Al prof. Gaetano Manfredi, Presidente della CRUI
Gentile Presidente,
sono passati quasi tre mesi da quando la CRUI ha avvertito il MIUR e l’ANVUR che senza il recupero delle risorse tagliate in questi anni sarebbe stato impossibile «garantire la collaborazione del sistema universitario allo svolgimento del nuovo esercizio VQR 2011-2014». Molti di noi hanno letto quelle parole non come l’ennesimo segnale di fumo scambiato fra addetti ai lavori, ma come l’annuncio di un salto di qualità nel rapporto con Parlamento e Governo. Un messaggio finalmente chiaro, con l’indicazione di un’azione concreta e impegnativa come lo sono tutte le forme di disobbedienza civile, di fronte agli effetti ormai evidenti di una politica bipartisan che ha eroso la garanzia del diritto allo studio, mortificato le speranze dei nostri giovani migliori, umiliato l’impegno dei tanti professori che continuano a formare laureati capaci di farsi onore in Italia e in giro per il mondo e a sfidare in termini di “produttività” della ricerca i colleghi che hanno la fortuna di lavorare in contesti più ricchi di risorse e meno tormentati da una burocrazia tanto asfissiante quanto inutile.
Le procedure della VQR sono state avviate e nulla è cambiato. Affermare il contrario significherebbe considerare un reale recupero delle risorse e una reale inversione di rotta gli interventi annunciati dal Governo nella Legge di Stabilità per il 2016. Irrisolte – e si dovrebbe anzi dire semplicemente ignorate – rimangono anche due grandi questioni che sono la conseguenza diretta del modo in cui la valutazione dell’attività dei professori universitari è stata concepita e realizzata: la marginalizzazione della missione della didattica, che la patologica concentrazione degli incentivi sui “prodotti” della ricerca ha ridotto ad oggetto di un lip service di circostanza; la radicalizzazione del principio del publish or perish nella logica del publish and kill, che sta trasformando la natura stessa del lavoro accademico, finalizzandolo al miglioramento della propria posizione nelle «dettagliatissime» classifiche dell’ANVUR (perché questa diventa la condizione della propria sopravvivenza) anziché alla crescita del sistema nel suo complesso. Questa crescita è anche l’obiettivo enunciato nelle sue prime parole dopo l’elezione alla Presidenza della CRUI. Ma tale obiettivo si allontana quando si confonde una rigorosa politica del merito con la guerra di tutti contro tutti e una rigorosa politica della qualità con l’illusione che poche eccellenze possano crescere in mezzo al deserto. Lei ha ricordato giustamente che le università sono «non solo centri di formazione e ricerca, ma agenti sociali ed economici, motori dello sviluppo e della trasformazione dei territori». Il motore, in particolare nel Mezzogiorno, si sta fermando per mancanza di benzina e questo non è un destino ineluttabile, ma il risultato di una precisa scelta politica.
Ecco perché ritengo che le parole usate dalla CRUI nel mese di luglio debbano essere prese sul serio e si debba fermare la VQR, fino a quando a queste emergenze non sarà data la risposta di fatti concreti e di adeguate risorse. Ricordando a noi stessi e all’opinione pubblica che i professori universitari non hanno paura della valutazione. Sono i soldi dei cittadini a garantire la libertà della scienza e del suo insegnamento come un bene di tutti e per tutti e per questo i cittadini hanno il diritto di sapere che i loro soldi sono spesi bene. La difesa dei privilegi è insopportabile, soprattutto quando il paese soffre, ma la girandola delle promesse è la consolazione della pigrizia che diventa complicità. Molti di noi hanno già deciso che il tempo della pigrizia è finito e, in forme diverse, non garantiranno la collaborazione alla VQR nei termini previsti dal bando dell’ANVUR. Almeno in alcune università si annunciano sanzioni e altri interventi per dissuadere i potenziali ribelli. È arrivato il momento, per il Presidente e la Giunta della CRUI, di far sentire la loro voce. Venendo “dall’alto”, questa voce sarebbe certamente più efficace ed eviterebbe il dilagare del caos e delle iniziative “fai da te” di singoli rettori, senati accademici e altri zelanti difensori della VQR. Se dobbiamo essere puniti, dobbiamo esserlo almeno nello stesso modo e dovete assumervi fino in fondo la relativa responsabilità. Questa sarebbe però una brusca inversione di rotta rispetto a ciò che la stessa CRUI ha detto solo pochi mesi fa e spero dunque di ascoltare da voi parole diverse. E soprattutto parole che aiutino l’intera opinione pubblica a comprendere che quel che stiamo difendendo non sono i nostri stipendi, ma un’idea di università che riteniamo più coerente con la nostra Costituzione rispetto a quella che si è affermata in questi ultimi anni. Ed è di questo che occorre discutere.
La ringrazio e la saluto cordialmente,
Stefano Semplici
“…fino a quando a queste emergenze non sarà data la risposta di fatti concreti e di adeguate risorse.”
E fino a quando l’ente paraministeriale istituito per la migliore e l’equa gestione delle procedure di valutazione e di abilitazione, l’ANVUR cioè, non dimostrerà di possedere non solo i livelli retributivi, ma soprattutto i requisiti necessari, aggiornati sulla bibliografia e sul dibattito internazionali, all’altezza di queste delicate e complesse procedure.
Mah, che dire?La lettera di Stefano Semplici e’ più che condivisibile ma non credo sortira’ gli effetti desiderati. Nell’esperienza di questi ultimi anni la CRUI non si e’ certo distinta per determinazione nel sostenere le proprie proposte e posizioni nei confronti del Governo, anzi. Suppongo che, stante che i Rettori non possono essere rieletti, sia opportuno per i componenti della CRUI non entrare in conflitto con il Governo, Istituzione presso la quale, al termine del loro unico mandato, i giovani Rettori possono guardare con comprensibile attenzione.
Ormai sono trascorsi cinque anni dalla 240/2010 e credo sia ormai evidente che questa riforma abbia fallito nei suoi obiettivi creando piu’ problemi che soluzioni. Riducendo la partecipazione democratica alla gestione degli Atenei, de potenziando il coordinamento della Facolta’ con il risultato di crearne tante piu’ piccole e nei fatti senza reali leve gestinali, e creando, nei fatti, sviluppando meccanismi premiali e valutativi che mortificano la missione dell’Universita che non e’ solo creare conoscenza ed innovazione, ma altrettanto importante trasmettere efficacemente questa conoscenza, contruire allo sviluppo del Paese e crearne le classi dirigenti.
Matteo Renzi ha ieri dichiarato che la prossima riforma sara’ quella dell’Universita. Dobbiamo fare il massimo sforzo ed esercitare le massime pressioni per vivere attivamente questo periodo, trasformandolo in una opportunità con tutti mezzi a nostra disposizione.
Non ne posso più di riforme, anche perché dalla 382/80 ogni riforma ha soltanto peggiorato la precedente. Chiediamo semmai cambiamenti degli statuti e dei regolamenti interni alle università. Così come non ne posso più di Ministri e Presidenti del Consiglio dotati di bacchetta magica per cui si ritengono in grado di risolvere tutti i problemi dell’Università a costo zero per l’amministrazione (anzi a costo sottozero visti i tagli). Posso urlare dicendo che i nostri “prodotti” principali sono i laureati magistrali e che per verificare le loro competenze, conoscenze e inserimento nel mercato del lavoro ci vogliono non meno di 8/10 anni (progettazione del corso, 3 anni di laurea di primo livello, almeno 3 anni di LM per avere una qualche stabilizzazione nel processo formativo (laureati nuovi in ingresso laureati nuovi in uscita) altri almeno 2 anni per verificare le possibilità di inserimento nel mercato del lavoro. Fate il totale. Come può un Ministro, se non dotato di bacchetta magica valutare la nostra principale missione? Se a questo aggiungiamo una riforma, mediamente ogni 4 anni negli ultimi 20, su quali dati basano le loro certezze? E i membri dell’ANVUR cosa pensano, visto che sono stati sfiduciati dal governo con l’art 20 della legge di stabilità? Le loro procedure non sono adatte a selezionare i migliori ed ad accrescere l’attrattività e la competitività del sistema universitario italiano?
A proposito delle 500 eccellenze dotate di gruzzoletti. Se queste sono previste come di qualità superiore a ciò che c’è in Italia (diversamente che senso avrebbe la mirabile operazione?), questo significa che nessuno in Italia è degno di far parte delle commissioni che le selezionerà. Le quali, date le premesse, saranno formate da soli premi Nobel.