Con una sentenza che non mancherà di destare accese discussioni nella comunità accademica italiana, il Consiglio di Stato nella sentenza riprodotta in calce ha novellato la propria consolidata giurisprudenza e travalicato un parere ANAC, ritenendo che – ove la numerosità del settore concorsuale sia sufficientemente ampia – si venga a configurare un conflitto di interesse qualora un accademico si trovi giudicare un proprio allievo, a prescindere dalla presenza o meno di rapporti aventi rilievo familiare o economico o dall’esistenza di coautoraggi.

La vicenda sottesa a questa pronuncia evidenzia una fattispecie limite, come sovente accade quando in un giudizio s’invera l’adagio “hard cases make bad law” col quale un celebre giudice della Corte suprema statunitense alluse all’idea che i casi chiamati a decidere fatti particolari o estremi esitano in precedenti inadatti a esprimere regole idonee a gestire la generalità dei casi nei quali si tornerà a chiedere giustizia.

I fatti. In una procedura valutativa di un ateneo italiano per un posto da ordinario che finisce per mettere a confronto due professori associati del medesimo dipartimento, viene designato quale membro della commissione un professore ordinario della materia del dipartimento dell’ateneo che ha indetto il concorso. Si tratta della classica situazione a collo di bottiglia, dove si confrontano due studiosi che, nel localismo che da troppo tempo caratterizza le dinamiche delle progressioni di carriera nel nostro sistema universitario, in quella procedura sanno di giocarsi (quasi) tutto. Chi prevarrà, coronerà il sogno di arrivare al gradino più alto della carriera universitaria nella sua sede storica. Chi perderà, vedrà passare il suo treno, rassegnandosi a un lungo periodo nel quale coltivare la flebile speranza che il dipartimento torni a bandire un posto da PO nell’area in questione, consapevole che, se la flebile speranza resterà tale, dovrà volgere le proprie aspettative altrove, affrontando il clima ostile che le dinamiche dell’attuale sistema del reclutamento universitario riservano a chi intenda partecipare a procedure comparative bandite in un ateneo nel quale non si è già ben conosciuti.

Nel caso oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato quale «membro interno» della procedura (ma, come vedremo, questa definizione, comunemente invalsa per indicare il componente della commissione valutativa designato direttamente dal dipartimento che avvia la procedura, è sconfessata nella sentenza di cui si parla, osservando che i bandi si limitano ad alludere a un «membro designato» dal dipartimento) viene indicato un professore ordinario che – come rileva il Consiglio di Stato – è stato il mentore accademico (o «maestro», per usare un termine su cui occorrerà soffermarsi con più calma) di entrambe le candidate interne in possesso di abilitazione che si disputano l’avanzamento di carriera locale. Solo che una delle due – non a caso la ricorrente – risulta negli anni essersi allontanata da questo rapporto di «scuola» col «maestro» in questione, mentre l’altra, quando si svolge la procedura, appare essere ancora legata al suo mentore accademico, come la sentenza agevolmente dimostra, ricorrendo ad indicatori presuntivi quali la congiunta partecipazione a opere scientifiche o la presenza della candidata nella redazione di una rivista diretta dal maestro in questione.

Contro la vittoria di quest’ultima, la ricorrente, valutata dalla commissione come «meno qualificata» della candidata risultata poi vincitrice della valutazione comparativa, aveva già visto respingere l’istanza di ricusazione prodotta nel corso della procedura al rettore dell’ateneo bandente; analogo esito aveva avuto anche il ricorso promosso innanzi al TAR.

TAR Puglia 23 maggio 2018 aveva suffragato il rigetto richiamandosi ad alcuni punti fermi tracciati dalla giustizia amministrativa negli ultimi anni, volti a definire entro quali limiti nelle procedure di reclutamento universitario si possa configurare il conflitto di interesse fra esaminatore ed esaminato.

In primis il fatto che «i rapporti personali scaturiti dalla cura di pubblicazioni scientifiche in comune fra i membri della commissione d’esame e i candidati, non costituiscono, di per sé, vizi della procedura concorsuale né alterano la par condicio tra i candidati, specie se si considera che nel mondo accademico le pubblicazioni congiunte sono ricorrenti per il rilievo che assumono come titoli valutabili» (C. Stato, sez. VI, 31 maggio 2012, n. 3276).

In secondo luogo perché tali rapporti soddisfano esigenze di «approfondimento di temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere, in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non impossibile, la formazione di Commissioni esaminatrici in cui tali collaborazioni non siano presenti» (così già C. Stato, sez. VI, 24 ottobre 2002, n. 5879).

Dirimente, infine, era stato ritenuto il precedente per il quale «non costituisce ragione d’incompatibilità la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale, mentre l’obbligo di astensione sorge nella sola ipotesi di comunanza di interessi economici di intensità tale da far ingenerare il ragionevole dubbio che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con il commissario» (C. Stato, Sez. V, 16 agosto 2011, n. 4782).

Senza contare – aveva osservato la sentenza di primo grado – che non si riscontrava nel caso di specie un «concreto sodalizio di interessi economici di lavoro e professionali talmente intensi da ingenerare il sospetto che la valutazione del candidato non sia obiettiva e genuina, ma condizionata da tale cointeressenza» (così anche T.A.R. Lazio n. 6945/2013).

Infine il TAR aveva messo in rilievo che l’indicazione del membro interno della commissione è ontologicamente «caratterizzata dall’intraneità all’Istituto e dalla necessaria cooperazione e conoscenza scientifica con i candidati, sicché non sarebbe astrattamente possibile ipotizzare rapporti di scarsa collaborazione pregressa».

Il Consiglio di Stato non solo, come già detto, sconfessa il vezzo di alludere alla figura del «commissario interno», che nel fraseggio dei bandi semplicemente non esiste. Ma compie un passo interpretativo assai rilevante, andando ben oltre quanto sostenuto nella delibera 394/2017 con la quale l’ANAC aveva scrutinato la medesima vicenda sottoposta alla cognizione del Consiglio di Stato.

In quella delibera l’organo anticorruzione, non riscontrando la sussistenza dell’obbligo di astensione, aveva ritenuto che:

«Nel caso di specie, il professore designato nella Commissione valutativa ha indubbiamente intrattenuto rapporti accademici e di ricerca con entrambe le candidate alla procedura, in quanto trattasi di studiose afferenti allo stesso settore scientifico disciplinare. Con specifico riferimento ai rapporti intrattenuti dal professore con la candidata risultata vincitrice della procedura, può sorgere il ragionevole dubbio che gli incarichi professionali e personali conferiti da un parente e un affine della stessa, anche se diversi anni addietro, possano determinare una situazione di conflitto di interessi, seppure potenziale. In particolare si evidenzia che il carattere gratuito dei due incarichi di difesa personale assunti dal professore in giudizi di primo e secondo grado, prima nei confronti di un parente e successivamente nei confronti di un affine della candidata, lascia intravedere la possibile esistenza di rapporti di amicizia personale con familiari e affini della candidata, che potrebbero travalicare la semplice relazione maestro/allievo, incidendo negativamente sull’indipendenza di giudizio del professore nella sua qualità di componente di una Commissione valutativa. Tuttavia, alla luce delle disposizione normative vigenti e in base a quanto previsto allo stato attuale dal codice etico dell’università di Foggia, trattandosi di un esiguo numero di incarichi professionali e personali affidati da familiari e affini di una delle due candidate, la circostanza, sebbene possa legittimamente ingenerare il sospetto che la valutazione della candidata non sia stata oggettiva e genuina, non sembra sufficiente ad affermare l’esistenza di un rapporto di collaborazione costante e assoluto tale da determinare una situazione di incompatibilità da cui possa sorgere l’obbligo di astensione del commissario».

Il Consiglio di Stato si porta quindi a riconsiderare il rapporto di scuola che nell’accademia può sussistere (e anzi fisiologicamente sussiste), in assenza di legami di parentela o di cointeressenza economica, fra un professore e un suo allievo, per decretare solennemente che l’esistenza di un rapporto di scuola è di per sé sufficiente per far scattare l’obbligo di astensione.

Si supera così – e di molte lunghezze – quanto ancora recentemente la stessa sezione dell’organo di ultima istanza della giustizia amministrativa aveva ritenuto di avallare, dando rilievo al carattere ristretto della comunità scientifica, per affermare che «il legislatore, nel tenere conto di queste realtà e del numero più o meno contenuto delle singole comunità scientifiche, ha procedimentalizzato il sistema di scelta dei componenti della commissione, senza prevedere l’obbligo di astensione per il “maestro” così selezionato, che sia chiamato a valutare anche un proprio allievo. L’obbligo di astensione invece sussiste quando l’“intensità della collaborazione” sia stata tale da far desumere che vi è stata una valutazione dello stesso candidato basata non sulle sue qualità scientifiche o didattiche, ma su elementi che non attengano a tali qualità. Nel caso di specie, il coinvolgimento del presidente della commissione nel percorso universitario e di crescita professionale del candidato, pur essendo evidente, non è riferibile ad una comunanza di interessi anche economici, nei termini richiesti alla luce dei precedenti sopra richiamati. Invero, il percorso culturale dell’appellato – pur se è stato caratterizzato da una frequente collaborazione con il presidente della Commissione – è inquadrabile nell’ambito degli ordinari canoni universitari sopra evidenziati, non risultando dedotta, né provata, la sussistenza di una comunanza di interessi economici» (così C. Stato 24 agosto 2018, n. 5050).

Valorizzando il mero criterio dimensionale esibito dalla comunità accademica di riferimento (ossia, in soldoni, il settore disciplinare) il Consiglio di Stato giunge ad affermare:

«nel momento in cui le Università ed i docenti ad esse addetti raggiungono un’ampia diffusione numerica sul territorio, il giudice della legittimità deve poter valutare se quel carattere di ristrettezza degli appartenenti al determinato settore scientifico in questione sussista ancora. Orbene, alla data del passaggio in decisione del ricorso in appello, il sito istituzionale del Ministero dell’università indicava nel numero di 145 i professori ordinari di diritto amministrativo. Questo collegio ritiene che tale numero non possa più giustificare quella deroga. Il prof. -OMISSIS- aveva l’obbligo di astenersi perché, come già rilevato, era il “Maestro” di entrambe le “allieve”».

Se questa è, nella sua pochezza, l’argomentazione giuridica usata dal Consiglio di Stato, nei suoi confronti si possono muovere alcuni rilievi critici.

Come dicevamo, il caso da cui tutto origina è di quelli limite e non sorprende che un «caso difficile» abbia determinato una evoluzione giurisprudenziale che rischia di fare molto male all’accademia italiana, facendo sì che lo scivoloso territorio del conflitto di interessi fra valutatore e valutato venga piallato da una regola draconiana, che appare il classico rimedio peggiore del male che intende contrastare.

Certo, valorizzando l’affermazione sottolineata dalla sentenza, per la quale «il prof. -OMISSIS- aveva l’obbligo di astenersi perché, come già rilevato, era il “Maestro” di entrambe le “allieve”», si potrebbe ritenere che questa decisione valga come precedente solo qualora in futuro si verifichi un caso nel quale membro della commissione designata risulti essere un componente che sia agevolmente riconoscibile, in base agli indici valorizzati da questa sentenza, quale «maestro» di uno dei candidati della procedura comparativa.

La conclusione potrebbe non essere peregrina, ma porterebbe con sé una conseguenza difficilmente evitabile: un diffuso livello di astensione dei commissari designati, consapevoli di poter incappare nel dispiegamento di istanze promosse da candidati pronti ad additare ogni possibile evidenza di possibili rapporti di scuola fra un proprio concorrente e uno o più commissari, nella speranza di legittimare l’accoglimento della ricusazione richiesta al rettore. E consapevoli, altresì, di poter coltivare ottime speranze di reagire all’eventuale diniego rettorale, impugnando l’esito della procedura, per ottenere che TAR e Consiglio di Stato facciano nuova giurisprudenza a partire dal proprio caso, riconoscendo l’evidenza di nuove manifestazioni del «rapporto di scuola» e invalidando l’esito del concorso. Una complicazione non da poco, visto che ovviamente la commissione è nominata prima che si conoscano le identità dei soggetti che risultano aver fatto domanda per la procedura.

Ma lasciando da un canto questo scenario (che in fondo non dispiacerebbe ai già indaffaratissimi patrocinatori di candidati delusi in esito a procedure di reclutamento universitario), un punto su cui sembra infrangersi la bontà dell’argomentazione seguita dal Consiglio di Stato è quello, indefinito, arbitrario e mutevole, del limite dimensionale del SSD (ma meglio si sarebbe dovuto dire: della classe concorsuale), al quale i giudici amministrativi subordinano la tenuta logica del proprio ragionamento.

Oggi nel macrosettore 12D del caso vagliato dalla sentenza di cui si parla non ci sono 145 P.O., ma 214 nominativi. Il macrosettore 1A ne conta 637; l’1B 234; il 2A 216; il 2B 210; il 2C 64; il 2D 72; il 3A 142; il 3B 169; il 3C 149; il 3D 133; il 4A 221; il 5A 93; il 5B 82; il 5C 39; il 5D 123; il 5E 279; il 5F 64; il 5G 138; il 5H 97; il 5I 63; il 6A 333; il 6B 127; il 6C 119; il 6D 467; il 6E 167; il 6F 230; il 6G 80; il 6H 51; il 6I 94; il 6L 36; il 6M 193; il 6N 81; il 7A 82; il 7B 118; il 7C 58; il 7D 50; il 7E 54; il 7F 45; il 7G 87; il 7H 195; il 7I 43; l’8A 235; l’8B 212; l’8C 134; l’8D 88; l’8E 114; l’8F 72; il 9A 238; il 9B 181; il 9C 207; il 9D 172; il 9E 314; il 9F 165; il 9G 173; il 9H 219; il 10A 65; il 10B 79; il 10C 74; il 10D 163; il 10E 57; il 10F 181; il 10G 99; il 10H 57; il 10I 44; il 10L 104; il 10M 95; il 10N 68; l’11A 283; l’11B 71; l’11C 279; l’11D 169; l’11E 292; il 12A 240; il 12B 262; il 12C 204; il 12E 278; il 12F 59; il 12G 149; il 12H 203; il 13A 566; il 13B 658; il 13C 55; il 13D 331; il 14A 102; il 14B 87; il 14C 168; il 14D 39.

Assumiamo, in via di mera ipotesi, che il numero che il Consiglio di Stato ha avuto in sorte di valorizzare nel caso che vagliava funga da spartiacque fra un’accademia nella quale il maestro non può mai giudicare l’allievo, anche se con lui non intrattiene rapporti di parentela o di interesse economico, e un’accademia dove invece questa evenienza è considerata legittima. Dovremmo concludere, calpestando il senso dell’art. 3 Cost., che allo studioso di economia aziendale la roulette dell’art. 97 Cost. faccia uscire sempre il rosso, perché costui ha la ventura di studiare una materia dove probabilmente molti ordinari della materia non hanno mai sentito nominare qualche proprio pari (sono, infatti, ben 658), mentre nel caso dello studioso di clinica anestesiologica la pallina cadrebbe sempre sul nero, perché candidatosi ad un avanzamento di carriera in un’accademia dove far sedere gli ordinari allo stesso tavolo in occasione di un convegno forse non è ancora una missione impossibile (sono, infatti, solo 36). In grassetto, nella lista che precede, sono indicati i settori concorsuali dove la legge dei grandi numeri avallata dal Consiglio di Stato porterebbe oggi a legittimare la possibilità che avvengano valutazioni concorsuali fra maestro e allievo, come sempre sono avvenute in passato.

Al netto di queste considerazioni, che assumono un sapore provocatorio fino ad un certo punto, quale sarà il precipitato concreto di questa sentenza?

Lungi dallo sconfiggere le influenze delle c.d. «scuole» – che la sentenza di cui parliamo, dopo aver fatto a pezzi l’idea sottesa al rapporto fra maestro e allievo su cui queste ultime si sono sempre costruite, poi quasi beffardamente definisce «correnti di pensiero scientifico» – lo scenario che la decisione del Consiglio di Stato dischiude sarà quello per cui le «scuole» più potenti, in termini di numerosità degli ordinari che in esse si riconoscono e che di esse adottano e praticano la ferrea disciplina di corpo, avranno la possibilità di gestire gli esiti concorsuali in modo molto più pregnante di quanto non avvenga oggi.

Di contro, lo studioso di valore divenuto P.O. senza necessariamente giurare fedeltà alle suddette «correnti di pensiero» di dimensioni nazionali o multiregionali (si allude a scuole come quelle raffigurate nell’immagine che accompagna questo post, per intenderci), che abbia localmente condotto a maturazione allievi meritevoli (non dimentichiamo infatti che la portata della decisione del Consiglio di Stato finirà per contagiare ogni livello del reclutamento: dalle valutazioni per gli assegnisti di ricerca in su) dovrà necessariamente cedere il passo nel momento in cui il proprio dipartimento offrirà all’allievo di questo studioso la possibilità di giocarsi una promozione, rassegnandosi alla prospettiva di dover entrare in trattativa con (o di apparentarsi con) il potente lider maximo di una delle «correnti di pensiero» operanti in seno alla propria accademia, a pena di veder frustrate sul nascere le chances di avanzamento dell’allievo ritenuto meritevole.

Chiunque sappia cosa significhi oggi nell’Università italiana riuscire a convincere il proprio dipartimento che è opportuno e strategico bandire una posizione localmente, sa bene nel suo intimo che il rapporto fra questa difficile fase e il successivo momento della valutazione comparativa è fra i più complessi e delicati.

Da sempre, e tanto più nell’attuale sistema di regole del reclutamento disegnato dalla legge Gelmini, chi si batte nei «ristretti» di dipartimento riservati agli ordinari per far sì che le risorse sempre più risicate del tesoretto di «punti P.O.» allocato al dipartimento stesso nella ripartizione di ateneo siano investite per programmare di deliberare una posizione accademica nella propria materia, non sempre, ma molto spesso, è consapevole che nel momento in cui la comunità dipartimentale, su input di un maestro, programma di deliberare il bando per quella posizione è sempre sottintesa o tacitamente assunta la considerazione che una/o studiosa/o da lui formata/o – in assenza di conflitti di interesse di natura familiare o economica – è giunta/o a un livello di maturazione scientifica attestato dal previo conseguimento di un’abilitazione nazionale.

E questo senza considerare atenei nei quali sia tutt’ora vigente sul piano regolamentare un meccanismo delle procedure concorsuali locali strutturato in modo da far sì che la valutazione della commissione nazionale composta da 3 componenti esiti nella formazione di «rose» di studiosi giudicati parimenti idonei, scorrendo le quali la struttura dipartimentale, a verbali della commissione chiusi, può sentirsi libera, nella sua discrezionalità valutativa, di individuare il candidato da chiamare in concreto sulla base degli esiti di un seminario cui siano stati invitati a partecipare i membri del dipartimento interessato, i quali possono essere anche molto lontani dal possedere le competenze idonee a vagliare comparativamente i profili scientifici dei soggetti sottopostisi alla procedura valutativa locale.

Sentenze come quelle che riproduciamo in calce finiscono per escogitare rimedi destinati a peggiorare un quadro già compromesso, che continua inesorabilmente a svilupparsi disordinatamente sul piano giurisprudenziale, mentre il sistema delle regole esistenti in materia di reclutamento universitario mostra ogni giorno di più di avere bisogno di una  profonda revisione complessiva, che impedisca ciò che il sistema dell’abilitazione scientifica, combinandosi con quello della procedura comparativa bandita localmente, ha mostrato di fare: il diffuso determinarsi di situazioni esistenziali «da ultima spiaggia», dove il numero degli abilitati continua a lievitare per celebrare la gloria personale dell’abilitato e le procedure locali sempre meno frequenti diventano fatalmente teatro di duelli che avrebbero turbato persino il compianto Sergio Leone, in ossequio a un celebre proverbio liberamente tratto da uno dei suoi film:

«Quando un candidato con una sentenza del Consiglio di Stato incontra un candidato con una sentenza del TAR, quello con la sentenza del TAR è un uomo morto».

Segue il testo della sentenza di cui si è parlato.

N. 05610/2020REG.PROV.COLL.
N. 08579/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8579 del 2018, proposto dalla prof.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Paolo Stella Richter, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini 11;
contro
Ministero dell’università e della ricerca, Università degli Studi Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
prof.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Franco Gagliardi La Gala e Franco Gaetano Scoca, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Franco Gaetano Scoca in Roma, via Giovanni Paisiello n. 55;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-/2018, resa tra le parti, concernente per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
– il provvedimento con il quale in data 2 febbraio 2017 è stata disposta la presa di servizio della Prof. -OMISSIS- come professore ordinario presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Foggia;
– la delibera del Consiglio di amministrazione dell’Università di Foggia del 1.2.2017, con la quale è stata disposta la definitiva approvazione della proposta di chiamata della prof. -OMISSIS- in qualità di professore di ruolo di prima fascia per il settore scientifico disciplinare IUS 10 Diritto amministrativo, settore concorsuale 12/D1, presso il dipartimento di Giurisprudenza, con decorrenza 2.2.2017;
e i seguenti atti endoprocedimentali presupposti:
– la delibera del Consiglio del dipartimento di Giurisprudenza del 25.1.2017, con la quale è stata proposta la chiamata della prof. -OMISSIS- a decorrere dalla prima data utile;
– il decreto rettorale n. 77 del 24.1.2017 di approvazione degli atti della procedura valutativa;
– le relazioni finali e dei verbali redatti dalla Commissione in seno alla procedura valutativa;
– il decreto rettorale n. 1/2017 con il quale è stata rigettata l’istanza di ricusazione della prof. -OMISSIS-;
– il decreto rettorale n. 1503/2016 di nomina della commissione di valutazione;
– la delibera del Consiglio del dipartimento di Giurisprudenza del 16.11.2016 con la quale è stata formulata la proposta di nomina della Commissione;
– il decreto rettorale n. 1166/2016, contenente il bando per la procedura valutativa per un posto di professore di ruolo di prima fascia per il settore scientifico disciplinare IUS 10 Diritto amministrativo, settore concorsuale 12/D1, in parte qua;
– la delibera del Consiglio di dipartimento del 21 settembre 2016, con la quale è stato proposto l’avvio della procedura valutativa, in parte qua;
– il verbale del Consiglio di dipartimento del 13 luglio 2016, in parte qua;
– i provvedimenti a firma del Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, con le quali si è disposto in ordine alle richieste di accesso ai documenti della prof. -OMISSIS-;
– il regolamento relativo ai criteri generali per la proposta dipartimentale di copertura dei posti di professori di ruolo (emanato con decreto rettorale n. 873-2016, prot. n. 18997 – I/3 del 06.07.2016), in parte qua;
nonché ogni altro atto connesso presupposto o conseguenziale, ancorché non conosciuto dalla ricorrente, ivi eventualmente compresi i bandi emanati successivamente ed in conseguenza della presa di servizio della prof. -OMISSIS- e della connessa liberazione del budget di 0,70, per la sua cessazione dal servizio come professore associato.
Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato dalla prof.ssa -OMISSIS- il 19 dicembre 2018:
impugnativa di atti dell’Università di Foggia e del Dipartimento di Giurisprudenza della stessa Università per la copertura di un posto di professore universitario di ruolo di I fascia per il settore concorsuale 12/D1 “Diritto amministrativo”, SSD JUS/10, riservato ai docenti interni ex art. 24, comma 6, L. n. 240/2010.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’università e della ricerca e della prof.ssa -OMISSIS- e dell’Università degli studi Foggia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2020 il Cons. Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati indicati nel verbale d’udienza.
L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5 del d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A) La sentenza, qui impugnata, ha osservato in punto di fatto quanto segue.
< Hanno presentato domanda di partecipazione l’odierna ricorrente, prof.ssa -OMISSIS-, e la prof.ssa -OMISSIS-, controinteressata nel presente giudizio, entrambe professori associati confermati di diritto amministrativo, in servizio presso l’Università di Foggia ed in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale di cui all’art. 16, L. n. 240/2010 per il settore concorsuale e le funzioni oggetto della procedura valutativa, così come prescritto dal bando.
In data 5.12.2016, con D.R. n. 1503/2016, è stata nominata la Commissione giudicatrice, composta da tre docenti, due dei quali sorteggiati da un elenco di quattro professori ordinari di diritto amministrativo indicati dal Dipartimento di Giurisprudenza, ed un terzo, il prof. Enrico -OMISSIS- (professore della stessa Università di Foggia, indicato come membro interno), designato direttamente dal predetto Dipartimento (coerentemente con quanto previsto dal Reg. n. 923/2016 dell’Università di Foggia).
L’individuazione del componente interno quale membro della Commissione di valutazione è stata contestata dalla ricorrente, la quale, prospettando la sussistenza di particolari rapporti di natura fiduciaria e patrimoniale tra lui e la controinteressata, ha presentato istanza di ricusazione nei suoi confronti, rigettata con successivo D.R. n. 1/2017.
La Commissione, in seguito, esaminata la documentazione presentata dalle candidate e, in particolare, i curricula, le attività didattiche e di ricerca, le pubblicazioni scientifiche prodotte e gli incarichi istituzionali da esse assunti, ha individuato la controinteressata quale candidata più qualificata a ricoprire il ruolo oggetto del procedimento de quo.
In particolare, con il verbale n. 3 del 23.1.2017, ha precisato che: “la prof.ssa -OMISSIS-, pur qualificata per gli altri criteri, non integra quello dell’intensità e della continuità delle pubblicazioni, a partire dal conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale di I fascia; inoltre, la produzione scientifica della prof.ssa -OMISSIS- controinteressata, oltre a presentare continuità anche dopo il conseguimento dell’ASN di I fascia, è qualitativamente superiore a quella della prof.ssa -OMISSIS-. In conclusione, la Commissione giudica la prof.ssa -OMISSIS- meno qualificata a ricoprire il posto di ruolo messo a bando, rispetto alla prof.ssa -OMISSIS- che, al contrario, è pienamente qualificata”.
Approvati gli atti della procedura valutativa (con decreto del Prorettore n. 77 del 24.1.2017), il Consiglio di Dipartimento di Giurisprudenza, con verbale del 25.1.2017, ha proposto al Consiglio di amministrazione la chiamata della odierna controinteressata, in seguito approvata nella seduta del 1° febbraio 2017.
Il procedimento si è concluso con l’adozione, in pari data, del D.R. n. 106/2017, mediante il quale il Rettore ne ha disposto la nomina a professore ordinario per il SSD IUS/10 Diritto Amministrativo- settore concorsuale 12/D1, e la successiva presa di servizio della docente in data 2.2.2017>>.
B) La sentenza, per quel che qui rileva, in punto di diritto, ha statuito quanto segue.
<<2. [Sulla] composizione della Commissione e l’istanza di ricusazione.
Lamenta, in termini generali, l’incompatibilità del prof. -OMISSIS- a comporre la commissione in questione. Il componente verserebbe in un’evidente situazione di conflitto di interessi, la quale, minandone l’imparzialità, gli impedirebbe di valutare obiettivamente la posizione dell’altra candidata.
Afferma, inoltre, a sostegno della propria tesi, che la collaborazione tra i due (pacificamente l’una allieva dell’altro — così come allieva è stata la odierna ricorrente) intercorrerebbe ininterrottamente dal 1992 e che l’intera carriera della sua concorrente sarebbe stata pressoché “governata” (v. p. 22 ricorso) dal professore in questione, il quale avrebbe, infatti, valutato positivamente e “creato” la quasi totalità dei titoli della medesima.
L’esistenza di una particolare contiguità sarebbe, infatti, desumibile sia dal coinvolgimento del docente nell’attività didattica e scientifica della controinteressata che dalla partecipazione di quest’ultima, sin dal 2007, alla redazione della rivista -OMISSIS- della quale il docente componente di Commissione è direttore.
L’infondatezza nel merito del presente motivo, vero punto nodale della controversia, esime il Collegio dall’esame dell’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa di parte resistente.
Tanto premesso, nell’ambito dei concorsi universitari, dato il carattere ristretto della comunità scientifica, è ovviamente assai frequente l’esistenza di rapporti tra componenti della Commissione e candidati, sicché costituisce approdo consolidato della giurisprudenza amministrativa la constatazione che “i rapporti personali scaturiti dalla cura di pubblicazioni scientifiche in comune fra i membri della commissione d’esame e i candidati, non costituiscono, di per sé, vizi della procedura concorsuale né alterano la par condicio tra i candidati, specie se si considera che nel mondo accademico le pubblicazioni congiunte sono ricorrenti per il rilievo che assumono come titoli valutabili” (CdS, Sez. VI, n. 3276/2012; T.A.R. Toscana, n. 236/2012 ) ed anche perché soddisfano esigenze di “approfondimento di temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere, in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non impossibile, la formazione di Commissioni esaminatrici in cui tali collaborazioni non siano presenti” (v. CdS, Sez. VI, n. 5885/2010).
Pertanto, non ogni rapporto di conoscenza e collaborazione tra candidati e componenti delle Commissioni giudicatrici comporta l’obbligo di astensione.
Infatti, per costante orientamento espresso dalla giurisprudenza formatasi in materia, “non costituisce ragione d’incompatibilità la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale, mentre l’obbligo di astensione sorge nella sola ipotesi di comunanza di interessi economici di intensità tale da far ingenerare il ragionevole dubbio che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con il commissario” (v. CdS, Sez. V, n. 4782/2011), nonché in caso di un “concreto sodalizio di interessi economici di lavoro e professionali talmente intensi da ingenerare il sospetto che la valutazione del candidato non sia obiettiva e genuina, ma condizionata da tale cointeressenza” (v. T.A.R. Lazio n. 6945/2013).
È, dunque, non la semplice esistenza di rapporti a determinare l’incompatibilità, bensì la loro particolare e significativa intensità ovvero il comune denominatore economico.
Orbene, tanto premesso, ritiene il Collegio che, nella fattispecie in esame, non emergano elementi tali da far ritenere con ragionevole certezza che il rapporto tra esaminatore ed esaminando esorbiti dal normale rapporto fiduciario intercorrente tra componenti dello stesso Istituto universitario e della stessa Università ovverosia della stessa “scuola” (intesa come corrente di pensiero scientifico), non potendosi, quindi, affermare, sulla base dei dati fattuali prospettati, che l’imparzialità del docente sia stata minata dalla sussistenza del predetto rapporto.
Peraltro, nel caso di specie, occorre porre in rilievo che il Professore ricusato ha svolto funzioni di membro interno alla Commissione, la cui natura ontologica è, pertanto, caratterizzata dall’intraneità all’Istituto e dalla necessaria cooperazione e conoscenza scientifica con i candidati, sicché non sarebbe astrattamente possibile ipotizzare rapporti di scarsa collaborazione pregressa>>.
C) Ha prodotto ricorso in appello l’interessata, deducendo, per quel che qui rileva, quanto segue.
< La carriera della prof. -OMISSIS- (odierna appellata) appare pressoché monoreferenziale rispetto al prof. -OMISSIS-, e già questo, secondo i recenti orientamenti giurisprudenziali, precluderebbe in radice l’inclusione del maestro nella Commissione di concorso per l’allievo.
In sentenza si argomenta partendo da un equivoco di fondo. Il TAR “giustifica” la vicinanza tra il prof. -OMISSIS- e la prof. -OMISSIS-, poiché egli è stato nominato “membro interno (…) la cui natura ontologica è, pertanto, caratterizzata dall’intraneità all’istituto e dalla necessaria cooperazione e conoscenza scientifica con i candidati”. Il TAR travisa le regole che presiedono alla formazione delle Commissioni, che parlano di “membro designato” e non di “membro interno”. E proprio nei casi di una pluralità di candidati interni il rispetto del principio di imparzialità imporrebbe di designare un esterno (come d’altronde aveva espressamente chiesto di individuare mediante sorteggio la prof. -OMISSIS- e come invita a fare il recente atto di indirizzo n. 39 ANAC in argomento), decisione che, tra l’altro era stata assunta proprio in nome dell’esigenza di imparzialità nell’Università di Foggia per un concorso del Dipartimento di Agraria che vedeva più candidate interne, oggetto di ulteriore contenzioso. In quella occasione si è esclusa la possibilità di nominare come membro designato l’ordinario anziano in servizio nel dipartimento, per la pluralità di candidate interne e per il mero rapporto maestro/allievo con una di esse.
D) L’appellata ha proposto appello incidentale con il quale ha dedotto.
< Esso riguarda l’annullamento, in parte qua, dei verbali della Commissione di concorso nn. 2 e 3 e, sempre in parte qua, degli atti conseguenti approvati dall’Ateneo per:
a) errore e mancata effettiva considerazione dell’illegittimità denunziate con il ricorso incidentale, violazione dell’art. 64, comma 2, c.p.a., violazione dell’art. 14 del regolamento approvato con d.r. n. 923/2016 e dell’art. 8 del bando nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti e insussistenza dei presupposti.
b) irricevibilità del ricorso.
Il bando di concorso relativo alla procedura de qua, all’art. 8, impone alla Commissione di “valutare specificamente la congruità del profilo scientifico del candidato con le esigenze di ricerca e di didattica indicate dal bando di concorso”.
Detto bando indica, all’art. 1, quanto all’impegno scientifico richiesto, che esso “consiste nell’approfondimento di diverse tematiche del settore scientifico disciplinare di riferimento, con particolare valorizzazione dei profili del diritto amministrativo più strettamente connessi all’attività autoritativa e al processo amministrativo”.
Il profilo rappresenta un elemento essenziale che il candidato deve possedere e, se la sua attività scientifica e produttiva non lo integrano, non può nemmeno aspirare a ricoprire il posto che è bandito dal dipartimento per realizzare gli specifici fini di didattica e di ricerca.
La Commissione giudicatrice della procedura de qua, nella seduta preliminare (verbale n. 1 del 5.1.2017), precisa che “la Commissione è tenuta a valutare specificamente la congruità del profilo scientifico del candidato con le esigenze di ricerca e di didattica, indicate dal bando di concorso” e riporta quanto previsto nel bando in proposito.
Nel verbale n. 2 del 17 gennaio 2017, per la -OMISSIS-, su questo specifico profilo, i giudizi individuali dei componenti la Commissione rilevano che “l’impegno scientifico può ritenersi sostanzialmente riconducibile all’impegno scientifico richiesto dal Dipartimento” (prof. -OMISSIS-, ma anche prof. -OMISSIS-) e che è meno soddisfatto “quello sul processo amministrativo” (prof. -OMISSIS-). Nel giudizio collegiale, si assume in proposito che “il profilo scientifico della candidata sia congruo alle esigenze didattiche, di ricerca e sostanzialmente anche scientifiche, richieste dal dipartimento”.
Appare, pertanto, evidentemente illegittimo il giudizio, pur “sforzato”, della Commissione poiché espresso in palese travisamento dei fatti e difetto dei presupposti, in violazione delle norme indicate in epigrafe, attribuendo alla candidata -OMISSIS- una inerenza della sua produzione scientifica al profilo richiesto dal bando di concorso che, invece, è insussistente come ritenuto dalla stessa ricorrente.
L’assenza del profilo scientifico per la prof.ssa -OMISSIS- le impedisce di poter ricoprire il posto bandito e fa venir meno l’interesse a impugnare tutti gli atti successivi al bando poiché non potrebbe comunque aspirare ad essere chiamata.
Da altro punto di vista, il ricorso della prof.ssa -OMISSIS- è irricevibile poiché la ricorrente ha avvertito immediatamente la lesività dell’art. 1 del bando (cfr. email della prof.ssa -OMISSIS- del 22 settembre 2016, già prima dell’emanazione del bando) che indicava il profilo dell’impegno scientifico in cui non rientrava la sua attività e produzione scientifica, per cui avrebbe dovuto impugnare il decreto rettorale n. 1166 del 26 settembre 2016 nel termine di 60 giorni e non è avvenuto con conseguente irricevibilità del ricorso di primo grado.
Questo profilo non è stato oggetto di esame da parte del giudice di primo grado>>.
DIRITTO
A) L’appello incidentale, così come correttamente dedotto, deve essere esaminato con priorità logica perché la sua eventuale fondatezza determina l’esclusione dalla procedura su cui si controverte dell’appellante principale e, conseguentemente, l’inammissibilità del ricorso di primo grado.
L’appellante incidentale fa valere, in estrema sintesi, due profili:
a) l’appellante non era in possesso dei requisiti richiesti dal bando, che doveva, pertanto essere tempestivamente impugnato;
b) il ricorso di primo grado era intempestivo rispetto al rigetto dell’istanza di ricusazione.
Entrambe le censure non possono trovare accoglimento.
La Sezione ritiene che il possesso dei requisiti, che, nel caso di specie, si sostanziano nella valutazione della produzione scientifica delle candidate, sia una valutazione di merito che può essere sindacata dal giudice amministrativo solo in presenza di macroscopici vizi logici, che qui non ricorrono.
È pacifico che la produzione scientifica di entrambe le candidate possa farsi rientrare nel SSD IUS/10.
Il rigetto della censura (nei sensi suddetti) comporta anche che nessun onere di impugnativa del bando poteva porsi a carico dell’odierna appellante.
Si rivela, invece, inammissibile la censura di tardività di impugnazione dell’istanza di ricusazione perché le ragioni, che di seguito saranno esposte, dell’obbligo di astensione del prof. -OMISSIS- non andavano individuate nei rapporti indicati nella medesima istanza.
L’appello incidentale deve, pertanto essere respinto.
B) L’appello principale è fondato.
Deve ricordarsi che l’ANAC aveva adottato, ai sensi dell’art. 1, commi 2, lett. f) e 3 della legge 6 novembre 2012, n. 190, a proposito del medesimo caso in esame, la delibera n. 384 del 29 marzo 2017, riferendo che: “il professore designato nella Commissione valutativa ha indubbiamente intrattenuto rapporti accademici e di ricerca con entrambe le candidate alla procedura, in quanto trattasi di studiose afferenti allo stesso settore scientifico disciplinare. Con specifico riferimento ai rapporti intrattenuti dal professore con la candidata risultata vincitrice della procedura, può sorgere il ragionevole dubbio che gli incarichi professionali e personali conferiti da un parente e un affine della stessa, anche se diversi anni addietro, possano determinare una situazione di conflitto di interessi, seppure potenziale. In particolare si evidenzia che il carattere gratuito dei due incarichi di difesa personale assunti dal professore in giudizi di primo e secondo grado, prima nei confronti di un parente e successivamente nei confronti di un affine della candidata, lascia intravedere la possibile esistenza di rapporti di amicizia personale con familiari e affini della candidata, che potrebbero travalicare la semplice relazione maestro/allievo, incidendo negativamente sull’indipendenza di giudizio del professore nella sua qualità di componente di una Commissione valutativa. Tuttavia, alla luce delle disposizioni normative vigenti e in base a quanto previsto allo stato attuale dal codice etico dell’università di Foggia, trattandosi di un esiguo numero di incarichi professionali e personali affidati da familiari e affini di una delle due candidate, la circostanza, sebbene possa legittimamente ingenerare il sospetto che la valutazione della candidata non sia stata oggettiva e genuina, non sembra sufficiente ad affermare l’esistenza di un rapporto di collaborazione costante e assoluto tale da determinare una situazione di incompatibilità da cui possa sorgere l’obbligo di astensione del commissario”.
Come si vede, l’ANAC ha analizzato soltanto un segmento dei fatti che potevano prefigurare l’ipotesi di conflitto d’interesse, ritenendolo irrilevante, e cioè quello attinente agli incarichi professionali e personali affidati da familiari e affini di una delle due candidate, dopo avere premesso, ritenendolo anch’esso irrilevante, che il professore designato nella Commissione valutativa ha indubbiamente intrattenuto rapporti accademici e di ricerca con entrambe le candidate alla procedura, in quanto trattasi di studiose afferenti allo stesso settore scientifico disciplinare.
La sentenza qui impugnata ha tuttavia condivisibilmente evidenziato che il “vero punto nodale della controversia” era rappresentato dalla partecipazione alla commissione giudicatrice del prof. -OMISSIS- pur essendo questi “Maestro” di entrambe le “allieve”.
Il giudice di primo grado ha ritenuto ammissibile tale partecipazione “dato il carattere ristretto della comunità scientifica”, aderendo al sinora costante orientamento di questa Sezione (v. tra tutte Cons. Stato 24/08/2018 n. 5050, dove si afferma che il legislatore, nel tenere conto di queste realtà e del numero più o meno contenuto delle singole comunità scientifiche, ha procedimentalizzato il sistema di scelta dei componenti della commissione, senza prevedere l’obbligo di astensione per il ‘maestro’ così selezionato, che sia chiamato a valutare anche un proprio allievo. L’obbligo di astensione invece sussiste quando l’«intensità della collaborazione» sia stata tale da far desumere che vi è stata una valutazione dello stesso candidato basata non sulle sue qualità scientifiche o didattiche, ma su elementi che non attengano a tali qualità.
Certamente, non v’è dubbio che, in passato, il carattere ristretto della comunità scientifica di un determinato settore di riferimento potesse giustificare la deroga alle norme di astensione che presiedono a qualsiasi procedura concorsuale.
Ma nel momento in cui le Università ed i docenti ad esse addetti raggiungono un’ampia diffusione numerica sul territorio, il giudice della legittimità deve poter valutare se quel carattere di ristrettezza degli appartenenti al determinato settore scientifico in questione sussista ancora.
Orbene, alla data del passaggio in decisione del ricorso in appello, il sito istituzionale del Ministero dell’università indicava nel numero di 145 i professori ordinari di diritto amministrativo.
Questo collegio ritiene che tale numero non possa più giustificare quella deroga.
Il prof. -OMISSIS- aveva l’obbligo di astenersi perché, come già rilevato, era il “Maestro” di entrambe le “allieve”.
Ed è appena il caso di notare che nella delibera cit. la stessa ANAC aveva ammesso, nell’esercizio delle competenze affidatele dall’art.1, comma 2 lett. f) della legge 6 novembre 2012 n. 190, il “sospetto che la valutazione della candidata non sia stata oggettiva e genuina”.
In conclusione, il ricorso in appello va accolto con conseguente annullamento di tutti gli atti indicati in epigrafe, successivi al bando di concorso.
C) Resta salvo, com’è ovvio, il potere dell’Università di Foggia di indire ex novo, la procedura oggetto delle impugnative.
D) Le spese del giudizio possono compensarsi in ragione del mutamento dell’orientamento giurisprudenziale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza appellata, annulla tutti gli atti in epigrafe indicati, successivi al bando di concorso.
Spese compensate di entrambi i gradi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di tutte le persone fisiche.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Andrea Pannone, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere

L’ESTENSORE

Andrea Pannone

IL PRESIDENTE

Sergio Santoro

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10 Commenti

  1. Giudici amministrativi si occupano di chi possa pubblicamente insegnare e privatamente praticare il diritto amministrativo. Le professioni dovrebbero avere accademie loro proprie, non inquinare le università.

  2. Carissimi,
    conoscevo la sentenza che, a mio avviso, ha espresso un principio profondamente ingiusto, e che, come conseguenza, avrà solo quella, evidenziata nell’articolo, di avvantaggiare le scuole più grandi, composte da più ordinari, rispetto a quelle che vedono al vertice un solo ordinario. Anche in questo caso, il meridione, con eccezione della scuola napoletana, ne esce penalizzato. Io non ho avuto il maestro in commissione di concorso da ricercatore e da associato, e, comunque, non lo avrei avuto in commissione di concorso da ordinario, visto che sono abilitato, ma il mio maestro sarà in ruolo solo per un altro anno. Quindi non ho un interesse diretto, a me non cambia nulla, ma sono ugualmente molto irritato da questa vicenda. Quando la finiremo di farci del male da soli? Io ci vedo una responsabilità politica enorme del maestro, della controinteressata e, soprattutto, lo sottolineo, della ricorrente. Per una questione locale gestita male, avete fatto affermare un principio che non varrà solo nel vostro settore, nel vostro Dipartimento o nella vostra Università. No, varrà in tutti i settori, in tutti gli atenei, a qualsiasi livello di procedura comparativa: dal dottorato all’ordinariato. Ma ci rendiamo conto? Mutatis mutandis, mi pare simile alla storia dei ricorsi demolitori contro le “bocciature” asn. Come scrissi anche allora, ci mancherebbe che uno non possa fare ricorso contro una mancata idonea asn o contro un concorrente che ritiene abbia immeritatamente prevalso su di lui in sede concorsuale (è un diritto costituzionale) ma, nel farlo, non deve ledere gli altri appartenenti alla comunità scientifica, che sono terzi rispetto alla questione. Qui, invece, a mio avviso ne esce lesa, diminuita, l’intera accademia. E che questo avvenga a causa di due colleghe che, per quanto mi riferiscono, erano state notoriamente entrambe molto vicine al maestro, aumenta non poco la mia irritazione.
    Tom Bombadillo

  3. Signori…il reclutamento va raso al suolo. Al momento è cooptazione dei più fedeli, bravi o imbecilli che siano (raramente i più fedeli sono nella prima categoria).
    Complimenti al Consiglio di Stato, o si introducono criteri OGGETTIVI o l’Universita’ italiana, soprattutto nelle non bibliografiche che non hanno serio confronto con il mondo, scomparirà del tutto. Ammesso che esista ancora.

    Commento della Redazione
    Non sappiamo se, sulle orme di C.M. Cipolla, siano stati messi a punto indicatori (criteri oggettivi, come scrive il commentatore) per misurare l’imbecillità. Siamo ragionevolmente sicuri, però, che i toni che il commentatore ha usato e il messaggio privo di argomentazioni di cui ha voluto lasciare testimonianza siano oggettivamente sopra le righe.

  4. Peraltro la controinteressata il cui concorso viene annullato e’ (era) anche commissaria ASN Cio’ pone in discussione la legittimita’ delle decisioni dell’intera commissione ASN. Le conseguenze sistemiche di una singola decisione possono essere davvero tante….

  5. Personalmente, ritengo giusta questa sentenza che porta chiarezza interpretativa riguardo ai criteri di scelta del membro interno nelle commissioni di concorso. Non ci vedo niente di devastante, anzi…un passo in avanti verso la VERA meritocrazia nella selezione di POSTI CON SOLDI PUBBLICI, che non sono e non devono essere appannaggio di un “barone” o gruppi locali di potere.

    Commento della redazione
    Nel nostro commento non si è parlato di una sentenza devastante, ma si è sottolineato come il rimedio predisposto dal Consiglio di Stato nei confronti di un “caso limite” possa rivelarsi peggiore del male che vorrebbe contrastare, per i motivi che il commentatore potrà tentare di approfondire meglio rileggendo il commento alla sentenza pubblicato qui sopra.

  6. Vi sembrerà sciocco e senz’altro comprendete più di me. Tutte queste leggi pongono in evidenza un problema, ma non lo risolvono. In se stesso il metodo di cooptazione potrebbe anche funzionare e tutti essere contenti. Il problema è che non avviene in modo trasparente, ma per giustificare una scelta a priori, spesso, si creano concorsi apparentemente aperti a tutti. Ancor peggio è l’ASN, in realtà solo un’idoneità che giudica immaturi o maturi per una determinata fascia sulla base di criteri definiti in modo diverso da ogni commissione. Senza ASN non si può ottenere il passaggio di fascia.
    L’impressione per chi vi vive è che esistano delle grandi trappole e che solo il maestro ti protegga, dicendoti quando presentarti e quando no, cosa pubblicare e cosa no, quali argomenti scegliere e quali evitare. Senza maestro se in balia di tutti e cerchi di salvare la tua dignità e difenderti da chi sminuisce il tuo impegno di una vita.

  7. Abbiate pazienza, ho dei seri motivi per essere molto alterato con il sistema di reclutamento, avrò usato a sproposito la parola “imbecilli” ma se, giustamente, pubblicate le riflessioni del Prof. Bevilacqua e’ ampiamente chiaro anche a Voi come si sia ben oltre la patologia in questa materia.
    E comunque https://www.trasparenzaemerito.org/post/fenomenologia-dei-concorsi-una-comparazione-tra-l-italia-e-gli-altri-sistemi-di-reclutamento

  8. Il sistema di cooptazione da un maestro ad un allievo che ne condivide gli studi, il percorso e l’approccio è la base nobile – nobile, ripeto, e anche necessitata – della trasmissione accademica, non una deviazione. Ci mancherebbe che una scuola debba essere portata avanti per innesti o trapianti forzosi affiancando gente che non condivide la stessa Weltanschauung nella disciplina di riferimento, sarebbe un ossimoro e non funzionerebbe. Non so: Platone avrebbe dovuto mettere a concorso un posto per vedere se vinceva Aristotele? I requisiti obbiettivi richiesti (Pubblicazioni, docenze, altre attività, etc.) fanno solo in modo, trasponendo il principio alla attuale società della complessità, che il maestro porti l’allievo a un livello obbiettivo e in qualche modo “misurabile” (seppure imperfettamente) di maturità scientifica che consenta di cooptarlo. Una cosa è affermare che debba esserci un controllo – anche giurisdizionale in casi estremi – della correttezza di questo percorso, altro è fare gli eroi mascherati da trasmissione TV e far finta di poter equiparare il tema dell’accesso e progressione in accademia a quello del conseguimento di un posto in un comune o nella polizia o nella magistratura stessa, contesti tutti estranei (compresa la magistratura) al tema peculiare della trasmissione di eredità scientifiche. Finché chi non è un giurista non capirà (almeno questo … tutto sommato è educazione civica) che il “principio di uguaglianza” vuole che il legislatore disciplini in modo uguale solo le situazioni uguali, ed invece appresti discipline differenziate per le situazioni con peculiarità (ovvero: l’Università è anche, ma non solo, una pubblica amministrazione), continueremo a scrivere, applaudire, e richiedere al sistema, ingenuità repressive e cieche su come accesso e progressione andrebbero disciplinate, ed a partorire e difendere sentenze come quella in commento, che si è fatta evidentemente portare fuori bussola, troppo fuori bussola, dalla particolarità del caso, alle cui sirene la mente del giurista dovrebbe essere invece allenata a resistere.

  9. Caro Gimanca,
    il maestro non dovrebbe usare fondi pubblici per questa cooptazione. Se lo finanzi lui l’allievo, se proprio vuole cooptarlo.
    Se invece parliamo di soldi e concorsi pubblici, essi devono privlegiare la TRASPARENZA e far prevalere il MERITO sopra ogni cosa, e ben vengano tutti i ricorsi e le sentenze che vanno ad affermare questi principi fino a quando non ci sarà una progressione automatica delle carriere.
    Chi promuove queste cause, per me è un eroe! Altro che lamentarsi con loro che poi le decisioni si ritorcono contro tutti….al più occorre lamentarsi con quell’Ordinario che si è voluto mettere come membro interno del concorso!!!

  10. Il merito! Non è stato definito. Di volta in volta è stato: numero di conferenze all’estero, poi è stato inventato ‘su invito’, numero di citazioni, numero di pubblicazioni. Qualcosa di quantificabile, dunque, ma riservando sempre il giudizio alla commissione: chi appartiene ad un gruppo che segue e applica alcuni studi, ovviamente, non ha merito!!!!
    Ora, in questa grande manipolazione dei criteri di giudizi, la presenza o meno di un ordinario di quella Università, fors’anche il maestro, è una minaccia di corruzione, a me sembra, assai minore. A monte c’è la ASN, non dimenticatevelo, dove i giochi vengono fatti nel modo che è stato scoperto, ma mai a sufficienza approfondito.

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