Diego Marconi si cimenta di nuovo con l’ostico tema della valutazione. Nella sua prima prova (sulle pagine di Iride, una rivista scientifica di “classe A” per l’ANVUR) aveva dato una definizione errata dell’Impact Factor e confuso più volte l’esercizio di valutazione britannico con quello australiano. Nonostante la sede, del tutto assente era la bibliografia scientifica: in compenso nelle 27 note abbondavano le citazioni da “la Repubblica”, “Il Sole-24 ore” e il “Corriere della Sera”. E quello delle fonti è un problema che non riesce a superare, a quanto pare. Infatti, nel suo articolo apparso nel domenicale del Sole 24 Ore, Marconi, senza citare la fonte, ricalca fedelmente – travisamenti compresi – la difesa dell’abilitazione fatta dal presidente dell’ANVUR di fronte alla commissione Cultura della Camera. Una difesa di cui – tra l’altro – il Sole 24 Ore aveva già ampiamente reso conto un mese prima.
1. Marconi ci riprova
Una “radio-ANVUR” affidata al talento di Marconi. No, aspettate un attimo prima di slegare le briglie all’immaginazione. A dispetto del cognome, non siamo di fronte ad un paradosso spazio-temporale, come nel film Frequency, che narra le vicende di un uomo che riesce a mettersi in contatto, tramite una radio, col padre morto trent’anni prima.
Infatti, il Marconi di cui stiamo parlando non è Guglielmo, ma Diego, già noto ai lettori di Roars come autore di un maldestro articolo sulla valutazione in cui, oltre a dare una definizione sbagliata dell’Impact Factor, confondeva più volte l’esercizio di valutazione britannico RAE/REF con quello australiano, l’ERA. Nonostante l’articolo fosse pubblicato in una rivista scientifica (in “classe A” nella categoria “Filosofia Morale”, secondo l’ANVUR [1]) nessuna delle ventisette note citava pubblicazioni scientifiche. In compenso abbondavano “la Repubblica”, “Il Sole-24 ore” e il “Corriere della Sera”. Va detto che, con ammirevole sincerità, Marconi si professava inesperto di bibliometria e forse proprio in virtù di questa consapevolezza ometteva pudicamente di essere membro del Gruppo di Esperti della Valutazione dell’Area 11. Nonostante la sua naïveté, l’articolo si rivelava talmente emblematico dello stato di arretratezza dell’accademia italiana in tema di valutazione da essersi meritato una dettagliata disamina che ne evidenziava refusi, errori e debolezze concettuali.
Viste le premesse, a chi meglio di Marconi ci si potrebbe rivolgere per avere lumi su come rilanciare le abilitazioni? Lo scriviamo senza ironia. Come reagirebbe uno studioso di vaglia colto in fallo su un terreno a lui pressoché ignoto in cui si era incautamente addentrato? Si affretterebbe a colmare le proprie lacune, documentandosi con feroce acribia fino a diventare più esperto dei propri critici.
2. Déjà vu
Ma, procedendo nella lettura dell’articolo di Marconi pubblicato sul Domenicale del Sole, le nostre aspettative si sono via via dileguate, cedendo il passo ad un’inconfondibile sensazione di déjà vu. Alcuni argomenti ed anche il loro uso retorico non ci suonavano nuovi.
Cose già udite ed anche già lette: alcuni passaggi chiave sembravano ricalcare punto per punto e numero per numero quanto riferito da Stefano Fantoni nel corso della sua audizione del 12 giugno alla commissione Cultura della Camera (qui un’ampia sintesi) facendo riferimento ad un documento disponibile sul sito dell’ANVUR. La sensazione di déjà vu era particolarmente forte, anche perché gli stessi argomenti e gli stessi numeri erano già stati riassunti da Gianni Trovati in un articolo apparso sul Sole 24 Ore il 20 giugno scorso. Repetita iuvant? Che sia questa la convinzione di Marconi?
Analizziamo più in dettaglio l’articolo di Marconi per verificare se la nostra sensazione di déjà vu sia giustificata. A rigor di cronaca, bisogna dare atto che ci sono tre spunti originali. Secondo Marconi:
- Il difetto più grave delle abilitazioni è che non hanno un tetto al numero massimo di abilitati, contribuendo in tal modo a creare aspettative destinate ad essere frustrate.
- Le mediane depotenziate a vincolo puramente orientativo non hanno senso: o le si riconosce come vincolo (eventualmente rimodulandole) o è meglio abolirle del tutto, lasciando ogni responsabilità alle commissioni.
- Non è il caso di dare seguito alla proposta dalla Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche dell’Accademia dei Lincei, ovvero: l’abolizione del membro OCSE nelle commissioni e l’abbandono del sorteggio puro a favore della scelta di commissari che godano della fiducia della comunità scientifica.
Fin qui nulla che confermi la nostra sensazione. Che ci fossimo sbagliati?
3. Marconi o Fantoni? Cercate la differenza
La sensazione di déjà vu riguarda però la parte centrale dell’articolo, quella che comincia così:
Malgrado questi difetti, per quel che si può giudicare dai risultati noti le abilitazioni non sono andate poi così male.
Come si capisce dalla premessa, Marconi avanza alcuni argomenti a difesa della procedura di valutazione che era stata disegnata secondo le raccomandazioni dell’ANVUR.
1. L’elevata percentuale di successo dei candidati “non strutturati”
Scrive Marconi:
Inoltre, il 19,3% di coloro che hanno avuto l’idoneità a professore ordinario e ben il 43,3% degli idonei associati sono “non strutturati”, cioé non appartenenti ai ruoli dell’università italiana. Poiché molti di loro sono ricercatori italiani che lavorano all’estero, questi risultati, usati bene, consentono di realizzare senza particolari clamori il famoso “rientro dei cervelli”.
Questo punto riprende fedelmente il documento ANVUR:
L’abilitazione sembra aver garantito l’accesso anche ai candidati non strutturati
L’Abilitazione è aperta anche a candidati non strutturati (ovvero che non siano già ricercatori o professori associati in organico agli atenei). Rientrano tra i non strutturati:
– candidati interni agli atenei ma non strutturati come ricercatori (es. assegnisti di ricerca, contrattisti etc.);
– docenti e ricercatori di università straniere;
– ricercatori di enti di ricerca pubblici (es. CNR) e di altri enti di ricerca pubblici e privati;
– professionisti e dipendenti di altre amministrazioni (es. avvocati, sovrintendenti ai beni culturali, insegnanti, dipendenti pubblici).
Hanno fatto domanda ben 28.083 soggetti non strutturati, poco meno dei soggetti strutturati, 28.456.
Tra i candidati che hanno ricevuto la abilitazione a professore ordinario, ben il 19,3% proviene dai non strutturati. Tale percentuale sale al 43,3% nel caso dei professori associati.
Si tratta di un risultato non scontato che mostra come l’abilitazione abbia aperto la possibilità di una carriera accademica anche al personale non in organico, offrendo alle università ampia scelta per il futuro reclutamento.
I lettori del Sole erano già al corrente di questi dati grazie a Gianni Trovati il cui articolo era persino intitolato “I concorsi nazionali aprono le cattedre ai candidati esterni”.
Sia detto per inciso che il titolo era impreciso sia nell’uso del termine concorsi al posto di abilitazioni sia nel riferimento delle cattedre, termine usualmente riservato alle posizioni di prima fascia. Ad essere pignoli, anche Marconi usa “idonei” al posto del più preciso “abilitati”.
2. Le mediane sono state di fatto ampiamente rispettate
Scrive Marconi:
Ancora, i requisiti di produttività scientifica (“mediane”), che, come si é detto, non erano vincolanti per le commissioni sono stati di fatto largamente rispettati: solo il 6% degli abilitati, concentrati in pochi settori disciplinari, non superava le mediane.
Anche questa è pari pari una riproposizione del documento ANVUR:
Le Commissioni hanno in larga parte fatto esplicito o implicito ricorso al parametro di impatto scientifico, che prevedeva il superamento del valore mediano di alcuni indicatori.
Su 100 candidati all’abilitazione il 48,8% è stato abilitato verificato il rispetto del superamento delle mediane, il 6% è stato abilitato pur non superando le mediane (questi ultimi casi si concentrano in pochi settori concorsuali).
Di nuovo, i lettori del Sole erano già stati informati da Gianni Trovati, che – a differenza di Marconi – evidenzia come sia l’ANVUR a giudicare coerenti il superamento delle mediane ed i giudizi dei commissari (il grassetto è nostro):
Dopo un lungo tira e molla, le mediane hanno finito per rappresentare un criterio flessibile, che le commissioni potevano derogare, ma secondo l’Anvur nella maggioranza dei casi i giudizi sono stati coerenti con questo parametro: solo il 6% ha avuto successo pur senza superare una mediana, con un fenomeno che si concentra in pochi settori concorsuali.
E faceva bene Trovati a mostrarsi prudente. Infatti, non è necessario essere studiosi di logica per accorgersi che quel 6% di abilitati submediani non è così piccolo come sembra. Infatti, anche a causa di fenomeni di autoselezione, i candidati “submediani” erano solo il 23,8% dei candidati. Pertanto, quel 6%, che a Marconi – alias Fantoni – sembra piccolo, costituisce il 25,2% dei candidati submediani. Insomma, come osservato a suo tempo su Roars, l’argomento dell’ANVUR è tutt’altro che forte, dato che:
- il 25,2% dei candidati “submediani” è stato comunque abilitato
- il 36,0% dei candidati supermediani non è stato abilitato.
3. I ricorsi accolti sono percentualmente poca cosa
Scrive Marconi:
Infine, si è parlato di “altissimo numero” di ricorsi al tribunale amministrativo; in realtà su 56mila domande di abilitazione i ricorsi sono stati finora 1.100 (cioé un po’ meno del 2%), e di questi ne sono stati ammessi, finora, 187, cioé lo 0,33 per cento. Nel Paese delle «novanta domande e duecento ricorsi» (Fabrizio De André), non sembrano cifre esorbitanti
Questo potrebbe sembrare un contributo originale di Marconi, dato che nel documento ANVUR non si parla dei ricorsi. Ne aveva però parlato Fantoni nella sua audizione alla Commissione cultura della Camera (qui la trascrizione):
Io non sono la persona più adatta per rispondere sui ricorsi, perché non ce ne siamo occupati, però li conosco. Siamo a circa 1.000-1.100 ricorsi. Qualunque sia stato il numero, si sono sentiti numeri come 3.000. Sono fuori luogo, non sono 3.000, sono 1000. 1000 ricorsi, che significa un ricorso su 50 candidati, cioè molto meno di prima di quando si facevano i concorsi in altro modo. Questa è la prima cosa.
Di questi 1.100 ricorsi, tenete conto che ci sono un numero di sospensioni [sic] che è tra le 100 e le 150. Abbiamo un numero di sospensioni che è estremamente piccolo, tanto per cominciare.
Di nuovo, Marconi rimane fedele alla linea dell’ANVUR ricalcandone anche le fallacie logiche. Infatti, come osservato su Roars:
le sospensive vanno rapportate non al numero totale di ricorsi pendenti, ma a quello dei ricorsi finora esaminati (su un totale non ufficialmente noto) che alla data del 6 giugno erano 270. Di queste domande cautelari gli accoglimenti sono circa 122 a fronte di 148 respingimenti. La percentuale di accoglimento si aggira pertanto sul 45%.
È possibile che Marconi disponga di dati aggiornati sul numero degli accoglimenti delle domande cautelari, ma permane l’errore concettuale di rapportarli ai ricorsi pendenti piuttosto che a quelli esaminati.
4. Radio-ANVUR is on air
Se tiriamo le somme, nell’articolo di Diego Marconi si distinguono due parti. Accanto ad alcune valutazioni personali (tetto massimo alle abilitazioni, no alle soglie flessibili – meglio piuttosto eliminarle, no a cambiamenti nella formazione delle commissioni) vi è una difesa dell’andamento delle abilitazioni che ricalca passo passo le dichiarazioni di Fantoni alla Commissione cultura della Camera. Dichiarazioni che, tra l’altro, erano note sia grazie a Roars sia grazie a Gianni Trovati che ne aveva scritto sempre sul Sole 24 Ore.
Sia ben chiaro che è del tutto legittimo trovarsi d’accordo con l’ANVUR e condividerne pedissequamente le argomentazioni, convincenti o meno che siano. Tuttavia, sia in ambito accademico che in quello giornalistico, è buona norma citare le proprie fonti, come per esempio aveva fatto Gianni Trovati.
Se in tema di valutazione il primo tentativo di Marconi denotava una carenza di preparazione, non si può dire che la prova di appello sia stata molto migliore. Per tracciare un bilancio dell’abilitazione ha ricalcato fedelmente – travisamenti compresi – le parole e la retorica di Fantoni senza citarlo come sua fonte.
Siamo i primi a riconoscere che il tema dell’abilitazione può essere ostico al punto da far inciampare anche noti giornalisti. Ma uno studioso del calibro di Marconi ha tutta l’esperienza e i mezzi culturali per essere qualcosa di più di un altoparlante di radio-ANVUR. Sicuri che ne farà un punto di orgoglio, aspettiamo fiduciosi la sua prossima prova.
[1] Per la precisione, Iride è catalogata in classe A per Filosofia morale, ma in classe B per Storia della filosofia (Revisione del rating delle riviste VQR GEV 11- Area Filosofia, 11.10.2012). Infatti, una delle anomalie della bibliometria fai-da-te dell’ANVUR è l’attribuzione di diverse classificazioni alla medesima rivista.