Come la grande musica non è fatta di soli Mozart, così l’Università e la ricerca scientifica non evolve grazie alla sola “eccellenza”. “Nella musica, come nell’università, ai personaggi illustri se ne accompagnano di meno grandi e però ammirevoli comunque; e tutti contribuiscono a far crescere e migliorare i campi che coltivano”. Così – conclude Giuseppina La Face – “competere per raggiungere un obiettivo di eccellenza irrealizzabile e astratto danneggia la fisiologia della ricerca: l’idea di un’eccellenza diffusa è una contraddizione in termini. Sforziamoci di migliorare, di essere studiosi intellettualmente onesti: tutti possono puntare al raggiungimento di ottimi risultati, ed ottenerli. Non sarebbe più costruttivo sostituire al concetto di eccellenza quello di serietà? Chi vorrà provarci? E se decretassimo un embargo decennale sul termine eccellenza?”.
Autori di opere immortali, eseguite nei teatri e nelle sale da concerto del mondo intero. A questa manciata di musicisti “eccellenti” ne potremmo aggiungere ancora una lista abbondante: ma dal Seicento al Novecento – dunque sull’arco di quattro secoli – non supereremmo forse i 100 o i 150.
Ma allora: è possibile che la grande musica si esaurisca in un centinaio di nomi?
La risposta è no. Attorno a queste personalità stellari c’è una vasta pletora di musicisti buoni e talvolta ottimi, autori di musiche ragguardevoli, che hanno svolto il loro lavoro con professionalità e intelligenza (e sono ancor oggi piacevoli da ascoltare).
Ecco qualche esempio fra i tanti, relativi al solo Settecento: Michael Haydn (1737-1806), fratello del più noto Joseph, prolifico autore di musica corale e strumentale; Carl Ditters von Dittersdorf (1739-1799), nome complicato, ma musica limpidissima e spiritosa, autore di opere italiane, di Singspiel tedeschi e di sinfonie ispirate alle Metamorfosi ovidiane; Pasquale Anfossi (1727-1797), ottimo operista anch’egli e compositore di musica sacra; František Benda (1709-1786), violinista acclamato e maestro di cappella a Varsavia.
La stessa coesistenza di autori eccelsi e autori buoni si osserva in altri campi della cultura, in ogni epoca: arti visive, letteratura, fisica, medicina, sport, cucina, moda. Ai personaggi illustri se ne accompagnano di meno grandi e però ammirevoli comunque; e tutti contribuiscono a far crescere e migliorare i campi che coltivano.
Allora perché questa assillante giaculatoria dell’”eccellenza” a tutti i costi? Essa risuona per ogni dove – in particolare nelle università del nostro Bel Paese – e ha effetti nefasti dovunque. Si pretende che gli universitari siano tutti “eccellenti”: assoggettati a valutazioni esasperanti, docenti anziani e giovani, ricercatori di lungo corso e neo-assunti, sono moralmente obbligati a raggiungere un livello di eccellenza, spesso immaginario. Imperversano le classifiche e i ranking di questa o quella agenzia sono riveriti dalle università come oracoli di un culto sacrale.
Ciò è profondamente distorsivo. La realtà nella quale viviamo è (per fortuna) ben diversa. Va bene andare una sera a cena in un ristorante a tre stelle Michelin, ma il vitto quotidiano è altra cosa, si basa su prodotti di qualità dei grandi magazzini o del verduriere all’angolo; la fisiologia umana impone che, quand’anche sia provvisto di un reddito sbalorditivo, il Creso di turno non si abbuffi di caviale e champagne, si cibi anche di mortadella, broccoli e insalatina.
Lo stilista Armani è meraviglioso: non ci si può però agghindare sempre con l’ultima sua creazione; occorrono pure jeans e magliette, reperiti magari ai saldi o nei mercatini. Un bosco è fatto di alberi d’alto fusto ma anche di erbe e di licheni nonché di arbusti, magari rigogliosi, che non supereranno però il metro di altezza: non per questo sono meno essenziali all’ecologia complessiva della foresta.
La mania della sedicente “eccellenza” sta producendo danni alla ricerca universitaria e alla psiche dei ricercatori. Costretti a ritmi di pubblicazione nevrotizzanti, pur di rientrare in parametri produttivi astratti e talora insensati, perdono la serenità intellettuale che il lavoro di ricerca esige. Pubblicare tanto, essere “produttivi” a prescindere, non significa ipso facto scrivere cose profonde, che abbiano un impatto scientifico durevole.
Nelle discipline umanistiche (quelle che conosco) il vero criterio di valore è la capacità di un testo di stimolare, ancora dopo molti anni, riflessioni e interpretazioni nuove e fruttuose. Non è detto che l’efficacia di una pubblicazione emerga subito: è il tempo, la storia, a decretarne la vera eccellenza.
Abbiamo un gran bisogno, oggi più che mai, di tanto lavoro di buona e di ottima qualità. “Ottimo” ed “eccellente” non sono sinonimi.
“Ottimo” è superlativo di “buono“, indica ciò che è particolarmente buono e ogni lavoro, anche di modeste pretese, può essere svolto in maniera ottima. “Eccellente” è il participio presente di un verbo che implica il raggiungimento di un divario, di un distacco rispetto ai concorrenti: punta all’isolamento, all’innalzamento, a scapito di ciò che non eccelle. Dunque è un ideale precluso alla maggioranza.
Competere per raggiungere un obiettivo di “eccellenza” irrealizzabile e astratto danneggia la fisiologia della ricerca: l’idea di un’eccellenza diffusa è una contraddizione in termini.
Sforziamoci di migliorare, di essere studiosi intellettualmente onesti: tutti possono puntare al raggiungimento di ottimi risultati, ed ottenerli. Non sarebbe più costruttivo sostituire al concetto di “eccellenza” quello di “serietà“? Chi vorrà provarci? E se decretassimo un embargo decennale sul termine “eccellenza“?
Pubblicato sul Fatto Quotidiano il 21 marzo 2018
Buonsenso, ma se lo si seguisse sarebbe balsamo sulle tante ferite dell’ASN, che continuano ad essere inferte …
Vogliamo anche aggiungere che le iperboli (non solo eccellente) vengono talvolta attribuite a figure ben poco eccellenti …
Viviamo in un mondo alla rovescia, mantenersi dritti è difficile.
con i criteri ANVUR (sensibile a soddisfare i gusti dell’Imperatore) sicuramente sarebbe risultato eccellente Salieri, ed infatti Mozart morì povero mica con uno stipendio da nabbabbo come Miccoli, Fantoni e co.
Ma infatti. Mozart, durante la sua vita, fu osteggiatissimo e perennamente vittima di ambientini invidiosi e ostili intessuti da persone non di pari livello? Ebbe l’ammirazione di altri grandi, ma l’odio dei mediocri. E così anche nelle università italiane del 2018. Le persone più meritevoli e produttive sono spesso vittima di assemblee ostili e rivendicative orientate all’asserire che sono tutti uguali. Siamo sicuri che tutto questo rigurgito e abuso della parola eccellenza non sia un drammatico pull-back?
Caro Darth Vader,
1- “eccellente” ormai è la qualunque. Ognuno usa “eccellente” a c***o senza definirne la relatività a questa o quella qualità ma in modo semplicemente assoluto al di fuori anche del tempo (se uno è eccellente lo sarà sempre e comunque per qualsiasi cosa; per es. Il giovane Anakin che uccide i piccoli padawan era meglio o peggio di Darth Vader morente tra le braccia del figlio?). “Eccellente” come sostantivo NON VUOL DIRE NULLA; si tratta solo di un vuoto aggettivo sostantivato per di più totemico, utilizzato per indicare nel migliore dei casi un non-luogo nebbioso ed incerto dove l’ordinario di matematica è definito “una eccellenza italiana” esattamente come la mozzarella di bufala è “una eccellenza” campana.
NON si tratta quindi di un riconoscimento, a differenza della stima dei colleghi o dell’opinione pubblica nei confronti dell’ordinario di matematica che si distingue tra i pari per la propria bravura e/o intelligenza, ma semmai di una semplice etichetta o stelletta o medaglietta, priva di valore intrinseco, con la quale ognuno può credere (o gli si fa credere) di essere meritevole di un qualcosa in più rispetto ad un suo pari, in base ad esempio alla sua maggiore produttività (come se la maggiore produttività fosse un merito di per se, assoluto: quest’anno ho prodotto più mozzarelle dei competitors e quindi sono eccellente);
2- l’invidia e l’ostilità sono sempre presenti negli ambienti di lavoro; i livelli di questi sentimenti possono variare ma aumentano sempre e di tanto ad esempio in ambienti di tipo aziendale nei quali prevale la competizione interna del tipo descritta da R.Frank “the winner takes all”, guarda caso il modello universitario che si sta realizzando in Italia (scopiazzando strumentalmente ed in modo abbastanza osceno altri sistemi universitari) e che prevede che ad un manipolo per definizione “eccellente” bisogna dare praticamente tutto e che questo basti e avanzi per far migliorare la propria università (magari per scalare la VQR è anche vero ma di sicuro questa non misura la qualità a cui il termine eccellente dovrebbe riferirsi). L’aumento dello stress e dell’ansia nei colleghi “meno eccellenti” (!!!) è la causa di tale aumento di invidia e magari ostilità, anche perché questo sistema degli eccellenti aumenta pure la diseguaglianza reale tra colleghi (di risorse, di posizioni e di possibilità); l’uguaglianza, stia attento, mio caro Sith, NON vuol dire che tutti SONO uguali né avere lo stesso in termini di risorse o di posizione, ma significa almeno allo start AVERE LE STESSE OPPORTUNITà per migliorare se stessi (e quanto ce ne è bisogno nell’accademia!) al fine ad esempio di far aumentare nel tempo LA QUALITà MEDIA DELL’ACCADEMIA italiana, giusto per evitare di scadere poi nella formazione di tante caprette laureate sì (magari con il 3+2), ma prive di senso critico (e che danno si crea agli altri intesi come società!!! E che favore si fa al Signore Oscuro e Maestro che tutto sa e tutto controlla!!!).
Le persone in generale ed anche buona parte di quelle in accademia, pur non elevandosi a individuo idealmente eccellente, vanno fiere comunque di saper fare bene alcune cose, amano comunque il proprio lavoro, spesso lo fanno anche bene e con passione, e sono orgogliosamente consapevoli di essere utile al processo di miglioramento della propria istituzione di appartenenza.
Ma se queste persone continueranno ad essere dimenticate, frustrate e/o danneggiate dall’ideale culturale tanto in voga nell’Impero dei Sith, tutto chiacchiere (meritocratiche) e distintivo (di eccellenza), è difficile prevedere assemblee deferenti, generose e benevole nei confronti della “razza superiore di eccellenti” e soprattutto è sorprendente che qualcuno si lamenti della mancata realizzazione di esse.
Cordialmente
The Rebellion
Grazie ribelle, ma come può vedere dal mio commento, io non usato, e non uso praticamente mai, la parola eccellente.
Il problema non è premiare i migliori, ci mancherebbe. Il problema, qui e ora, è chi decide chi sono i migliori. Fabio Mussi (parlandone da vivo)? Fantoni? Graziosi? Un qualche filosofo greco diceva: «Uno è per me centomila se è il migliore». Ma, precisava la mia indimenticata professoressa di filosofia al liceo, «come stabiliamo chi è il migliore?».
Ah dimenticavo, circa la frase “….punta all’isolamento, all’innalzamento, a scapito di ciò che non eccelle”, l’autrice credo dovrebbe chiarire come il lavoro di qualcuno, per il solo fatto di essere molto buono o molto migliore della media, possa arrecare danno ad altri. Non mi pare che Mozart abbia arrecato, con la sua opera, in questo caso possiamo ben dirlo, eccellente, danno a nessuno se non purtroppo a se stesso. Che poi l’eccellenza sia preclusa alla maggioranza, qualsiasi essa sia, mi pare un corollario banale che segue dalla sua stessa definizione.
Il significato dell’inglese “tower” rende forse più evidente il significato di “eccellere” e di conseguenza di “eccellente”
tower. noun
1. 1. a tall narrow building, either free-standing or forming part of a building such as a church or castle.”a church tower”
2 sinonimi: 3 steeple, spire;
verb
1. 1. rise to or reach a great height.”he seemed to tower over everyone else”
2 sinonimi: 3 soar, rise, loom, ascend, mount, rear, reach high, stand high;
1. 5 2. (of a bird) soar up to a great height, especially (of a falcon) so as to be able to swoop down on the quarry.
Come battuta si può aggiungere che esistono anche gli eccellentissimi. Quanto all’eventuale danno, credo si alluda all’utilizzo sociale dell’eccellenza, la quale eccellenza può essere reale come dimostrerà la storia, o presunta o fasulla, che sarà sempre il futuro a dover e poter dimostrare. L’eccellenza del momento è e deve essere il risultato della valutazione fatta da una collettività coeva , che può muoversi e giudicare a partire da criteri non sempre e non solo scientifici o professionali. Da questo tipo di valutazione possono derivare danneggiamenti di altri.
Non è stata la qualità ”eccellente” della sua musica a ”danneggiare” Mozart (come ha affermato Mingione, se ho capito bene), ma, prima di tutto, la sua struttura caratteriale, che era rimasta a uno stadio infantile perché … il padre aveva voluto che tutto il mondo riconoscesse il talento eccezionale del figlio, e lo costrinse per questo a viaggiare come un randagio da un posto all’altro, per mostrare a tutti quanto fosse ”eccellente” il figlio, e così gli ha impedito di avere una normale infanzia e una normale fanciullezza.
Dunque, in primo luogo, la sua struttura caratteriale infantile gli impedì di gestire oculatamente la sua fortuna e le sue finanze.
In secondo luogo, ciò che danneggiò Mozart fu il fatto che egli visse in un periodo di transizione verso una nuova era, in cui i musicisti, avrebbero lavorato come liberi professionisti (con tutti i rischi annessi e connessi) e non più sotto un vincolo di dipendenza verso istituzioni religiose o casate aristocratiche — vincolo che però garantiva una certa stabilità e sicurezza e concedeva anche una certa libertà creativa, poiché che la musica era vista come un valore in se e non come un mezzo per fare profitto.
Mentre Mozart era in vita, certamente Haydn riconobbe il suo genio, ma a che cosa si riferisce Mingione quando parla del ”danno” che Mozart avrebbe subito?
Proprio al fatto, mi sembra di capire, che il suo genio venne universalmente riconosciuto solo dopo la sua morte.
A me sembra normale che il genio venga riconosciuto a posteriori, e, a mio avviso, sono proprio le ”eccellenze” del momento a ostacolare coloro che un domani saranno riconosciuti come ”eccellenti”, anche perché di solito sono le persone ”eccellenti” — e non persone ”mediocri” — che hanno il potere che occorre per ostacolare il cammino di altri individui ”eccellenti”.
Ad esempio, Goethe, che a suo tempo era certamente una ”eccellenza”, non fu in grado di riconoscere il genio di Schubert. Eppure sarebbe bastata una occhiata meno distratta e superficiale a quei lieder, scritti da un oscuro insegnante di scuola, per fare di Schubert una ”eccellenza” e sottrarlo al destino di ristrettezze economiche di un maestro di scuola aiutato da pochi amici.
Per nostra fortuna, la delusione di quella incomprensione non spense la fiamma creativa di Schubert. Ecco, una politica basata sulla ideologia della ”eccellenza” ha gravissime conseguenze, che vanno a braccetto: da un lato, gli spiriti creativi si convincono che se non sono ”eccellenti” non devono più produrre (e non basta più la speranza che forse saranno i posteri a giudicarli meglio dei contemporanei, visto che oggi si pretende di sussumere tutti gli ambiti e i livelli della vita alla logica del successo e del profitto aziendale); dall’altro, si riducono le risorse messe a disposizione.
La seconda conseguenza è chiaramente lo scopo della diffusione della suddetta politica, e la retorica della eccellenza serve proprio a ingannare l’opinione pubblica (”oysters! dear oysters! come and walk with us! a pleasant walk, a pleasant talk, along the briny beach! We cannot do with more than four, to give a hand to each”). La suddetta retorica è infatti diffusa ormai in tanti ambiti: l’opinione pubblica viene convinta che sia necessario avere un ospedale ”eccellente”, una scuola ”eccellente”, eccetera. Nel frattempo, l’ospedale buono che fino a poco prima aveva reso buoni servigi viene chiuso, eccetera eccetera.
Dunque, non è la qualità ”eccellente” di alcune produzioni creative che danneggia coloro che ”eccellenti” non sono, ma la pretesa (tradotta poi in pratica dalle politiche basate sulla ideologia della ‘eccellenza”) di togliere risorse a questi ultimi.
Un altro esempio è dato da Cauchy, che non seppe riconoscere il genio di Galois.
A volte il danno è inferto non per incapacità ma per invidia o per opportunismo: chi è stato a negare a Grothendieck un posto al College de France dopo che egli si era dimesso dall’IHES per nobili, rispettabili ragioni di principio? matematici ”eccellenti” come lui, non certo matematici ”mediocri”. Sembra che ci sia stata anche una spinta ”politica” dietro la decisione di non farlo restare al College de France, ma sono certamente stati matematici ”eccellenti” a permettere che quelle spinte venissero recepite. In altre parole: se i matematici francesi ”eccellenti” avessero voluto imporre la loro volontà avrebbero potuto farlo, e proteggere uno dei maggiori geni creativi di tutti i tempi dalla involuzione autolesionistica che segnò il suo destino. Essi hanno invece evidentemente preferito non avere in giro un ”eccellente” di quel valore, e lasciare che Grothendieck venisse rispedito a Montpellier.
Bibliografia.
Thomas Gray, Elegy written in a Country Churchyard. London, 1751.
Lewis Carroll, The Walrus and the Carpenter. 1872.
Massimo Bontempelli, L’agonia della scuola italiana. 2000. Il sesto capitolo è riprodotto qui
Andrea Zhok, La retorica dell’eccellenza è una truffa
Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana? Koiné nn.1/2 Gennaio Giugno 2000 Editrice C.R.T. Alcuni brani sono riprodotti qui.
Non mi pare che ci siamo stati molti casi di grandi matematici che non siano stati riconosciuti come tali dai propri contemporanei. L’esempio di Galois non è molto significativo. Il poverino morì a 21 anni in un duello. Qualche anno di vita in più e il suo talento gli sarebbe stato pienamente riconosciuto. Stesso discorso per Schubert, morto a 31 anni, ma ampiamente riconosciuto nel suo tempo. Anche il genio creativo di Grothendieck era pienamente riconosciuto dai suoi contemporanei.
Quello che l’articolo trascura (e anche qualche commento) è la dimensione temporale. Si possono fare cose eccellenti. Non è da tutti. Per fare cose eccellenti servono indubbiamete doti non comuni. Ma questo implica che qualsiasi risultato precedente e successivo raggiunga le stesse vette di eccellenza? L’eccellenza non è un diamante: non è mai “per sempre”. E non permea di sé luoghi o atenei. Premi Nobel che non hanno prodotto più nulla di memorabile ce ne sono quanti se ne vuole. Cosiddetti “centri o scuole di eccellenza” hanno avuto alti e bassi. E’ perfettamente normale. Eppure nella retorica dell’ eccellenza (che è cosa diversa dalla vera eccellenza) tutto questo viene tranquillamente ignorato. Difficile non diventare critici e sospettosi rispetto all’ uso ideologico (interessato) di termini come eccellenza e merito.
La cosiddetta eccellenza serve solo a tagliare risorse di organico e fondi di ricerca. Basta dire che solo il 5% di eccellenti merita di progredire in carriera o di essere finanziato e il gioco è fatto.
Aggiungerei che Pasquale Anfossi non è Mozart, ma ascoltandolo si comprende immediatamente che senza Anfossi non ci sarebbe stato Mozart, o quanto meno non il Mozart che conosciamo
Ecco la trascrizione di un brano del romanzo di Dumas “Le comte de Montecristo”
Excellence, cria le cicérone en voyant Franz mettre le nez à la fen^etre, faut-il faire approcher le carosse du palais?
Si habitué que f^ut Franz à l’emphase italienne, son premier mouvement fut de regarder autour de lui mais c’était bien à lui-m^eme que ces paroles s’adressaient.
Franz était l’Excellence; le carrosse était le fiacre; le palais, c’était l’h^otel de Londres.
Tout le génie laudatif de la nation était dans cette seule phrase.
“Eccellenza” gridò il servitore di piazza, vedendo Franz mettere il naso alla finestra, “vuole che faccia avvicinare la carrozza al palazzo?”
Per quanto Franz fosse abituato all’enfasi italiana, il suo primo movimento fu di guardarsi intorno, ma a lui stesso venivano rivolte quelle parole…
Franz era l’Eccellenza, il calesse era la carrozza, il palazzo era l’albergo Londra.
Tutto il genio della nazione era in questa sola frase.
Credo che una traduzione piu’ aderente sia “Tutta la predisposizione nazionale per l’adulazione era in questa sola frase”
Su Galois, quello che sappiamo per certo è che non è stato ammesso al Politecnico, le sue memorie non sono state comprese, tanto è vero che sono state rifiutate da matematici ”eccellenti” del tempo, e che ci sono voluti due decenni circa, se non ricordo male, per iniziare a capire le sue idee. Possiamo immaginare scenari ottimistici, ma sono, appunto, immaginazioni che non trovano riscontri in ciò che sappiamo per certo.
Le qualità di Schubert erano riconosciute così ampiamente che egli … viveva grazie all’aiuto di pochi amici estimatori.
Grothendieck era così universalmente rispettato che … lo emarginarono a Montpellier invece di lasciarlo al Collège de France.
«la ricerca di eccellenza è sempre fatta da piccolissimi numeri di persone. È stata fatta – e chi la faceva è stato anche messo al rogo, oggi al massimo uno perde un po’ più di tempo per farsi riconoscere», «il suo premio lo avrà quando diventerà lo scienziato più famoso del mondo tra vent’anni. Dovrà ringraziare che nel frattempo è rimasto ricercatore e non l’hanno bruciato vivo. Cioè, francamente, non è che siamo tutti Galilei e Newton.» (A. Graziosi, Presidente Anvur)
https://www.roars.it/galilei-valutato-dagli-anvuriani-graziosi-dovra-ringraziare-che-e-rimasto-ricercatore-e-non-lhanno-bruciato-vivo/
“Grothendieck era così universalmente rispettato che … lo emarginarono a Montpellier invece di lasciarlo al Collège de France.”
Dobbiamo forse ricordare che Grothendiek vinse nel 1966 la Fields Medal? (per i non matematici: l’equivalente del premio Nobel per la Matematica). La questioni sollevate da Grothendieck erano spesso di natura politica, e questo è altro discorso.
Galois è morto a 21 anni. Questo sappiamo. Se fosse vissuto, si sarebbe probabilmente fatto valere come tutti quelli che hanno grandi idee innovative. In ogni caso, si tratta di caso isolatissimo tra i grandi matematici.
Giuseppe De Nicolao: non mi pare affatto che oggi la comunità scientifica riconosca i contributi importanti solo dopo venti anni. Non mi è chiaro quindi a che scopo riportare queste dichiarazioni di Graziosi. Come ho spesso osservato nelle mie critiche al suo operato, il problema di ANVUR è proprio quello di non riconoscere in modo adeguato la qualità, puntando ad una concezione impiegatizia dell’attività di ricerca e rilevando improbabili valori medi.
Commentavo De Biase. Secondo Graziosi, basta avere pazienza. Quindi, se non muori in un duello (eventualità oggigiorno abbastanza remota) dove sta il problema per i Galois dei giorni nostri?
A parte l’ironia, io penso che chi per mestiere si occupa di conoscenza ai massimi livelli dovrebbe aver superato la fase delle caramelle che vengono date ai primi della classe. Non solo il distributore centralizzato di caramelle finisce per essere un qualche mostro burocratico (che Graziosi sia uno studioso dell’Unione Sovietica è solo ironia del destino?), ma le caramelle erodono l’etica di chi le insegue. Teorizzare che un ricercatore produca meglio perché in questo modo prende 1,0 invece che 0,7 alla VQR è un insulto alla sua dignità scientifica come lo è pensare che produca meglio per poter collezionare più citazioni o per scalare qualche classifica (individuale o collettiva). Mettere in pratica questa teoria significa allevare un’accademia irresponsabile, tutta tesa a competere, ma tossica per gli studenti e la società.
Nel mio commento iniziale ho cercato di mettere in luce una certa ambivalenza del termine incriminato, come indicatore di potere economico-sociale oppure come indicatore di valore intellettuale-artistico, e di alludere ad alcune questioni generali.
”Dobbiamo forse ricordare che Grothendiek vinse nel 1966 la Fields Medal? (per i non matematici: l’equivalente del premio Nobel per la Matematica). La questioni sollevate da Grothendieck erano spesso di natura politica, e questo è altro discorso.”
Il fatto che egli avesse già ricevuto la medaglia Fields rende ancora più grave la decisione di rispedirlo a Montpellier. [1]
Anche L. Schwartz sollevava spesso questioni di natura politica, ma non per questo è stato rispedito a Tolosa.
Se è vero che, a partire dal 1970, per alcuni anni Grothendieck si è dedicato molto intensamente all’attivismo sui problemi ecologici di cui soffre il nostro pianeta, e in senso antimilitarista, è anche vero che dopo qualche anno ha ripreso a dedicarsi alla matematica, ma da una posizione di isolamento, appunto perché era stato rispedito a Montpellier. Quello è stato un crimine contro la matematica, ed è stato commesso da matematici ”eccellenti” o con la loro complicità. Anche L. Schwartz si è interessato a lungo di problemi ”politici” ma non per questo è stato rispedito a Tolosa. Del resto era facile prevedere che, una volta isolato, sarebbe diventato preda della depressione che poi lo ha lentamente divorato (anche se gli ha consentito di scrivere una opera affascinante come Récoltes et Semailles). [2]
”Galois è morto a 21 anni. Questo sappiamo. Se fosse vissuto, si sarebbe probabilmente fatto valere come tutti quelli che hanno grandi idee innovative. In ogni caso, si tratta di caso isolatissimo tra i grandi matematici.”
Sappiamo molto di più. Sappiamo che non era stato ammesso al Politecnico, che le sue memorie erano state rifiutate da matematici ”eccellenti”, e che ci sono voluti circa venti anni perché le sue idee venissero comprese. Quando alla ultima affermazione, a seconda della definizione che diamo alla espressione ”grande matematico”, si tratta di una affermazione tautologica, e quindi poco interessante, oppure di una affermazione apodittica. In ogni caso, non posso concordare con la ”ideologia” implicita nell’ultima affermazione. La matematica è una impresa collettiva, che si nutre dei contributi di tutti. Bisognerebbe farla con questo spirito. Poi saranno i posteri a giudicare, se ne avranno tempo e voglia.
NOTE
[1] Grothendieck non si è recato a Mosca a ritirare la medaglia Fields per protesta contro non ricordo quale aspetto della politica sovietica. A quanto pare ha donato il compenso la medaglia Fields a una organizzazione antimilitarista.
Nel 1988 l’Accademia Reale delle Scienze, in Svezia, gli ha assegnato il premio Crafoord, ma Grothendieck non lo ha accettato.
Le motivazioni per il suo rifiuto del premio Crafoord si possono leggere qui.
Segnalo alcuni passaggi, tratti dalla lettera in cui motivava il suo rifiuto, che mi sembrano rilevanti per la presente discussione, oppure rilevanti in assoluto.
”I am convinced that time is the only decisive test for the fertility of new ideas or views.”
”Fertility is measured by offsprings, not by honors.”
”My salary as professor, even my pension starting next October, is more than sufficient for my own material needs […]”
”I note moreover that all researchers of high level, to which a prestigious award such as the Crafoord prize addresses itself, have a social standing that provides them with more than enough material wealth and scientific prestige, with all the power and privileges that these entail. But is it not clear that superabundance for some is only possible at the cost of the needs of others?”
[Qui viene in mente la vicenda dei dipartimenti di ”eccellenza”]
Meanwhile, the ethics of the scientific community (at least among mathematicians) have declined to the point that outright theft among colleagues (especially at the expense of those who are in no position to defend themselves) has nearly become the general rule, and is in any case tolerated by all, even in the most obvious and iniquitous cases. Under these conditions, agreeing to participate in the game of ”prices” and ”rewards” would also mean giving my approval to a spirit and trend in the scientific world that I view as being fundamentally unhealthy, and moreover condemned to disappear soon, so suicidal are this spirit and trend, spiritually and even intellectually and materially.
[2]
Infatti, nel suo ritratto psicologicamente convincente di Grothendieck, scritto da Pierre Cartier in questo scritto,
l’autore osserva che
”It seems to me that his capacity for scientific creation was the best antidote to his depression, and that his immersion in a lively scientific milieu (the Bourbaki group and the IHÉS) favored his creativity.”
”Fertility is measured by offsprings, not by honors.” Giusto! Quindi è sacrosanto e giusto usare la bibliometria, che misura appunto quanto una ricerca abbia conseguenze. Per il resto, abbiamo capito che Grothendieck non ebbe sufficiente riconoscimento anche se vinse la Fields Medal, che non è chiaro che Gauss, Eulero, Riemann, Poincaré e a seguire ebbero il giusto riconoscimento in vita e che, no, non si può capire se uno abbia fatto cose rilevanti prima che sia morto. Prenderemo nota.
“Quindi è sacrosanto e giusto usare la bibliometria, che misura appunto quanto una ricerca abbia conseguenze.”

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A costo di essere ripetitivo. La “ricerca” di M. El Naschie (che vantava 307 articoli pubblicati nella rivista Chaos, Solitons and Fractals di Elsevier, da lui diretta) ha avuto conseguenze misurabili: nel 2010 la sua Università di Alessandria di Egitto ha superato Harvard e Stanford nella classifica dell’impatto citazionale stilata da Times Higher Education. Temo però che il simpatico egiziano sarà dimenticato dalla storia della matematica (non da quella delle follie della valutazione, però).
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È un elementare esercizio di logica: se i grandi contributi scientifici sono molto citati (magari con ritardi anche di anni e con differenze statistiche da settore a settore) non è vero che i ricercatori molto citati siano necessariamente artefici di grandi e memorabili contributi scientifici. Per fare un altro esempio, il “compare di citazioni” di El Naschie (se le scambiavano come le figurine), Ji-Huan He era stato segnalato da Thomson Reuters come “astro nascente” (Rising Star) della Computer science, proprio in quanto “highly cited”.
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“Fu vera gloria?” si domanderà qualcuno. Personalmente, credo di no. A titolo illustrativo, il simpatico Ji-Huan He (il cui h-index nel 2010 era superiore alla mediana degli h-index dei Nobel per la fisica), era stato citato ben 353 volte in un singolo fascicolo della rivista Journal of Physics: Conference Series … un numero speciale di cui lo stesso Ji-Huan He era curatore.
Queste vicende sono raccontate (con tutti i riferimenti del caso) in uno dei primi articoli pubblicati su Roars, “I numeri tossici che minacciano la scienza”, https://www.roars.it/i-numeri-tossici-che-minacciano-la-scienza/
Certo Giuseppe De Nicolao, è un discorso che abbiamo già fatto, e sono i soliti esempi singolari che cacci fuori ogni volta, veramente sempre gli stessi. Ripetiamo chiaramente che la bibliometria, se usata con giusti accorgimenti, è un importante ausilio alla valutazione. Ma forse dovrebbe essere a questo chiaro che a Roars qualsiasi tipo di valutazione non va bene.
Ah già, dimenticavo, bisogna “leggere i lavori”. Peccato che sia attività praticamente impossibile da fare in modo massivo. Ma anche questo è stato già detto.
Leggere i lavori “attività praticamente impossibile da fare in modo massivo”? Solo per chi, come il direttivo anvur, ha la mentalità del burosauro sovietico da piano quinquennale. Oppure da chi ritiene di poter lucrare qualcosa con la bibliometria automatica. Suvvia Mingione non mi dica che non le viene in mente qualche alternativa che scali in modo efficiente. Ma vedo bene che lei è della larga schiera dei fan del mantra “il meglio è nemico del bene”. Salvo che nessuno ha ancora spiegato convincentemente in che consisterebbe il bene di un sistema che non ha uguali in giro per il mondo.
Trincerarsi dietro la foglia di fico del “se usata coi dovuti accorgimenti è un importante ausilio…” non basta. Dove li vede gli accorgimenti nell’ uso che anvur, MIUR, Governo e atenei fanno della VQR? Io sinceramente da nessuna parte. Non vedo neanche qualcosa di altro a cui la valutazione bibliometrica anvuriana sarebbe di “auslio”. E non credo di esseri distratto. E quindi cosa resta? una bibliometria fatta male e usata peggio.
Postilla: La valutazione in se’ non mi ha mai creato problemi. Una fatta così male da aprire la strada ad annullare l’art.33 della Costituzione mi crea invece molti problemi come scienziato e come cittadino.
Egregio Pastore, basta andare un attimo su google per capire quanto e in quali modi ho criticato la VQR
https://www.roars.it/il-mondo-allincontrario-di-anvur/
Cosa le fa dedurre che quando mi parlavo agli “usi accorti della bibliometria” mi riferissi a quelli dell’ANVUR? Suvvia Pastore, non non mi attribuisca opinioni che non ho. Confermo che “leggere i lavori” in una valutazione massiva è cosa realisticamente impossibile.
Ah, dimenticavo Pastore. A margine dell’articolo linkato sopra, in cui le mie critiche ai metodi ANVUR nella VQR vengono riportate in modo estremamente chiaro, c’è anche un suo commento. È comunque evidente che gli usi accorti della bibliometria ai quali mi riferisco, non sono quelli di ANVUR. Se poi uno vuol dire che la bibliometria non dice nulla in ogni caso, beh io non sono d’accordo. Ma credo che sia un’affermazione che vada contro il senso comune.
Deduzione sbagliata, perché per ”offsprings” Grothendieck non intendeva ”citazioni”. Non a caso ha scritto che dove egli agiva sotto ispirazione, gli altri ci vedevano un impiego senza ispirazione.
Mandare una medaglia Fields a marcire a Montpellier, invece di tenerselo al Collège de France, o comunque a Parigi, non denota rispetto, ma sentimenti di segno contrario.
Quando il mondo si accorse della esistenza di Riemann, egli si era già rovinato la salute sui libri (in altre parole, se quel mondo se ne fosse accorto prima, gli avrebbe permesso di dare i contributi che ha dato senza rovinarsi la salute). Possiamo in parte scusare in parte quel mondo per essersi accorto tardi della esistenza di Riemann. Infatti, la sua opera, come ha scritto il curatore della edizione moderna delle sue opere complete, è piena zeppa di messaggi criptici alle generazioni future.
Gauss si è salvato per caso, perché un ricco nobiluomo lo ha notato da bambino e gli ha dato i mezzi per crescere e studiare, ma questo non mostra che tutti i bambini di talento abbiano avuto la stessa fortuna. La bella poesia di Thomas Gray che ho citato nel mio primo commento dice qualcosa al riguardo.
Eulero è vissuto in una epoca in cui a uno studioso bastava la protezione di un re o di una regina, o di un ricco nobiluomo, ma tali sentimenti potevano cambiare facilmente, per un motivo o per un altro. Infatti, egli dovette allontanarsi da San Pietroburgo e poi da Berlino per dissapori con l’Altezza Reale del momento. Evidentemente, la fama di cui godeva non era sufficiente.
Il punto che ho cercato di esporre era però più ampio: una politica basata sulla ideologia della ”eccellenza” danneggia proprio l’emergere delle ”eccellenze”, e se lo Stato abolisse questa parola dal suo lessico normativo, ecco, ciò non impedirebbe alla Nazione di raggiungere livelli eccellenti nelle scienze e nelle arti.
Di Biase, la tua personale lettura della storia della matematica mi risulta sempre più interessante.