Nel 2010 l’Università di Alessandria si è classificata 147-ma nella classifica di Times Higher Education e quarta nella sottoclassifica dell’impatto citazionale, davanti a Stanford e Harvard. Non solo, ma l’exploit era dovuto alle eccezionali prestazioni bibliometriche di un singolo ricercatore. Ma questo è solo un esempio degli svarioni commessi dalle classifiche internazionali degli atenei, la cui validità scientifica traballa se si procede ad un’analisi delle loro fondamenta metodologiche. Nel caso dell’Italia, in particolare, il quadro generale appare molto diverso se si confrontano con altre nazioni le statistiche internazionali dei singoli indicatori, a partire da quelle di produttività scientifica per arrivare al rapporto docenti/studenti o alla spesa rapportata al PIL. A molti, però, i rankings appaiono un male necessario: come ripartire le risorse senza ricorrere a qualche classifica? In realtà nel Regno Unito la valutazione della ricerca, il famoso RAE, evita esplicitamente il ricorso a qualsiasi classifica. Ma se i rankings non hanno base scientifica e non sono nemmeno un male necessario, a cosa servono? Come ben spiegato da un recente documento OCSE, servono a supportare delle “narrative”. Si tratta di una narrativa il cui senso complessivo è quello di favorire la concentrazione delle risorse in poche “world class universities”. Un modello la cui validità e sostenibilità sono però ormai messe in discussione.
Secondo Convegno ROARS:
I filmati del convegno tenuto a Roma il 21 febbraio 2014
presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Parte III
Intervento di Giuseppe De Nicolao, Università di Pavia, ROARS
Video e slides
Video
Slides
Per il download delle Slides clicca qui
[…] Le politiche della ricerca al tempo dei rankings (adsbygoogle=window.adsbygoogle||[]).push({}); Giuseppe De Nicolao: Le politiche della ricerca al tempo dei rankings marzo 7, 2014 in ItaliaBy Redazione ROARS Secondo Convegno ROARS: I filmati del convegno tenuto a […]
Sempre encomiabile l’impegno, la chiarezza, l’oggettività delle valutazioni.
Ma qualcuno, dentro (vedi Puglisi e, soprattutto, le timide reazioni interne al sistema universitario) e fuori ci ascolta?
Sarebbe già qualcosa se ci ascoltassimo tra di noi. Ai tempi della riforma Gelmini, molte diagnosi e ricette degne dei venditori di elisir miracolosi riscuotevano ampio credito anche tra le fila dei colleghi. Una comunità divisa e che in buona parte accetta le ricette di chi punta a smantellare una bella fetta del sistema universitario non ha nessuna speranza di arrestare la frana e l’allargamento della forbice rispetto le nazioni evolute. Una comunità più consapevole e compatta può tentare di alzare la testa per evitare che il paese venga privato delle risorse formative e di innovazione di cui ha drammaticamente bisogno. È una lotta disperata perché iniziata troppo tardi quando i demolitori hanno ormai prodotto enormi guasti morali e materiali. È possibile che la storia condanni l’accademia italiana non tanto per le sue inefficienze e baronaggi, ma perché non ha avuto la lucidità e la responsabilità morale necessarie per opporsi ad una dismissione senza precedenti che relegherà, forse definitivamente, l’Italia in serie B o C.
Noi comunque ci siamo impegnati oppondenci a questa deriva: sin dall’inizio. Purtroppo molti colleghi si interessano a quello che succede solo quando vengono toccati in prima persona (vedi ASN e VQR) e dunque, dando una interpretazione superficiale e distratta a quello che succedeva per molti il problema era “si vabbé l’ennesima riforma dell’università, ma poi i concorsi quando si fanno?” Senza capire l’ovvio: che l’obiettivo di questa riforma era proprio eliminare i concorsi, i posti e una buona parte dell’università.
C’è gente che l’ha sempre capito e detto, ma veniva messa a tacere nei consigli dagli zelanti’scherani dell’ordine’. Continuo a credere che sia un degrado almeno (almeno) quarantennale, cominciato con forme di contestazione maldirette che hanno travolto molto di buono senza portare a un miglioramento complessivo né dello studio, né della ricerca, né della società: vi sembra che il nostro lavoro adesso sia migliore? Che gli studenti siano più preparati? Che l’università incida sulla qualità complessiva del paese? Questo sito rappresenta finalmente una forma di controinformazione non politicizzata e fatta dalle persone competenti ed è molto importante che continui a rompere le scatole.
Dico solo che De Nicolao, Sylos e gli altri hanno fatto e continuano a fare del bene al sistema universitario pubblico e privato io dico nel mio piccolo, grazie!