Svezia Italia 1 a 0. A dicembre 2017 l’Italia sottoscrive tramite il consorzio CRUI CARE un contratto quinquennale con Elsevier per l’accesso ai periodici elettronici dell’editore. Il contratto prevede anche una parte dedicata all’open access per cui gli atenei oltre a pagare per gli abbonamenti pagano anche per la pubblicazione ad accesso aperto (in quelle stesse riviste che sottoscrivono). Questa forma si chiama in letteratura double dipping. Lo stesso contratto era stato proposto agli svedesi, ma loro lo hanno stracciato interrompendo i rapporti con Elsevier. A comunicarlo, con tanto di slide raffigurante due mani che strappano un contratto, è stata la presidente della Conferenza dei rettori delle università svedesi. E’ acccaduto a Berlino dove il 3 e 4 dicembre si è tenuta, presso la Max Planck Gesellschaft, a porte chiuse, la 14. conferenza dopo la dichiarazione di Berlino (2003) con il titolo significativo Aligning strategies to enable open access. 37 paesi rappresentati e decine di istituzioni, enti di ricerca, società scientifiche, conferenze dei rettori, consorzi di biblioteche, ministeri, enti di finanziamento. Non è stato difficile definire l’allineamento rispetto alle strategie da adottare per assicurare che la ricerca finanziata con fondi pubblici possa essere liberamente accessibile a tutti, i paesi rappresentati, dalla Cina al Giappone, dagli stati Uniti alla Gran Bretagna alla Svezia, all’Ungheria, alla Germania all’Austria, all’Olanda hanno dato una risposta corale e armonica. Tutti i paesi presenti tranne uno…

Il Plan S e le politiche coerenti dei paesi europei (e non solo)

  • Nessuna ricerca finanziata dalla Commissione Europea potrà essere pubblicata dietro a paywall
  • Tutte le ricerche finanziate dalla Commissione Europea dovranno essere pubblicate ad accesso aperto con licenze aperte CC BY
  • Gli autori manterranno il copyright sulle loro opere
  • E’ richiesta la trasparenza sui contratti e sui costi

Questi sono i principi su cui si fonda Plan S e con questi principi editori, autori, consorzi, università, conferenze dei rettori si devono confrontare.

La Conferenza Berlin 14, la quattordicesima dalla dichiarazione di Berlino che la CRUI ha sottoscritto nel 2004 e di nuovo nel 2014, ha affrontato il tema di un allineamento delle politiche di contrattazioni per l’acquisto di periodici elettronici a livello europeo, ma non solo, a partire dalla richiesta agli editori scientifici di avviare fin da subito la trasformazione verso un sistema che sia totalmente open access.

Dalla Cina al Giappone agli Stati Uniti, dalla Svezia, alla Germania, all’Ungheria alla Gran Bretagna, la richiesta dei 37 paesi agli editori è stata unanime e corale.

Nella prima giornata sono stati presentati i modelli di contrattazione con gli editori adottati nei diversi paesi, tutti modelli che contengono l’aspetto transformative verso il Publish and read, cioè con gli stessi soldi presenti nel sistema e con cui un paese paga i contratti per l’accesso, i corresponding authors di quel paese possono pubblicare ad accesso aperto senza costi ulteriori.

Alcuni punti fondamentali:

  • I cosiddetti top journals restano al loro posto, cambia solo il modello di business.
  • Perché nuove riviste possano crescere di importanza è invece necessario un cambio dei sistemi di valutazione (no impact factors), in molti paesi fra quelli presenti già pienamente in atto.
  • E’ un punto di forza, nelle contrattazioni con gli editori, conoscere i propri dati: quanto si pubblica, dove si pubblica, quanto si paga per quali servizi, quanta parte della ricerca è Open access.

Lessons learned

  • Gli accordi stipulati con gli editori devono comprendere la transizione al full-open access
  • I costi per read and publish devono essere sostenibili
  • Gli accordi sono di transizione e quindi non possono essere più lunghi di due o tre anni
  • Il budget deve restare inalterato
  • Gli accordi devono comprendere un miglioramento dei servizi per autori e amministratori.

Le audizioni degli editori: “we support open access”

Nella seconda giornata sono stati auditi gli editori secondo il seguente modello:

L’editore entrava nella sala ed esponeva brevemente a propria posizione rispetto all’open access e servizi connessi, il panel poneva le domande (più o meno le stesse per tutti gli editori) l’editore usciva dalla sala ed entrava il successivo.

Gli editori auditi sono stati Elsevier, Springer e Wiley.

Il panel era formato da rappresentanti di università, consorzi e ministeri della Cina e del Giappone, della University of California, della Svezia e dell’Olanda, di EUA e di Science Europe.

Due giornalisti sono stati ammessi a questa sessione per il resto rigorosamente a porte chiuse.

Al di là degli stili dei tre editori, rappresentati dalle massime cariche, il risultato è stato molto chiaro. Gli editori non vogliono l’open access così come richiesto da finanziatori e da istituzioni.

Gli editori dicono di essere a favore dell’open access (we support open access è stata la frase più ripetuta), ma vogliono farlo come dicono loro, coi loro tempi e coi loro costi.

Una posizione del tutto disallineata rispetto alle richieste del panel e della platea.

A tutti è stato chiesto: Come mai non volete darci i servizi relativi all’Open access che vi chiediamo di darci e invece ce ne proponete altri che noi non vi chiediamo e non vogliamo?

E’ inutile dire che la posizione dell’Italia, con un contratto quinquennale appena sottoscritto con Elsevier, che prevede il double dipping strideva negativamente in un panorama così uniforme. Lo stesso contratto era stato proposto agli svedesi, i quali lo hanno stracciato interrompendo i rapporti con Elsevier. A comunicarlo, con tanto di slide raffigurante due mani che strappano un contratto,  è stata la presidente della Conferenza dei rettori delle università svedesi.

Un’occasione da non perdere

Da gennaio potremmo avere l’occasione di rivedere la nostra posizione. Si deve cominciare una nuova contrattazione con Springer.

E’ fondamentale che le Università diano al gruppo di contrattazione un mandato preciso, che la governance ne sia consapevole e che il mandato sia condiviso coi ricercatori:

  • Il contratto deve essere transformative verso il full-open access
  • Il contratto deve durare due al massimo tre anni
  • I costi devono rimanere quelli attuali essendoci già abbastanza denaro in circolo
  • Nessuna mediazione deve essere possibile sui tre punti precedenti

I nostri ricercatori, come i ricercatori di Svezia, Germania o della University of California, devono essere pronti a rinunciare all’accesso qualora la contrattazione non risponda ai requisiti indicati, le istituzioni devono essere pronte a supportare i ricercatori con dei servizi alternativi.

Se in altri paesi altrettanto research intensive altri ricercatori e altre conferenze dei rettori lo hanno fatto, ciò vuol dire che è sostenibile.

E’ confortante il dato citato dal rappresentante della University of California: il 95% dei ricercatori non ha avuto problemi a recuperare il materiale di cui aveva bisogno e solo il 5% si è rivolto ai servizi che sono stati predisposti per supplire alla mancanza di accesso.

La dichiarazione finale della Conferenza è un impegno molto serio preso da tutti e 37 i paesi rappresentati

We are all committed to authors retaining their copyrights,
We are all committed to complete and immediate open access,
We are all committed to accelerating the progress of open access through transformative agreements that are temporary and transitional, with a shift to full open access within a very few years. These agreements should, at least initially, be cost-neutral, with the expectation that economic adjustments will follow as the markets transform.

 

 

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6 Commenti

  1. L’Italia ha una posizione totalmente confusa, infatti la CRUI ha sottoscritto un contratto con Elsevier che è illogico, paghiamo per pubblicare e paghiamo le sottoscrizioni, vale a dire pagheremo due volte. Inoltre CNR e INFN hanno sottoscritto il Plan S, insieme a diverse agenzie di finanziamento europee (funders), ma CNR e INFN non sono funders, se non per un numero limitato di ricercatori che sono i loro dipendenti o associati, quindi la loro firma non ha effetto sul grosso del sistema italiano, che è finanziato da altre fonti. Non e’ chiaro se un tale obbligo verrà mai esteso ai PRIN, che vista l’ esiguità dei finanziamenti avrebbe aspetti comici. L’accordo CRUI esclude che le università possano mai trovare i fondi per assumere i costi dell’ OA (Open Access) per i ricercatori italiani. Il Plan S come è concepito non tiene conto che molti dei top journals in uso non hanno una prevalenza europea così forte da modificarne le politiche editoriali, per cui rimarranno giornali ibridi, con molti articoli dietro paywalls. Elsevier sta strutturando alcuni di questi giornali con un giornale mirror, che sarà OA per gli europei, mentre l’originale rimarrà a pagamento. In questo modo incasseranno da due lati, aggirando il blocco dell’ ibrido previsto dal plan S. Vedo poi impensabile che giornali come Nature, Science, PLOS, Frontiers oppure giornali prestigiosi di fisica come Phys. Rev. Letters, si possano adeguare alla politica europea. Rimane poi il problema se verrà considerata pubblicazione OA la semplice pubblicazione degli articoli su repository come ArXiv, infatti la lobby dietro il Plan S sta cercando di bloccare questa possibilità. Nessuno sforzo serio è stato fatto per garantire la possibilità che la UE fornisca piattaforme di supporto alla creazione di giornali OA Green (ovvero totalmente gratis).

    • @marcati vale a dire pagheremo due volte
      e infatti scopo del breve resoconto è cercare di capire come fare a pagare una volta sola.
      @marcati quindi la loro firma non ha effetto sul grosso del sistema italiano, che è finanziato da altre fonti.
      Ad esempio l’Europa?
      Solo per precisione: il CNR non ha sottoscritto Plan S e soprattutto non esistono giornali green Open Access (né giornali totalmente gratis, qualcuno paga sempre, l’importante è quanto, cosa e come).
      Credo che sarebbe importante organizzare momenti di incontro su questi temi, in cui diverse posizioni possano essere esposte ma sulla base di dati concreti: quanto pubblichiamo? dove pubblichiamo? a quali costi? solo partendo da qui credo sia possibile costruire discorsi e anche prese di posizione che non siano ideologiche ma consistenti e fondate sui fatti.

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