Finora solo in un paio di Università si è escogitato che i concorsi per i posti di ricercatore si concludano con la formulazione di una rosa di idonei dalla quale il consiglio di dipartimento sceglie chi chiamare, a prescindere dalla graduatoria. La rosa serve a esimere il consiglio di dipartimento dall’applicare, se così vuole, la graduatoria formulata dalla commissione di concorso. Mentre i commissari devono dichiarare la non sussistenza di situazioni di incompatibilità coi candidati,  nel consiglio di dipartimento possono sedere “relatori”, “coautori”, “commensali abituali”, “conviventi”, “datori di lavoro”, nonché persone in “rapporti di credito o debito” (ricordo che proprio per questo motivo certe affiliazioni al medesimo PRIN hanno autorizzato le dimissioni di commissari ASN), ma ciò non toglie che al consiglio tocchi l’ultima parola. Mentre gli atti della commissione sono soggetti a verifica quanto alla regolarità e alla congruenza, la deliberazione del consiglio di dipartimento può giungere a non motivare né il voto né l’astensione, ma è libero di deliberare secondo le pulsioni della ‘pancia’. Difficile, comunque, scendere più in basso. Ma quante altre volte l’abbiamo esclamato? Non diciamo di fronte ai bandi–fototessera. Non lo esclamiamo quando scopriamo che un neoassunto guida una ricerca, finanziata dalla (sua) università, cui partecipano, fruendo del finanziamento, i commissari (esterni) che lo hanno appena varato. E non ci scandalizziamo neanche quando il rimpiattino fra il settore concorsuale e quello scientifico-disciplinare autorizza l’inquadramento di chi non ha pubblicato una sola riga nella disciplina per cui è bandito il posto. Non ci scandalizziamo infine quando ai dottorati sono ammessi prevalentemente i philoi. Troppe cose diverse, si obietterà. Forse è vero, ma tutto si tiene mirabilmente.

roseCome è noto ai lettori di ROARS (Concorsi a statuto speciale, coi commenti e, in particolare, con l’intervento di Giuseppe De Nicolao), in un paio (finora) di Università si è escogitato che i concorsi per i posti di ricercatore si concludano con la formulazione di una rosa di idonei dalla quale il consiglio di dipartimento sceglie chi chiamare, a prescindere dalla graduatoria. La rosa potrebbe ricordare certe prassi di un passato prossimo e finanche remoto, ma i petali di questa rosa non sono vincitori/idonei che, se non chiamati dall’università che ha bandito il posto, possono essere inquadrati da altri atenei. Perciò è evidente che la rosa serve soltanto a esimere il consiglio di dipartimento dall’applicare, se così vuole, la graduatoria formulata dalla commissione di concorso.

Questo è particolarmente grave e, direi, sospetto di illegittimità, per due ordini di ragioni.

La prima è che ciascun commissario dichiara la non sussistenza di situazioni di incompatibilità coi candidati e con gli altri componenti della commissione ai sensi dell’art. 51 del codice di procedura civile; voglio citarne il dettato:

“Il giudice ha l’obbligo di astenersi: (1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; (2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione (1), o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; (3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inamicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; (4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; (5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno (2), procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.”

e dell’art. 5 c. 2 del D.Lgs. 1172/1948:

“Non possono far parte della stessa Commissione membri che siano tra loro, o con alcuno dei candidati, parenti ed affini fino al quarto grado incluso.”

Inoltre ogni commissario dichiara (cito dai verbali standard) “di non essere stato relatore ovvero di non avere ricoperto un ruolo formalmente riconosciuto relativo alle tesi di laurea o di dottorato dei candidati e di non essere coautore coi candidati stessi”.

Al contrario, nel consiglio di dipartimento possono sedere “relatori”, “coautori”, “commensali abituali”, “conviventi”, “datori di lavoro”, nonché persone in “rapporti di credito o debito” (ricordo che proprio per questo motivo certe affiliazioni al medesimo PRIN hanno autorizzato le dimissioni di commissari ASN), ma ciò non toglie che al consiglio tocchi l’ultima parola. Può accadere anche senza la rosa, si dirà, ma in questo caso il consiglio non ha facoltà di scelta: può solo chiamare il vincitore (o, al limite, non chiamare nessuno). Quanto all’esclusione, presente nella legge 240/2010 e in ogni bando, che nel dipartimento che ‘chiama’ ci siano parenti e affini fino al quarto grado, anche questo viene aggirato dovunque viga il principio che “il coniuge non è affine”; tanto nessuno, o quasi, fa ricorso…

La seconda ragione è che gli atti della commissione sono soggetti, per ogni fase dei suoi lavori, a verifica quanto alla regolarità e alla congruenza – non così la deliberazione del consiglio di dipartimento, che può giungere a non motivare né il voto né l’astensione, ma è libero di deliberare secondo le pulsioni della ‘pancia’.

Come osservato anche da Raffaele Cantone, norme apparentemente tassative possono essere agevolmente aggirate se non c’è responsabilità. Anche più grave: questo della rosa sfogliata, petalo per petalo, da consessi dalla dubbia legittimazione, non è, si badi bene, un fenomeno isolato. Anzi si direbbe che questo stia diventando un orientamento comune alle prassi più diverse, almeno in certi atenei:

  • designare una commissione di competenti, non soltanto nei concorsi, come si è appena detto, ma anche, p. es., per valutare progetti di ricerca (in questo caso revisori sorteggiati, anonimi e tenuti a motivare i giudizi/punteggi),
  • e poi passare le risultanze della valutazione a una supercommissione ristretta e perciò incompetente nello specifico, nominata direttamente dagli organi di governo e con pieni poteri, dunque libera di stravolgere le valutazioni dei competenti senza addurre né verbalizzare le motivazioni; oppure a una giunta (¿junta?) o a un consiglio dotati della medesima licenza.

Non si dica che questo modo di operare discende dalla legge Gelmini. Nel nostro sistema giuridico, che pure è ricco di prescrizioni (“le leggi son”, eccetera) si insinuano ‘cattive’ pratiche generalmente rispondenti a formulazioni normative subordinate improntate a destrezza che, come si sa, è un’aggravante, non un’attenuante – in un clima di generalizzata deresponsabilizzazione.

Difficile, comunque, scendere più in basso. Ma quante altre volte l’abbiamo esclamato?

ca. 1881 --- The Batrachomyomachia: The Battle Between the Frogs and the Mice by Henry Barnabus Bright --- Image by © Christie's Images/CORBIS

Non lo avevamo detto davanti ai bandi–fototessera, tipo: “il candidato dovrà avere studiato la XVII Epistola di San Giovanni Crisostomo alla diaconessa Olimpia e i problemi testuali dei vv. 25-26 della Batrachomyomachia” (esempio di finzione, naturalmente, ma non lontanissimo da certe realtà)?

Non lo ripetiamo quando nei bandi di chiamate c.d. ‘selettive’ (quelle in teoria aperte agli ‘esterni’) leggiamo che “in particolare è richiesta competenza altamente interdisciplinare secondo i progetti in essere all’interno del dipartimento”? Risiamo all’Assiomatica del flogisto (Umberto Eco, Secondo diario minimo)? in un dipartimento dichiaratamente geocentrista non verrà mai chiamato Copernico – anche questo è un esempio-limite, ma è chiaro che in questo modo si riproduce l’esistente, non sempre di alto livello, condannando a un’inesorabile entropia la ricerca e, di conseguenza, la didattica. E invece “la ricerca”, scriveva appunto Eco, “procede perché qualcuno intravvede una strada che nessuno aveva ancora visto, e pochi altri, con grande flessibilità decisionale, decidono di dargli credito”.

Non lo esclamiamo quando scopriamo che un neoassunto guida una ricerca, finanziata dalla (sua) università, cui partecipano, fruendo del finanziamento, i commissari (esterni) che lo hanno appena varato?

Ma forse non è il caso di scandalizzarsi, nemmeno quando il rimpiattino fra il settore concorsuale e quello scientifico-disciplinare autorizza l’inquadramento di chi non ha pubblicato una sola riga nella disciplina per cui è bandito il posto.

Perché scandalizzarsi? In fin dei conti, sento ripetere, da noi vigono ancora bandi di concorso nazionali (non sempre, per la verità: ci sono comunque le impresentabili chiamate ‘valutative’), mentre le celebrate università d’oltremanica e d’oltreoceano arruolano con procedure nient’affatto trasparenti. Chi si appella allo stellone, solo apparentemente rassicurante, che campeggia sulla Gazzetta Ufficiale dimentica però che quegli arruolamenti, talora rispondenti perfino a patenti logiche imprenditoriali, comportano la responsabilizzazione gestionale di chi li ha decisi; responsabilizzazione impensabile da noi, dove nessuno ‘paga’ per la modesta qualità degli arruolati, né per il mantenimento in vita di corsi di laurea semideserti, né per la conservazione di piani di studio obsoleti e privi di sbocco, né per l’assenza di progetti di ricerca e culturali innovativi. Mi riferisco in particolare alla macroarea umanistica, che credo di conoscere abbastanza bene. Potrei essere molto più preciso, ma mi si consenta di non entrare, qui e ora, nei particolari.

gazzetta-ufficiale

A tutti, del resto, è evidente la scarsa attrattiva esercitata sugli studenti stranieri dall’università italiana a tutti i livelli, perfino nei dottorati, nonostante il nostro Paese offra borse di studio pagate dal contribuente e/o da benefattori. Proprio la situazione dei dottorati conferma il prevalere di ‘cattive’ pratiche apparentemente autorizzate dalla legislazione, cioè dall’avere inteso il dottorato come terzo stadio della formazione universitaria, con tanto di CFU e perciò di obblighi didattici per i dottorandi oltre che di scappatoie dei docenti verso la beatitudine di una didattica di alto livello, più remunerativa sul piano psicologico e meno faticosa (todas lecciónes magistrales, perdonate il macchero-iberico, ma prima d’ora non si sono mai visti tanti magistri aggirarsi per certe nostre università). Questo apparentemente giustifica che ai dottorati siano ammessi prevalentemente i philoi, si sarebbe detto in Grecia, cioè i ‘nostri’, espressione di più immediata comprensione, in tutti i suoi risvolti etici, della neutralizzante descrizione come infeeding. Non è un caso se in un collegio dottorale si sente dire, testualmente, “quest’anno della nostra area disciplinare”, un’area corposa e importante, ve l’assicuro, fra quelle umanistiche, “nessuno entrerà in commissione, perché non ci sono candidati nostri” e, soprattutto, se nessuno propone, nemmeno scherzosamente, di mettere la dichiarazione a verbale.

Troppe cose diverse, mi si obietterà. Forse è vero, ma tutto si tiene mirabilmente. E sentirci ripetere trionfalmente che in qualche graduatoria farlocca la tale Università è ben piazzata in Italia fra quelle che rispondono a certi requisiti anagrafici non consola del fatto che sta gareggiando, fra ‘pari’, per evitare la maglia nera.

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20 Commenti

  1. Concordo con la sostanza dell’articolo. Tecnicamente su alcune cose no.
    Tecnicamente io suggerirei ai ricorrenti (presumo che di ricorrenti in queste condizioni ce ne saranno a bizzeffe) di controllare se nel consiglio di dipartimento chiamante, indipendentemente dalla loro presenza effettiva al momento della chiamata vista la contiguità costante in altre situazioni, ci sia UN docente/ricercatore o UN GRUPPO di docenti/ricercatori tali che la QUASI totalità delle pubblicazioni del chiamato NON primo in graduatoria sia contenuta nelle pubblicazioni del GRUPPO o del docente di cui sopra. In caso affermativo, ricordo che recentemente altri ricorsi sono stati vinti su questa base, nel caso di commissioni però.
    Questo modo di agire da parte dei dipartimenti mi sembra masochista più che furbo. Infatti negli ultimi anni mi han detto che recentemente oltre il 50 per cento dei concorsi è stato annullato. Così facendo si danno motivi ulteriori. Forse si vuole far crescere la percentuale da 50 a 90.

    Comunque, suggerisco SEMPRE di fare ricorso avverso al bando per i motivi addotti da questo articolo e anche altri che potrà trovare il vostro avvocato. Ad esempio contro un profilo fotocopia presente nel bando e non solo il settore concorsuale come previsto per legge. Sembrerebbe che se non si fa ricorso avverso al bando si avalla il profilo. Meglio prevenire che curare.

    • “mi han detto che recentemente oltre il 50 per cento dei concorsi è stato annullato”
      _____________
      Sarebbe il caso di avere una fonte un po’ più attendibile del “mi han detto”. Io non ne ho una, ma presumo si stia parlando della percentuale sul totale dei ricorsi.

  2. Personalmente trovo assurda questa storia della commissione che fa un gruppo di idonei su cui il dipartimento vota la chiamata. Sembra una duplicazione della fase di abilitazione e un modo per reintrodurre le chiamate aggirando lo spirito della legge. Anche perchè i commissari devono giustificare i loro voti, mentre i membri di un consiglio non hanno alcun obbligo di motivare il loro voto. Nei consigli si vota e vince chi prende la maggioranza, non è obbligatorio prendere la parola e spiegare il proprio voto. In teoria uno potrebbe essere chiamato in un Consiglio muto, senza che nessuno parli e spieghi alcunchè.

  3. Articolo interessante e purtroppo abbastanza rappresentativo. non capisco però se c’è anche una proposta, più o meno esplicita, di una qualche via d’uscita. o, meglio, mi parrebbe che la parte dell’articolo che cita il reclutamento nei paesi anglosassoni, in qualche maniera auspichi una soluzione similare. è forse così? nel caso sarebbe da considerare il nostro quadro normativo: non sono per nulla un esperto, ma ho sempre pensato che la nostra costituzione non consenta di eliminare i concorsi, non solo per il reclutamento ma anche per posizioni da PhD.
    un’altra possibilità facilmente attuabile, invece, potrebbe essere vietare il reclutamento nell’ateneo dove ci si addottora. non dico si risolverebbero tutti i problemi, ma forse se ne diminuirebbero di molti. in ogni caso, come ben evidenziato anche da ROARS, si tratta di problemi fondamentali di cui discutere.

  4. Non esiste una “questione” di incompatibilità anche tra i commissari ASN ed i candidati? Mi riferisco ad esempio al caso di “consuetudini” personali o considerevole numero di pubblicazioni in comune (magari tra quelle presentate alla commissione).

  5. Questo articolo è molto interessante e chiarisce una volta ancora (se mai ce ne fosse bisogno) che qualità e meritocrazia sono un problema del sistema universitario non delegabile a soggetti esterni quali ANVUR, Ministero, Presidenza del Consiglio dei Ministri, ANAC …

  6. Carissimi,
    francamente continuo a non appassionarmi allea questione dei bandi ricuciti sui candidati o a quella delle rose.
    Tutto giusto, per carità. Ma altrettanto ininfluente. Ed è proprio per questo che la maggior parte delle Università non ha sentito l’esigenza di aderire a tali pratiche, appunto perché non ne ve ne era alcun bisogno.
    Con una commissione dipartimentale, infatti -cioè espressa dal dipartimento, e tale rimane pure se composta da tra professori che vengono uno dagli USA, uno dalla CINA e uno dalla LUNA (con un marziano, non saprei, magari ti farebbe la relazione di minoranza: ma deve trattarsi proprio di un marziano)- vince il concorso il candidato interno che è quello per cui il posto è stato messo a concorso (il candidato che vincerà, quindi, viene prima e non dopo del bando: per così dire, è un “prius logico”).
    Punto è basta.
    Qualsiasi altra considerazione, per quanto giusta in sé, finisce per negare implicitamente -dando rilevanza a circostanze che, invece, una rilevanza avrebbero solo se non ci fosse il succitato “problemino a monte”- questo dato di fatto che costituisce, non un problema, ma IL problema, del reclutamento universitario italiano.
    Per altro facilmente risolvibile, se solo ci fosse la volontà politica.
    Il resto è fuffa.
    Tom Bombadillo

    • Mi sembra che Plantamura abbia ben colto il problema: ormai non esistono più concorsi, con tutti i loro limiti. I Dipartimenti decidono (a valle dei Rettori e CdA) in che ordine far ‘progredire’ gli abilitati interni. Punto e basta

  7. Capisco il punto di Plantamura, pero’ vedo da vicino (geograficamente) quello che succede a Pisa…ed accade che -grazie a questa regola- i Dipartimenti prendano i secondi, terzi, quarti del ranking fatto dalla “giuria” (peraltro composta da docenti interni al Dipartimento). Cosi’ i “giudici” mantengono la faccia, il Dipartimento la perde nel voto segreto..nessuno fa ricorso perche’
    a) vincono comunque candidati interni
    b) probabilmente si spera in un giro successivo.
    forse sarebbe bene fare una lista delle Università che si sono inventate questo schema che -e su questo penso ci siano pochi dubbi- e’ estremamente opaco.

  8. Ormai dal 2000 si chiamano solo i locali. Questo è solo un altro espediente per formalizzare ulteriormente questa regola. D’altra parte se chiamare un esterno costa un Budget pieno è chiaro che non si farà, anche solo per questo motivo. L’Università è una parrocchietta di sodali che se la cantano e se la suonano. Naturalmente tutti gli interni chiamati, d’ora in poi, saranno i più Anvurizzati e i più Internazionalizzati di tutti. Alla faccia dei fessi che pensavano che all’Università si potesse e si dovesse lavorare!

  9. ..sì, serve solo per consentire alle commissioni di uscirsene senza macchia. Però mi pare quasi auspicabile. Almeno per chi ha il carattere per fare ricorso. Perché magari la commissione è portata a fare una graduatoria giusta tra i componenti la rosa, pure implicita. Così il primo può ricorrere avverso il regolamento, chiedendo al TAR non una nuova valutazione, ma l’applicazione della valutazione già espressa dalla commissione.
    Tom Bombadillo

  10. Caro Plantamura, quante volte, a ogni proposito, ci siamo sentiti dire, da persone che pure si indignavano almeno quanto noi, che “il problema è a monte”? È vero, a monte troviamo sempre qualcosa. A monte dell’ingiustizia e della violenza c’è una dannata vocazione all’infelicità. Un annoso problema è, per esempio, se i tiranni sono infelici perché tiranni, o invece sono tiranni perché infelici. Però siamo tutti d’accordo, credo, che bisogna mettere dei paletti per evitare che il depresso o l’euforico di turno cerchino una compensazione o una realizzazione nella tirannide.
    Comunque è ottima l’idea del marziano che fa una relazione di minoranza:
    Extraterrestre portami via
    voglio una relazione ma tutta mia
    minoritaria, vabbè, per cominciare
    a dare il mio voto senza rigettare.

    Senza paletti aumenta a dismisura l’arbitrio della “nuova classe”. Mi informano di un dialoghetto email di questo tenore:
    Il Direttore del Dipartimento XY chiede l’approvazione telematica di una cinquina di commissari per una chiamata cosiddetta selettiva di professore associato – una cinquina uscita armata di tutto punto come Minerva dalla testa di Giove, senza nemmeno un supplente (forse anche coi verbali già firmati?).
    Il collega (PO anziano) invia una mail al Direttore:
    – “Caro Direttore, se mi è sfuggito un qualche passaggio, perdonami. Quanto alla telematica di domani non so da chi e in qual modo siano stati scelti i nominativi dei commissari. Mi puoi soccorrere? Grazie fin d’ora. WZ”.
    Risponde il Direttore:
    – “Caro WZ, Sono stati scelti dal Direttore che li sottopone al Consiglio. Come in ogni altro caso analogo il Direttore propone e il Consiglio dispone. Cordialità. HK.”

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