Questo articolo cerca di rispondere alla seguente domanda: quanto velocemente si sta esaurendo il ruolo “ad esaurimento” dei ricercatori a tempo indeterminato (RTI)? Il piano straordinario associati ha portato, tra il 2014 e il 2015, a reclutare oltre 5.300 nuovi PA, “assorbendo” così più di metà dei circa 10.400 ricercatori a tempo indeterminato abilitati nelle tornate 2012 e 2013. Oggi, dopo la conclusione dell’ASN 2016-2018, il 62% dei 23.740 RTI del 2013 ha conseguito l’abilitazione e, tra questi, una frazione pari al 59% ha avuto accesso al ruolo di PA o di PO. I ricercatori ancora in servizio che ad oggi non hanno conseguito alcuna abilitazione sono scesi sotto il 30%. La percentuale di abilitati che sono risultati vincitori di procedure di 2^ fascia è del 66% al Nord, 55% al Centro, con valori analoghi anche nelle Isole, mentre al Sud scende al 48%. Un discorso a parte meritano i quattro Politecnici (Milano, Torino, Marche e Bari), con il loro 74%. Ci sono sono migliaia di ricercatori ai quali ormai da tanto tempo è stata riconosciuta l’idoneità al ruolo di professore, ma che, per motivi da loro indipendenti, continuano a vedersi negate legittime aspettative di carriera, con potenziali ricadute negative anche sul piano motivazionale: la sola possibile soluzione al rischio della progressiva dissipazione di questo enorme patrimonio della ricerca universitaria italiana non può che essere l’istituzione di un nuovo piano straordinario associati.

 

Nella prima metà del novembre 2018 si è completata la tornata 2016-18 dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), meccanismo previsto dalla legge 240/2010, in vigore da ormai 8 anni, ai fini dell’accesso alle procedure concorsuali per professori di 1^ e 2^ fascia, e che già da tempo si è riavviato per una nuova tornata (2018-20), i cui primi esiti potranno essere noti solo tra alcuni mesi. In questo articolo si fa il punto della situazione relativa al reclutamento a professori associati (PA) o professori ordinari (PO) da parte dei ricercatori a tempo indeterminato (RTI), dapprima a livello nazionale e poi a livello via via più locale, segnalando alcuni esempi di interesse. Come si potrà constatare, in assenza di nuovi piani straordinari che possano dare impulso al reclutamento, e per effetto di un sistema abilitante “a sportello” che prevede numerose scadenze distribuite nel tempo, negli ultimi anni il tasso di reclutamento da RTI a PA si è sensibilmente ridotto e non ha potuto reggere il passo al quale è aumentato il numero delle nuove abilitazioni. Nell’articolo vengono presentate e discusse situazioni anche molto diverse tra loro, variabili anche in ragione delle risorse finanziarie e dei vincoli legati ai punti organico a disposizione dei singoli atenei. L’istituzione di un nuovo piano straordinario associati appare l’unica possibile soluzione per riequilibrare lo sbilanciamento in atto nel sistema universitario, preservando il patrimonio di competenze di migliaia di RTI abilitati in attesa di promozione.

Analisi a livello nazionale

Come già presentato in un articolo https://www.roars.it/indagine-sulla-situazione-dei-ricercatori-abilitati-in-italia, sui 23.740 RTI che erano in servizio al 31/12/2013, si stimava che nell’aprile 2018 circa 8.200 fossero divenuti PA o PO e che, a parte 1.600 pensionati, dei rimanenti 14.000 RTI, 5.900 fossero gli abilitati rimasti nel ruolo. A distanza di sette mesi, a metà del novembre 2018, il numero di RTI in Italia si è ridotto di un migliaio, grosso modo equamente suddiviso tra neo-associati e neo-pensionati. Per avere un quadro della situazione il più possibile completo e dettagliato, conviene riprendere la descrizione del sistema RTI sin dalla fine del 2013 e considerarne l’evoluzione alla fine di ciascun anno solare da allora fino ad oggi, alla luce dei risultati dell’ASN per la 2^ fascia. Orientativamente, i momenti rilevanti ai fini della presente indagine sono:

  • fine 2013 prima dell’avvio di tutta l’ASN (non considerando i primi esiti della tornata 2012),
  • fine 2014 per gli esiti definitivi dell’ASN 2012,
  • fine 2015 per gli esiti definitivi dell’ASN 2013,
  • fine 2016 (senza nuovi abilitati),
  • fine 2017 per gli esiti dei primi tre quadrimestri dell’ASN 2016-18;
  • fine 2018 per gli esiti completi dell’ASN 2016-18.

Per l’analisi qui presentata, condotta con le stesse metodologie di quelle impiegate per l’indagine precedentemente citata, l’accuratezza dei numeri presentati è stimata dell’ordine dell’1% a livello nazionale, e del 2-3% per contesti che vanno da macroregioni fino a atenei di medio-piccole dimensioni. Principalmente le possibili inconsistenze riguardano casi di omonimie e/o variazioni di nomi o cognomi doppi tra i database del CINECA e del sito ASN, anche per difforme impiego di accenti o caratteri speciali. Va precisato, inoltre, che l’analisi si riferisce agli atenei intesi come sedi di appartenenza dei RTI nel 2013; in caso di eventuali successivi trasferimenti o assunzioni a PA o PO in altre sedi, a ciascun RTI si fa comunque corrispondere l’ateneo presso cui prestava servizio nel 2013.

Il piano straordinario associati ha portato, in particolare tra il 2014 e il 2015, a reclutare oltre 5.300 nuovi PA, “assorbendo” così più di metà dei circa 10.400 abilitati nelle tornate 2012 e 2013. Alla fine del 2016, dopo un lungo periodo senza nuove abilitazioni, il processo di assorbimento era andato avanti con altri 600 nuovi passaggi a PA (arrivati così a poco meno di 6.000). Un anno dopo, al termine del 2017, il tasso di reclutamento aveva ripreso vigore, con oltre 1.500 nuovi PA, ma d’altro canto la riapertura dell’ASN aveva consentito l’ottenimento dell’abilitazione da parte di un più elevato numero di RTI che prima non si erano presentati o non erano stati ritenuti idonei alla 2^ fascia: da 4.450, pur a fronte dei suddetti oltre 1.500 passaggi a PA verificatisi al loro interno, anziché diminuire, i RTI abilitati rimasti senza progressione di carriera sono saliti a circa 5.800 (sostanzialmente raddoppiando rispetto ai 2.950 che sarebbero stati in mancanza dell’ultima ASN). Oggi, dopo un altro anno, sono avvenuti circa 1.100 nuovi reclutamenti a professore associato, ma ci sono anche stati all’incirca altri 1.400 RTI titolari di prima abilitazione, così che complessivamente gli abilitati (con titolo conseguito più o meno recentemente) sono ormai giunti a qualcosa come 6.100 unità, cioè poco meno della metà dell’intera popolazione totale dei RTI (che attualmente si aggira attorno ai 13.000). In altri termini, dunque, dopo aver registrato nei primi anni dopo il 2013 una forte immissione di professori associati nel sistema universitario per effetto del piano straordinario (con un tasso medio di circa duemila concorsi all’anno), negli ultimi due anni il tasso di assunzione di nuovi PA è crollato del -34% annuo rispetto al precedente triennio, mentre parallelamente il numero di nuovi RTI abilitati, anziché ridursi ed invertire tendenza, è continuato a salire senza arresto (con in media circa 2.200 nuovi abilitati all’anno, pari al +50% annuo rispetto ai 4.452 stimati a fine 2016).

Per avere un’idea il più possibile precisa dell’andamento nell’arco degli ultimi cinque anni della composizione dei RTI in Italia, è preferibile rappresentare i dati in un unico grafico ad aree in cui vengono riportati, in funzione del tempo e in pila dal basso verso l’alto, le numerosità delle categorie in cui si suddividono i 23.740 RTI in servizio al 31/12/2013, relativamente alle loro diverse possibili condizioni:

  • servizio in qualità di PA o PO a seguito di conseguimento di ASN (colore verde);
  • servizio in qualità di RTI avendo conseguito almeno una volta l’ASN (colore rosso);
  • servizio in qualità di RTI senza aver mai conseguito l’ASN (colore celeste);
  • pensionamento o trasferimento all’estero, indipendentemente dall’ASN (colore grigio).

Per completezza, sulle aree del grafico mostrato in figura sono anche riportate le corrispondenti numerosità di ciascuna categoria presa in considerazione (a cui vanno associate incertezze al più dell’ordine di qualche decina, come precedentemente descritto).

Rispetto alla situazione iniziale, allorché l’ASN non era ancora partita, oggi il 62% dei RTI del 2013 ha conseguito l’abilitazione e, tra questi, una frazione pari al 59% ha avuto accesso al ruolo di PA o di PO. I ricercatori ancora in servizio che ad oggi non hanno conseguito alcuna abilitazione sono scesi sotto il 30%, ma non è detto che in futuro questa percentuale sia destinata necessariamente ad assottigliarsi ancora: infatti, se da una parte è possibile, con nuovi criteri e nuove commissioni, che un numero più o meno cospicuo di RTI abbia modo di abilitarsi, come pure che un sempre maggior numero di RTI non abilitati vada in pensione, dall’altra è da tener presente che di circa 2.300 RTI tuttora permanenti nel ruolo pur avendo già conseguito l’abilitazione nella tornata 2012 (circa 1.800) o nella tornata 2013 (stimabili in altri 500), in tutto meno di un quarto (approssimativamente 530) ha rinnovato l’abilitazione nel corso dell’ASN 2016-18. Pertanto, tra i circa 1.800 che nel frattempo non saranno usciti dal ruolo, non è da escludere che una frazione potenzialmente non trascurabile non rinnovi durante la tornata ASN 2018-20 l’abilitazione attualmente in corso di validità, ma ormai sempre più prossima alla scadenza (salvo proroghe), sia per mancato superamento delle soglie sia per giudizio negativo delle commissioni.

 

Prospettive nel prossimo futuro

Se non vi sarà un nuovo piano straordinario associati che possa colmare, almeno in parte, il crescente divario tra un tasso di abilitati che continua a salire e un sempre più contenuto tasso di reclutamento in 2^ fascia, verosimili proiezioni in un futuro a medio-breve termine potranno essere ricavate estrapolando i dati relativi a un intervallo di tempo recente adeguatamente lungo, ad esempio quello degli ultimi due anni solari. A tal proposito, la parte più a destra del grafico ad aree prima descritto può essere ripresentata sotto forma di un nuovo grafico nel quale, sempre in riferimento ai 23.740 RTI in servizio nel 2013, si considera il numero assoluto di reclutati in 2^ o in 1^ fascia (in verde), di rimasti nel ruolo con abilitazione (in rosso) oppure senza (in celeste), e di pensionati o trasferiti all’estero (in grigio).

Per una corretta lettura del grafico e delle numerosità di maggior interesse in esso rappresentate, un primo commento concerne la posizione relativa del primo punto più a sinistra della serie di colore verde rispetto al primo punto della serie di colore rosso: quanto più in alto (o in basso) il punto verde si trova rispetto al rosso, tanto più (o meno) efficace risulta l’azione di reclutamento sui RTI abilitati al termine delle tornate 2012 e 2013 fino a tutto l’anno solare 2016. Va anche fatto notare che l’altezza a cui si trovano tali punti (sia verdi sia rossi) è tanto maggiore quanto più alta è la frazione di RTI abilitati.
Inoltre, per meglio individuare l’andamento nel tempo, da fine 2016 ad oggi, delle numerosità dei neo-professori e dei ricercatori abilitati, ai punti nel grafico sono state sovrapposte delle rette di tendenza, aventi rispettivamente i colori verde e rosso. La pendenza della retta verde è necessariamente positiva (cioè procede verso valori crescenti al trascorrere del tempo) ed è indicativa dell’entità dell’incremento del numero di nuovi PA reclutati. La pendenza della retta rossa può, invece, essere sia positiva sia negativa. Infatti, se non vi fossero nuove abilitazioni (come ad esempio avverrà temporaneamente per i prossimi mesi in attesa dei primi esiti dell’ASN 2018-20), per ogni nuovo PA reclutato vi sarebbe un RTI abilitato in meno, e dunque la pendenza della retta rossa dovrebbe essere negativa, simmetricamente opposta alla retta verde. D’altronde, nell’ipotesi in cui il numero di nuove abilitazioni tra i RTI compensasse esattamente, al trascorrere del tempo, il numero di RTI abilitati che assumono il ruolo di professore, la pendenza della retta rossa dovrebbe essere nulla (disponendosi cioè in orizzontale). Quanto più, invece, si verificasse per il numero di nuove abilitazioni una più rapida crescita rispetto al numero di nuovi reclutamenti, tanto più la pendenza della retta rossa risulterebbe maggiore: la retta rossa potrebbe arrivare ad essere parallela a quella verde (che significa un tasso di crescita del numero di RTI abilitati doppio rispetto a quello dei nuovi reclutamenti), o addirittura potrebbe avere una pendenza ancor più netta (che significa un tasso di crescita dei RTI abilitati più che doppio rispetto ai nuovi reclutamenti).

Dal grafico che descrive la situazione degli ultimi due anni solari a livello nazionale, si evince che la retta rossa ha pendenza positiva ed è quasi parallela alla retta verde. Se ne deduce che il tasso di RTI che si sono abilitati nell’ultimo biennio è stato quasi doppio rispetto al tasso con cui nuovi PA sono stati reclutati. Pur volendo ipotizzare un rallentamento nelle procedure dell’ASN 2018-20 e assumendo che la frequenza con cui verranno banditi concorsi per 2^ fascia resti costante nel tempo, lo scenario che si prefigurerebbe per i 23.740 RTI qui considerati potrebbe vedere, a fine 2020, fino a 11mila PA, affiancati da almeno 7mila RTI abilitati e da 5-6mila tra non abilitati e pensionati. Si tratterebbe di uno scenario critico, assai difficile da prevedere all’atto dell’entrata in vigore della legge 240/2010.

Analisi a livello regionale

Fino a qui si è considerato il sistema universitario nella sua interezza, ma è ben noto che questo non è caratterizzato da un comportamento uniforme. Una suddivisione spesso effettuata a livello territoriale è basata sulle cosiddette macroregioni: Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole. Ogni considerazione metodologica può essere ripetuta per ciascuna delle macroregioni, ottenendo così risultati tra loro indipendenti, nonché significativamente differenti.

Negli atenei delle regioni settentrionali la situazione a fine 2016 era tale per cui circa il 58% dei RTI fino a quel momento abilitati erano risultati vincitori di procedure di 2^ fascia; tale percentuale è cresciuta nei successivi due anni, fino a salire all’attuale 66%. Un significativo aumento nel medesimo biennio si è registrato anche al Centro (dal 48% al 55%, con valori analoghi anche nelle Isole), mentre solo al Sud si è avuta una variazione negativa, dal momento che da un 51% iniziale si è scesi all’attuale 48% (valore tenuto alto dagli atenei campani, senza i quali sarebbe precipitato al 42%).

Una possibile rappresentazione del fenomeno appena descritto è fornita nel grafico a dispersione mostrato di seguito. In esso la percentuale di RTI abilitati reclutati a professori è riportata in ordinata, con tre punti per ciascun ateneo: uno di colore verde molto chiaro (in riferimento alla situazione alla fine del 2016), uno di colore verde un po’ più intenso (riferito a fine 2017) e uno di colore verde scuro (riferito alla situazione attuale). In ascissa sono disposti i vari atenei (statali e non statali), ordinati in base alla latitudine alla quale si trova la sede, in modo tale che procedendo da sinistra verso destra ci si sposta da Nord verso Sud. Per evitare possibili fluttuazioni statistiche che potrebbero mascherare l’andamento generale, tra gli 89 atenei sono stati considerati nel grafico solo i 52 per i quali il numero di RTI abilitati supera una soglia ritenuta significativa (fissata a 40), ma che da soli coprono il 96% della popolazione complessiva. Non sono pertanto rappresentate le università più piccole, tra cui le telematiche, e conseguentemente parti del grafico appaiono vuote. Inoltre, per ciascuna delle tre aree (Nord, Centro e Sud/Isole), la percentuale media di RTI abilitati promossi in 2^ fascia è raffigurata con un segmento tratteggiato di un colore verde avente intensità corrispondente all’anno di riferimento (2016, 2017 e 2018).

 

Una prima considerazione sullo scenario attuale, prendendo quindi in esame i soli punti e segmenti di color verde scuro, è che, come già notato, la percentuale di neo-professori tra i RTI abilitati è al Nord nettamente più alta che altrove, con valori piuttosto concentrati attorno alla media del 66%, senza alcun caso sensibilmente sotto il 60%, mentre addirittura si constata la presenza di valori che sfiorano o superano l’80%. Una maggior dispersione dei valori si riscontra nelle altre parti d’Italia, ma rimane evidente una progressiva tendenza verso valori percentuali più bassi man mano che si va più a Sud, fino a scendere sotto al 50%. Una seconda, più preoccupante, considerazione riguarda l’andamento assunto nel tempo dalla percentuale di neo-professori tra i RTI abilitati nelle varie zone d’Italia. Si evince che complessivamente gli atenei centro-settentrionali hanno agito nella direzione di incrementare dal 2016 al 2018 la percentuale di RTI abilitati “concorsualizzati”, con miglioramenti anche molto evidenti là dove il valore di partenza era relativamente basso; al contrario, per gli atenei meridionali avviene dappertutto che tale percentuale si sia vistosamente ridotta negli ultimi due anni: ciò significa incontrovertibilmente che le esigue (talvolta nulle) opportunità di progressione di carriera offerte al Sud non permettono di competere con il crescente numero di RTI che si abilitano per la 2^, come anche per la 1^ fascia.

Il grafico dimostrerebbe in maniera ancora più impietosa il divaricamento della forbice tra Nord e Sud del Paese se si attribuissero i reclutamenti non alla sede di provenienza dei RTI abilitati, bensì alla sede presso la quale i neo-professori prendono servizio (accortezza che potrà essere impiegata in eventuali futuri studi); infatti, per i RTI abilitati che, divenendo PA, cambiano sede pur rimanendo all’interno del sistema universitario italiano, ci si aspetta che sia più frequente un trasferimento verso il Nord piuttosto che il contrario.

Per quanto eloquente, comunque, l’indagine in base alla latitudine delle varie sedi universitarie può risultare un po’ troppo semplificata. La stessa definizione di macroregioni in cui suddividere il territorio nazionale, in effetti, è del tutto arbitraria. In particolare, sul precedente grafico si sono considerati a “Nord” tutti gli atenei con latitudine a nord di Genova (inclusa), mentre nel “Sud e Isole” sono considerate, indistintamente, tutte le sedi con latitudine a sud di Foggia. Tuttavia, come già discusso, è piuttosto netta la differenza tra il Sud peninsulare e le Isole, la cui situazione è più assimilabile a quella del Centro. Può pertanto risultare conveniente aggregare i dati e presentarli per singola Regione: di seguito si riportano alcuni casi tra i più interessanti in merito all’andamento delle varie categorie di RTI nell’arco dell’ultimo biennio. Si osserva che, procedendo dalle regioni settentrionali verso quelle meridionali, la retta rossa (dei RTI abilitati non promossi) si colloca in posizione relativamente più alta rispetto alla retta verde (dei neo-professori), con pendenze che tendono a diventare via via più accentuate.

Alcuni esempi a livello locale

Pur non potendo arrivare ad una completa analisi delle tante differenti realtà locali che non sia eccessivamente lunga e dispersiva, può ad ogni modo valer la pena considerare alcuni esempi che possano descrivere alcune delle tante sfaccettature che caratterizzano la questione dei RTI e dell’abilitazione scientifica nazionale. Al di là dei dati macroscopici fin qui descritti, infatti, vi sono dati più dettagliati che, anche se statisticamente meno significativi, aiutano a capire possibili meccanismi di reclutamento che si instaurano a livello locale.

Per poter avere un primo quadro generale, si prendono di seguito in considerazione i nove atenei più grandi in termini di numerosità di RTI nel 2013 (che da soli raccolgono quasi il 40% della popolazione nazionale).

Innanzitutto si osserva che, presumibilmente per motivi di carattere amministrativo, in alcune sedi gli effetti del piano straordinario associati si sono visti solo a partire dal 2015 (a Milano, Roma “La Sapienza”, Bari e Palermo). Viceversa, a Bologna le procedure di 2^ fascia sono state attivate per gli abilitati delle tornate ASN 2012 e 2013 con celerità ed efficacia, benché negli anni seguenti si sia verificata una drastica riduzione. Le Università di Firenze e di Padova rappresentano, invece, casi virtuosi in cui, dopo il 2016, il reclutamento di nuovi PA è ripreso con tassi confrontabili a quelli degli anni precedenti. I casi di Roma “La Sapienza” e di Bari si rivelano tra i più critici in termini di percentuale di reclutamento di RTI abilitati lungo tutti e cinque gli anni qui analizzati; addirittura a Bari (come del resto altrove al Sud) in pratica non ci sono stati nuovi concorsi per l’accesso alla 2^ fascia. D’altronde, va anche osservato quanto sia facile prevedere che nei prossimi anni si potrà registrare un aumento continuo del numero di pensionamenti: tra i grandi atenei questo fenomeno sembra fino ad oggi relativamente più pronunciato a Roma “La Sapienza” e a Napoli “Federico II”.

Un discorso a parte meritano i quattro Politecnici (Milano, Torino, Marche e Bari), i quali riguardano circa un ventesimo di tutti i RTI in servizio nel 2013, concentrati soprattutto nelle aree CUN 08 e 09. In questo caso la percentuale di RTI abilitati passati al ruolo di PA era già molto alta alla fine del 2016 (71%), ed è ulteriormente cresciuta nell’ultimo biennio (74%), facendo sì che in assoluto il numero di RTI abilitati rimasti nel ruolo sia aumentato solo debolmente.

Una possibile distinzione nell’ambito delle università italiane è quella tra statali e non statali. A queste ultime, contate in 23 nel campione qui analizzato, appartenevano nel 2013 all’incirca un migliaio di RTI. Le percentuali di abilitazione e di successivo reclutamento a PA, dopo essere state inferiori al 50%, come si osserva nei grafici di seguito, sono recentemente cresciute, fino a portarsi quasi in linea con i valori medi a carattere nazionale. In conseguenza di ciò, si è potuto registrare solo un fievole aumento nel tempo del numero di abilitati non promossi.

Le università telematiche, caso particolare delle non statali, pur rappresentando solo una piccolissima parte del sistema universitario, costituiscono un aspetto certamente di interesse. Come si può notare nei grafici sotto riportati, la percentuale di RTI abilitati promossi a PA è via via cresciuta fino ad essersi assestata al di sopra del 60%, allineandosi sostanzialmente al contesto nazionale.

Passando in rassegna tutte le situazioni dei vari atenei italiani, sono rari i casi in cui si osserva negli ultimi due anni una diminuzione del numero netto di RTI abilitati che restano nel ruolo. Tipicamente si tratta di atenei di medie e piccole dimensioni, situati tutti al Nord e al Centro, nei quali è molto evidente l’incremento del numero di procedure di 2^ fascia attivate. Tra questi sono riportati di seguito i grafici corrispondenti a Insubria, Bergamo e Pisa (per completezza andrebbero citati anche Firenze, Tuscia e Cattolica del Sacro Cuore).

D’altro canto, numerosi sono i casi in cui la situazione in termini di concorsi effettuati negli ultimi due anni è rimasta di fatto stazionaria. Qui se ne riportano sei: dapprima i casi di Trento, Parma e Napoli “L’Orientale”, e a seguire quelli riguardanti Foggia, Sannio di Benevento e Mediterranea di Reggio Calabria.

Come si può notare dall’assai diversa ampiezza della banda di colore rosso, si intuisce che, nei primi tre casi, gli atenei avevano investito molte risorse, tra il 2014 e il 2016, fino a raggiungere un assorbimento pressoché totale dei RTI fino a quel momento abilitati, per cui, pur a fronte di un successivo incremento più o meno consistente di nuovi titolari di ASN, hanno poi scelto di non destinare punti organico per nuove procedure concorsuali; negli altri tre casi riportati, invece, la motivazione è prevedibilmente ben diversa: dopo l’impiego dei finanziamenti previsti dal piano straordinario, non è stato più possibile assegnare (se non in misura minima) risorse per bandire nuove posizioni di professore associato.

Infine, scorrendo tra le sedi universitarie più piccole, può capitare di osservare alcune situazioni che, per vari motivi, possono dirsi degne di segnalazione. Nel caso della “storica” Scuola Normale Superiore di Pisa, ad esempio, la categoria dominante tra i RTI è quella dei pensionati. Per motivi opposti, la ben più giovane Università di Enna “Kore” (non statale) si distingue per il fatto che non vi è stata tuttora nessuna cessazione di servizio tra i RTI, in gran parte abilitati e promossi a PA. Camerino, d’altra parte, presenta la più bassa percentuale di abilitazioni tra i RTI in servizio, a sua volta accompagnata da una frazione relativamente bassa di reclutati in 2^ fascia.

Considerazioni finali

L’analisi qui presentata offre molteplici spunti di riflessione, i quali potrebbero (e dovrebbero) andare ben oltre la semplice descrizione, dal punto di vista meramente statistico, di come il corpo dei ricercatori a tempo indeterminato italiani sia cambiato nell’ultimo quinquennio. La correlazione con l’informazione geografica costituisce solo una delle tante possibili chiavi di lettura, molto probabilmente tra loro connesse. Solo per citarne alcune, si potrebbero considerare l’entità dei finanziamenti ministeriali ricevuti dai singoli atenei, il contesto socio-economico di riferimento, eventuali risorse provenienti dal territorio, come pure possibili motivazioni di carattere storico-politico in grado di orientare o condizionare le scelte strategiche di reclutamento. Ulteriori studi analoghi a quelli qui esposti potrebbero essere condotti per provare a scorgere le future evoluzioni che il mondo accademico italiano potrà avere: a titolo esemplificativo, si potrebbero interpretare i dati dell’ASN anche in funzione delle aree CUN, se non addirittura dei singoli settori concorsuali; si potrebbero inoltre effettuare analisi distinte per fasce e categorie, dagli associati abilitati alla 1^ fascia ai ricercatori a tempo determinato, o più in generale estese a tutti gli addetti alla ricerca, inclusi i “precari”, eventualmente operanti anche in altri Enti o Istituzioni. Tutto ciò, chiaramente, andrebbe ben oltre il proposito di questa indagine, il cui scopo rimane, molto semplicemente, quello di fornire un tassello utile a comprendere come il sistema universitario italiano stia evolvendo e a dare un’idea della misura in cui, di fatto, l’ASN sia riuscita o meno a superare la vecchia figura di ricercatore, così come la legge 240/2010 aveva provato a fare, riuscendovi solo parzialmente. Dopo tutto, dietro alla mole di numeri e di grafici qui presentati, ci sono migliaia di ricercatori ai quali ormai da tanto tempo è stata riconosciuta l’idoneità al ruolo di professore, ma che, per motivi da loro indipendenti, continuano a vedersi negate legittime aspettative di carriera, con potenziali ricadute negative anche sul piano motivazionale: la sola possibile soluzione al rischio della progressiva dissipazione di questo enorme patrimonio della ricerca universitaria italiana, indubbiamente, non può che essere l’istituzione di un nuovo piano straordinario associati.

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11 Commenti

  1. L’analisi è approfondita e interessante ma non è comprensibile (almeno a me) come sia possibile interpretare i dati delle dinamiche e delle politiche di reclutamento dei RTI senza considerare quelle dei RTD (A ma soprattutto B). Si invoca un piano associati come se i compartimenti RTI e RTD siano stagni e non comunicanti. A fronte di tanti RTI meritevoli che hanno conseguito l’ASN ci sono moltissimi RTD, assegnisti e privati cittadini che hanno anch’essi meritevolmente conseguito la stessa idoneità e sopratutto sono in gran parte coevi dei RTI in servizio. Molti dei cosiddetti precari hanno ASN conseguite prima di molti RTI ancora non passati a PA o PO. Se si facesse un piano associati come quello passato si ricreerebbe quel tappo per il reclutamento a PA per i precari della ricerca come successo nel 2013-2014 in moltissimi atenei. Sarebbe quanto mai opportuno parlare di RT e non RTI e RTD separatamente. Che si voglia (o piaccia) o meno le figure di RTD sono da considerare al pari dei RTI in qualsivoglia strategia di reclutamento e passaggi di carriera universitari.

  2. Nel complimentarmi con l’autore dell’articolo, davvero preciso, faccio notare che l’obiezione del primo commento sul piano straordinario associati (“…tappo per il reclutamento a PA per i precari della ricerca come successo nel 2013-2014 in moltissimi atenei…”) non tiene conto del fatto che i due percorsi di reclutamento a PA sono del tutto separati ed è fuorviante NON parlarne separatamente. Negli ultimi anni il piano straordinario associati è praticamente defunto (ingiustamente) mentre (giustamente) sono arrivate agli Atenei risorse per il reclutamento di RTDb. Per i posti messi a concorso su tali risorse gli RTI NON possono partecipare, quindi capita che in molti Atenei si vedono “sorpassi” di persone (valide, per carità) nei confronti di RTI loro relatori di tesi o ex-docenti (perchè gli RTI fanno da anni un mucchio di docenza), semplicemente perchè gli uni non possono partecipare ai concorsi degli altri. Quindi, purtroppo, i due compartimenti RTI e RTD sono proprio stagni e non comunicanti. Ben venga dunque il reclutamento degli RTDb, ma se in parallelo non si mette mano al piano straordinario associati, i nuovi PA non potranno che essere soltanto gli RTD, lasciando nel limbo le migliaia di RTI abilitati, alla faccia delle eguali opprtunità.

  3. La stridente disparità di trattamento tra figure di ricercatori di ruolo (RTI), ancorché ad esaurimento, idonei all’ASN, e la “nuova” figura prevista dalla legge Gelmini dei ricercatori di tipo B (RTDB o RTB) induce a fare una riflessione generale sul futuro dell’università nell’ambito dello scenario che, ormai delineato, congiura a cancellare le speranze degli RTI che hanno conseguito l ASN. La cancellazione di tale disparità è in realtà a portata di mano in quanto non richiede modifiche legislative, bensì l’appostamento di modeste risorse aggiuntive specificamente dedicate ad una categoria ormai ad esaurimento, oltre che costituita da un collettivo di persone non più giovanissime. La copertura finanziaria di una eventuale soluzione non può non tener conto che gli RTI già riscuotono, praticamente tutti, un compenso addizionale determinato dalle legge per la titolarità dell’ insegnamento. Infatti, l’auspicato avanzamento in carriera degli RTI già abilitati si riduce significativamente (forse azzerandosi del tutto) se si considera che l’impegno dai ricercatori per il sostegno dell’offerta formativa é remunerato per non meno di 210,00 euro (280 a lordo di Ateneo) a CFU di didattica frontale, ab illo tempore – oltre che prevalentemente – erogata appunto dagli RTI. Le iniziative ormai consolidate del MIUR di bandire esclusivamente piani straordinari per RTDB (posizioni discriminatamene precluse agli RTI) seppure assolutamente apprezzabile, oltre che positiva per i tanti giovani che da troppo tempo aspettano di intraprendere la carriera universitaria – e dunque quanto mai opportuna – non deve inficiare – facendole tramontare – sulle speranze degli RTI che hanno conseguito l’abilitazione nella tornata ASN, per molti dei quali prossima alla scadenza. Pertanto, la Legge di Stabilità ragionevolmente non può che sopperire intervenendo con un piano Straordinario Associati specificamente diretto agli RTI, in linea con quanto avviene per gli RTDB, anche per completare la transizione avviata con la Legge Gelmini. Infatti, solo il completamento di questa fase di transizione può definitivamente lenire il problema del consistente sbilanciamento di trattamento palese e forte a favore di nuove figure professionali – gli RTDB – che, sebbene a contratto, in base all’articolo 24 della Legge Gelmini, superato il triennio diverranno “quasi” di diritto professori associati, noto che “alla fine nel terzo anno di contratto l’università valuta il titolare del contratto (RTDB) che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’Art. 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato”, mentre gli RTI che hanno conseguito l’abilitazione scientifica non godono dell’ analogo privilegio di vedere riconosciuto un termine per poter essere valutati come professore associato, a meno che non venga bandito un sempre più improbabile nuovo concorso.

  4. C’e’ un principio alla base di questo articolo che trovo non condivisibile, e cioe’ che tutti gli RTI abilitati debbano trovare posto come professore nei nostri atenei. L’abilitazione non e’ una garanzia di diventare professore, e come fa notare qualcuno nei commenti non si capisce perche’ un RTI abilitato debba avere un percorso diverso da un RTD, un assegnista o chiunque altro. In effetti un percorso privilegiato ce lo ha gia’, nel senso che un RTI sono anni che fa ricerca indipendente, accede a fonti di finanziamento e puo’ pagarsi collaboratori, dottorandi ecc… quindi dal punto di vista della carriera, se un RTI ed un RTD partecipano ad un concorso da PO/PA non ci dovrebbe essere storia.

    C’e’ puoi un’altra questione. In uno dei documenti di accompagnamento alle soglie del 2016, si mostravano le mediane calcolate sulla platea degli RTD, che erano generalmente (almeno nei settori di cui ricordo) piu’ basse delle soglie di abilitazione. Se ricordo bene le soglie sono state “tarate” (anche se l’algoritmo non e’ noto, ma se sono inferiori…) sulle carriere degli RTD, mentre nella mandata precedente erano tarate sulle mediane degli associati. Quindi, non e’ sorprendente che ci siano molti RTI abilitati, e che questo numero sia molto aumentato negli ultimi due anni.

    In fine, dire che i due compartimenti RTI e RTD siano stagni, seppure formalmente vero, nasconde l’elemento piu’ importante: i soldi sono sempre quelli. Possiamo fare finta che il governo metta soldi per tutto (RTI, RTD, stipendi, borse di studio ecc…) ma siccome tutti sappiamo che non succedera’, chiedere un percorso straordinario per gli RTI automaticamente entra in competizione con le altre voci di spesa. E a quel punto dobbiamo capire se e’ piu’ utile nel complesso far entrare gente nuova ora precaria, oppure far fare carriera a quei 6000 ricercatori che hanno avuto le loro occasioni (straordinarie) e che potranno diventare PA o PO se continuano a fare bene il loro mestiere, e hanno voglia di partecipare a concorsi anche in altri atenei.

    • “non si capisce perche’ un RTI abilitato debba avere un percorso diverso da un RTD”
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      Proprio così: perché un RTDb dopo tre anni di servizio come ricercatore, se abilitato, può diventare associato e un RTI (che di norma è in servizio da ben più di tre anni) invece no? Per mettere tutti sullo stesso piano, i concorsi RTDb andrebbero aperti anche agli RTI e poi “vinca il migliore”, dando al vincitore la possibilità di far valere l’abilitazione ai fini della promozione a PA. Difficile ritenere equo un sistema in cui convivono un binario morto RTI e un canale parallelo RTDb che scavalca gli RTI.
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      “quei 6000 ricercatori che hanno avuto le loro occasioni (straordinarie) e che potranno diventare PA o PO se continuano a fare bene il loro mestiere”
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      Se non si bandiscono posti da PA, puoi fare bene il tuo mestiere quanto vuoi, ma rimani RTI. Si tratta di mantenere quanto promesso nella 240 relativamente al completamento del piano straordinario associati (art. 29 comma 9). Pacta sunt servanda, dicevano i latini.

    • @DeNicolao:
      Un RTI non e’ un binario morto. E’ un posto a tempo indeterminato nell’universita’ che ti da’ gli strumenti per fare carriera, ma fare carriera non e’ un diritto e l’art 29 comma 9 non dice che tutti gli RTI diventeranno associati.
      La realta’ e’ che un RTI non deve vincere un RTD per essere chiamato, gli atenei possono spendere soldi per fare chiamate di chi gli pare (e alcuni infatti continuano a far crescere i PA). Se invece la maggior parte preferiscono fare RTD o chiamare gente da fuori piuttosto che chiamare i propri RTI saranno scelte loro.

      Sono d’accordo che gli atenei debbano continuare a fare concorsi per PA e PO, ma mettere risorse specifiche per gli RTI non mi sembra la priorita’, di fronte a decine di migliaia di precari che quelli si, sono su un binario morto.

    • “Un RTI non e’ un binario morto”
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      Sarà un caso se si chiama “ruolo ad esaurimento”?
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      “Se invece la maggior parte preferiscono fare RTD o chiamare gente da fuori piuttosto che chiamare i propri RTI saranno scelte loro.”
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      Scommetto che leoboswski, se fosse un RTI abilitato nel cui settore non vengono banditi posti da PA, sarebbe qui a postare commenti di segno esattamente opposto. In questo “saranno scelte loro” è racchiuso il senso delle dinamiche accademiche recenti. Quando vengono azzoppati i miei concorrenti “saranno scelte loro”. Quando azzoppano me, invece, è un’ingiustizia da denunciare e da superare.

    • Quindi @DeNicolao, la conclusione della discussione e’ che non c’e’ un diritto di fare carriera, nessuna ipotetica legge che dovrebbe garantirlo, ma e’ una priorita’ spendere altre risorse per far fare carriera a chi non c’e’ riuscito finora, perche’ tutti gli abilitati devono diventare associati. E’ una posizione corporativa, legittima anche senza scomodare i latini. Fa parte delle dinamiche accademiche recenti, in cui chi la prende i tasca sono gli stessi che la prendevano in tasca con le dinamiche accademiche passate, e cioe’ quelli che nella scala delle priorita’ sono sempre in fondo.

      “Scommetto che leoboswski, se fosse un RTI abilitato nel cui settore non vengono banditi posti da PA, sarebbe qui a postare commenti di segno esattamente opposto. In questo “saranno scelte loro” è racchiuso il senso delle dinamiche accademiche recenti. Quando vengono azzoppati i miei concorrenti “saranno scelte loro”. Quando azzoppano me, invece, è un’ingiustizia da denunciare e da superare.”

      Forse invece, se fossi un RTI abilitato penserei che oltre al mio non diritto di fare carriera, c’e’ anche il non diritto dei miei collaboratori a farsi una vita decente. E saprei che sostenere solo il mio problema sottrae risorse al problema degli altri (che vuoi, il precariato qualcosa ti insegna…).

    • “e’ una priorita’ spendere altre risorse per far fare carriera a chi non c’e’ riuscito finora”
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      Mai detto questo. Ho solo detto che il sistema a binari paralleli non è razionale. L’interesse collettivo è quello di avere buoni professori, non di penalizzare intere categorie. Se un RTI è più qualificato di altri per un posto da associato, perché non promuoverlo? Se è meno qualificato, si recluti qualcun altro.

  5. “Possiamo fare finta che il governo metta soldi per tutto (RTI, RTD, stipendi, borse di studio ecc…) ma siccome tutti sappiamo che non succedera’, chiedere un percorso straordinario per gli RTI automaticamente entra in competizione con le altre voci di spesa”.
    I conti sono presto fatti: nella versione attuale della finanziaria sono previsti 1000 RTDb per i prossimi due anni (molto bene, non sono tanti ma meglio di nulla), al costo di circa 100 milioni di euro. I circa 6.000 RTI abilitati, poichè sempre secondo la legge 240 la loro carriera non viene praticamente ricostruita, se fossero promossi in blocco a PA, costerebbero circa 60 milioni di euro: pochissime risorse per chiudere semplicemente e definitivamente (e “sacrosantamente”) la vicenda, mettendo finalmente uno STOP allo scontro sinceramente surreale e che sa molto di guerra fra poveri e poverissimi RTI vs RTD.

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