In quali aree disciplinari e in quali regioni geografiche sta crescendo il numero di professori e di ricercatori universitari, a discapito di quali altre? Dal 2013 a oggi, i professori associati sono saliti da circa 15.800 a quasi 21.400. Nel giro di qualche anno, potranno raggiungere o superare le 25mila unità, circa metà dell’intero corpo docente. I ricercatori a tempo indeterminato si sono dimezzati da 23.780 ai 12.000 attuali, tra cui gli abilitati sono circa 5.150. Nel complesso, si sta assistendo a un fenomeno di crescente “precarizzazione”. Infatti, la conservazione del numero totale di punti organico complessivi livello nazionale (da 38.064 a 38.251) è  solo apparente a causa dell’incremento del numero di RTDa che non gravano per intero sulle finanze degli atenei. Tra le varie aree CUN, l’area 09 (Ingegneria industriale e dell’informazione) si è estesa di oltre dieci punti percentuali e, a seguire, l’area 02 (Scienze fisiche, +5,7%) e l’area 13 (Scienze economiche e statistiche, +5,0%). L’area che in proporzione si è ridotta più di tutte le altre è la 10 (Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche), ma in assoluto il bilancio più negativo è per l’area medica (06), che dal 2013 ad oggi ha perso quasi 300 punti organico, pur rimanendo ancora la più ampia tra tutte le 14 aree. Dal punto di vista della distribuzione territoriale, l’assegnazione dei punti organico è andata a beneficio delle regioni settentrionali. Notevoli incrementi di punti organico (dal +5% al +10%) riguardano Lombardia, Veneto e Piemonte, mentre emerge chiaramente la riduzione di personale docente in tutta l’Italia centro-meridionale e insulare, dall’Umbria alla Sicilia, con la sola eccezione della Campania. La mobilità di PA e RTI tra diverse regioni nelle procedure di reclutamento di nuovi PO e PA, dal 2013 ad oggi, ha riguardato un volume complessivo che si aggira attorno al centinaio di punti organico.

Evoluzione nel tempo della numerosità di ricercatori e professori
Uno studio per area CUN e per regione sugli effetti
del reclutamento universitario dal 2013 ad oggi

Come sta evolvendo negli ultimi anni la consistenza numerica e la composizione del corpo docente del sistema universitario italiano? In particolare, in quali aree disciplinari e in quali regioni geografiche sta crescendo il numero di professori e di ricercatori, a discapito di quali altre? Per rispondere a tali domande è sufficiente prendere in esame la situazione attuale (agosto 2019) dal database del CINECA (http://cercauniversita.cineca.it) e confrontarla con quella degli anni precedenti. Per tener conto degli esiti del reclutamento a seguito dell’entrata in vigore della legge 240/2010 e dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), come anche per altre indagini già pubblicate su ROARS (https://www.roars.it/author/andrea-ventura/), la situazione di partenza più opportuna da considerare è quella risalente al 31/12/2013.

Analizzando la consistenza numerica dell’intero corpo docente universitario procedendo in ordine di fascia, si osserva innanzitutto che il numero di professori ordinari (PO) ha subito una lenta riduzione a partire dal 2013 e per i tre anni successivi, passando da quasi 13.900 a meno di 13mila, mentre dal 2017 in poi si è riscontrata un’inversione di tendenza e, attualmente, tale numero è risalito fino ad attestarsi attorno a 13.500. Mediamente la riduzione relativa risulta trascurabile (circa -0.5% annuo). In questa analisi, per inciso, non vengono considerati i professori straordinari a tempo determinato, figura istituita con la legge 230/2005 e il cui numero è progressivamente cresciuto, passando a livello nazionale da poche decine fino al 2010, a 117 unità nel 2013 e a 422 attualmente; si tratta, quindi, di un impatto abbastanza trascurabile rispetto al numero complessivo di professori ordinari, ma in quest’analisi si è comunque scelto di non tenerne conto vista la forte disparità rispetto alla figura dei professori ordinari di ruolo, stando anche a un parere del CUN (adunanza dell’8/11/2018). Si può concludere, in definitiva, che il numero di professori di 1^ fascia negli ultimi anni è rimasto pressoché costante. Nel grafico in Fig. 1 se ne può constatare la composizione: per via dell’età più avanzata rispetto alle altre fasce, notevole è l’impatto dei pensionamenti (circa il 6% annuo, rappresentati nel grafico dalla banda di colore grigio), compensati quasi interamente dalle nuove assunzioni di professori ordinari. Queste ultime sono riportate con bande di colore verde e rosso, per coloro che nel 2013 erano, rispettivamente, professori associati (PA) o ricercatori a tempo indeterminato (RTI).

 

Dal 2013 ad oggi il numero di professori associati è salito da circa 15.800 a quasi 21.400: si tratta di un incremento superiore al +5% annuo, risultato netto di molteplici dinamiche di reclutamento, che si possono quantitativamente osservare dal grafico riportato in Fig. 2.

 

Col colore celeste sono evidenziati gli associati che, a partire dal 2013, sono stati promossi in 1^ fascia (circa 3.560, cui si affiancano 450 ex-RTI, in colore viola, analogamente a quanto già rappresentato in Fig. 1). Nella parte alta, col colore grigio, sono indicati gli associati che sono andati in pensione (all’incirca 2.750). Tutte le restanti bande nel grafico individuano le differenti categorie che attualmente costituiscono il corpo dei professori associati. In colore arancione sono rappresentati i PA, già in questo ruolo nel 2013, i quali hanno conseguito l’ASN e permangono tuttora nel ruolo: questo gruppo, sin dalla prima tornata di abilitazioni, si aggira attorno alle cinque migliaia. Per effetto del crescente numero di abilitati, l’insieme dei PA che erano nel ruolo nel 2013 e che sono rimasti senza abilitazione si è via via ridotto fino all’attuale valore di 4.700 unità (banda di colore verde scuro). Al contempo, sin dal 2014 si è registrato un consistente reclutamento di nuovi PA: in giallo e in verde chiaro sono riportati gli oltre 9.200 RTI che sono attualmente nel ruolo di associati e che, rispettivamente, hanno o non hanno ottenuto l’ASN per l’accesso alla 1^ fascia; in special modo a partire dalla tornata 2016-18, tra i nuovi PA gli abilitati al ruolo di PO sono diventati la maggioranza. Infine, in colore rosa sono riportati gli oltre 2.600 nuovi PA che sono entrati nel sistema universitario senza essere stati precedentemente RTI: si stima che circa la metà di questi sia stato ricercatore a tempo determinato (RTD), sia di tipo “b” (in prevalenza) sia di tipo “a” (in minor quantità).

Il numero di ricercatori a tempo indeterminato si è dimezzato dai 23.780 in servizio nel 2013 ai 12.000 attuali. Sebbene il reclutamento in 2^ fascia proceda costantemente (come si evince dalla banda di colore verde nel grafico in Fig. 3), l’impatto del piano straordinario associati messo in atto a partire dal 2014 si è rivelato del tutto insufficiente, ed anche il recente intervento del DM 364/2019, con il finanziamento di un numero di procedure riservate ai RTI che potrà al più sostenere 676 progressioni, coprirà solo una piccola parte del fabbisogno di abilitati (banda di colore rosso), attualmente in 5.150 circa. Tale numero è ora in lenta evoluzione per effetto dell’attuale tornata ASN 2018-20 (di cui è in corso la pubblicazione degli esiti del secondo quadrimestre), ma nei prossimi mesi ci si attende che possa calare sensibilmente, non solo per effetto dell’accresciuto tasso di promozioni a PA a seguito del sopra citato DM 364/2019, ma perché ci sono al momento ben 980 RTI con abilitazione conseguita nella prima tornata e ormai in imminente scadenza (ASN 2012), ed è presumibile che solo una parte di questi potrà, in uno dei prossimi quadrimestri, rinnovare il titolo utile all’accesso in 2^ fascia. Conseguentemente il numero di RTI privi di abilitazione (banda di color celeste) potrà tornare sopra quota 7mila, e forse nei prossimi anni tale numero potrà ridursi più per effetto dei pensionamenti (indicati dalla banda di color grigio) che non per gli esiti delle future tornate ASN.

 

Al di là dei ruoli fin qui discussi, la variazione relativa più rilevante verificatasi nel periodo dal 2013 ad oggi riguarda senz’altro i ricercatori a tempo determinato. Per quanto concerne i RTD di tipo “b”, mentre nel 2013, a breve distanza di tempo dall’istituzione di tale figura, complessivamente in Italia ve n’erano poco più di un centinaio, oggi in servizio ci sono ormai 3.900 RTDb; a questi virtualmente vanno aggiunti anche più di un altro migliaio di RTDb che, più o meno recentemente, hanno completato il loro triennio e sono stati promossi al ruolo di PA. In merito ai RTD di tipo “a”, considerando che già la legge 230/2005 aveva introdotto un’analoga forma di contratto per giovani ricercatori, la variazione relativa è in proporzione molto più contenuta: in tal caso si è passati da 2.900 unità nel 2013 a poco più di 4.600 attualmente.

Nel complesso, pur volendo raggruppare assieme le tre differenti categorie di ricercatori (tra loro comunque assai eterogenee), i professori associati risultano ormai la fascia più numerosa del sistema universitario. Non è dunque più applicabile alla lettera il concetto finora ben consolidato di “piramide”, in cui le tre fasce (ricercatori, associati e ordinari) si caratterizzavano per una numerosità sequenzialmente decrescente. Infatti, a meno di rilevanti modifiche legislative che possano sostanzialmente modificare l’impianto generale del mondo accademico, nel breve-medio periodo la 2^ fascia diventerà ancora più numerosa rispetto alle altre e, nel giro di qualche anno, potrà raggiungere o superare le 25mila unità e forse arrivare a contenere da sola la metà dell’intero corpo docente.

In uno scenario così cangiante come quello che sta evolvendosi in questi anni, è preferibile effettuare un confronto complessivo tra il personale docente in servizio nel 2013 e quello attuale in termini di risorse finanziarie, cioè attraverso il concetto di “punti organico” (P.O.). I valori che questi assumono per le varie fasce sono convenzionalmente: 1 per i PO, 0,7 per i PA, 0,5 per i RTI e i RTDb, 0,4 per i RTDa (tali valori prendono in considerazione il link http://miur.gov.it/facolta-assunzionali, ma va ricordato che in realtà i RTDa incidono solo parzialmente sugli atenei per via di finanziamenti esterni o progetti). I punti organico sono annualmente assegnati dal MIUR alle Università ai fini assunzionali tenendo conto delle cessazioni del personale docente: per questo motivo è ragionevole aspettarsi che rimangano pressoché costanti nel tempo e, in effetti, nell’arco temporale individuato per la presente indagine (5 anni e 8 mesi), i punti organico complessivi del corpo docente a livello nazionale risultano sostanzialmente immutati, dato che da 38.064 a 38.251 la variazione percentuale è inferiore al +0,1% annuo.

Può risultare di particolare interesse osservare in quale maniera, dal 2013 ad oggi, i punti organico si sono ridistribuiti tra le varie aree CUN. Nei primi due blocchi della Tab. 1, per ciascuna area, è riportato il numero assoluto di PO, PA, RTI, RTDb e RTDa in servizio all’inizio e alla fine del periodo di riferimento, unitamente al corrispondente numero di punti organico. Nell’ultimo blocco della tabella è indicata, sempre relativamente a ciascuna area, la variazione percentuale delle numerosità di ciascuna fascia (salvo che per i RTD, accorpati in “a” e in “b” data l’esigua numerosità di questi ultimi nel 2013) e dei punti organico totali. Per dare una più immediata lettura delle numerosità e delle variazioni relative, i dati riguardanti i punti organico sono anche corredati di una rappresentazione a barre orizzontali.

 

Da un’accurata analisi della tabella possono scaturire molteplici considerazioni. Innanzitutto, le numerosità dei professori ordinari, rispetto al -3% a livello complessivo, risultano in netta controtendenza l’area 09 (Ingegneria industriale e dell’informazione) col +7%, e l’area 13 (Scienze economiche e statistiche) col +5%. Una pesante diminuzione si registra, d’altronde, in tutte le aree socio-umanistiche, come pure nell’area 04 (Scienze della Terra) e nell’area 05 (Scienze biologiche). L’area 09 primeggia anche per quanto riguarda l’incremento del numero di professori associati (+47%); in media l’aumento del numero di PA è del +35% e supera in quasi tutte le aree il +30%, con la sola eccezione dell’area 01 (Scienze matematiche e informatiche) e dell’area 06 (Scienze mediche), nella quale la crescita è appena del 20%. Maggiore uniformità si riscontra nel calo dei RTI, ruolo a esaurimento per effetto della legge 240/2010, con valori che si concentrano tra il -62% dell’area 02 (Scienze fisiche) e il -42% dell’area 05. Più articolato è invece il confronto per quanto concerne i RTD, che mediamente sono quasi raddoppiati oggi rispetto al 2013, pur partendo da situazioni alquanto eterogenee tra le varie aree.

Il quadro di sintesi che si ottiene in termini di punti organico conferma quanto fin qui descritto, con l’area 09 che si è estesa di oltre dieci punti percentuali e, a seguire, l’area 02 (+5,7%) che beneficia del più alto tasso di passaggi da RTI a PA e l’area 13 (+5,0%) che vanta un elevato tasso di passaggi da PA a PO. L’area che in proporzione si è ridotta più di tutte le altre è la 10 (Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche), ma in assoluto il bilancio è più negativo per l’area medica (06), che dal 2013 ad oggi ha perso quasi 300 punti organico, pur rimanendo ancora la più ampia tra tutte le 14 aree.

In generale, il flusso del personale docente tra le aree è il risultato finale di una serie di dinamiche di reclutamento che non è immediato analizzare. Il più delle volte, la riduzione del numero di punti organico in un’area è imputabile al mancato “subentro” di nuove risorse rispetto alle cessazioni (fondamentalmente i pensionamenti da parte dei docenti più anziani), ma un aspetto decisivo riguarda la destinazione assegnata alle nuove figure in ingresso nel sistema universitario, prioritariamente i RTDb: infatti, il valore in punti organico che comporta il reclutamento di un RTDb (0,5 e, dopo un triennio, ulteriori 0,2) è complessivamente ben più alto rispetto a quelli dovuti alle progressioni sia da RTI a PA (0,2 punti) sia da PA a PO (0,3 punti). Del resto, va anche sottolineato l’incremento negli ultimi anni del numero di RTDa: poiché questi non gravano per intero sulle finanze degli atenei, la conservazione del numero totale di punti organico è di fatto solo apparente e, in concreto, si sta assistendo a un fenomeno di sempre maggior “precarizzazione” del personale addetto alla ricerca rispetto al passato.

Una modalità alternativa per studiare le variazioni della distribuzione delle risorse nel sistema universitario è quella di considerare la posizione geografica degli atenei presso i quali i docenti sono in servizio. Nella Tab. 2, come in Tab. 1, si riportano i numeri assoluti di PO, PA, RTI, RTDb e RTDa attivi nel 2013 e oggi, assieme alle variazioni relative: in questo caso, i dati sono riportati in funzione della regione italiana in cui ha sede l’università di appartenenza.

 

Non sorprende più di tanto il fatto che l’assegnazione di nuove risorse sia andata a beneficio delle regioni settentrionali. Questo è direttamente riconducibile alle politiche ministeriali di tipo premiale di cui si sono avvantaggiati soprattutto gli atenei aventi un elevato numero di dipartimenti “eccellenti”, che per la maggioranza si trovano al Nord. Il Trentino-Alto Adige riporta la più elevata variazione relativa di punti organico (superiore al +25%), per effetto delle elevate percentuali di reclutamento riscontrate sia in 1^ sia in 2^ fascia, ma anche grazie al passaggio a PA da parte di 3 RTI su 4 (essenzialmente tutti gli abilitati), corrispondenti a una percentuale doppia rispetto a quanto si registra in regioni meridionali quali Basilicata, Puglia e Calabria. Notevoli incrementi di punti organico (dal +5% al +10%) riguardano anche Lombardia, Veneto e Piemonte. Tralasciando in quanto poco significativi i dati delle regioni più piccole (Valle d’Aosta, Molise e Basilicata), emerge chiaramente la riduzione di personale docente in tutta l’Italia centro-meridionale e insulare, dall’Umbria alla Sicilia, con la sola eccezione della Campania. Il caso della Puglia si distingue per il basso incremento di PA (+17%), pari alla metà rispetto alla media nazionale, affiancato da una sensibile riduzione dei PO (-11%) e, come già accennato, da un modesto passaggio da RTI a PA; d’altro canto, l’elevato incremento relativo del numero di RTD è di fatto solo illusorio, dal momento che il dato di partenza nel 2013 in termini assoluti era considerevolmente basso (appena 34 RTD su un totale nazionale pari a 3.008, una frazione assai inferiore al peso relativo che il sistema pugliese ricopre rispetto a quello nazionale).

Per risolvere questo genere di anomalie e per avere una più chiara percezione del contributo dei ricercatori a tempo determinato nel reclutamento delle università su tutto il territorio italiano, è conveniente stimare dapprima il peso relativo che ciascuna regione aveva nel 2013 rispetto al totale nazionale, includendo ogni fascia e categoria di professori e di ricercatori. In Tab. 3 tale peso storico è denominato “P+R 2013” ed è riportato nella seconda colonna, in colore nero. In principio, l’attribuzione del numero di RTD (sia di tipo a sia di tipo b) dovrebbe discostarsi di poco rispetto al peso storico, in continuità con quello che dovrebbe essere il fabbisogno atteso. Al contrario, come risulta dalle colonne con valori in color rosa (per i RTDb) e in color marroncino (per i RTDa), la variazione relativa delle risorse si caratterizza con valori percentuali nettamente più alti al Nord e più bassi al Sud.

In tutte le regioni dalla Toscana in su (con la sola eccezione del Friuli Venezia Giulia), le variazioni relative del numero di RTDb reclutati fino ad oggi rispetto al peso del 2013 vanno dal +1% fino a quasi il +3%, mentre in tutte le altre regioni le variazioni sono sistematicamente di segno negativo. Al Lazio (il cui peso relativo sfiorava all’inizio un sesto dell’intero corpo docente nazionale) sono stati attribuiti solo il 12,2% dei RTDb (con una riduzione del -3,5% rispetto all’atteso), e anche in Sicilia e in Puglia la flessione è stata piuttosto accentuata, con valori prossimi al -2%. Per quanto riguarda i RTDa, a grandi linee, la differenza tra il peso percentuale dei ricercatori oggi in servizio e il peso storico riferito all’intero corpo docente nel 2013, ricalca per tutte le regioni un andamento simile a quello appena descritto per i RTDb tra Italia settentrionale e Italia centro-meridionale, con un paio di vistose eccezioni in controtendenza: l’Emilia Romagna in calo al Nord e la Campania in aumento al Sud. Tali particolari situazioni (che influenzano anche i dati globali per regione già presentati in Tab. 2) si possono spiegare come il risultato di specifiche politiche regionali che intervengono nel reclutamento (o nell’eventuale rinnovo) dei RTDa e che possono differire significativamente da una regione all’altra, mentre le dinamiche di immissione in servizio di nuovi RTDb sono definite a livello ministeriale e, quindi, senza “interferenze” di tipo locale.

Al fine di completare il quadro descrittivo dell’evoluzione nel tempo della consistenza del corpo docente in ciascuna regione, dopo il caso appena discusso del reclutamento di ricercatori a tempo determinato, nel seguito si intende illustrare l’impatto a livello geografico del reclutamento di professori associati e ordinari in riferimento, rispettivamente, ai RTI e ai PA titolari di abilitazione. In altri termini, l’obiettivo finale di questa indagine è quello di stimare se vi sia stato (e, se sì, in che misura) un effetto di mobilità interna del personale docente in servizio tale da giustificare un significativo flusso da alcune regioni verso altre.

Il campione analizzato per primo è quello dei 9.670 RTI (tra i 23.780 in servizio nel 2013) i quali, a seguito di procedure concorsuali (sia valutative sia selettive), dal 2014 ad oggi sono divenuti professori (non solo di 2^ fascia, ma nel 5% dei casi anche di 1^ fascia). Come appare in Tab. 4, nel 97% delle volte il reclutamento alla fascia superiore è avvenuto in un ateneo della stessa regione di quello di provenienza; in realtà si tratta quasi sempre del medesimo ateneo, ma per una trattazione di più semplice lettura ci si è limitati a tener conto delle venti regioni piuttosto che di quasi cento sedi universitarie (statali e non statali).

Non considerando le regioni con meno di 50 reclutamenti, poiché tali numerosità sono statisticamente poco significative, la suddetta percentuale (che si può definire come “stanzialità”) risulta, anche se di poco, al di sopra della media nazionale nella maggior parte delle regioni settentrionali, in Campania e (come prevedibile) nelle due regioni insulari. La Calabria si evidenzia, al contrario, per essere la regione con la più bassa stanzialità nel passaggio di RTI alla 2^ fascia (solo 92,2%), dimostrando pertanto da parte dei RTI abilitati una propensione più spiccata che altrove di compiere una progressione di carriera in altre regioni.

L’altro lato della medaglia può essere descritto in termini di “attrattività”, definita per ogni regione come il rapporto tra il numero di PA reclutati che erano in servizio nel 2013 come RTI presso un ateneo di un’altra regione, e il numero totale di PA reclutati in quella stessa regione e che erano RTI nel 2013. L’attrattività su tutto il territorio nazionale assume il valore medio del 3%, ma poiché si basa su meno di 300 complessive progressioni non può fornire dati statisticamente molto affidabili. Appaiono tuttavia valori mediamente più alti in alcune regioni, tipicamente quelle del Nord, ma non solo: a titolo di esempio, l’Abruzzo fa registrare un’attrattività superiore al 5% per via dell’apertura di una nuova sede universitaria (il Gran Sasso Science Institute) per la cui istituzione sono state bandite varie posizioni, tra cui quelle da professore associato, di cui hanno beneficiato RTI precedentemente in servizio in altre regioni.

Il campione successivamente analizzato è quello dei 3.565 PA (tra i 15.814 in servizio nel 2013) che, dal 2014 in poi, sono passati al ruolo di professore ordinario. Come si può osservare in Tab. 5, analogamente a quanto avviene per i passaggi da RTI a PA, la stanzialità nella regione di provenienza è molto elevata, ma in questo caso assume un valore medio nazionale leggermente più basso (96%) e, di conseguenza, l’attrattività da altre regioni, che ne è il complementare, risulta più alta (4%). Tale leggera disparità tra procedure di 1^ e di 2^ fascia indurrebbe ad ipotizzare che, mediamente, un professore associato il quale aspiri alla fascia più alta della docenza universitaria sia più portato a spostarsi dalla propria sede di appartenenza verso un’altra (eventualmente anche molto distante) a prescindere dalla posizione geografica, di quanto, a parità di condizioni, non possa essere interessato a spostarsi un RTI ai fini di una progressione di carriera in 2^ fascia.

Rispetto al caso delle progressioni di RTI in 2^ fascia, inoltre, la stanzialità nei passaggi da PA a PO assume valori inferiori alla media nelle regioni dell’Italia centrale, con conseguente aumento anche dell’attrattività: una possibile spiegazione di questo effetto tra tali regioni può risiedere nelle minori difficoltà di spostamento rispetto ad altre regioni.

In realtà, al di là di tali considerazioni, va precisato che i dati qui analizzati e confrontati sia per la Tab. 4 sia per la Tab. 5 potrebbero non essere del tutto omogenei e comparabili tra loro: non si conosce infatti con esattezza quale sia, sede per sede, la proporzione relativa, nell’ambito di tutte le procedure concorsuali espletate dall’inizio del 2014 ad oggi, tra quelle valutative e quelle selettive (che eventualmente possono essere destinate a vincitori “esterni”). Le politiche di reclutamento adottate dai diversi atenei, anche in riferimento ai vincoli di spesa assai differenti tra le varie sedi, possono in sostanza condurre ad impegnare punti organico su procedure selettive (quindi fruibili anche da candidati provenienti da sedi situate in altre regioni) con proporzioni anche molto diverse tra concorsi per ordinari e concorsi per associati.

In tutti i casi, la mobilità di PA e RTI tra diverse regioni nelle procedure di reclutamento di nuovi PO e PA, dal 2013 ad oggi, ha riguardato un volume complessivo che si aggira attorno al centinaio di punti organico. Si tratta di una quantità davvero esigua se confrontata, da una parte con gli oltre 6.000 punti organico liberati dalle cessazioni, e dall’altra con i circa 2.500 nuovi punti organico immessi per RTDa e, soprattutto, per RTDb. Ne consegue, in conclusione, che le politiche strategiche che tracciano in maniera determinante il percorso evolutivo del sistema universitario, in funzione sia delle diverse aree CUN sia della posizione geografica degli atenei di appartenenza, sono principalmente quelle connesse all’attivazione di nuovi posti per ricercatori. E forse non passerà molto tempo che il panorama del reclutamento negli atenei italiani potrà subire importanti cambiamenti se verranno approvate le recenti proposte di riforma con i disegni di legge in discussione alla Camera dei Deputati (https://www.roars.it/mediane-e-commissioni-asn-anche-per-gli-scatti-ecco-la-riforma-m5s-di-reclutamento-e-progressione/). Se questo è il caso, prepariamoci ad assistere a nuovi scenari nei prossimi anni, nell’auspicio che questi conducano ad ottenere il più ampio sviluppo possibile, a valorizzare al meglio le risorse disponibile e a sanare ogni squilibrio esistente nel sistema universitario italiano.

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2 Commenti

  1. questi signori degli algoritmi, e gli obbedienti esecutori delle direttive impartite … Si vede ora il disegno? Quel che non si vede sono le intelligenze mortificate, le energie sprecate in lotte fra istituti, dipartimenti, politici …

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