ed equilibrata del sistema, acciambellandosi nel comodo ruolo di spettatrice della guerra di tutti contro tutti condotta secondo le regole stabilite e continuamente cambiate dall’ANVUR. L’autonomia universitaria fa il resto. I settori che perdono in un ateneo la lotta per le briciole dei punti organico la perdono tendenzialmente in tutti, a prescindere perfino dal punteggio ottenuto dai “prodotti” della ricerca. E così, in assenza di una prospettiva di riferimento appunto nazionale, sono destinati a scomparire ovunque. Il ridimensionamento delle nostre discipline è probabilmente inevitabile. Ma proprio per questo Governo e Parlamento devono dirci se si intenda o no fissare un punto di arresto di questa dinamica. Qual è il numero di professori di filosofia per i quali si ritiene che possa esserci posto nelle università italiane? Il 50, il 30, il 10 per cento del numero di quelli che erano in servizio appena 8 anni fa? La prima soglia, in alcuni settori, sarà raggiunta e superata entro pochi anni. Si possono discutere le modalità di una nuova organizzazione di corsi e sedi, ma non è accettabile che la distruzione di una tradizione e di un intero ramo del sapere avvenga alla chetichella, senza che il potere politico se ne assuma a viso aperto la responsabilità. Questo è il primo dovere che abbiamo nei confronti dei nostri giovani.

Continuare ad aggiungere documenti, osservazioni e suggerimenti appare inutile. I governi che si sono succeduti in questi anni hanno dimostrato – l’ultimo più degli altri – una determinazione implacabile nel perseguire l’obiettivo di una ristrutturazione del sistema universitario che porterà alla concentrazione delle risorse in pochi atenei, fatalmente collocati nel Nord del paese, alla riduzione ai minimi termini della cultura umanistica (oggetto di un omaggio retorico tanto insistito quanto sterile) e alla mortificazione dell’insegnamento, conseguenza inevitabile della scelta di concentrare quasi tutti i “premi” sulla ricerca. È proprio impossibile, in una situazione così difficile, cominciare a FARE e non semplicemente dire qualcosa? Mi vengono in mente un paio di esempi, ispirati alle cronache accademiche di queste ultime settimane.

Sembrano essere tanti coloro che condividono le perplessità espresse anche dal CUN sulla nuova ASN. Tutti i colleghi che si sono candidati per entrare nelle Commissioni potrebbero ritirare la loro disponibilità, costringendo così il Ministero ad applicare quanto previsto al comma 6 dell’art. 4 del Decreto direttoriale che ha fissato le norme per la loro formazione. Le Commissioni, in questo modo, sarebbero comunque costituite, ma verrebbe dato un segnale forte e chiaro sulla necessità di aprire un confronto vero sul futuro delle nostre università e, in particolare, delle discipline umanistiche e filosofiche.

Intorno alle liste delle riviste di “fascia A” si è aperto un confronto che non riguarda i singoli dettagli, ma l’idea stessa che la creazione di tali liste sia un bene per la promozione di un lavoro scientifico aperto, innovativo e pronto ad essere valutato sui contenuti anziché sul contenitore. Questa contrapposizione profonda fra studiosi accomunati dalla stessa preoccupazione per la qualità della ricerca e la necessità appunto di una sua rigorosa valutazione non può più essere occultata. A tutte le società scientifiche credo si debba chiedere di esprimere una posizione, così come ha fatto la Società Italiana di Filosofia Teoretica, rendendo conto in modo trasparente dei sì e dei no. La priorità, anche per un dovere di correttezza e leale collaborazione nei confronti di chi ci governa, non può essere quella di fingere un’unità che non esiste. La priorità, anche per i filosofi, è oggi quella di parole chiare e distinte.

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1 commento

  1. Le uniche parole chiare e distinte: no, no, no e ancora no!

    Rifiutarsi di sottoporre “prodotti” a vqr e simili; rifiutare le classifiche (di riviste e atenei); rifiutarsi di entrare a far parte delle commissioni.

    Opporsi, una buona volta, con fermezza, alle aberrazioni e agli sprechi (morali ed economici) dell’anvur.

    Opporsi alla ristrutturazione pseudo-aziendalista dell’Università e della scuola pubbliche (in Italia, in Europa, nel mondo).

    Rifiutare la rappresentanza universitaria usurpata dalla crui e dai ministri e dalle ministre da essa prodotti.

    Rifiutare la competizione suicida tra individui, dipartimenti e atenei.

    Aprire, una buona volta, una discussione costituente, in opposizione radicale (alle attuali politiche) e per proporre una “ristrutturazione” democratica dell’Università (e, anzitutto, dei ruderi lasciati sulla loro strada dalle riformucole di L. Berlinguer, Moratti, Gelmini & co.).

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