Intervistatrice: «Qualcuno dice che i criteri bibliometrici scoraggino un po’ la ricerca innovativa». Risposta: «Io credo sia un’illusione penosa – scusi il termine – immaginarsi che una qualunque comunità in qualunque momento riesca a vedere qual è la cosa innovativa», «la ricerca di eccellenza è sempre fatta da piccolissimi numeri di persone. È stata fatta – e chi la faceva è stato anche messo al rogo, oggi al massimo uno perde un po’ più di tempo per farsi riconoscere», «il suo premio lo avrà quando diventerà lo scienziato più famoso del mondo tra vent’anni. Dovrà ringraziare che nel frattempo è rimasto ricercatore e non l’hanno bruciato vivo. Cioè, francamente, non è che siamo tutti Galilei e Newton.» A formulare questa singolare concezione della valutazione della ricerca è Andrea Graziosi, il presidente dell’Anvur. Questo e molto altro è contenuto negli “Anvur tapes”, più di un’ora e mezza di registrazioni inedite, di cui oggi iniziamo la pubblicazione. No, non abbiamo usato microspie e nemmeno li abbiamo rocambolescamente trafugati. È stata l’Anvur a intercettare se stessa e a pubblicare tutto il materiale sul suo sito. Sembra una storia incredibile, ma quando c’è di mezzo la nostra agenzia di valutazione, la fantasia supera spesso la realtà. Tutto inizia il 30 ottobre scorso quando …

 

1. Graziosi si intercetta da solo e poi divulga tutto

Il 30 ottobre 2017 su Rai Tre va in onda un servizio di Report  dedicato alla valutazione della ricerca. L’Anvur non gradisce le critiche e reagisce in tempo reale su Twitter:

 

Non solo il tweet recrimina nei confronti di Report che “con un taglio capzioso … travisa la risposta del presidente Anvur”, ma fornisce anche il link al seguente file audio che riporta un estratto dell’intervista:

In realtà, l’audio – di cui abbiamo messo a disposizione la trascrizione integrale – dimostra proprio il contrario. La risposta del Presidente Anvur non è stata travisata  e, anzi, ne rispecchia fedelmente il pensiero. Ma in questa sede non è questo che ci interessa. Piuttosto, è interessante notare  il link al file audio:

http://www.anvur.it/download/audio/Report_domanda_19. mp3

Con ogni evidenza, Graziosi aveva registrato l’audio dell’intervista (con o senza il consenso della giornalista?) e l’aveva fatto dividere in tanti file audio quante erano le domande. Tutto ciò in previsione di farne un uso polemico, come di fatto avvenuto tramite il tweet di cui sopra.

Ma se le cose stavano così, non è che sul sito dell’agenzia era stato caricato anche l’audio di tutte le altre domande? Per scoprirlo, è bastato scrivere nella barra del browser:

http://www.anvur.it/download/audio/Report_domanda_20. mp3

Bingo! Basta premere il tasto return e subito parte l’audio della ventesima domanda.

La qualità era scadente, come se il registratore fosse stato nascosto in una posizione poco adatta alla registrazione (ci sono venuti in mente i personaggi dei noir hollywoodiani con i fili sotto la camicia). Scadente o meno che fosse la qualità, c’erano ben 44 domande a disposizione di chi voleva ascoltarle. Successivamente, con l’eccezione della “domanda 19”, i file audio sono stati cancellati, ma per diverse ore chiunque ha potuto scaricarseli liberamente.

Ecco l’origine degli Anvur tapes. Graziosi, per timore dei “tagli capziosi” di Report, ha registrato l’intera l’intervista e l’ha maldestramente resa pubblica sul sito dell’Anvur. Se Report aveva mandato in onda solo pochi minuti, adesso abbiamo a disposizione più di un’ora e mezza di botta e risposta tra Graziosi e Giulia Presutti, l’agguerrita giornalista di Report.

Anche se non sono i nastri del Watergate, possiamo anticiparvi che il loro contenuto offre uno spaccato inedito e a volte sconcertante dell’ideologia di chi, ancora per poche settimane, è a capo dell’agenzia di valutazione. Da oggi, cominciamo a pubblicarne la trascrizione delle parti più significative in una nuova rubrica intitolata Anvur tapes.

2. Ricerca di punta? «chi la faceva è stato anche messo al rogo»

Domanda #6

G. Presutti: Qualcuno dice che i criteri bibliometrici, cioè quelli del numero delle citazioni ricevute da un articolo, dell’impatto scientifico della rivista, scoraggino un po’ la ricerca innovativa, perché, chiaramente, se un criterio premia la popolarità di un articolo, può impedire a una persona di lanciarsi in strade intentate.

A. Graziosi: Io credo che sia una critica assolutamente infondata e anche un po’ ingenua, se uno conosce il mondo della ricerca. Prima di tutto la ricerca di eccellenza è sempre fatta da piccolissimi numeri di persone. È stata fatta – e chi la faceva è stato anche messo al rogo, oggi al massimo uno perde un po’ più di tempo per farsi riconoscere – ed è fatta per amore della scienza. Io credo che chiunque faccia questo mestiere sa benissimo che le persone fanno ricerca di punta … a parte che stiamo parlando dell’un per cento, l’un per mille, la vera ricerca di punta innovativa, originale, quanto può essere? Non è scoraggiata perché ha in sé la sua motivazione.
Nel mentre sono strumenti molto adatti a vedere la qualità media relativa della ricerca seria fatta in un paese. Siccome lo Stato italiano è interessato non a quella punta estrema, che comunque c’è, perché ha in sé il suo interesse, è molto solido e ragionevole pensare di fidarsi del giudizio delle comunità scientifiche. Quindi non è che le citazioni sono più popolari: è un segnale che in quel momento, quella comunità scientifica ritiene quella ricerca molto importante.
È chiaro che, per esempio, che i fisici in quel momento ritengono molto importante studiare questa scrivania. È l’opinione della comunità, non dei lettori di Novella 2000. Io non ho niente contro i lettori di Novella … È chiaro che uno ha scoperto che bisogna studiare quella poltrona. Non se ne accorgono per dieci anni, ma lui la studia lo stesso, perché gli interessa.

Domanda #17

[…]

A. Graziosi: Io credo sia un’illusione penosa – scusi il termine – immaginarsi che una qualunque comunità in qualunque momento riesca a vedere qual è la cosa innovativa che si fa tra dieci anni. Cioè non ci vedo perché non è innovativa, a quel punto. Banalmente, non è innovativa. Cioè, Galileo Galilei non [incomprensibile] scienziati, altrimenti non sarebbe Galileo Galilei, non sarebbe Newton. Se parliamo davvero dell’eccellenza, la becchi, se la becchi … il famoso premio Nobel disse «mi hanno premiato per una cosa che mi sono scordato di aver fatto». L’aveva fatta trent’anni prima e nessuno se n’era accorto, non so se mi spiego. È difficile avere la fama subito. Non siamo cantanti di varietà.

 

3. «Se poi c’è il genio, il suo premio lo avrà tra 20 anni»

Domanda #42

[…]

A. Graziosi: Se io faccio questo lavoro, non posso sottrarmi al giudizio della comunità. La cosa sbagliata sarebbe se al giudizio della comunità fosse sostituito il giudizio dello Stato. Devi studiare – non so – il pensiero fascista oppure il marxismo leninismo oppure il dogma cattolico dell’Immacolata Concezione, allora sì. Ma se io faccio fisica e studio le particelle, che il mio studio sulle particelle sia valutato dalla comunità scientifica che studia le particelle – posso dire? – non vedo altra soluzione.

Se poi c’è la persona straordinaria che ha capito che le particelle sono tutte fesserie e che bisogna studiare i particelloni, quello lì il suo premio lo avrà quando diventerà lo scienziato più famoso del mondo tra vent’anni. Dovrà ringraziare che nel frattempo è rimasto ricercatore e non l’hanno bruciato vivo. Cioè, francamente, non è che siamo tutti Galilei e Newton. Pure questa è una visione abbastanza stravagante. Le posso assicurare che, se la massa dei professori universitari fosse ritenuta dalla comunità internazionale – perché queste citazioni sono internazionali – al top, questo sarebbe un paese molto più ricco e aperto.

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23 Commenti

  1. Nella quasi totalità dei casi, la comunità scientifica riconosce immediatamente il valore di una grande scoperta innovativa; da Galielo ad oggi abbiamo fatto qualche passo avanti, fortunatamente. L’esempio è dato proprio dalle onde gravitazionali, che sono state celebrate un secondo dopo l’annuncio del rilevamento. E mi pare che in tutti i campi (compreso il mio) non ci sia grande risultato che non venga molto citato (magari a volte insieme ad altri che tanto grandi non sono, ma è un altro discorso). Il punto è che questo non avviene e non può avvenire immediatamente. In altre parole, la bibliometria comincia a dare risultati solo su un arco temporale accettabilmente lungo, di almeno dieci anni (meglio sarebbe quindici). Non a caso, quando si compilano le liste dei ricercatori più citati, usate poi come riferimento internazionale, l’arco temporale analizzato è di almeno dieci anni (e vengono usate soglie molto alte applicate sui singoli lavori, che evitano facili fluttuazioni). Usare la bibliometria su un arco temporale di 2-3 anni non produce risultati significativi, ma spesso casuali. Aspettate dieci anni, e guardate quanto i lavori sulle onde gravitazionali saranno citati.

  2. Se qualcuno ha in mente di scrivere i “Dialoghi sopra i due massimi sistemi del mondo” è avvertito dal non voler “sottomettere” a valutazione il “prodotto della ricerca” all’ANVUR. La Santa Inquisizione e la Congregazione dell’Indice potrebbero essere più benevole …

    • No, non è una farsa. Abbiamo scaricato tutte le registrazioni e dice esattamente quello che è riportato nelle trascrizioni. Sembra una storia incredibile (il Presidente che si intercetta da solo e poi mette tutto a disposizione di Roars), ma è andata proprio così. Lasciamo a qualche collega più competente di noi la decifrazione dei risvolti psicanalitici.

    • Non intendevo una invenzione (tanto meno vostra) , ma una farsa effettiva se le opinioni espresse nell’intervista si mettono a confronto con le procedure dell’Anvur. La commedia diventata realtà.

  3. Diceva il grande (grandissimo) Flaiano: “l’insuccesso dà alla testa”. Secondo me l’ipertrofia prostatica dà alla testa… la perdita di alcune funzioni deve creare dinamiche insondabili che rendono complesse o perverse le cose più semplici, come la valutazione, per esempio… Forse un consesso di urologi di valore potrebbe risolvere molte cose…

  4. Wittgenstein in tutta la sua vita pubblicò un solo libro e un solo articolo. Un secondo libro uscì postumo. Se lo avessero valutato con i criteri ANVUR lo avrebbero classificato come un fannullone. All’università di Cambridge, invece, gli diedero una cattedra. Ragionando come ragiona Graziosi, il rischio è che per castigare tutti i cattivi ricercatori si finisca per castigare anche quelle persone eccentriche ma di genio che ogni tanto attraversano l’università, magari espellendole dal sistema. Qualunque sistema “burocratico” o basato su “indicatori” è esposto a questo rischio. Ma non c’è castigo di fannulloni che compensi l’espulsione di una sola di queste eccezioni. La valutazione, quindi, ha senso solo per le strutture. E’ qualcosa di autoritario e di controproducente se applicata ai singoli.

    • Alberto Mura: “Ragionando come ragiona Graziosi, il rischio è che per castigare tutti i cattivi ricercatori si finisca per castigare anche quelle persone eccentriche ma di genio che ogni tanto attraversano l’università, magari espellendole dal sistema”
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      Siamo realistici, sono piccoli numeri: “francamente, non è che siamo tutti Galilei e Newton”, come ci ricorda Graziosi. E anche senza Galilei e Newton, cosa sarebbe cambiato dopo tutto? Vuoi mettere i danni inferti alla civiltà occidentale da quei fannulloni la cui esistenza, nei secoli scorsi, è stata resa possibile dall’assenza della valutazione Anvur-style?
      A parte gli scherzi, Graziosi ha il merito di mettere in evidenza che la valutazione nostrana non ha nulla a che fare con la promozione dell’eccellenza e dell’innovazione. Piuttosto, serve a scoraggiare l’esplorazione di sentieri che non siano quelli maggioritari. A monte c’è l’idea di una tale arretratezza strutturale dell’accademia italiana da rendere velleitario ogni tentativo di contribuire all’avanzamento delle frontiere. Il massimo a cui si può aspirare è costringere i panciafichisti italiani a scribacchiare qualcosa e, visto che non ci si può fidare delle loro scelte, questo qualcosa è bene che sia imposto (una sorta di “vincolo esterno”) dal mainstream internazionale del momento. Una visione cinica e oscurantista che ricorda, mutatis mutandis, il Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov. E anche in questo caso, i sudditi preferiscono deporre la loro libertà ai piedi del Grande Valutatore.
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      “Ebbene, adesso Tu li ha veduti, questi uomini “liberi”, – aggiunge il vecchio con un pensoso sorriso. – Si, questa faccenda ci è costata cara, – continua, guardandolo severo, – ma noi l’abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l’opera è compiuta e saldamente compiuta. Non credi che sia saldamente compiuta? Tu mi guardi con dolcezza e non mi degni neppure della Tua indignazione? Ma sappi che adesso, proprio oggi, questi uomini sono più che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo, ma è questo che Tu desideravi, è una simile libertà?”.

      – Io torno a non comprendere, – interruppe Aljòsa, – egli fa dell’ironia, scherza?

      – Niente affatto. Egli fa un merito a sé ed ai suoi precisamente di avere infine soppresso la libertà e di averlo fatto per rendere felici gli uomini. “Ora infatti per la prima volta (egli parla, naturalmente, dell’inquisizione) è diventato possibile pensare alla felicità umana. L’uomo fu creato ribelle; possono forse dei ribelli essere felici?” […]
      Nessuna scienza darà loro il pane, finché rimarranno liberi, ma essi finiranno per deporre la loro libertà ai nostri piedi e per dirci: “Riduceteci piuttosto in schiavitù ma sfamateci! [=DATECI I 3.000 EURO DI FFABR]”. Comprenderanno infine essi stessi che libertà e pane terreno a discrezione per tutti sono fra loro inconciliabili, giacché mai, mai essi sapranno ripartirlo [IL FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO] fra loro! Si convinceranno pure che non potranno mai nemmeno esser liberi, perché sono deboli, viziosi, inetti e ribelli.

    • C’è una cosa che continuo a leggere e che non capisco. Se mi date la vostra interpretazione non mi offendo proprio, ma mi aiuta a capire come sia possibile che in tanti vediate dei castighi per i “fannulloni”; io vedo “castighi” (mancati premi) solo per gli attivi che non appaiono come super-top, vedo quindi una spinta a mettersi a fare i fannulloni oppure a dannarsi per produrre carta fine a sé stessa per apparire super-top…

      La valutazione della ricerca agli inizi è stata accettata un po’ da tutti grazie al dichiarato obbiettivo di identificare gli inattivi, quelli così inattivi da essere identificabili pure con i metodi rozzissimi proposti da ANVUR.
      Poi però non si è vista alcuna conseguenza, sugli inattivi, derivante dall’essere inattivi: tutta la “meritocrazia” si è invece scaricata sugli attivi (dipartimenti di “eccellenza”, FFABR, etc.) e sempre mettendo follemente tutti in fila in un unico ordinamento e premiando solo una certa percentuale dei migliori, come se i rozzissimi metodi ANVUR fossero esenti da rumore (il colmo è che questa idea dell’ordinamento unico sembra che sia nata nel GEV9, dove il concetto di rapporto segnale rumore dovrebbero averlo chiaro).
      In conclusione: nessun problema per gli inattivi ed invece mancati premi per gli attivi che non risultano super-top secondo i metodi rozzissimi ANVUR.

      In che senso quindi ci sono stati castighi per i fannulloni?

  5. Agnosco stylum

    Ecco un altro valutatore di stato con la spada in una mano e la bilancia nell’altra. Che però confessa che la bilancia è truccata a favore dei travet della ricerca e che la spada si usa per pareggiare le teste che sporgono.

    Ed è imbarazzante dover ricordare a uno storico che i Galileo e i Newton non cadono come la manna dal cielo, ma riescono a fiorire quando ci sono e si ha cura di conservare le condizioni sociali e culturali e le comunità di conoscenza in grado di farli fiorire. Se mancano, se vengono a mancare, faranno la fine della sorella di Shakespeare, per quanta passione per la scienza li possa infiammare. Oppure se ne andranno altrove, a costruire le armi per il tuo nemico.

  6. Forse sbaglierò ma ho sempre avuto la sensazione che chiunque abbia fatto ricerca all’interno dell’università dopo una certa età senta il bisogno di promuovere a sistema quello che è stato il suo percorso accademico alla stregua del Così fan tutte. E quindi faccio sempre fatica a sentire una persona del genere quando esprime opinioni su come si fa ricerca indipendentemente se si rivolge al fisico della materia o allo studio dei papiri di Qumran.

  7. Notevole. Veramente notevole. Sostanzialmente Graziosi conferma quello che sanno tutti. Le politiche di reclutamento sono state talmente scellerate – anche vent’anni prima della Gelmini – che l’università italiana e diventata un groviglio burocratico di lecchini e portaborse che generano all’infinito lo status quo. Devono tutti stare zitti e sono selezionati in base alla capacità di silenzio. I cani sciolti vengono defenestrati e quei pochi che sono almeno ricercatori – ma i giovani possono veramente non sperare dato lo schifo al quale si è arrivati – devono ringraziare di non essere stati mandati al rogo. E’ un paese di vecchi per vecchi – età mentale non anagrafica – e l’ università è la testa del pesce marcio.

    • Non ci bruciano vivi solo perché sanno che i roghi fisici sono, per il momento, meno efficaci di quelli amministrativi. I primi creano dei martiri – Socrate o Giordano Bruno – con un’eco difficile da gestire; i secondi semplicemente dei frustrati, che si possono rappresentare come tali e liquidare con un’alzata di spalle.

  8. Graziosi dice che chi fa ricerca “di punta” trova in se stesso la sua motivazione.

    Questo e` vero se per “ricerca di punta” intendiamo quella fatta per curiosità, in cui ci si avventura anche a rischio di non trovare proprio niente.

    Ma come si fa a farla senza risorse?
    Vogliamo o no lasciare che chi vuole tentare strade strane lo faccia, anche a rischio di non trovare nulla? La risposta che si desume dal suo discorso e` negativa.
    Chi conosce la storia della scienza sa che questa proibizione nuoce gravemente al suo progresso. Chi ha una idea di società, che contempla la possibilità che essa sia abitata anche da sognatori, comprende che questa proibizione di fatto esclude quella possibilità. Infatti, nella idea di società, di cui questa proibizione è espressione, tutti i suoi livelli e i suoi ambiti devono essere sottomessi alla logica mercantile del profitto aziendale. Di questa forma micidiale di totalitarismo ha parlato, ad esempio, Massimo Bontempelli (grandissimo studioso di storia e filosofia, e acutissimo osservatore della politica contemporanea—da non confondere con l’omonimo scrittore surrealista) in un capitolo del suo libro
    L’agonia della scuola italiana

    Graziosi dice che chi fa “ricerca di punta” sara` premiato tra venti anni.

    Chi conosce la storia della scienza sa che a volte non bastano venti anni.
    Poi, non è necessariamente vero che si fa “ricerca di punta” per ricevere premi. Anzi, questa idea è in contraddizione con la definizione di “ricerca di punta” come quella fatta per pura curiosità.

    A parte tutto questo, mi domando se siamo proprio sicuri che tra venti anni ci saranno persone in grado di riconoscere il valore di quella “ricerca di punta”. Se continua cosi`, ne dubito. Ci saranno forse specialisti senza spirito, edonisti senza cuore (M. Weber), ma questo potrebbe anche essere uno scenario ottimistico, se pensiamo alla velocità con cui i tesori intellettuali e tecnologici della civiltà ellenistica sono stati dimenticati (chi conosce la storia questo lo sa).

    Il punto è ben noto: un sistema bibliometrico esprime una idea di attività intellettuale in cui essa, invece di essere spinta da una interrogazione, continua e disinteressata, della materia di studio, è una routine, noiosa e opportunistica. Specialismo senza spirito, appunto.

    Graziosi dice che sono ingenui coloro che “criticano la bibliometria perché scoraggia la ricerca innovativa”.

    Colpisce invece l’ingenuità con cui l’autore abbraccia ammirato i “sofisticatissimi” strumenti bibliometrici, che permettono di omettere il 30 per cento delle autocitazioni, o, se vogliamo, il 50 per cento, o, se vogliamo, tutte (per dindirindina!). Questa e` morbid fascination with technology. Specialismo senza spirito, si direbbe.

    Un lavoro deve essere letto, per poter essere giudicato, punto. Chi deduce che non è valido, dal fatto che non è stato citato, commette un grave non sequitur.

    Colpisce che Graziosi non si accorga dei non sequitur del suo ragionamento. Se avesse studiato matematica se ne sarebbe accorto. La matematica fa bene anche a questo, per la disciplina mentale che ne deriva. Essa, infatti, aiuta a evitare i non sequitur proprio perché insegna che cose ovvie possono essere false, e che cose paradossali possono essere possibili.

    Mi piace ricordare che Kolmogorov da giovane era appassionato di storia e un bel giorno presentò al suo professore un saggio in cui presentava una argomentazione a favore di una sua tesi su non ricordo quale argomento di storia. Il suo professore (erano altri tempi!) gli spiegò che per dimostrare una tesi in storia non basta una argomentazione, ma ce ne vogliono almeno cinque. A quel punto il giovane Kolmogorov decise di concentrare i suoi sforzi sulla matematica (v. ”Golden Years of Moscow Mathematics”, a cura di Smilka Zdravkovska e Peter L. Duren).

    Ma forse Graziosi per ”ricerca di punta” non intende quella fatta per pura curiosità, ma un po’ tautologicamente, quella ”importante”, quella che resta nella storia. Ciò sarebbe grave, perché sarebbe come ammettere che il marchingegno bibliometrico anvuriano non ha veramente lo scopo di incoraggiare imprese intellettuali ”importanti”, ma solo quello di disciplinare l’attività intellettuale dei professori universitari, inducendoli a impegnarsi in una sfibrante guerra tra poveri—mentre appunto le risorse a disposizione vengono vertiginosamente ridotte—e che la retorica della ”eccellenza”
    (una retorica che ha sempre avuto una presa facile, come si riscontra nella istruttiva storia del Criceto e del Carpentiere, raccontata dall’autore di Euclid and his modern rivals:
    we cannot do with more than four, to give a hand to each
    ) serve principalmente a giustificare presso l’opinione pubblica quella riduzione di risorse.

  9. Un amico colto mi ha fatto notare che l’atteggiamento che il professor Graziosi mostra di avere al cospetto dei sofisticatissimi strumenti bibliometrici (un atteggiameno da me
    sbrigativamente definito ”morbid fascination with technology”) è un caso particolare di un fenomeno generale, che è già stato oggetto di studio da parte degli antropologi.

    G. Anders, nel suo ”L’uomo è antiquato”, in due volumi, parla di un senso di inferiorità dell’uomo moderno rispetto ai prodotti della tecnologia (che non comprende).

    Il compianto professor Giorgio Israel rilevava, in uno dei suoi interventi aventi a oggetto la bibliometria e le politiche anvuriane, una specie di sfiducia verso ciò che è umano.

    C’è abbondante materia di studio per antropologi, e storici, direi.

    L’uomo resta attonito nel vedere verificata nel caso particolare la regola generale, osservava Leopardi nel suo Zibaldone. Confermo.

    • Non c’è dubbio che, se nel nostro Paese ci fossero dei veri antropologi sociali, facendo ricerca sugli ambienti accademici dell’età anvuriana troverebbero interessanti materiali di studio a bizzeffe. Ma poi non otterrebbero l’abilitazione.

  10. Il messaggio di fondo somiglia a quello di un imprenditore privato che deve piazzare della merce, mettiamo nella grande distribuzione alimentare: valuto costi e benefici e deduco che il modo più sicuro e facile per avere ricavi garantiti è fare il pane con la farina OGM, comprare le arance dalle serre spagnole, ecc. Poco male se il prosciutto toscano, le olive pugliesi e le arance siciliane andranno a male. L’alimentazione e la salute degli italiani peggiorerà considerevolmente, ma l’azienda, privata, sarà salva.

    Nel caso della ricerca scientifica, pubblica, se la valutazione è bibliometrica, la stragrande maggioranza si dedicherà a lavori in campi dove si “pesca bene”. Peraltro Graziosi assume, ottimisticamente, che il Newton di turno farà ricerca anche se, non avendo la bibliometria “a modino”, non avrà accesso all’università. Altro errore di Graziosi è la non applicazione della distribuzione statistica: non si perdono solo Newton, Galileo e Einstein ma anche Dirac, Schroedinger, Heisenberg etc. In altre parole, le code della gaussiana delimitano un’area, cioè numero di ricercatori, tutt’altro che trascurabile.

    Spesso i grandi progressi della fisica hanno implicato un nuovo paradigma, fuori dagli stereotipi dell’epoca. E’ quindi paradossale che l’agenzia della valutazione della ricerca perseguiti criteri il cui effetto è quello di uniformizzare gli standard, ostacolando di fatto originalità e creatività.

    Un esempio concreto, che tutti conoscono molto bene, è quello dell’ampia schiera di ricercatori che lavorano per anni alla progettazione di un esperimento fondamentale ma estremamente complesso. Fintanto che l’esperimento non produce risultati di particolare interesse le citazioni sono inevitabilmente minime. L’ANVUR effect è che ottimi ricercatori non sono stati abilitati perché devono confrontarsi con le mediane altissime dovute ai risultati di LHC al CERN. Che senso ha? Come mai Graziosi, pur a conoscenza di quanto detto, invece di prendere una posizione coerente fa affermazioni talmente fuori dalla realtà? Probabilmente la coerenza richiederebbe un’iniziativa abbastanza sgradevole: dimissioni del direttivo ANVUR perché le metodologie usate sono un concentrato di nonsense, del tutto antiscientifche, ed è quindi paradossale utilizzarle per la valutazione della produzione scientifica.

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